Da: Alfabeta2, n. 18, aprile 2012.
Paolo Fabbri
Il testo postfascista: medici e linguisti
La semantica è tipicamente una scienza sociale.
(Putnam)
Aprile è il mese del giudizio e speriamo che sia il più crudele dei mesi. A partire dal 16 aprile infatti sarà processato Anders Behring Breivik, l’unabomber di Oslo: l’attentatore alla sede del governo norvegese e l’autore dell’ eccidio dell’isola di Utoya che ha fatto 78 vittime, tra le quali molti giovani democratici di quel paese.
Le circostanze della strage sono abominevoli e note: programmazione a lungo termine nell’acquisizione delle armi e degli esplosivi, determinazione feroce nel loro uso e spietata lucidità nelle esecuzione corpo a corpo. Il tutto documentato da esplicite dichiarazioni di intenti, antislamici e antimarxisti, contenute in un video e in un volume di quasi 1500 pagine, redatte in inglese e firmate con lo pseudonimo britannico di Andrew. Il titolo del testo è “2083: Una dichiarazione di indipendenza europea“: un anno prima dell’anniversario orwelliano di 1984, che aveva, come sottotitolo “The last man in Europe“!
Un testo (in)degno, per stile e contenuto, di figurare come supplemento al Cimitero di Praga di U. Eco. Brevnik si presenta come membro di un presunto Ordine Templare e sotto le spoglie un cavaliere crociato che combatte in difesa dell’Europa, contro l’invasione della fede islamica e dell’ideologia marxista. Quest’ordine militare, i Pauperes commilitones Christi Templique Solomoni (PCCTS) sarebbe articolato gerarchicamente in livelli e dotato di un Tribunale Militare minuziosamente descritto. Il suo compito è condannare e punire i crimini commessi, dal 1955 ad oggi, dai “marxisti-multiculturalisti” – progenie di Lukacs, della scuola di Francoforte e di Gramsci – su piano economico e politico e dai decostruzionsti postmoderni, sul piano culturale. Nemici sono anche i “nuovi rossi”, cioè i Verdi e le scienze dell’uomo col loro linguaggio politicamente corretto: soprattutto la sociologia, che andrebbe rimossa da ogni insegnamento accademico! La missione “crociata” dei PCCTS sarebbe opporsi alla bomba demografica della terza jihad islamista, attraverso sbarramenti ed espulsioni di massa e procedere intanto alla punizione esemplare dei marxisti multiculturalisti, traditori delle cristiane radici. Nonostante i controsensi – ma i sogni e le ideologie non hanno principi di contraddizione – la missione templare sarebbe antimassonica e contro ogni credo dell’odio – il comunismo anti-individualistico e il nazismo antiebraico. Gli Israeliani. come I cristiami Serbi e Armeni, andrebbero sostenuti nella loro lotta armata all’Islam. Fondata a Londra nel 2002, questa presunta società segreta che ha i tratti del postfascismo – un revisionismo del fascismo storico- ha dichiarato una guerra preventiva. L’azione stragista del “cavaliere” Breivik sarebbe la prima azione dimostrativa di questa subcultura fanatica di destra.
In questo contesto politico s’inserisce la perizia con cui gli psichiatri incaricati dalla procura di Oslo hanno dichiarato che Breivik non è in possesso delle facoltà mentali in quanto affetto da “schizofrenia paranoide”. Un concetto riconosciuto dalla comunità medica internazionale, ma sul quale Freud avanzava molti dubbi. In mancanza di riscontri biografici –svarioni genetici, turbative familiari, disturbi infantili, disadattamenti scolastici, uso di droghe e così via – la diagnosi, un testo di 240 pagine, è fondata su sedute ovviamente decontestualizzate, sul video e lo scritto 2083. Questa dimensione discorsiva e testuale autorizza il linguista François Rastier ad un’esatta quanto ironica disamina delle incompetenze allenate dei periti medici. Un diagnosi della loro diagnosi, condotte entrambe su segni e sintomi testuali, di cui dobbiamo la traduzione italiana all’iniziativa di Pierluigi Basso Fossali.
Expertise per expertise, vale la pena di esplicitare quella del semiologo francese. Rastier è il maggior studioso di semantica nella tradizione saussuriana. È interessato al modo con cui le lingue naturali trattano il riferimento ma anche la differenza e l’inferenza; ritiene che le unità della ricerca sui sistemi e i processi di significazione siano i testi e non le parole o le frasi. Vivacemente polemico contro le ontologie e i logicismi, le scorciatoie naturaliste e le semplificazioni cognitive, opera su vasti corpus testuali nel quadro ermenuetico di una scienza delle culture. Con un’attenzione particolare alla poesia e all’uso politico della discorsività, come testimoniano il libro dedicato alla poesia di Primo Levi e le ricerche sul lessico razzista. Le pagine del primo testo meritano molte orecchie, anche per le critiche al trattamento della Shoah da parte di G. Agamben e G. Steiner, ma l’analisi automatica del testi razzisti su Internet – nel quadro del progetto europeo Princip – è rilevante al nostro proposito (2006). In assenza di un’ontologia del razzista essenziale e per l’insufficienza del filtraggio automatico per parole chiave, Rastier procede da semiologo sui vari livelli del suo corpus di testi. Dalla grafica (v. l’uso della maiuscole) agli aggettivi (“bianco” e “nazionale” sono nomi per i razzisti e aggettivi per gli antirazzisti), fino alle metafore (quelle razziste abbondano in animali) attraverso un confronto con i siti antirazzisti dove ricorrono gli stessi termini (Hitler si trova più spesso nei siti anti-; Hess in quello pro-), ma è profondamente diverso il dispositivo della significazione. Rastier ha verificato inoltre un’abbondanza di neologismi che riscontra puntualmente nel testo di Breivik, prolifico in neoformazioni inglesi, che i periti psichiatri hanno scambiato, occultandone la coerenza, per “stravaganze linguistiche” da schizofrenico. Con l’esito, rifiutato dallo stesso attentatore, di far indossare una camicia psicologica di forza ad una esplicita ideologia post-fascista. In attesa di nuove perizie, spetta ad altri valutare se questa diagnosi sbagliata sia strategicamente congruente: un tentativo riuscito di impedire al “cavaliere giustiziere” di usare il processo come tribuna politica. O sia metaforicamente appropriata: evitare al “buonismo” norvegese, col suo accogliente welfare, un giorno del giudizio politico sull’immigrazione, che è anche interna all’Europa – fuori dall’euro, la Norvegia condivide lo spazio Schengen!
Per un pensiero radicale gli esempi pregnanti sono quelli controfattuali ed estremi. quelli che in più punti ci toccano. Eccone alcuni.
1. Questo conflitto di descrizioni non è una lizza ermeneutica da opporre all’ontologia dei fatti, come vorrebbe l’ingenuo realista. Il tragico omicidio di massa c’è stato, quello che è in gioco è il suo significato – il contrasto ideologico tra mondi di valore – quindi la responsabilità del suo autore. La definizione è performativa ed effettuale: un postfascista criminale merita una punizione carceraria esemplare, mentre un matto va internato e curato.
La discussione tra medici e semio-linguisti sul senso e i suoi esiti fattuali permette di ritornare sul luogo comune dell’Impegno degli Intellettuali. Categoria fin de siècle già dedita a moralismi (di destra?) e a profetismi (di sinistra?) e ora rimessa in causa dalla divisione del lavoro cognitivo e dall’emergere della figura socialmente riconosciuta dell’esperto: think tanks, spin doctors, consulenti, tecnici, ecc.. All’intellettuale universalista, che interviene su tutti i fronti e su tutti i media, investendo il capitale simbolico accumulato nella sua specialità (v. gli scrittori, i filosofi), Foucault ha già opposto l’intellettuale “specifico” che circoscrive la funzione critica ai propri campi di competenza. L’analisi di Rastier è specifica e indica alla semiotica la via di un impegno contrassegnato da Barthes fin dalle Mythologies (1957). Un’indicazione che la linguistica contemporanea ha dimenticato per chiusura specialistica e/o strumentazione inadeguata (v. le inconcludenti applicazioni cognitiviste di G. Lakoff alla retorica della destra USA). Nessuna grammatica formale permette di distinguere tra un sito razzista e uno antirazzista. Rastier si ispira invece alla semiotica dell’ultimo Saussure, orientata oltre l’opposizione langue/parole, verso lo studio culturale di norme testuali socialmente rilevanti. Ricordiamo che anche la lessicalizzazione è un fenomeno culturale più che linguistico. E che le scienze umane possono essere rigorose senza essere necessariamente esatte.
2. Jan Kershaw, il maggior biografo di Hitler, lo dichiara affetto da un Disordine Narcisistico della Personalità. Lo stesso disturbo che lo affliggeva quando il partito nazista aveva il 3% dei suffragi (1928) e quando passò alla maggioranza del popolo tedesco (1933): la differenza, la sola, sta nella collettività e nella cultura.
La diagnosi psichiatrica di Breivik corrisponde al trend naturalista
ed essenzialista delle scienze contemporanee: l’omicidio di massa si sposta dal politico al biologico, viene ridotto a disturbo individuale, mentale e cerebrale. Si risolve allora in un atto di linguaggio “negazionista” che depoliticizza l’eccidio e rimuove la portata ideologica dello scempio compiuto. Eppure il gesto assassino del “Templare” è leggibile perfino nell’etimologia: “eccidio” rinvia a “scindere ed escludere”, mentre “scempio” ha il senso di “esempio”. Breivik vuol costituirsi in testimone–martire del grande respingimento dell’Islam dall’Europa cristiana; impedire coll’attentato omicida che diventi Eurabia – ancora un neologismo!
L’etichetta di schizofrenia paranoide – anche i dissidenti erano “schizofrenici” nella Russia staliniana! – ostacola il tentativo di dar senso a comportamenti politici e culturali in corso nell’Europa contemporanea. Oblitera la differenza tra il patriota che è per (il proprio paese) e il nazionalista che è contro (gli altri); tra xenofobo – avverso allo straniero – e razzista che dello straniero si dichiara vittima, come fa Breivik, e non solo lui, per giustificare il suo “fatto di reazione”.
Conviene invece ricordare il modo in cui Clinton condannò vigorosamente il tremendo attentato di Oklahoma City del 1995, mostrando la connessione tra il suo autore, l’estremista Timothy McVeigh, e la campagna d’informazione della destra conservatrice e razzista in USA.
3. Il mostruoso eccidio nel nord Europa ci narra di casi nostri. Del tentativo di far passare per folle Gianluca Casseri, l’uccisore dei tre senegalesi di Firenze, che Marco Rovelli ha additato come organico alla destra neofascista sul n. 16 di Alfabeta2. E dell’urgenza, anche linguistica, di sorvegliare, nei media e in rete, il linguaggio posfascista di cui la Lega Nord offre i più pericolosi, sottovalutati e non unici esemplari. Rastier, che cita “saddammizzare”, cioè “prenderlo nel Kuwait”, si stupirebbe che il fr., “federaste“, parola-valigia per “pederasta-federalista”, in it. valga per “chi è di fede rasta”. Riconoscerebbe però d’acchito i neologismi come “quadra”, “celodurismo”, – “celomollismo e celomoscismo ” – “manipulitesco”, “inciucista”, “odiocrazia”, “ribaltonismo”; nonché “pornivendole”, “noismo benignesco” e via sproloquiando fino all'”abortismo ideologico laicista”. Confronterebbe senza difficoltà lo straniero marchiato da metafore dell’animalità – cane, scimmia, e persino coniglio a cui sparare – e della sporcizia. Metterebbe in parallelo, nei nostri siti razzisti, l’uso di tipi e di miti (l’Uomo è sostantivo) mentre i siti antirazzisti parlano di date e di luoghi ( e l’umano è aggettivo). Si domanderebbe come un giornale liberal italiano abbia pubblicato un’auto-intervista di Oriana Fallaci (2004) che concentra tutti i luoghi comuni più veteri e vieti del discorso posfascista. Per questa perorazione crociata, stranamente esente da pubbliche indignazioni, gli islamici -rimbambiti da vecchi e stravolti da giovani – sono tutti fanatici da imprigionare e respingere; i resistenti irakeni sono “bestie” e gli emigrati “invasori” e “barbari”. (Anche l’ ONU è ” mafia di sottosviluppati e di imbroglioni” e Prodi è “sgomentevole”). Se la celebre giornalista aveva la generica attenuante del pamphlet, discorso che pratica felicemente l’ingiustizia, non è questo il caso di altri attori politici che trattiamo, da matti da legare o da maschere del carnevale politico. È un errore semantico: i Pauperes commilitones Christi Templique Solomoni docent. Allarmi, son postfascisti!Paolo Fabbri, Segni del tempo, Meltemi, Roma, 2004.
François Rastier, Arti e scienze del Testo, Meltemi, Roma, 2003.
— “Sémiotique des sites racistes”, in Mots. Les langages du politique, n. 80, 2006. “La politique mise au net”.
— Ulisse ad Auschwitz, Liguori, Napoli, 2009.
“Oriana Fallaci intervista se stessa”, sta in La Trilogia di O. Fallaci, Rizzoli, Milano, 2004.
François Rastier•
Neologismi e neonazismo. Note sulla diagnosi di Anders Breivik
Nel loro referto datato 29 novembre 2011 gli psichiatri Synne Sørheim et Torgeir Husby hanno dichiarato l’omicida di massa neonazista Anders Breivik non responsabile dei suoi atti, diagnosticandogli una schizofrenia paranoide.
I due psichiatri hanno colto, in particolare, il ricorso frequente ai neologismi di Breivik come indice della sua schizofrenia. Ora, i neologismi sono del tutto usuali nel linguaggio dell’estrema destra, e ciò per diverse ragioni rilevanti. Innanzitutto, essi dipendono dallo stile panflettistico che specifica e concretizza linguisticamente la violenza dell’estrema destra. In secondo luogo, i neologismi sembrano rompere le convenzioni, ossia quelle “buone maniere” linguistiche che, depositate nei vocaboli attestati, si propongono come espressioni della doxa, dell’opinione corrente; tale rottura appare allora come la piena realizzazione di un radicalismo “rivoluzionario”. In terzo luogo, attraverso dei composti, i neologismi esemplificano spesso degli ibridi, di per se stessi ripugnanti, che il discorso intende denunciare. Si pensi ad esempio all’uso che si è fatto in Francia, da parte dei seguaci di Le Pen, del termine federasta, parola-valigia che sembra unire “l’abominio politico” del federalista con le tendenze “contronatura” del pederasta.
I neologismi, infine, creano un effetto di connivenza che, al di là del settarismo, si estendono al populismo.
Ciononostante, ben si può comprendere perché il manuale diagnostico dell’Organizzazione mondiale della Salute (ICD-10 http://www.who.int/classifications/icd/en/) consideri l’invenzione di neologismi come un sintomo di schizofrenia. Lo schizofrenico può infatti manifestare la sua alienazione letteralmente, ossia attraverso degli usi linguistici idiosincratici (si veda a tal proposito il celebre volume Le schizo et le langues dell’ex schizofrenico Louis Wolfson, libro uscito nel 1970 con prefazione di Gilles Deleuze).
Gli psichiatri che hanno esaminato Breivik hanno certo applicato le indicazioni del loro manuale, citato decine di volte; tuttavia, hanno scambiato dei neologismi idiosincratici con dei perfetti calchi di locuzioni inglesi, di cui nemmeno un elemento interno era originariamente neologistico. Per esempio, in national darwinist, national non è naturalmente un neologismo così come non lo è darwinist; mentre, certamente, il calco nasjonaldarwinist appare come un’espressione inedita in norvegese. Il suo impiego da parte di Breivik non è però un indice d’alienazione, ma al contrario una rivendicazione d’integrazione alla comunità “neonazi” internazionale, in cui l’espressione national darwinist è guarda caso del tutto corrente. Essa ha avuto un’apprezzabile diffusione anche all’esterno e la si trova attestata per esempio nel New York Times (come ci ha recentemente ricordato il giornalista norvegese Anders Giæver sul quotidiano Verdens Gang).
In definitiva, il calco in norvegese di parole e locuzioni inglesi (ad es. nasjonaldarwinist) non appare affatto come un’invenzione idiosincratica che manifesta un tipo d’alienazione. Del resto, quelli che sono apparsi come neologismi di Breivik, almeno durante le sedute periziali tenute in norvegese dagli psichiatri Sørheim et Husby, non erano con evidenza tali se vengono confrontati con le millecinquecento pagine del manifesto in inglese dell’assassino neonazista.
Del resto, l’inglese è a tal punto la lingua del suo attivismo militante che costui firma il suo manifesto anglicizzando il suo nome (Andrew Berwick), indicando con ciò la sua appartenenza a un movimentismo internazionale. Difatti, Breivik si è “formato” al neonazismo durante il suo soggiorno pluriennale in Inghilterra.
Non si può che dar ragione a Breivik quando, alla pubblicazione della diagnosi, ha avuto modo di commentare stizzito che gli psichiatri non capiscono nulla di ideologie. Tutto sommato, questi potrebbero profittare non poco dalla conoscenza di qualche nozione di linguistica prima di utilizzare dei criteri linguistici per le perizie psichiatriche.
Stando al referto diagnostico Breivik non sarebbe responsabile dei suoi atti, sottraendolo così alla giustizia. Ma davvero avrebbe ucciso settantasette persone in un accesso di delirio? A ben vedere, nei suoi scritti pubblicati e nella preparazione minuziosa dei suoi attentati, come nel sostegno che ha ricevuto da certa opinione pubblica radicale (ivi compreso in Francia e in Italia), sembra trovare piena conferma l’appartenenza a un movimentismo internazionale che si arma e si prepara a una guerra “santa” contro gli Arabi (molte delle sue vittime erano d’altronde dei giovani provenienti dal mondo dell’immigrazione).
La diagnosi occulta questa dimensione politica e organizzativa. Cercando delle “ragioni” individuali, essa non può discernere le implicazioni collettive e internazionali. Questo è perlomeno l’effetto di tale diagnosi, benché si possa ragionevolmente pensare non fosse il suo obiettivo.
Non bastasse, gli psichiatri fondano la loro diagnosi sulle “idee bizzarre” di Breivik. Questi convincimenti eccentrici concernono in primo luogo l’idea di contagio, ma non si può certo ignorare che gli argomenti epidemiologici sono uno dei temi più frequentati dal razzismo biologico nazista. Tutti gli scritti di questo movimentismo descrivono l’immigrazione come un’epidemia pericolosa che mette in pericolo la purezza e l’identità stessa del popolo e della razza.
In secondo luogo, le presunte idee bizzarre di Breivik si esplicitano nella convinzione che la Norvegia sia vittima di una “pulizia etnica”. Ma anche in questo caso ci si ritrova di fronte a un tema abituale delle organizzazioni neonaziste. In questa guerra civile, foss’anche a uno stadio ancora larvale (lavintensiv borgerkrieg), l’assassinio di massa diviene niente meno che un atto di lotta legittima per la sopravvivenza.
Gli psichiatri sembrano poco avvezzi di storia contemporanea; quando Breivik, per ristabilire la purezza razziale, evoca delle “fabbriche per nascite” (massefabrikker for fødsler), non si tratta di un fantasma personale, dal momento che egli non fa che riprendere il progetto Lebensborn (letteralmente “sorgente di vita”, un neologismo all’epoca), un progetto di Himmler che appartiene al nostro tragico passato. Forse nessuno dovrebbe ignorare che in questi luoghi di “monta umana” i neonazisti accoppiavano delle SS selezionate con delle grandi giovani bionde dagli occhi azzurri, catturare proprio in Scandinavia, al fine di migliorare la razza germanica minacciata. Una decina di questi centri furono aperti non a caso in Norvegia. Così, l’eugenetica negativa (sterminio degli allogeni minaccianti) si trova completata per l’eugenetica positiva delle “fabbriche per nascite”.
Tra i concetti “inabituali” rilevati dagli psichiatri si trova anche “l’amore per il popolo” e per il “sovrano”; ora, nella politica totalitaria, l’unità biologica tra il popolo e il Sovrano (duce o Führer) trova persino riflesso in una fusione emozionale reciproca (si pensi ad esempio a quanto troviamo scritto in Stato, movimento, popolo di Carl Schmitt, articolo già tradotto in Italia nel lontano 1935 in Principi politici del nazionalsocialismo).
Gli psichiatri si sorprendono inoltre che Breivik impieghi tanto la prima persona singolare (io) quanto la prima persona plurale (noi), vedendo in ciò una progressiva depersonalizzazione e un indebolimento dell’identità. Per contro, in questo discorso militante, il noi afferma un’identità collettiva, quella della Gemeinschaft, in nome della quale l’individuo, parte di un’élite, può combattere per salvare l’intera comunità cui appartiene. È ciò che già si poteva leggere in Mein Kampf.
Infine, gli esperti sottolineano che Breivik impiega molte cifre lungo un discorso tecnico, senza emozioni. Dato che la loro analisi resta pubblicata solo in parte, sarebbe tendenzioso vedervi un’autodescrizione del loro stesso discorso.
Ricordiamo tuttavia che i carnefici, ieri come oggi, sono sempre risultati sorprendenti ai più per la loro assenza di emozioni (dai nazisti Höss a Stangl, fino ai khmer rossi Kang Kek Iew, detto Duch e Noun Chea, braccio destro di Pol Pot). Per di più, il nazismo brillava proprio per la meticolosità del suo discorso tecnico (si pensi a Eugen Fischer e all’Istituto d’igiene razziale). La tecnica è semplicemente evoluta e Breivik può così reclamare la generalizzazione dei test sul DNA per determinare obiettivamente il diritto alla vita.
La separazione di elementi concordanti, così come l’ignoranza deliberata della storia e dell’ideologia a cui Breivik si reclama, rendono effettivamente il suo discorso incoerente; ma ritrova tutto il suo significato politico e organizzativo non appena si riconducano tali “elementi diagnostici” al loro contesto e al loro corpus d’interpretazione.
Come curare dunque un tale “paziente”? Gli psichiatri consigliano, tra i diversi suggerimenti proposti, dei trattamenti medici per sviluppare l’attività dopaminergica, riconosciuta come capace di stimolare il “circuito della ricompensa”, in breve per aiutare a vedere tutto rosa e fiori.
Il 22 dicembre 2012, la commissione di esperti presieduta da Karl Heinrik Melle non ha mosso “alcuna obiezione rilevante” rispetto alla perizia presentata dagli psichiatri e con ciò l’ha validata. Se, alla conclusione del processo che si aprirà il 16 aprile 2012 il tribunale seguirà gli psichiatri nel dichiarare Breivik non responsabile dei suoi atti e sottoponibile solo all’internamento psichiatrico, il suo dossier medico sarà riesaminato ogni anno. Così, Breivik verrà liberato non appena sarà dichiarato guarito (ciò in funzione degli stessi criteri che hanno permesso di dichiararlo malato). Per l’assassino di settantasette persone sarà sufficiente esibire un linguaggio alla portata degli esperti, in mondo tale che questi non possano rinvenirvi nulla di bizzarro.
Oggigiorno il discorso degli esperiti si dispiega attorno a noi, in tutti i domini della vita sociale, a cominciare dall’economia: esso moltiplica le cifre, elabora degli indici, applica delle griglie di interpretazione sottratte ad ogni dibattito. Quando addirittura non maschera la verità rendendola illeggibile, la competenza così esibita sembra comunque partecipare di una deresponsabilizzazione generale, o meglio serve a giustificare provvidenzialmente l’irresponsabilità.
(trad. Pierluigi Basso Fossali)
Nota