Introduzione a Luis Jorge Prieto, Il mito dell’originale. L’originale come oggetto d’arte e come oggetto di collezione, Documenti di lavoro del Centro Internazionale di Scienze Semiotiche dell’Università degli Studi di Urbino, nuova serie, n. 6, Aracne, Roma, 2015.
A Luis Prieto, che ci segue come guida *
Per uno strabismo della memoria, la semiotica contemporanea sembra preferire il passato remoto a quello più prossimo1. Gli archivisti del segno ne ricostruiscono filologicamente i tempi lunghi – classici o medievali – con uno scrupolo erudito che nasconde talvolta le radicali discontinuità della nozione (l’atomo di Democrito e il segno degli stoici hanno solo il significante in comune con quelli di Perrin o di Hjelmslev!). Sfuggono invece all’attenzione e alla focalizzazione dei “revisori di racconti” le ricerche semiotiche più prossime che hanno contribuito alla “conoscenza rettificata” (Bachelard) dell’opera rivoluzionaria di Ferdinand de Saussure e al suo radicale ripensamento. Un’auto–amputazione che rischia di smarrire la coerenza e l’adeguatezza di un paradigma e influisce negativamente sulle attese “prossimali” che promette l’esperienza semiotica fin de siècle. Le fonti fossili devono garantire invece energie rinnovabili nelle teorie e nei metodi.
In un programma di memoria congiunturale a breve termine troveremmo, tra i protagonisti, Jorge Luis Prieto, linguista e semiologo, successore alla cattedra ginevrina di Saussure, che ha più di altri contribuito al reperimento delle incognite e delle emergenze del nascente progetto semiologico. Ha partecipato da protagonista al suo formarsi (con Hjelmslev e Martinet, Benveniste, Lévi Strauss, De Mauro, ecc.) e ne ha esplorato caratterizzazioni e singolarità con pochi libri lungimiranti e molti contributi di singolare originalità in linguistica generale e semiologia della significazione. In particolare è Umberto Eco che ha rilevato e ripreso lo zoccolo più duro della sua teoria della pertinenza2.
« C’est le point de vue qui crée l’objet » (Saussure)
C’è chi ritiene che l’eredità più conseguente di Saussure spetti a Hjelmslev e Prieto (Parret 1971). Comunque sia, il lascito più saliente alla riflessione semiologica, quello che ne fa la reputazione, è la rielaborazione accurata del concetto di pertinenza3 e del suo correlativo soggettivo: il punto di vista. Per Prieto l’intento epistemologico – la raison d’être del conoscere – va perseguito col metodo strutturale inaugurato da Troubetzkoy, dalla scuola di Praga e da Hjelmslev. L’oggetto (etic) è focalizzato da un punto di vista che lo articola in tratti distintivi dell’espressione e del contenuto (emic) che Prieto etichettava come noemi (Prieto 1964). Pertiniser, pertinentizzare, è selezionare quindi e porre in rapporti differenziali (contraddittori e non necessariamente oppositivi, vs Jakobson) e gerarchici (Prieto costituisce il sintagma partendo dal paradigma, al contrario di Hjelmslev). L’analisi del « plesso di differenze eternamente negative » (Saussure) – che continua a scuotere i nostri filosofi – è anti–empirista e relativista, nell’accezione rigorosa di costruttrice di relazioni. Prevede e comprende la riconnessione costante di relazioni da estendere o ridurre, per via della riformulazione dei punti di vista che possono variare o conservare inalterate certe proprietà linguistiche o visive. Non ci sono “cose”, ma “fatti”, costrutti classificati da particolari angolazioni. È il punctum della pertinenza a precedere la verità; la relazione tra l’enunciazione – diremmo oggi – e un codice di conoscenze collettivamente condiviso permette di costruire, con uno stesso oggetto, conoscenze diverse e altrettanto vere4. A partire dalla formulazione di fasci di pertinenze si configurano pratiche discorsive e testuali, linguistiche e somatiche: ogni segno ha un ruolo “funzionale” in un’attività significativa volta all’esito di un’altra pratica, la quale manifesta un nuovo segno. Per esprimerci con una formula: Pd(O)Pd, una Pratica discorsiva Organizzata presuppone una Organizzazione Pratica del discorso.
D’altra parte la selezione pertinente delle pratiche comporta la caratterizzazione, il consolidamento o la trasformazione delle istanze oggettive e soggettive in esse implicate. Prieto considerava infatti virtualmente infinite, o praticamente indescrivibili, le potenzialità naturali e sociali, mentre sembra oggi più opportuno dotare le “cose”, parti del mondo fenomenico, di salienze proprie e di programmi pertinenti (Gibson). Per trasformare riflessivamente e/o transitivamente anche il corpo proprio del soggetto deve cambiare e operare, per Prieto, una “trasformazione innaturale”: scoprire se stesso come oggetto. Un incontro/scontro, contrattuale o conflittuale tra attanti, direbbe Greimas, competenti nell’esecuzione di propri programmi di pertinentizzazione cognitiva, passionale e valoriale. A livello collettivo una cultura pertinentizza le unità semiotiche rilevanti e le catene degli interpretanti con le loro angolature prospettiche, istituendo una legittimazione istituzionale e un potere simbolico-sulla base delle proprie pratiche. Il punto di vista emerge da pratiche situate e da azioni collettivamente e individualmente legittimate. Creatrici selettive di valori che col medesimo gesto focalizzano e occultano il senso. Una scelta gravida di conseguenze che conduce Prieto dall’analisi strutturale del fonema e dall’arbitrario segnico ad una teoria delle ideologie, che per il semiologo argentino era brechtiana e marxista5.
« Le problème de l’identité se retrouve donc partout » (Saussure)
Uno dei tratti più innovativi della semiotica sistemica di Prieto è quello dell’identità degli oggetti materiali, l’interrogazione metodica sui loro modi di esistenza e la loro semantica. Egli riteneva che la realtà materiale non diventa significativa, ma che lo è per la sua costruzione stessa. Un segno – significante/significato – rinvia non ad un referente, ma ad un « senso determinato dalla sua identità pertinente a livello della comprensione ».
Il documento che qui ripubblichiamo – dapprima apparso nel catalogo di un’esposizione dedicata ai musei e privo di riferimenti ad altre ricerche (1988) – è tra quelli che ha trovato in semiotica e in estetica i maggiori ripensamenti e sviluppi. L’identità è un concetto camaleonte e la caratterizzazione di oggetti come originali, copie, riproduzioni, rifacimenti, falsi, contraffazioni, ecc. presenta spinose difficoltà6. D’altra parte Prieto era politicamente attento al ruolo onnipervasivo degli oggetti nella società della produzione massiccia e riproduzione tecnica, che va dal loro uso alla loro usura, dalla loro distruzione alla collezione. Un ruolo che, come nota – banalmente? -Walter Benjamin, è insieme alienante e allettante.
In questo contributo il semiologo argentino si dedica ad appurare l’autenticità osservabile d’un oggetto. Per affrontare l’ambiguità dell’aggettivo “stesso”, distingue tra una identità specifica e una numerica, valendosi dei diversissimi punti di vista da cui risultano pertinentizzati. Una distinzione che rinvia forse a Peter Strawson, ma che Prieto rende operativa attraverso la selezione focalizzata delle proprietà rapportate ad oggetti appartenenti ad altri universi discorsivi. All’ipotesi di Prieto (1976) che « il non pertinente è inesauribile » si potrebbe obiettare che le proprietà di un oggetto non sono infinite e che sarebbe più proprio pensarle nei termini di un’interazione tra pregnanze di un osservatore e salienze attive di un mondo “informatore” (vedi la nozione gibsoniana di affordance). Resta il fatto che il semiologo giunge per questa via alla conclusione che l’accertamento osservativo può darsi solo nei casi di identità specifica, mentre nel caso dell’identità numerica è possibile solo una valutazione o un’expertise negativa e probabilistica. Un esperto non è veramente in grado di fare attribuzioni: può stabilire se un oggetto è più autentico o meno, soltanto se soddisfa o no le condizioni (più probabili) per poterlo essere. Due oggetti in serie sono distinguibili solo per le deissi istruttive che ne accompagnano le diverse vicissitudini: certificazioni, pedigree e altre testimonianze. L’originale, per contro, è numericamente determinato e queste sue caratteristiche ne giustificano a pena, per Prieto, la mitologia feticizzante che testimonia e costruisce la pratica del collezionismo. In un mondo facsimilare l’originale è un “fattoide”.
Arte, “cosa mentale”
Prieto rivolge quindi la sua attenzione al campo artistico (Prieto 1991). Per lui l’opera d’arte è un’invenzione- Guernica di Picasso come lo Scolabottiglie di Duchamp o il radioricevitore di Marconi: un concetto, un’identità specifica che può essere realizzata, cioè trasformata, secondo due modalità esecutive: per segnale, producendo una copia- o per matrice, generando una riproduzione. L’inventore può essere separato dall’autore-com’è il caso esemplare della musica in cui lo spartito può essere realizzato da altrettanti esecutori, autori ogni volta di un’opera originale (lo stesso può dirsi per il teatro e l’architettura che hanno entrambe fasi temporalmente separate). Le due figure sono invece congiunte nell’autografia della pittura a pennello o nella scultura a scalpello.
L’originale prospettiva di Prieto ha trovato echi e sviluppi, nell’ambito della semiotica delle arti, in due figure, Nelson Goodman e Gérard Genette, che condividono molti tratti della loro attenzione a una definizione immanente dell’opera e alla varietà dei suoi modi di esistenza.
In primo luogo Goodman, la cui riflessione sul simbolismo-segnata dalla filosofia analitica e da Cassirer – converge con gli esiti di Prieto. Il suo oggetto è la donazione di senso che sono le opere dell’uomo nel loro costitutivo carattere culturale. Il suo metodo è anti–intenzionalista: si può accedere alla comprensione dell’opera solo attraverso il funzionamento del suo dispositivo di senso. Nell’articolare la sua grammatica della funzione simbolica, Goodman parte da un’analisi sul falso e dimostra la debolezza teorica dei criteri di autenticità. Ricusata la distinzione tra type e token (Peirce), la sostituisce con quella di replica e copia, per approdare infine alla dicotomia diventata canonica tra allografia e autografia, tra virtualità e realizzazione corretta (con sameness of spelling). Nella stessa vena del semiologo saussuriano, distingue le arti a diversi stati di realizzazione temporale e, tra gli esecutori, il ruolo dell’implementatore, decisivo in una società della comunicazione generalizzata.
Anche Genette, nel suo progetto semiotico di un’estetica goodmaniana, si riferisce al testo di Prieto, reso più attuale dai “mostri massmediatici” generati dai parametri tecnici delle nuove tecnologie. Mostri, cioè imprevedute forme d’arte, rese possibili dalla riproducibilità tecnica, davanti ai quali « la teoria dell’arte deve prender coscienza della semplicità, talora derisoria, delle sue analisi ». Mentre condivide la dicotomia chiarificatrice tra esecuzione per segnale o per matrice, Genette approfondisce la storia della produzione e dell’esecuzione e la tipologia delle “esecuzioni subalterne”, con i loro oggetti multipli. Avanza qualche riserva nei confronti della presa di posizione di Prieto, radicale, sulla concettualità dell’opera – singolarmente adeguata alla prassi contemporanea dell’arte concettuale. Pur riconoscendo che « l’arte è cosa mentale » (Leonardo) e che all’intera trasformazione di tutti i materiali può sussistere un’identità specifica, Genette invita Prieto a non disprezzare quanti godono del piacere sensibile delle sostanze del mondo, delle emozioni apportate da indimostrabili originali e dell’attività assidua delle collezioni. Ma è d’accordo con lui per ri–orientare i modi di enunciare l’arte contemporanea con formule diverse dal catechismo revisionista del realismo.
In una conversazione degli anni Novanta De Mauro e Prieto si ponevano, con diversa intenzione, il quesito della sorte della disciplina semiotica – la pausa del suo motore di ricerca – in rapporto ai comparti e alle postazioni delle scienze umane7. È giustificato notare che dagli esuberi concettuali di allora-filosofia della prassi, antropologia filosofica, ecc. – si è giunti oggi ad un minimo teorico, un’epistemologia pop per il praticantato comunicativo. La radicalità concettuale di Prieto – il convergere di pertinenza e verità per una conoscenza non filosofica del mondo – sembra avventurosa rispetto all’attuale principio di precauzione. La ripresa del suo progetto semiotico, con il suo “relativismo relazionale”8 mantiene ancora un ruolo di mental detector. E le sue categorie conservano una capacità di thick description e una presa concreta, lontana dall’empirismo che « nel riconoscere una caratteristica degli oggetti non vede nulla che val la pena d’essere spiegato » (Prieto 1966a).
Se “concreto” vuol dire crescere insieme, allora Prieto ci segue come guida.
Note
- Per il persistente interesse sul pensiero di Luis Prieto vedi il recente colloquio internazionale De la pratique à la pertinence: Linguistique, épistémologie et sciences humaines. L’apport de Luis J. Prieto, Marlioz-Ginevra, 25-26 maggio 2015.
- Cfr. Eco 2012; Manetti 2013.
- Le prime descrizioni coerenti di sistemi semiotici semplici di segnalizzazione (Prieto 1966) sono state riprese da Umberto Eco, il quale, più interessato all’inferenza abduttiva che alla differenza saussuriana, coglieva tuttavia nell’uscita contemporanea di Pertinenza e Pratiche e del suo Trattato di semiotica generale, una significativa convergenza sulle nozioni di pertinenza e di ideologia.
- Assente nel funzionalismo di André Martinet e da non confondere con la relevance di Dan Sperber.
- La semiologia, per Prieto, « non (è) una teoria della conoscenza, di cui i filosofi si sono già occupati, bensì una teoria della raison d’être della conoscenza della realtà materiale. Questa semiologia si costituisce attorno al principio che la validità di una siffatta conoscenza dipende, non soltanto, dalla sua verità, ma anche dalla sua pertinenza. La pertinenza appare persino come un criterio di validità logicamente anteriore a quello costituito dalla verità, poiché la questione della verità di una conoscenza si pone soltanto per una conoscenza già considerata come pertinente. Ora, se la verità è un rapporto tra la conoscenza e l’oggetto, la pertinenza è invece un rapporto tra la conoscenza e il soggetto, per definizione storico–sociale, che la costruisce e che se ne serve. La semiologia che prende come punto di partenza il principio secondo cui verità e pertinenza concorrono alla validità di una conoscenza può perciò essere caratterizzata anche come lo studio delle conoscenze della realtà materiale ». Cfr. Prieto 1989.
- Vedi la frase di Bertold Brecht posta in esergo a Prieto 1975a: « Il demande à chaque idée: Qui sers–tu? ». Così, per il Barthes brechtiano dei Miti d’oggi, la borghesia francese pertinentizzava come naturale l’arbitrario semiotico del suo potere culturale. Cfr. Barthes 1957.
- « L’identità […] è quella dei rapporti che uniscono una parte di questo oggetto e delle classi di oggetti che appartengono ad altre classi del discorso » (Prieto 1975a, p. 76).
- De Mauro suggeriva una semiologia orientata non verso una filosofia del linguaggio, ma ad una “filosofia della prassi”. Prieto parlava piuttosto di un'”antropologia filosofica”. Cfr. Prieto 1991.
- « Il nostro relativismo, in effetti, è la logica conseguenza del fatto che un oggetto è conosciuto solo in rapporto – in relazione – con altri oggetti, dello stesso o di altri universi discorsivi ». Cfr. Prieto 1976. Corsivi nostri.
Bibliografia di Luis Prieto
- PRIETO L.
- — [1964], Principi di noologia, introduzione di T. DE MAURO, Ubaldini, Roma 1967.
- — [1966a], Lineamenti di semiologia. Messaggi e segnali, Laterza, Roma-Bari 1971.
- — 1966b, “La sémiologie”, in Le langage, Gallimard, Paris.
- — [1969], La scoperta del fonema. Interpretazione epistemologica, in PRIETO 1966a, pp. 169-194.
- — 1971, “Prefazione” all’edizione italiana, in PRIETO 1966a, pp. 5-20.
- — 1974, “Il circuito delle parole e il modo di riproduzione delle lingue”, in Studi saussuriani per Robert Godel, a cura di R. AMACKER, T. DE MAURO, L. PRIETO, il Mulino, Bologna 1974.
- — [1975a], Pertinenza e pratica. Saggio di semiotica, Feltrinelli, Milano 1976.
- — 1975b, Etudes de linguistique et de sémiologie générales, Droz, Genève.
- — 1977, Discorso e realtà, “L’Unità”, 4 ottobre.
- — 1978a, La politica nascosta, “L’Unità”, 21 gennaio.
- — 1978b, “Lingua”, voce in Enciclopedia del Novecento, Treccani.
- — 1982a, La rivoluzione? È una parola, “L’Unità”, 28 luglio.
- — 1982b, “Semiologia”, voce in Enciclopedia del Novecento, Treccani.
- — 1989, Saggi di semiotica. Sulla conoscenza, vol. I, Pratiche, Parma.
- — 1990, “Classe et concept. Sur la pertinence et sur les rapports saussuriens de comparaison et d’échange”, in R. AMACKER, a cura di, Présence de Saussure, Droz, Genève.
- — 1991, Saggi di semiotica. Sull’arte e sul soggetto. Con un colloquio con Tullio De Mauro sulle prospettive della semiologia, vol. II, Pratiche, Parma.
- — 1995, Saggi di semiotica. Sul significato, vol. III, Pratiche, Parma.
- — 1997a, “Ferdinand de Saussure (1857-1913), Cours de linguistique générale, 1916″, Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, pp. 15-16.
- — 1997b, “La sémiologie”, Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, pp. 17-20.
- — 1998, “A partire dal significante: una teoria della connotazione diversa da quella di Hjelmslev e Roland Barthes”, Parol online, 14, disponibile su http://www.parol.it/articles/prieto.htm.
- — 2000, “Una teoretica corretta, e avanzata? Ripensiamo la linguistica e la semiologia (la semiotica)”, Parol online, 15, disponibile su http://www.parol.it/articles/mazzei.htm.
- — (ined.) Saggi di semiotica. Sulle lingue, vol. IV.
Riferimenti bibliografici
- AA.VV.
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- — 1999, Semantica. Teoria, tendenze e problemi contemporanei, a cura di D. GAMBARARA, Carocci, Roma.
- — 2014, Saussure e i suoi segni, a cura di P. FABBRI e T. MIGLIORE, Aracne, Roma.
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- [1957], Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974.
- ECO U.
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- — 2012, Scritti sul pensiero medievale, Bompiani, Milano.
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- “L’identité symbolique. Prieto et le sujet de la sémiose”, Cahiers Ferdinand de Saussure, vol. 60, 2007.
- — 2010, “Prieto. La prassi come raison d’être della conoscenza”, in Semiotica, Filosofia del Linguaggio, Linguistica Generale. I grandi autori, a cura di F. SILVESTRI, Pensa Multimedia, Lecce.
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- [1994], L’opera d’arte. Immanenza e trascendenza, Clueb, Bologna 1999.
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- [1968], I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano 1976.
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