Da: AA.VV., Letteratura fluida, a cura di A. Abruzzese e G. Ragone, Liguori ed., Napoli, 2007.
Si può affermare che siamo ancora nel postmoderno? In effetti da almeno quindici o venti anni siamo tutti intenti a interrogarci se la parola postmoderno sia soltanto in realtà una definizione negativa e non abbia una valorizzazione più specifica. lo suggerirei di sostituire questa parola, rifacendomi al concetto di modernizzazione e cercando di omologare la situazione attuale della letteratura a una problematica della modernità. L’affermazione generale potrebbe essere la seguente: ci sono due tipi di modernizzazione. Una modernizzazione che è stata fatta contro la tradizione e successivamente una seconda modernizzazione la quale non si fa più contro la tradizione ma si fa contro quanto della contro-modernizzazione ha attivato la modernizzazione. Questa seconda modernizzazione è quella che chiameremo, uso termini ormai diffusi nella sociologia, una modernizzazione riflessiva. Chiameremo allora modernizzazione riflessiva quel momento in cui la modernizzazione, dopo aver operato la sua messa a distanza radicalmente sovversiva rispetto alla tradizione, ha dovuto ripensare se stessa, ha dovuto pensarsi come modernizzazione, ha dovuto pensare il fondamento del suo progetto. Capisco bene che è una generalizzazione molto forte sul piano generale della teoria della cultura però mi serve per valutare uno dei tratti possibili della storia delle avanguardie letterarie. Ritengo che ci sia stata un’avanguardia che ha giocato contro la tradizione, contro la tradizione propriamente letteraria, contro la storia della letteratura, contro i canoni letterari, contro le sue forme stabilite. Ma c’è stato anche un secondo momento di avanguardia riflessiva, di una letteratura riflessiva la quale non passa più il suo tempo a deridere le forme tradizionali letterarie, non ha più di che criticare il sonetto o mettere in causa la forma narrativa del romanzo, caricaturare il romanzesco ma a ripensare riflessivamente se stessa (autotelico, che pensa se stesso, il proprio fare). Un’interrogazione caratterizzata dalla riflessività e quindi dominata da fenomeni di ironia e metalinguaggio e cioè di riflessioni sulla propria lingua. Questo non vuoi dire che non ci fosse già ironia prima o che non ci fossero già atteggiamenti metalinguistici in tutta la storia della letteratura. Dico semplicemente che oggi questo tratto è particolarmente significativo. Faccio una citazione dal grande autore de Il secolo breve Eric Hobsbawn il quale afferma che per la cultura contemporanea globale il jazz è stato molto più importante del cubismo. Perché il jazz è più importante del cubismo? Come possiamo dire che esiste nel jazz una qualità di riflessione che fa si che un tratto della dimensione del jazz possa avere più importanza della costruzione e della distruzione della struttura prospettica e plastica che il cubismo ha provocato? lo non sono affatto portato a ritenere che il cambiamento delle sostanze espressive nella modalità esplicita delle nuove tecnologie dia un’indicazione di radicale discontinuità rispetto alle operazioni delle avanguardie. Tento invece di capire come la modernità riflessiva o l’avanguardia autotelica abbia in qualche modo anticipato, utilizzato, vissuto e lavorato con questa rivoluzione straordinaria delle sostanze espressive che porta al di là del libro. Spero di rispondere in questo modo sia a una problematica che tocca le forme, la forma romanzo per esempio, e dall’altra parte interrogare cosa ne è di altri tipi di forme come la poesia che secondo me si pone oggi in una condizione privilegiata data la specificità delle nuove sostanze e delle nuove forme espressive contemporanee. Dirò con grande semplicità che vedo per esempio nell’utilizzazione delle nuove tecnologie oggi la continuazione dello svuotamento della nozione di autore che era già iniziata con le avanguardie e una nuova possibilità e rilettura del contatto col ruolo del lettore Tenterò allora di fare qualche differenza fra l’idea di una modernizzazione che lotta contro la tradizione e le sue norme e invece una modernità riflessiva che è costretta a inventarsi le proprie regole da trasgredire. In una società e in una cultura dominata da norme tradizionali, canoni, la trasgressione di questi canoni era dettata dai canoni stessi mentre successivamente la riflessione si ripensa non contro le norme della tradizione ma nel ripensamento delle regole del canone. Un esempio emblematico che riguarda la forma poetica è la rinuncia radicale alla fine dell’Ottocento del sistema prosodico. La tradizione delle forme prosodiche, che nasce dalla poesia religiosa, ma che ha avuto intorno all’anno 1000-1200 una proliferazione stupefacente, naufraga insieme alla retorica narrativa alla fine dell’Ottocento nella forma del verso libero. Uno dei più grandi studiosi del verso contemporaneo, Boris Gasparov, a un certo punto si domanda: “dopo il verso libero cosa può fare la poesia?”. La risposta di Gasparov è molto semplice: o si ritorna alle vecchie tradizioni, rifare i sonetti per esempio; o si spinge fino in fondo il problema arrivando alla poesia visiva cioè trasformare il verso libero non in un verso ascoltabile ma unicamente visibile, renderlo calligramma sulla pagina; oppure si inventano prosodie nuove. È il caso di Perec ma è il caso soprattutto di Queneau. Perec ha inventato alla fine della sua vita una forma prosodica che si chiamava la morale elementare, una nuova forma grafico-visiva e poetica che aveva la natura di una nuova proposta prosodica. Naturalmente una proposta prosodica funziona se la gente la accetta se no diventa una proposta dell’autore. Da questo punto di vista l’idea di Perec non è diversa dall’idea di Bataille il quale diceva che non gli importava nulla del lettore. Il grande problema della letteratura è di far alzare sulla punta dei piedi il lettore. Queneau propone una nuova forma di prosodia perché si accorge che la vecchia forma di prosodia è scomparsa ma che la prosodia comporta contenuto. Le prosodie non sono soltanto forme ma sono organizzazioni del mondo come la forma romanzo non è soltanto narrazione e racconto di fatti ma forma che organizza un certo tipo di contenuto. È interessante notare che tutti mostrano come Queneau sia stato un predecessore della combinatoria ma non invece colui che sapeva benissimo che era necessario riproporre una nuova prosodia. Il centro del suo discorso è dialettica tra libertà e costrizione: quali sono le condizioni di costrizione che noi dobbiamo accettare per definire nuove forme di libertà. Questo discorso emerge anche dalla sua passione per il jazz. Il free jazz funzionava stabilendo un certo numero di regole, come ad esempio accettare che ci sia un refrain fisso, e a partire da quelle iniziare una serie di improvvisazioni. Questo è un concetto su cui tornerò perché ho l’impressione che le nuove tecnologie ci consentano oggi forme di improvvisazione che ci fanno uscire dalla vecchia teoria letteraria e ci fanno ripensare nuove forme che chiamerò di scrittoralità cioè di scrittura oralizzante. Prima di parlare di questo lasciatemi fare una brevissima osservazione per quanto riguarda la forma romanzo. Milan Kundera è un autore che scrive come nel secolo scorso (il modello è Kafka); quando però Kundera analizza in maniera ammirevole I sonnambuli di Broch non fa riferimento al modello lukacsiano che era propriamente un modello ottocentesco in senso forte. La tesi interessante di Kundera è che la maggior parte dell’ultimo romanzo è di tipo polifonico e non lo dice in maniera metaforica. Mostra in maniera assolutamente precisa come nel romanzo dell’ultimo Novecento (Broch ad esempio) il montaggio delle diverse voci, il montaggio delle diverse istanze (l’inchiesta narrativa, il racconto, il dialogo, il trattato) vengono montati esplicitamente in una forma di tipo polifonico. La dimensione musicale è già inscritta all’interno di questi testi e non in maniera semplicemente metaforica. Noi immaginiamo che l’avvento delle nuove tecnologie che aggiungono musicalità a un testo rappresenti l’apparizione improvvisa della musica nel testo ma la musica c’era già; c’era già nella ritmicità specifica della prosodia e nel montaggio specifico della narratività intendendo per narratività la polifonia del montaggio narrativo. Su questo le analisi di Kundera sono a mio avviso impeccabili. Dall’altra parte l’evidenza della scomparsa della prosodia porta all’estremo uno dei grandi problemi che cominciano con Monteverdi quando la poesia prosodizzata ma accompagnata costantemente dalla musica perde la dimensione musicale la quale finisce nel teatro. Monteverdi sposta nello spettacolo, nel teatro la dimensione musicale che prima accompagnava la dimensione epica e lirica della poesia e lascia la poesia disperatamente sola a fare con i propri mezzi sintattici, lessi cali, vocali, prosodici tutto il lavoro che gli è stato sottratto dal teatro lirico. È un caso l’entusiasmo con cui l’avanguardia contemporanea ha accettato il rap? Mi pare di no. Il rap è una delle maniere in cui la poesia rientra finalmente nella sua tradizione cioè nella sua multimedialità musicale.
Cosa accade invece quando arriva il momento in cui il libro diventa slegabile dalla letteratura? Quando libro e letteratura non si identificano più? Anche la pagina rettangolare non è eterna. La letteratura in realtà non è mai stata legata necessariamente al supporto pagina, al supporto libro. Il fatto che il libro continui per certi aspetti e per altri aspetti scompaia con l’ingresso delle nuove tecnologie non ci deve preoccupare più di tanto. Piccola parentesi semiotica: secondo Malevich il database è la realizzazione del concetto di paradigma e l’estrazione algoritmica è la realizzazione del concetto di sintagma. Non è un caso che oggi si può sostenere che il database cioè la dimensione paradigmatica è la forma simbolica della modernità. Accetto con piacere questa idea cassireriana per cui siamo passati da una un’epoca in cui la struttura narrativa era il punto da cui ricostruire i paradigmi, la struttura logica e paradigmatica che soggiaceva alle narrazioni e ai miti a un’epoca in cui avviene l’esatto contrario. Nella prima si estraevano degli algoritmi da ogni mito, li si disponeva verticalmente e li si ricostruiva dal punto di vista del loro database della loro forma simbolica. Oggi invece l’attuale cultura visiva (sia per le immagini che per la scrittura) che si forma davanti al computer ci offre la possibilità che ogni testo sia gravato dalle proprie indicazioni d’uso che è poi la definizione di ipertesto. L’ipertesto è un testo che oltre ad avere un sistema di informazioni documentarie ha nella propria stessa scrittura le indicazioni delle connessioni possibili e dei valori a titolo dei quali esso può essere letto. In altri termini, in una cultura di e-letteratura, di letteratura elettronica ogni testo è gravato costantemente dalla propria biblioteca. Ogni punto del sintagma è l’apertura di un paradigma colossale. È in realtà un’esperienza molto banale. Ci si domanda spesso come mai nei computer l’informazione visuale di una pagina è gravata di una quantità di memoria crescente. Ogni elemento di pagina contiene sempre più indicazioni sul suo uso e sui suoi riferimenti, contesti e co-testi. Ogni punto di informazione oggi è circondato dal proprio ipertesto e dal proprio cotesto. Al contrario dell’Ottocento dove la struttura sintagmatica e narrativa era dominante, oggi siamo nell’epoca del paradigma spiegato in cui viene caricato su ogni punto delle catene narrative una verticalità di informazioni contestuali, meta testuali, ipertestuali ecc. Tutto ciò pone il problema del rapporto tra le forme letterarie e l’oggetto scrittura. Lo sviluppo degli oggetti di scrittura è stato caotico e complesso e difficile da inquadrare. Ad esempio si possono buttare nel cestino tutte le icone dello schermo salvo il cestino. Gli elementi che appaiono sullo schermo, gli oggetti di scrittura sono fortemente gerarchizzati e sono gerarchizzati attraverso bricolage di discussioni che vanno ricostruite. Niente è meglio della grande letteratura per fare questo perché la letteratura pensa proprio questo tipo di bricolage e l’esperimento poetico, l’esperimento dei gruppi che oggi stanno lavorando nell’avanguardia sul computer non è soltanto una maniera per dire in modo originale cosa che non si potevano dire prima, è pensare l’oggetto scrittura. E da questo punto di vista non mi stupisce che si riferiscono a Duchamp visto che è proprio Duchamp il primo che ha posto radicalmente il problema della modernità che rompeva con la tradizione. Si possono dare numerosi esempi. Jean Pierre Balpe fa parte del gruppo ALAMO che si rifa esplicitamente all’OULIPO: un atelier di letteratura potenziale che diviene letteratura elettronica potenziale. Un altro esempio di letteratura elettronica combinatoria è quello del poeta e teorico portoghese Demetrio Barboso che ha scritto una teoria poetica semiotica generativa.
Andiamo adesso a vedere quali sono le conseguenze che si possono trarre da questo discorso. Sono conseguenze che incontrano lo sforzo delle avanguardie teoriche dell’inizio del secolo scorso. Viene affidata allo schermo la costruzione di un database suscettibile di produrre diversi tipi di racconti possibili, però con limiti molto forti sul piano della struttura narrativa; ecco perché in realtà la forma narrativa non è stata violata. Attualmente è molto difficile violare tutte le regole della struttura narrativa perché ciò vorrebbe dire perderla completamente. Se si volesse scrivere un giallo come ha fatto Balpe bisognerebbe mantenere alcune strutture macro. Si avrebbe molta libertà sui sotto programmi ma non sui programmi complessivi. Fornendo però il database l’aspetto più importante di questa comunicazione sarebbe di tipo procedurale. Non sono i contenuti ma le procedure per produrre i contenuti che diventano la comunicazione. La comunicazione contemporanea non è come nel caso dei Buddenbrook la trasmissione della crisi del capitalismo avanzato nella Germania pre-nazista è, al contrario, la procedura della costruzione del romanzo o della poesia. In altri termini la trasmissione ipertestuale non è trasmissione di testi, la cui responsabilità è del lettore, è la trasmissione delle procedure. Da questo punto di vista dalle avanguardie storiche agli strutturalisti e ai semiologi è sempre la stessa battaglia e cioè quella di pensare nel testo la sua capacità di procedura di generazione di testi; salvo che in altri tempi era necessario disimplicare le procedure dai racconti e riconfigurarle paradigmaticamente, mentre oggi è il contrario: esse oggi si costruiscono paradigmaticamente, vengono affidate al lettore che le svolge entro limiti molto precisi (Balpe).
Un altro punto di cambiamento mi riconduce a un dibattito con Umberto Eco quando negli anni Novanta scrisse una tesi molto bizzarra in cui sosteneva che il computer era dannoso perché le correzioni che lo scrittore operava sullo schermo non lasciavano la traccia delle cancellazioni effettuate a meno di non possedere un programma speciale che ne conservasse la memoria. Siamo di fronte alla fine dell’attività del filologo nel momento in cui esistono solo testi senza cancellature. Eco però ha torto. È soltanto se ci si mette nella prospettiva del libro lavorando con il computer, dell’eternità cioè della traccia, che si ha questa impressione. Il problema è che Eco pensa il computer come se fosse il libro sperando che le tracce restino. Si provi a pensare invece di produrre insieme a chi legge un testo successivo in cui tutte le tracce precedenti scompaiono. Ariosto ad esempio esponeva il proprio codice all’esterno lasciando che la gente facesse delle iscrizioni sopra; iscrizioni che evidentemente restavano. Oggi invece Balpe scrive un testo ma ottiene delle risposte che cancellano il suo testo di cui non rimane più traccia. Siamo non nella metamorfosi di un testo ma nella diamorfosi di un testo, una morfosi dialogica che in musica è più semplicemente definibile come improvvisazione. È un caso di jazz, un caso di libera produzione di testo senza iscrizione di libro. Una liberazione dalla memoria libro e una produzione come nel jazz di una tradizione in costante trasformazione con l’aria di essere sempre fedele. Il jazz non è affatto una tradizione ma la reinvenzione costante di una tradizione che cambia continuamente. Ecco perché Hobsbawn aveva ragione nel dire che il jazz era più importante del cubismo: proprio perché non si preoccupava di produrre un testo da lasciare ai posteri ma produceva quella che chiamo scrittoralità, una forma di scrittura che ha le caratteristiche dell’oralità. La caratteristica dell’oralità è di essere improvvisazione. La conversazione è per definizione improvvisata. La gente parla del linguaggio come se parlasse dell’ur-codice della mente umana ma questo ur-codice viene eseguito in condizioni di totale improvvisazione (a parte situazioni fortemente ritualizzate come il matrimonio o un tribunale). Le nuove tecnologie ci permettono di fare quello che il libro ci impediva di fare, una forma di scrittura interamente orale.
In queste nuove condizioni quale sarà il ruolo della critica letteraria? La critica letteraria aveva assegnato il lavoro di disimplicare dalla narrazione e riconfigurarla dentro i database paradigmatici dei saperi che erano iscritti nel testo. Oggi di fronte alla testualità elettronica questo ruolo sembra venire meno e la critica letteraria prende le sembianze di una fanzine, solo un po’ più autorevole delle altre. L’idea di un detentore assoluto del metalinguaggio del testo narrativo cade davanti all’idea che ogni testo essenzialmente è costituito di dimensioni metalinguistiche e che ogni testo se organizzato interattivamente mira a far si che si produca proprio quello che il critico letterario dovrebbe fare, cioè intervenire per trovare addirittura delle alternative al testo cosa che un buon critico letterario non ha mai osato fare. Non solo vanno in pensione i filologi quindi ma anche i critici. Le nuove tecnologie che oggi dovrebbero creare le condizioni di una scrittura elettronica modificano radicalmente molte di queste condizioni. Le nuove tecnologie si integrano come condizioni necessarie senza che però diventino sufficienti per la produzione poetica. Una delle critiche più comuni che i teorici rivolgono alla letteratura elettronica è la seguente: se si approfondisce la dimensione della narrazione ipertestuale si resta dentro la letteratura ma se si comincia a forzare sulla dimensione interattiva allora si esce dalla vecchia idea della letteratura come testo e si abbandona la tradizione letteraria. Non sono convinto di questo.
L’altro punto è quello della multimedialità che per certi versi c’è sempre stata come dimostra l’opera lirica. È proprio la dimensione riflessiva che differenzia la nuova multimedialità dalla vecchia, cioè il fatto che la multimedialità di oggi si pone con radicale discontinuità il problema di far valere contrastivamente i propri differenti media. Mentre lo scopo fondamentale dell’opera lirica era di tipo sinestesico cioè l’effetto generale finale era complessivo, l’effetto multimediale oggi è il contrario; è di far sentire le differenze di tutti i media che vengono messi insieme; cioè la multimedialità è in realtà una diamedialità, mette in evidenza la diversità degli approcci non la loro omogeneità, è polisensoriale e non sinestesica, essendo la sinestesia la negazione dell’effetto di polisensorialità.
Letterature combinatorie, poesie cinetiche, letture partecipative, letterature spettacolari, letterature ipertestuali sono alla fine nient’altro che dei nuovi modi di scrivere. E allora perché li definiamo letteratura? Due risposte. La prima è storica: chiamiamo letteratura tutto quello che una cultura in un periodo storico chiama letteratura. L’unico problema è che oggi leggiamo ad esempio delle preghiere azteche e le consideriamo come letteratura mentre per gli aztechi erano solo preghiere. Noi però le abbiamo integrate nella nostra concezione della letteratura a nome di alcuni principi che stabiliscono qual è il dominio della letteratura.
Siamo mai riusciti a dare una definizione di letteratura non dico transtorica, perché nessuno di noi può dare delle categorizzazioni che la nostra cultura non ci permette di dare, ma che almeno non si limiti semplicemente a stilare la lista dei generi letterari tradizionali? Calvino ha scritto uno straordinario saggio sulle metafore in Galileo e sosteneva che è un grande scrittore. Primo Levi ha messo in un suo libro autobiografico un testo brevissimo di un esperimento chimico che mostra la resistenza di un nuovo tipo di carta agli scarafaggi affermando che si tratta di un testo letterario. Un testo scientifico e un testo tecnico sono letteratura?
La mia proposta è che siamo davanti alla letteratura ogni volta che la letteratura è riflessiva. La letteratura oltre a trasmettere un’informazione pensa se stessa in quanto forma di trasmissione di questa informazione. Da questo punto di vista non c’è mai stata tanta letteratura quanto oggi in cui tutto è “meta” compresa la modernità. Se si accetta la mia definizione di letteratura come linguaggio che mentre dice una cosa esplora la propria maniera di dirlo allora avremo letteratura ovunque; se invece continuiamo a definire letteratura l’insieme dei generi letterari che formano un canone che definisce ciò che è letteratura allora oggi di letteratura se ne fa pochissima. lo non ho soluzioni definitive. Definire la letteratura come autotelica, che mira al proprio mirare, alle proprie procedure di costruzione, permette di integrarla a una modernità riflessiva. In questo caso paradossalmente avremmo una letteratura realistica. Non c’è mai stato un periodo più realista di quello che parla delle proprie procedure di costruzione, soprattutto in un’epoca in cui il modernismo si interroga metalinguisticamente sulle procedure di costruzione di se stesso.