Da: Imprevisti Futuristi, Il Verri, n. 1, 2010.
«Andare. Leggerezza. Masticare l’infinito.»
Marinetti e Fillia
Pranzo aeropoetico futurista
1. Un futurismo semio-libero
Noti specialisti del Futurismo affermano che, da un punto di vista teorico, sappiamo ogni cosa della nostra secolare avanguardia.
Tutto quello che possiamo fare è aggiungere informazioni fattuali, varianti adiafore delle conoscenze accumulate e dei valori sanciti (Belli 2007). Per un semiologo, questa pretesa è un segno di resa: termine che denota resoconto e rendiconto, ma anche rinuncia e ritiro. Una scomoda beatitudine: l’avanguardia futurista è un classico che non finisce di dire quel che ha da dirci e noi rischiamo sempre di smarrire i segnalibri.
C’è sempre tempo per declinare la ricerca. È il tempo che vuol prendere questo convegno, per prestare evidenziare e problematizzare le radicali innovazioni futuriste nella substruzione e ricostruzione degli universi vitali e culturali. Quelle che oggi in aero- nautica, con un termine che sarebbe piaciuto a Marinetti (FTM) e Azari, vengono chiamate “turbolenze in aria chiara“, per forza d’ impatto e difficoltà di reperimento.
La semiotica, dal canto suo, non è incline a operare detrazioni concettuali ideologiche o politiche o restringimenti di campo – il letterario o il figurativo: vorrebbe collaborare allo “sviluppo sostenibile” di una riflessione generale sul Futurismo. In primo luogo col difendere le proprie ipotesi nel testo e non dal testo. Contro le critiche irascibili, i giudizi sommari e i processi per direttissima, il metodo semiotico si affida al microscopio critico piuttosto che alle sintesi telescopiche. E vorrebbe, all’occasione, interrogare il proprio ruolo nello sviluppo contemporaneo della linguistica e della filosofia.
Il suo lungo silenzio è dovuto, oltre al diniego politico, a un problema di rompicapo all’ interno al proprio paradigma. Roman Jakobson, uno del maggiori linguisti di un secolo a cui appartengono Saussure e FTM , ha vissuto intensamente l’esperienza del Futurismo e ha dato, del suo fondatore, una valutazione drastica. Per il giovane Jakobson, con i principi teorici pronunciati da FTM non si poteva far poesia, ma solo reportage. Un pre-giudizio da attribuire alla valorizzazione comparativa del Futurismo russo e alla scarsa conoscenza dell’attività letteraria di Marinetti nonchè degli esperimenti verbo-visivi delle tavole parolibere. Uno sbrigativo verdetto che ha assecondato il discredito europeo del Futurismo e inibito le indagini linguistiche e semiotiche. Una situazione paradossale, tenuto conto del risalto dato dai futuristi alla grammatica e alla semiotica della poesia, che è il contributo saliente di Jakobson alla scuola strutturale.
Vorremmo invece dimostrare che la riflessione di FTM e della corrente futurista pone domande e avanza risposte qualitative nel campo semantico, grammaticale e testuale e in sistemi di segni dalle diverse forme e sostanze espressive. Non si tratta di proposizioni scientifiche, ma di presentimenti di forma – «intuizioni quasi inafferrabili » (FTM) – che portano sulle parti del discorso, come nomi, verbi, aggettivi e avverbi. Una linguistica connotativa da esplicitare. I principi poetici paroliberi intendevano valere anche per tutti gli altri linguaggi espressivi della forma di vita futurista: per la pittura e la moda, per la musica e il design, per la danza e il cinema. Un semio-liberismo che avrebbe incontrato l’assenso di R. Jakobson per cui ad esempio, «La giustapposizione di concetti grammaticali può essere paragonata al” montaggio dinamico” in cinematografia»1.
Per i futuristi infatti le lingue naturali e il mondo naturale, sono i luoghi dove si manifestano «complessi plastici», paradigmi espressivi, consolidati. Compito delle avanguardie è riconfigurare questi composti astratti, soggiacenti della “pelle” sensibile delle cose e attraverso schemi percettivi ricombinanti, creare «accordi simultanei » tra elementi. E con effetti inusitati, rallegrare un universo futuristicamente ricostruito. Un contributo semiotico che non si applica, ma si implica nelle sperimentazioni poetiche della cucina futurista, dove l’analogia tra linguaggio e dimensione sensibile invitano a una deformazione del periodare passatista del gusto, a una estesia “antigraziosa” e alla anticipazione di una nuova armonia del senso e dei sensi.
2. La formula di un pranzo
Il Pranzo parolibero primaverile (PPP – Fig. 1), che appartiene alla raccolta di Marinetti e Fillia del 1932, è un testo che esemplifica queste proprietà. Definito da FTM una «formula», è un racconto «istruttivo» – o il pastiche – della preparazione, esecuzione e consumo di una colazione primaverile tra giovani futuristi, in preda ad «ansietà letteraria ed erotica». Una sequenza «sinottico-singustativa » che comprende peperoni all’olio di fegato di merluzzo, aglio alla rosa, tortellini in brodo e fragole al vino. Il tutto seguito da bicarbonato di sodio. La preparazione e la degustazione instaura dapprima rapporti “fantastici” tra un paradigma di ingredienti “equidistanti”: «peperoni, aglio, petali di rose, bicarbonato di soda, ba- nane sbucciate e olio di fegato di merluzzo». E prevede successivamente un consumo personalizzato delle fragole al grignolino. La prima parte del pranzo è destinata a placare l’ansia, la seconda a ovviare al tedio e alla monotonia.
L’attenzione del semiologo è attratta in primo luogo da un dispositivo retorico. Il paradigma degli ingredienti si attualizza nel parallelismo di due metafore. Un’originale proporzione tra due termini, con le loro connotazioni simboliche: un «rapporto metaforico inusitato tra i peperoni, simbolo di forza campestre, e l’olio di fegato di merluzzo, simbolo di mari nordici feroci e necessità curative di polmoni malati». Poi tra l’aglio, simbolo della prosa, e la rosa, simbolo della poesia. «Formeranno subito un rapporto metaforico inusitato tra i peperoni, simbolo di forza campestre, e l’olio di fegato di merluzzo, simbolo di mari nordici feroci e necessità curative di polmoni malati. Provino allora a intingere il peperone nell’olio di fegato di merluzzo. Ogni spicchio di aglio sarà intanto accuratamente avvolto in petali di rosa dalle dita stesse dei tre convitati, che si distrarranno così ad accoppiare poesia – i petali di rosa – e prosa – l’aglio».
Il secondo attrattore testuale si trova nell’ ultima frase della prima parte che ci richiede una diversione grammaticale: «Il bicarbonato di sodio a disposizione costituirà il verbo all’infinito di tutti i problemi alimentari e digestivi». Il paragrafo conclusivo per contro si conclude con la pronuncia collettiva di «alte parole in libertà fuori da ogni logica e direttamente espresse dai nervi», seguite da rumorismi astratti, grida animalesche frammiste ad «aggettivi illuminanti» e «verbi chiusi tra due punti»:
Alla fine ci sarà una grande bacinella piena di fragole nuotanti in grignolino zuccherato che i giovani, con alte parole in libertà fuori da ogni logica e direttamente espresse dai nervi, scodellano sulle teste, dove si può così mangiare leccare bere smacchiarsi rissando sulla tavola con aggettivi illuminanti verbi chiusi tra due punti rumorismi astratti grida animalesche che sedurranno tutte le bestie della primavera ruminanti russanti borbottanti fischianti raglianti e cinguettanti in giro.
3.1. Grammatiche futuriste
La riflessione sugli aggettivi e sui verbi, in particolare all’Infinitivo, è parte del progetto poetico marinettiano della distruzione e ricostruzione della grammatica. Lo stesso gesto con cui Nietsche richiedeva al pensiero di liberarsi dalle superstizioni della sintassi. Nei Manifesti letterari dal ’12 al ’14, FTM disponeva un piano di evasione dal periodare classico il quale, per lui, nonostante la testa previdente, era senz’ali e coi piedi piatti, cioè incapace di correre e soprattutto di volare.
È noto che i futuristi, in teoria e in pratica avanzavano ricette linguistiche e letterarie per una radicale trasformazione della scrittura poetica, ben oltre il verso libero. Volevano abolire le proporzioni passatiste del racconto spropositando la struttura di frase: un programma radicale di deformazione che portava sulle parti ultime del discorso e fino ai cambiamenti di punteggiatura. Il progetto poetico futurista è verbivoro: intendeva strappare all’italiano la maschera classica della sintassi: un gesto energumeno per liberare il periodo dalla concinnità, elegante e simmetrica, delle parti linguistiche in equilibrio; l’andamento a scalini, drappeggi, festoni di uno strumento scordato. I futuristi, questi impuristi, pretendono di cambiarne il montaggio – nel senso cinematografico del termine – modificando la disposizione temporale delle forme con un inedito diagramma di forze. Dettare nuove regole di traffico delle parole per cambiar l’ordine, le dipendenze e il ritmo delle idee e degli eventi: contro il monotono dondolio del periodare. Propugnare una «nuova armonia, indispensabile» alla modernità metropolitana quanto al mondo rurale. Rispiegare le forme del vivere la lingua naturale e il mondo naturale2.
3. 2. Poesia della grammatica
FTM ha una morale del segno e soprattutto un pathos della sintassi, fatto di attrazioni e avversione. Un fastidio, che è un composto etimologico di orgoglio – fastus – e di noia – taedium «Il sentimento di orrore che provo pel sostantivo che si avanza seguito dal suo aggettivo come da uno straccio o da un cagnolino. Talvolta quest’ultimo è tenuto al guinzaglio da un avverbio elegante. Talvolta il sostantivo porta un aggettivo davanti e un avverbio di dietro come i due cartelloni di un uomo-sandwich».
Le petizioni di principio implicano preterizioni di principio che riguardano in figure grammaticali come l’aggettivo e l’avverbio, mentre vengono privilegiate parti del discorso come il nome e il verbo. Morfologie verbali che sono state sottovalutate negli studi di poetica futurista, concentrati sull’innovazione neologica, a taglia lessicale o polirematica, come ad esempio i sostantivi della cucina: il maître d’hotel era diventato la «guidapalato», il barman era il «mescitore», il cocktail, la «polibibita» da ordinare al “quisibeve” e non al bar, il dessert il “peralzarsi”, il picnic il «pranzoalsole», il sandwich il «traidue» ecc. È noto che per sostituire una terminologia internazionale, il futurismo formava parole di nuovo conio: imprimeva tipi nuovi nella lingua, con il gesto militare dell’avanguardia: formare un cuneo.
I futuristi, invece, erano acutamente consapevoli che è la sintassi a dar ritmo al lessico: hanno dato quindi il maggior risalto alla dimensione sintattica, alla jakobsoniana poesia della grammatica. Nella prassi teorica e nella sua attività poetica, FTM interviene soprattutto sul sistema modellante primario della lingua italiana: ne usa le proprietà e ne focalizza le possibilità grammaticali e semantiche. Prende una drastica posizione sugli elementi configurativi dell’enunciato, le parti del discorso, la loro delimitazione e integrazione. Col potenziare l’uso dei sostantivi – gli «esistenti»; col generalizzare l’infinito dei verbi – gli «occorrenti»; col far sparire o tramutare l’aggettivo e cassare l’avverbio «esistenti/occorrenti». Intervento radicale nell’ossatura della lingua che ne raggiunge i significati formali costitutivi, le morfologie con cui compone in schemi la realtà. Un’iconoclastia grammaticale, una logo-clastia.
3.2.1. Sostantivi, Avverbi, Aggettivi
Il Sostantivo per i futuristi non è l’oggetto cognitivo suscettibile di predicazione delle grammatiche tradizionali. Nudo ed elementare, isolato o raddoppiato – sintesi-moto o nodo di sostantivi – doveva ritrovare il suo valore essenziale, «totale e tipico». E trasportare di un senso nettamente definito, «un colore essenziale», come un vagone ferroviario o una cinghia, messa in moto, come vedremo, dal verbo all’infinito.
Negli atti di forza contro l’ipotassi grammaticale3, contro le dipendenze tra le parti, il primo bersaglio è l’Avverbio il quale, «esplicativo, decorativo e musicale» (come l’aggettivo), sfuma la nettezza semantica del sostantivo che tiene sotto tutela. Introduce una sosta meditativa nel modo in cui il sostantivo si muove nella frase, ne rallenta il dinamismo; è il bastone o la gruccia che ne ostacola la corsa e il volo. Dell’avverbio, non sembra spiacere a FTM la flessibilità generativa, l’invariabilità alla declinazione e l’intransitività. Lo urta la dipendenza formale, per cui le desinenze avverbiali si aggiungono ai termini, verbi, aggettivi, congiunzioni, proposizioni e persino agli avverbi. Imperdonabile poi che l’Avverbio si comporti come una «fibbia» di congiunzione del periodo, un fermaglio di collegamento e chiusura che ne assicura la «fastidiosa unità di tono» («legamento musicale che unisce i differenti suoni del periodo »). E soprattutto, come un fattore dis-tensivo, che ritarda la simultaneità futurista assicurata dal verbo. Gli avverbi infatti sono aggettivi del verbo, che ne determinano e modificano la significazione e stanno al verbo come l’aggettivo al nome.
Anche l’Aggettivo ha ricevuto un primo ostracismo nella sintassi perentoria del futurismo. Gli epiteti e gli attributi si aggiungono (etimologicamente), sono facoltativi e portatori, per il loro carattere qualificativo, di relazione e determinazione. Non solo, ma per la lunghezza variabile e l’ordine di apparizione, introducono un ritardo e un disturbo ritmico rispetto agli elementi determinanti, il nome e il verbo, di cui diminuiscono il valore qualitativo. Per la poetica avanguardista, l’aggettivo dà una definizione «troppo minuta» del sostantivo, cioè, in termini più attuali, una predicazione limitata al solo segno a cui viene immediatamente apposto. Il nome va quindi dis-accordato dall’attributo.
È singolare che anche R. Barthes, lontanissimo dalla sensibilità futurista, abbia preso una posizione, per quanto sfumata, contro l’Aggettivo. Per il semiologo francese, come per FTM, l’epiteto è un coperchio tombale del senso. «Affirmer est enfermer». Per l’aggressività e arroganza con cui trasporta la sua mercanzia di valore, l’attributo, positivo o negativo, finisce infatti per anestetizzarla. Solo i linguaggi limite – scienza, arte di avanguardia – «sovrumani » per passione dell’oggettività o forza di prospettiva, tentano di mettere in causa ed estenuare la predicazione. Mentre Barthes però si orientava verso la im-predicabilità di un segno neutro, o di un grado zero4, della metafora o della catacresi, la scrittura visiva futurista ammetteva l’aggettivo se collocato tra segni diacritici, perché evitasse la predicazione diretta e sfumasse la tonalità e l’atmosfera del testo.
L’iniziale rifiuto di FTM prende un’interessante inflessione testuale. Poiché il rifiuto dell’aggettivo non si fa a nome dell’oggettività anonima o della nuda verità, diventa accettabile quando viene isolato come un «sostantivo assoluto» (FTM) attraverso quei segni di interpunzione che sono le parentesi. Gli aggettivi diventano allora «illuminanti» – come nel nostro PPP – attraverso il filtro tipografico che ne diluisce l’intensità immediata del contatto al sostantivo, ma la diffonde alla taglia intera del testo. Anziché arrestare lo slancio analogico dei sostantivi, l’Aggettivo, come un faro diffonde una luce girevole e semaforica attraverso la gabbia di vetro delle parentesi. Luce che «si sfrangia e dilaga intorno illuminando, impregnando e avviluppando tutta una zona di parola in libertà». La moltiplicazione di aggettivi-atmosfera o aggettivi-tono collocati in sequenza, non sostituibili con sostantivi e isolati dalla parentesi, assicurano la molteplicità atmosferica del periodo poetico.
Il poeta futurista insomma rinuncia alla predicazione immediata per creare una concordanza tonale, asimmetrica e ad sensum, a livello discorsivo.
3.2.2. Il modo infinito
La linguistica di FTM, come i grandi specialisti del suo tempo, Meillet, Vendryes, riduce le parti del discorso alle due categorie più fondamentali: il sostantivo, come abbiamo visto, e soprattutto il Verbo all’Infinito5. È il suo contributo più originale alla riflessione semio-linguistica di oggi sulla dimensione personale e temporale del verbo. E il luogo d’incontro imprevisto con una corrente filosofica contemporanea che ha pensato i segni e i linguaggi, il tempo e la soggettività (Deleuze).
Fin dai manifesti del ’12-’14 per FMT il modo infinito del verbo era «il moto stesso del nuovo lirismo». Poi, all’inizio degli anni Trenta, nella prefazione alle Tavole parolibere di P. Masnata ne ha riesaminato il senso e chiarito l’uso. A differenza degli altri modi il suo “concetto” esprimerebbe elasticità sintattica nell’adattamento al sostantivo e continuità, durata, scorrevolezza della vita e dell’intuizione che la coglie. Sarebbe il segno della velocità stessa dello stile. Neutro riguardo all’aspettualità, che può assumere o no – l’infinito futurista è rotondo come un’elica o una ruota – è adattabile a tutti i vagoni delle analogie, mentre gli altri tempi modi e finiti sono triangolari, ovali, quadrati e quindi intoppi allo slancio. È il formante privilegiato dei verbi di movimento, transitivi e intransitivi. «Verbo all’infinito = divinità dell’azione» (FTM). (Non è sorprendente che gli slogan mussoliniani risuonassero di verbi all’infinito: “Credere, Obbedire, Combattere”).
L’infinito è la base a cui tornare al di qua di ogni coniugazione. E questo ne permette la flessibilità nell’impiego delle forze discorsive. L’infinito può essere infatti di narrazione – “e giù a dire che”; deliberativo – “ecco che si può dire che”: esclamativo -“e dire che!”; imperativo, “circolare, circolare!”. È componibile nelle proposizioni infinitive, quasi sempre sostenute da verbi di percezione – ad esempio “sentir dire”.
Ci sono anche altri attrattori dell’attenzione futurista volta al sostantivo e all’azione: in primo luogo il verbo all’infinito è un “verboide” che può assumere una funzione nominale: prende articoli, aggettivi e determinanti, agisce da soggetto e complemento di ogni tipo. Mentre i participi e i gerundi la fanno da avverbi, l’infinito si comporta come un sostantivo morfologicamente inflessibile, che colma le lacune della derivazione, sopratutto nei nomina azionis6. E, come sostantivo, può collegarsi ad altri secondo una doppia reggenza, alternandone in modo simultaneo – osserva P. Masnata – il ruolo ambivalente di nominativo e accusativo.
In secondo luogo il modo infinito non è sottoposto all’Io. Col grado zero della flessione personale, si realizzerebbe così la distruzione sintattica «dell’Io letterario perché si sparpagli nella vibrazione universale». Correre, è per FTM, un verbo il cui soggetto è «Tutti e tutto: cioè irradiamento universale della vita che corre e di cui siamo la Particella cosciente». Il verbo all’infinito non esprime quindi una soggettività saturata o mancante, ma una passione impersonale: l’ottimismo, la generosità assoluta per cui ci si abbandona al divenire del tutto , «la continuità eroica, disinteressata dello sforzo e della gioia di agire: la follia del Divenire». Non stati d’animo del soggetto quindi, ma passioni del processo molecolare della materia. E dato che il sistema grammaticale include il linguaggio affettivo, mentre il periodo sintattico classico coniugherebbe sempre un’emozione determinata, la funzione infinitiva conserva una multiforme prospettiva emozionale7. Qui Marinetti porta all’estreme conseguenze la de-personalizzazione che ha caratterizzato per un secolo la cultura del 900. Fino ai pronomi, pidocchi del pensiero in Gadda e alle smorfie ininterrotte di Calvino davanti allo specchio per impedire alla soggettività di consistere. Ma l’Io non è solo un tessuto di fantasmi: il futurismo vuol mantenere, nell’elasticità dell’individuazione, il carattere positivo, indeterminato, fluttuante, fluente, comunicante della identità.
4.1 Il cronotipo della vita
Sostantivare il periodo, sconiugare la frase. Le intuizioni semantiche e assiologiche “quasi inafferrabili” che attirano FTM verso l’infinito hanno trovato una esplicitazione nelle ricerche successive di linguistica e filosofia. In particolare nelle ricerche psico-semiotiche di Gustave Guillaume, un linguista post-saussuriano che ha inscritto la morfologia dell’infinito nella rappresentazione architettonica dei tempi verbali e nella loro generazione. Una delle dimensioni sintattiche di questa “cronogenesi” è la prospezione: i modi temporali si dispongono secondo il percorso modale che va dal virtuale alla realizzazione, attraverso l’attualizzazione: dalla “incidenza” alla “decadenza”. Decadente è il participio passato, «la forma morta del verbo», la sua realizzazione completa fino all’estinzione (ma può essere riattivato dall’ausiliare!). Il participio presente e l’infinito invece sono la sua forma viva, incidente. Mentre il primo è però transizionale e accetta di attualizzarsi senza compiersi interamente, l’infinito è il solo radicalmente virtuale e a-prospettico. «Il compiuto, afferma Guillaume, è nullo, inesistente, rifiutari- fiutato». In termini quasi futuristi, il cronotipo dell’Infinitivo è il significante del tempo più virtuale. Presenta una totale apertura verso l’accadere senza decadere e rappresenta l’opposizione più vivida al compiuto (participio) «passatista». Il tempo fugge dal verbo attraverso il segno zero dell’infinitivo. Le avanguardie non spasimano per il futuro, ma per la virtualità e la simultaneità.
4.2. Il divenire e l’evento
«Il verbo è l’univocità del linguaggio sotto la forma di un infinitivo non determinato, senza persona senza presente, senza diversità delle voci. Così è anche la poesia» (Deleuze). Senza il diretto riferimento a Guillaume8 saremmo sorpresi dallo svolgimento che Deleuze ha consacrato al verbo all’infinito – con i pronomi indefiniti e i nomi propri – nella sua riflessione sul divenire, la virtualità e l’evento. E nel progetto filosofico di una “semiotica pura” del linguaggio nel suo rapporto alla realtà.
Anche Deleuze vuol risalire lungo la cronogenesi: dal kronos, tempo della misurazione coniugata, all’aion, tempo indefinito degli eventi singolari. Un concetto articolato alla riflessione bergsoniana sul Divenire, che nonostante le smentite – FTM rivendicava contro l’influenza bergsoniana il genio di Dante e di E. A. Poe – è un tratto fondamentale, con la molteplicità e la simultaneità, della poetica futurista9. Per Deleuze l’infinito è il significante di un divenire, inteso come passaggio d’intensità, una sperimentazione dell’universo nella sua dimensione molecolare, attraverso un corpo affettivo e intensivo. Poiché il filosofo non vuol contemplare idee attraverso concetti, ma la materia attraverso la percezione, il divenire è il sentire reale della materia vibratile del mondo nella propria natura intensiva. Non è una metamorfosi, la quale presuppone qualcosa di già diventato – la forma decadente e morta del participio passato – ma un processo incidente, presieduto dall’istanza generale che abita il verbo all’infinito e che Deleuze chiama talvolta la quarta persona del singolare. Di qui gli enunciati futuristi di Deleuze e Guattari quando descrivono il divenire intenso, impercettibile, molecolare ma anche il divenire bambino, animale o macchina: «un Hans divenire cavallo», «una vespa incontrare orchidea», oppure «guardare egli», «un morirsi», dove l’infinito significa la singolarità di un evento impersonale e virtuale. Mentre il nome, per Deleuze, è equivoco e sempre suscettibile di interpretazione, l’infinito è univoco perché esprime linguisticamente tutti gli eventi in uno: «Il verbo infinitivo esprime l’evento del linguaggio, il linguaggio stesso come un evento unico, che si confonde allora con quello che rende possibile». E poiché l’evento viene raccolto nel linguaggio tramite l’infinitivo, è questo a mettere l’interiorità del linguaggio in contatto con l’esteriorità dell’essere: le azioni e le passioni dei corpi con quelle, incorporali, del linguaggio.
Non è quindi sorprendente che Deleuze si serva del mangiare – il verbo e il nome – per esemplificare come «l’événement survient aux choses consommables comme l’exprimable du langage». Per il filosofo pensare – là dove l’istanza del linguaggio viene in contatto con l’esistenza dell’essere – significa anche mangiare-parlare. Una linea di frontiera tra le cose mangiate e le proposizioni dette, tra il parlar di cibo e mangiarsi le parole. A partire da Artaud, Deleuze mostra come la parola può regredire nel corpo, essere rimangiata dalla bocca, convergere nello spasmo inarticolato, nell’urlo, nel sospiro. Proprio come i tre giovani futuristi del P.P.P.
5. Assaporare l’infinito
Dopo la lunga diversione – che non è una divagazione – è tempo davvero di tornare al testo. Per i futuristi la cucina è la prima delle arti ed esige originalità creativa. Il PPP quindi è la formula per costruire un evento immaginario che ha le sue protasi, apodosi e clausole, di cui FTM vuol cambiare periodo, prosodia e ritmo. Nel corso della narrazione, che ha un protagonista collettivo, i giovani affamati alternano ricette già pronte – tortellini in brodo e fragole zuccherate al vino – ad altre realizzate dagli stessi commensali: peperoni all’olio di fegato di merluzzo, e aglio alla rosa. Queste ultime sono ricette originali, realizzate direttamente con operazioni somatiche sulla materia: intingere ed avvolgere mettendo in sequenza un paradigma «servito» di elementi «equidistanti» – peperoni, aglio, petali di rose, bicarbonato di soda, banane sbucciate e olio di fegato di merluzzo. Per realizzare le ricette i futuristi devono prima intuire «i rapporti fantastici» che è possible instaurare tra gli elementi del paradigma. Rapporti metasemiotici perchè la ricetta consiste nella messa in proporzione metaforica tra due simboli opposti nel loro significato. Il /peperone/ sta alla /forza campestre/ come /l’olio di fegato di merluzzo/ ai /mari nordici feroci e le necessità curative di polmoni malati/. Mentre lo /spicchio d’aglio/ sta alla /prosa/ come il /petalo di rosa/ alla /poesia/.
In attesa di diffondere per via radio delle onde nutrienti, il mangiare dell’avanguardia era uno sport lirico, costruito per metafora e analogia. I pranzi simultanei e paroliberi erano luoghi d’invenzione per «complessi plastici saporiti, profumati, tattili», la cui armonia fondamentale di forma e colore doveva nutrire gli occhi ed eccitare la fantasia, prima di tentare le labbra. Una cucina semiolibera, poetica per esplicita equivalenza: «i bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno nella letteratura»10. E come nella poesia, il piano gastronomico di superficie è il luogo di manifestazione di valori articolati in un discorso “altro” per assiologia e ideologia.
La formula aeropoetica di FTM non è un intreccio di motivi, cioè di pietanze già esistenti. Non è neppure un ricettario, un programma di costruzione d’oggetti commestibili. È un bildungsroman, racconto di costruzione di soggetti di cui va appagata l’«ansietà letterario erotica», poi «il tedio e la malinconia» che provoca l’accoppiamento simultaneo della poesia e della prosa. Su questo piano sensibile e passionale troviamo il bicarbonato di sodio che simbolizza il verbo all’infinito, divenire di intensità. Abrasivo e antiacido scioglie le sostanze grasse sull’epidermide e le ostruzioni digestive: rinfrescante e purificante, è impiegato per la pulizia, la bellezza e la salute. Il bicarbonato quindi è un operatore di sperimentazione su corpi affettivi e intensivi: leggermente vestiti – senza giacca – e toccati dalle «dita calde del sole»; in contatto diretto – senza mediazione di posate – con le sostanze dei cibi.
Dopo i tortellini passatisti e pedestri, il palato futurista può spiccare il volo alla ricerca di una «nuova armonia» nel gioco discordante degli organi per suscitare l’emergenza di una nuova sensibilità che non è una qualità, ma un segno, non un essere sensibile ma l’essere del sensibile (Deleuze ). «Con calma riprendere la materia. Crocifiggerla sotto chiodi acuti di volontà. Nervi, passione. Gioia delle labbra. Tutto il cielo nelle nari. Trattenere il respiro per non guastare un sapore cesellato» (FTM).
Il pranzo primaverile, che privilegia il crudo, è più attento al tatto che alla sapidità, più tattilista che gustativo. Se mantiene l’ordine tradizionale dei sapori, che va dal salato al dolce, dai passatelli al vino zuccherato – ne inverte la fruizione sensibile. Mentre la scodella dei tortellini in brodo va doverosamente mangiata, la bacinella di fragole al vino viene scodellata a volontà direttamente sulle teste e sul supporto cromatico dei vestiti bianchi, provocando un getto vivido e incidente di verbi all’infinito «mangiare, bere, leccare, smacchiarsi». Evento singolare di una parola in libertà «diret- tamente espressa dai nervi»: «aggettivi illuminanti, verbi chiusi tra due punti». Un parlare-mangiare, blocco di sensazione aperto, impersonale e simultaneo, in cui i verbi, come uomini-sandwich, sono a doppia reggenza, ambivalenti rispetto al nominativo e l’accusativo. Gli aggettivi hanno invece una funzione-faro, una molteplicità atmosferica che rischiara l’intero pranzo consumato all’ombra del pergolato.
Mangiare-parlare: il pranzo, meglio il pranzare, suscita un’onomalingua alla Chlebnikov, pace Jakobson, o alla Depero; un linguaggio rudimentale delle forze naturali, di un brutale umorismo, che comprende rumorismi astratti e urli animaleschi. Il liberoparlare futurista, indicibile ma non incomunicabile, comprendeva infatti suoni di belve e di motori insieme a vecchie parole deformate e termini dialettali: ressa di suoni e rissa di voci. Nel PPP i futuristi, metropolitani, nemici delle dannunziane città del silenzio, scendono in lizza contro la tacita campagna impressionista e gli statici paesaggi cubisti, non per sedurre i motori delle metropoli, ma le «bestie della primavera», tutte al participio presente, forma ancora viva del verbo: «ruminanti, russanti, borbottanti, fischianti, raglianti e cinguettanti». Partecipa alla vibrazione universale, che dovrà esprimersi futuristicamente all’infinito. Follia del divenire.
Invio
Questo, e questo soltanto, è dato di vedere al semiologo in fondo al pozzo colorato del suo microscopio.
Note
- Per il montaggio cinematografico delle frasi v. Jakobson 1985.
- Si confronti la métaphore filée marinettiana del periodo come onda con la descrizione che dà Valery della scrittura di Bossuet:
Marinetti: «È appunto mediante l’uso sapiente dell’aggettivo e dell’avverbio che si ottiene il dondolio melodioso e monotono della frase, il suo sollevarsi interrogativo e commovente e il suo cadere riposante e graduale di onda sulla spiaggia. Con una emozione sempre identica, l’anima trattiene iI fiato, trema un poco, supplica di essere calmata e respira infine ampiamente quando l’ondata delle parole ricade, con la sua punteggiatura di ghiaia e la sua eco finale». (FTM, Risposte alle obiezioni, 11, 8, 1912)
Valéry: «Si stacca con potenza dal silenzio, poco a poco anima, gonfia, inalza, organizza la frase che a volte sostiene con preposizioni laterali mirabilmente distribuite intorno all’istante, si dichiara e respinge gli incidenti, che sormonta per giungere infine alla propria chiave di volta e per poi ridiscendere, dopo prodigi di subordinazione e di equilibrio, fino al termine certo e alla risoluzione completa di tutte le sue forze». - La paratassi è un’ipotassi senza marcatori.
- Il concetto di “grado zero” in Barthes, vale la pena di ricordarlo, proviene dalla glossematica di Brondal.
- All’inizio del secolo, tra i linguisti c’era generale accordo sulle parti del discorso come il più urgente dei problemi grammaticali. Meillet e Vendryès riconoscevano solo il verbo e il nome tra le dieci parti del discorso riportate abitualmente dalle grammatiche.
- Forse non appartiene al paradigma della flessione, ma a quello di derivazione; un “quasi derivato” dove il rapporto tra radice e desinenza è di solidarietà e non di coniugazione (Togeby).
- «Il sistema grammaticale comprende in realtà il linguaggio affettivo e si può pensare alla stilistica come parte della teoria grammaticale o, comunque della sintassi» (Hjelmslev).
- A partire da Guillaume, Deleuze rielabora il concetto stoico di aion e successivamente la definizione di Ecceità: «L’infinitivo è l’Aion».
- È il Bergson del Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889 e di Materia e memoria, 1906.
- Vedi Le Parole in libertà, ricetta dell’aeropittore futurista Escodamé; Il Bombardamento di Adrianopoli di Pascà d’Angelo o la Tavola parolibera marina,di Marinetti aeropittore. Vengono servite vivande-valigia e vengono mangiate statue aeroplastiche.
Bibliografia
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