Da: Valentina Valentini (a cura di), Studio Azzurro. L’esperienza delle immagini, Mimesis Edizioni, Milano, 2017.
La tecnologia produce miraggi… tracce di percorsi possibili su territori invisibili.
(L’arte fuori di sé, un manifesto per l’età post-tecnologica, Andrea Balzola e Paolo Rosa, Feltrinelli, 2011, p. 78.)
In un libro recente a lui dedicato, i ricercatori di semiotica, quelli che provano a dire qualcosa di sensato sul senso, hanno reso omaggio a Paolo Rosa, alla sua esperienza e alle attese che suscita un’esplorazione artistica e sociale troppo presto interrotta. Nell’introduzione ai due volumi di Rimediazioni, Tiziana Migliore ha interrogato la prestazione semiotica di una video-ambientazione di Studio Azzurro Totale della battaglia che “sviluppa in ambiente sensibile un’interfaccia mutante, significanti e significati della Battaglia di S. Romano 1438, di Paolo Uccello”1.
Le dediche sono controdoni: provano a rendere quanto si è ricevuto. I percetti, gli affetti e i concetti che quanti studiano i segni e i linguaggi devono a quell’artista plurale ed espanso che è Studio Azzurro; all’aggregazione senza gregarietà del suo cogitamus. Ci riconosciamo – potremmo fare altrimenti? – nei tratti pertinenti della sua lingua connettiva contrassegnati in L’Arte fuori di sé: Eventualità, Collettività, Virtualità, Polisensorialità2. E soprattutto Interattività, transitiva e riflessiva – per dirla con parole nostre. Condividiamo senza riserve lo scopo simbolico e rituale che si propone: l'”oltrepassamento verso un mondo simbolico alternativo, generativo di nuove ritualità”3. Questo “rito partecipativo d’interconnessione consapevole dell’intelligenza e della sensibilità”4 si vale – dà e riceve valore – dal nuovo paradigma culturale e comunicativo della digitalità e dei suoi esiti ancora inesplorati. Si colloca in un habitat partecipativo dove le tecniche diventano tecnologie, i rapporti relazioni e le interazioni interattività.
La semiologia, per la sua vocazione di sintetizzatore e traduttore tra sostanze espressive, ha molto da apprendere dal carattere tracciante e costruttivo della ricerca di Studio Azzurro; dalla sua inventività nel gettare ponti abitati tra diversi piani materiali e virtuali; nel trattare sinestesicamente le differenti qualità sensibili delle componenti espressive; nell’attenzione infine alle forze e agli affetti più che alle forme. Dal modo in cui presenta più che rappresenta, la testualità di Studio Azzurro simula e prefigura più che raffigura: è perlocutoria e performativa. E soprattutto dispone, in un’opera più che aperta, gli attrattori necessari a inter-attivare i suoi spett-attori: la traccia che nel computer lascia l’intervento dello spettatore attivo e quindi critico, suscitato dalla macchina e dai suoi programmi; un feedback dinamico ed evolutivo grazie alla plasticità dei nuovi media e la rizomaticità della rete. Più che gli sviluppi estetici5, la riflessione semiotica6 ha seguito l’evoluzione di Studio Azzurro dalle videoinstallazione agli ambienti sensibili, immersivi e sinestetici che ha caratterizzato gli ultimi sviluppi del suo laboratorio. Un progetto, già militante, è collettivo e pubblico; civile – nel senso in cui è la Città (Civitas) che deriva dai Cittadini (Cives) – e non politico, in cui sono i Cittadini (Politeis) che derivano dalla Città (Polis).
Studio Azzurro non condivide la proposizione o il postulato che viviamo in una società dello spettacolo. Nel senso proprio del termine, lo spettacolo chiedeva una profondità d’illusione, un gioco di simulacri, una separazione tra la ribalta e la platea (Baudrillard). La comunicazione social-mediatica, virale e presenzialista che si pretende many to many, risulta spesso – e forse volentieri – many to none. Studio Azzurro non condivide neppure le esibizioni acrobatiche di tecnologia informatica e il kitsch pervasivo d’immagini d’ogni genere – non ultime le immagini scientifiche, che sono spesso pubblicità di laboratorio. Per Paolo Rosa e i suoi coautori, a un’estetica focalizzata sulla dimensione performativa “risulta centrale la teatralità che trova il suo fulcro nel momento relazionale”7. Una drammaturgia dell’Io-Tu, più che una rappresentazione epica dell’impersonale e una espressione lirica dell’Io. Perché abbia il valore di un laboratorio antropologico, un teatro “fuori di sé” – con registi e non burattinai robotizzati e attori e non marionette – “opera sull’immaginario attraverso segni e indizi”8; un dispositivo semiotico e poetico per rendere significante ogni gesto, disegno, suono e parola9. La regia delle installazioni di Studio Azzurro intreccia quindi le forme espressive dei videogame all’articolazione dei contenuti narrativi, in vista delle potenzialità espressive dei nuovi media performativi – che includono il post-cinema – e una drammatizzazione degli habitat.
Sono riflessioni e ripensamenti che Balzola e Rosa, nell’Arte fuori di sé, deducono o proiettano da un trittico di spettacoli come The Cenci, Giacomo mio, salviamoci!, Il fuoco, l’acqua e l’ombra, operati con il musicista Giorgio Battistelli, la regia di Paolo Rosa e il dichiarato influsso di “tre grandi silenzi del ‘900, Beckett, Cage, Duchamp”10. Tra le installazioni più teatrali, inclusive di musica e danza, le scene più coerenti al progetto teorico sono Neither (2004) e Galileo, studi per l’inferno (2006-2008), cosmogonie antropomorfe dove i corpi degli attori interagiscono con la fisicità delle immagini.
Il più saliente, quello che più mi ri-guarda, è il cosmodramma – tratto dalle sorprendenti misurazioni dell’Inferno dantesco, eseguite dal giovane Galileo Galilei. Uno spettacolo di danza e video che è l’oggettiva, involontaria replica al poeta tedesco Durs Grunbein11, il quale vedeva nella ricerca di Galileo sul teatro infernale12 la rottura moderna tra la poesia e la scienza. Attualizzare i classici ci allevia dal presentismo e ci ricorda, soprattutto in questo caso, che la letteratura è Mimesis e Mathesis e soprattutto Semiosis. Studio Azzurro riprende creativamente il calcolo, rigoroso quanto immaginoso, del “grande teatro” dantesco dell’aldilà, della sua coreografia, dei suoi protagonisti e dei loro tormenti, che Galileo voleva fossero disegnati con immagini (perdute) e diagrammi che ne facessero riconoscere il sito e la figura. Nella regia di Paolo Rosa, la mappa galileiana perde ogni cornice: diventa una partitura aperta, mobile e drammatica: le immagini al suolo, fatte ma non finite, rappresentano alternativamente fogli, circoli, croci, silhouette colorate, diagrammi geometrici, lettere, scritte, croci, visi, occhi. I danzatori incarnano diverse istanze: i pensieri di Galileo, i dannati, i visitatori dall’Inferno, i giudici ecclesiastici: col loro ruotare scendono, sempre misurando, da un girone all’altro, fino alla sequenza finale in cui, attraversando la pupilla di un occhio spalancato verso di noi, trapassano dallo spazio satanico verso un altro spettacolo: “a riveder le stelle”.
Un invito irrinunciabile per il semiologo, che considera la danza, tra le forme spaziali significanti, come una “semiurgia”. Secondo le indicazioni del matematico René Thom, il balletto, morfologia in movimento, presenta una doppia articolazione: la prima è quella del singolo danzatore che percepisce la morfologia musicale e la traduce in gesti somatici; la seconda è quella del collettivo, con le sue configurazioni ed evoluzioni. Ci sarebbe un meccanismo generatore non scomponibile, “una struttura dinamica profonda che garantisce l’unità dinamica. di un campo immaginario globale”13, nonostante le scissioni spaziali e temporali dettata dalla narratività, cioè dalle trasformazioni delle azioni e delle passioni, degli atti e degli affetti. “Il coreografo è un demiurgo”14 che regola il repertorio di figure, eventi singolari di individualità e stabilità che sviluppano tridimensionalmente le forme musicali sulle quali l’immagine esercita la propria magnetizzazione. “Musica e immagine dipendono da una entità dinamica nascosta, creata dai ballerini che ne regola il comportamento – il campo fisico agisce sulle particelle che lo costituiscono”15. La forma possiede il soggetto che se ne appropria e ne diffonde la pregnanza geometrica e cronometrica, generando il collettivo.
Il regista semiurgo degli studi su Galileo non è però un demiurgo: l’interattività tra attori antropomorfi e simulacri digitali aggiunge nuovi metadati. L’azione del singolo e/o del collettivo sull’immagine la commisura e la trasforma; l’esecuzione partecipata attraversa con la propria cadenza quella musicale: crea il proprio ritmo che è la risultante di almeno due cadenze; un’emergenza che varia nelle riprese dello spettacolo.
Il teatro di Studio Azzurro può essere eseguito e riallestito con lo sviluppo del contenuto iscritto nell’improvvisazione interattiva del suo progetto (Galileo, studi per l’Inferno è presentato all’Opern Haus, Norimberga, 2006, e successivamente riproposto al Teatro degli Arcimboldi, Milano, 2008). Come ogni spettacolo multimediale è un allografo16. A differenza della pittura e della scultura a scalpello, prevede un’esecuzione in due tempi: una partitura autografa che permette diverse esecuzioni le quali sono tutte originali rispetto alla prima. Tanto più rilevante nella realizzazione interattiva in cui la relazione tra attanti (umani e digitali) genera di volta in volta differenti manifestazioni.
Se gli spettacoli riallestiti creano co-testi, modificando i contesti in cui sono inseriti, vorrei intervenire in questa avventura non solo come avventore, consumatore e proporre l’inserimento, in questo mobile affresco, di una figura per me pregnante: il Lucifero del Cigoli (Ludovico Cardi), pittore manierista fiorentino, molto vicino a Galileo. Nell’installazione di Studio Azzurro ho creduto, di riconoscere alcune grandi figure di nudi, rotati e calcolati nella relazione con i danzatori. Tra queste figure mitiche che abitano il pozzo infernale dei Giganti – vorrei che entrasse a farne parte l’icona colossale del Satana di Cigoli, un “semioforo” circondato da diagrammi di scala che ne manifestano la legenda e la dicitura. Galileo ha misurato la taglia del Principe del Male in 2000 braccia (un miglio e mezzo circa) e Cigoli ha collocato Dante e Virgilio al centro di questa figura emblematica – che è anche il centro dell’Universo – al punto e nel momento in cui sta per avvenire la rotazione che porterà i due poeti fuori dalla Caina, sulle spiagge del Purgatorio.
Mi aspetto dalla plasticità evolutiva del digitale la realizzazione di questa virtualità.
Tra gli esiti felici della prolifica attività di Studio Azzurro non ho ragioni di scegliere. A uno tuttavia vorrei dare il mio assenso: The fourth ladder, presentato al SITE della Biennale di Santa Fè (USA). Eccone la descrizione: “Viewers face a black wall upon which is projected a video of people walking up an incline in a line. The figures walk in profile in front of an upward sloping rocky space, and continue to walk indefinitely until the viewer touches one of them. When touched, the figures turn and face the viewer and offer directions to their favorite sites”17. Un affresco mobile, una sfilata ininterrotta di personaggi che ricorda i “fasti” di alcune opere di William Kentridge. Nell’installazione di Studio Azzurro però lo spettatore può scegliere il contatto con una delle immagini, la quale si rivolgerà a lui. È il tropo retorico dell’Apostrofe, il volgersi (strofein) verso l’osservatore di una figura rappresentata dapprima di profilo, che passa dall’impersonalità della terza persona al reversibile io-tu della conversazione. L’interlocutore prescelto enuncia, come un dono intelligente e sensibile, le parole che gli sono date, ma che sono stato io a cercare. Interpellato come soggetto, replica al tocco virtuale (la “deissi fantasma” di Karl Bühler), mentre le altre figure continuano lentamente ad apparire e a sparire, irrevocabilmente. Questo tocco, retorico nel mio studium, mi punge invece reversibilmente e profondamente. Risveglia alla memoria, che altrimenti “funghisce su di sé” (Eugenio Montale) il desiderio che accompagna ogni parola che sto scrivendo; quello di ritrovare, con un’apostrofe, la conversazione intelligente e felice dell’amicizia con Paolo Rosa. Un trattamento diurno del sogno che dia modo di cercare al di là delle somiglianze, l’aria di una persona, l’ombra luminosa che accompagna il corpo, il supplemento integrale d’una identità di valore; una “verità in cui la coincidenza con l’identità è come una metamorfosi”18. Un “biografema” avrebbe detto Roland Barthes, uomo di teatro che voleva entrare nella fotografia, “immagine folle intrisa di reale”19, per abbracciare quel che è per sempre perduto.
Dal laboratorio teatrale di Studio Azzurro, Paolo Rosa con la sua indimenticabile aria, continua a seguirmi da presso, come una guida. So che il gesto di adesione non è mai definitivo e resto in ascolto.
Note
- A.A.VV., Rimediazioni, vol. 1, a cura di T. Migliore, Aracne, Roma 2016, p. 35.
- Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sé, un manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli, Milano 2011.
- Ibidem, p.13.
- Ibidem, p.20.
- A questo proposito e quanto alla possibilità d’un recupero rituale dell’aura, seguo l’indicazione sospesa di R. Barthes: “estetica, se si prevede di far subire a questa vecchia categoria una leggera torsione che l’allontani dal suo fondo regressivo, idealista e l’accosti al corpo e alla deriva” Roland Barthes par Roland Barthes, Seuil, 2015, p. 87.
- Cfr. P. Fabbri, “Beyond Gombrich: the recrudescence of visual semiotics”, in Journal of Art Historiography, n. 5, December 2011.
- Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sé, un manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli, Milano 2011, p. 105.
- Ibidem, p. 108.
- Per un’idea del dispositivo semiotico e poetico come inteso da Paolo Rosa, cfr. P. Rosa, Il punto di vita: uno strumento per perdersi, in “Sociologia della Comunicazione”, fascicolo 38, anno 2005, numero monografico: “L’esperienza tecnologica del mondo. Laurea ad honorem conferita dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino Carlo Bo’ a Derrick de Kerckhove”.
- AA.VV., Studio Azzurro, Tracce, Sguardi e altri pensieri, a cura di B. Di Marino, Feltrinelli, real cinema, Milano 2007.
- D. Grunbein, Vermist, Dantes Halle, Suhrkamp-Verlag, 1996.
- G. Galilei, Due lezioni all’accademia fiorentina circa la figura, il sito e la grandezza dell’Inferno di Dante, a cura di R. Pratesi, Sillabe Ed., Livorno 2010.
- R. Thom, La danza come semiurgia, in P. Fabbri (a cura di), Arte e morfologia, saggi di semiotica, Mimesis, Milano 2011, p. 88.
- Ibidem, p. 88.
- Ibidem, p. 89.
- Citando N. Goodman, Arte in teoria, arte in azione, a cura di P. Fabbri, et al. edizioni, Milano 2010.
- www.fluentcollab.org/mbg/index.php/reviews/review/105/55
- R. Barthes, La Chambre claire. Note sur la photographie, Cahiers du cinema, Gallimard Seuil, 1980, p. 168.
- Ibidem, p. 176.