Da: Leggere, luglio 1996 (articolo e presentazione del numero dedicato a Victor Segalen).
J’ai touché du pied le mystère (Thibet)
L’idea di scrivere un saggio sul “Momento Misterioso” venne a Victor Segalen nel corso del suo primo grande viaggio in Cina: il 24 ottobre del 1909, a Lan Tze, alcuni mesi dopo il suo arrivo a Pechino.
Dalla biografia di G. Manceron1, sappiamo che del progetto, il quale doveva articolarsi all’altro, più elaborato, sull’Esotismo, restano solo schizzi e pentimenti. L’estetica e l’epistemologia contemporanea prediligono queste tappe della testualità in cui i vuoti sono il motori dell’atto di lettura e che richiedono non l’analisi, ma la catalisi delle virtualità teoriche. Proveremo quindi a ritrovare al di là dei troppo solidi frammenti, la fragilità della costruzione generale; a capire il tentativo di dare alla parola “misterioso” una valenza di neologismo, “evitandone l’acidità”.
Per Segalen, gran conoscitore di lingue esotiche, il Momento Misterioso non è questione di tempo, ma di aspetto. È il puntuale che si oppone alla abitualità e alla iteratività dell’abitudine e che introduce nell’omogeneità delle catagorie – il quotidiano o l’arcano – la discontinuità di un evento. Non è la cifra insipida della realtà né la facilità dell’esoterismo, ma un movimento tra l’una e l’altro, un’irruzione dell’immaginario nel reale o del reale nell’immaginario. Il senso e il sapore del momento sarà diverso secondo la direzione presa: saranno tratti di realtà che balenano nel misterico, elementi criptici che si introducono nel quotidiano; oppure istanti neutri di sospensione, eventi complessi di indecidibilità prodotti dagli spostamenti del punto di vista. Senza timore di ridurre un segreto “che comunque resterà tale”, Segalen tenta una descrizione negativa, per purificazione, attingendo ai diversi campi del suo multiforme sapere: musica, pittura, archeologia, scienza, letteratura.
Il Momento Misterioso, instabile e reversibile, ha la figura di una medaglia: testa e croce, inscindibili ma non riconciliabili. Per Segalen, cultore d’oppio e di spiritismo, questa moneta, di cui non si conosce il corso, paga con la chiaroveggenza, con il dono, forse taoista, della intravisione. Il momento misterioso è memento, prefigura enigmaticamente un destino.
Ma come riconoscerlo nella sua evidenza “irrecusabile”? Per Segalen, medico, studioso di sinestesie letterarie, viaggiatore, aeronauta e scalatore impenitente, il segno è un sintomo, “costante e necessario”: la vertigine. Sensazione di perdita dei punti fisici di riferimento ed epicentro di una passione: lo smarrimento della soggettività. La conoscenza è illinx, come dirà R. Caillois, gioco con la vertigine. Il capogiro e il capofitto è un movimento dell’immaginazione dinamica che esplora i limiti della sensibilità. La sensazione del vuoto e della caduta è “intensiva”: crea l’altezza sprofondando; è quindi attiva e creatrice di ritmo. Non si tratta romanticamente di fare il pieno di abisso, e neppure di uscire misticamente da sé, ma di esplorare filosoficamente quel sentimento di esistenza che anticipa una venuta al mondo e un’accoglienza di cui nessun soggetto è (ancora) responsabile.
In Segalen il Momento Misterioso non è legge generale. Come il Bovarismo dell’amico filosofo Jules de Gaulthier – facoltà di concepire sé stessi diversi da quel che veramente si è, che culmina nel genio e si abbassa nello snobismo – è un principio regolativo per il Viaggio Esotico, e per la letteratura.
Per lui il viaggio in Cina, a Shri Lanka, a Tahiti, non è de-territorializzazione molle o degustazione turistica della differenza, ma un momento alternativo alla propria cultura e a se stesso. Sotto l’insegna di Rimbaud e di Gauguin. Chi conosce la Cina, la simultanea attrazione della sua profondità storico-culturale e la sua estetica dell’insipido, intenderà quest’unico sentimento di noia e di sorpresa, di “sublimazione e cristallizzazione”. E lo ritroverà negli appunti di viaggio scientifico che per per Segalen è sempre allegorico e iniziatico. In Feilles de Route, nelle novelle raccolte sotto il titolo Imaginaires (La tête. Le siège de l’âme, degne del miglior Malraux) e nel grande, enigmatico romanzo René Leys (per es. nella cavalcata del pirandelliano protagonista intorno alla Città Proibita).
Segalen cerca lo schiudersi di questo “istante di potenza e di bellezza” nella letteratura contemporanea: da Baudelaire a Wilde, da Kipling a Nerval, da Wells a Maupassant (soprattutto nell’Horla) da Poe a Schwob, da Flaubert a Hoffman, fino a Maerterlinck e a Mallarmé.
Ma è sopratutto nella musica che (ci) si sente risuonare il “misterico”, nella sua instabilità esponenziale e nelle variazioni intensive del percetto e dell’affetto. Di qui la sintonia di Segalen con Debussy, che molto amava il racconto Dans un monde sonore, storia di una coppia che vive in mondi percettivi, acustico e visivo separati. Racconto breve, ispirato a l’Ame et le corps di A. Binet, che sarebbe piaciuta al Calvino di Un re in ascolto. “Debussy: Ce qui me plait dans votre nouvelle, c’est non pas le mystère, le mystère recule trop et trop loin mais… Segalen: le ‘Mysterieux’. Debussy: Oui c’est cela”2. Ne testimoniano i due drammi proposti da Segalen al compositore – Siddharta e soprattutto il secondo, Orphée-Roi, scritto con lo stesso Debussy. Ma più importante ancora è la componente musicale della scrittura di Segalen ne il Grande fiume, resoconto di viaggio sul Fiume giallo ed esercizio sulla fuidità delle cose e la metamorfosi dello sguardo. Qui, nella descrizione della grande Rapida, l’alternanza ritmica tra scosse premonitrici e calma omogenea del corso delle acque dà la chiave, orfica e perturbante, del Momento Misterioso.
Momento questo di traduzione impossibile e necessaria tra sistemi di segni diversi come lingue, forme discorsive, sostanze espressive: profumi, architetture, geroglifici, maschere e veleni.
Si pensi ad es. alle raccolte di poemi in versi e in prosa quali Stèles e Peintures, in bilico tra pittura e letteratura attraverso la calligrafia. Ma soprattutto alle traduzioni tra culture differenti e irriducibili. Il Momento Misterioso infatti è, per Segalen, una specificazione di quell’Estetica del Diverso che risponde al nome di Esotismo. È esotico però, non esoterico. A eguale distanza tra la paccottiglia di Pierre Loti, assaggiatore di minime differenze e dalla vocazione apostolica di Paul Claudel, che omologa sempre l’altro alla propria fede, Segalen afferma una “legge” di radicale Alterità. Così come la lingua, la cultura Altrui – Han o Maori – sarebbe fatta di segni, testi e oggetti irreducibili e irreconciliabili. Nella relazione di conoscenza si ha un bel cominciare dall’Altro, prendere la parola solo per dagliela, come aveva tentato lo stesso Segalen ne Les Immemoriaux. L’incomprensione resta perenne. Eppure, proprio questo può creare un’intensificazione estesica, un sublime del sentire che si sprigionerà nel Momento Misterioso.
Questa regola del gioco, che fa pensare a Bataille e rinvia a Nietzsche – Segalen gli dedica il poema incompiuto Thibet – è stata ripresa da J. Baudrillard3 come un antidoto al soggettivismo post-moderno, così indifferente, persino a se stesso, da permettersi nel confronto dell’Altro i buoni sentimenti della solidarietà a distanza: compassioni, curiosità e indignazioni a buon mercato. Per il principio d’Esotismo invece, il sapere di sé e dell’altro non cresce in funzione di differenze riconosciute e gustate turisticamente, ma proprio per una radicale incompatibilità che esclude ogni sentimentalismo. Fa appello all'”irredentismo” dell’oggetto e ad una Alterità non conciliabile. Contro la simpatia fusionale, quel tutti fratelli, tutti eguali smentito appena pronunciato, il protagonista dell’opera di Segalen l’Exote – “mistico orgoglioso”, maestro ex lege di metamorfosi, briccone divino del tempo e delle spazio – afferma la sua allergia ad ogni promiscuità. Soprattutto a quella ontologica: il Momento Misterioso non cela verità ultime. È solo un dispositivo testuale per effetti speciali della realtà e della soggettività; una forma ironica della mitologia delle apparenze.
Nella “stele”, il “Nome Nascosto”, è detto o scritto come non sia necessario sapere il proprio nome definitivo, né quelli dell’Altro e delle Cose. Nomi sommersi nelle vene del proprio corpo o del pubblico acquedotto: “Meglio che fondano le acque dure, meglio trabocchi il torrente devastatore, che non venga la Conoscenza”.
Che Segalen ci segua, come guida.
Note