Da: Catalogo della mostra presso il Museo Santa Maria della Scala, Bastoni. Materia, Arte e Potere, a cura di Renzo Traballesi, Priuli & Verlucca Editori, Siena, 2006.
Il bastone è per antonomasia la prima estensione del corpo. E l’operatore di contatto tra il corpo, esteso da questa protesi, il mondo naturale e il corpo sociale degli altri uomini, dotati anch’essi eventualmente, di bastone. La sua morfologia diversa e complicata, è dettata dalle sue funzioni e finzioni, dagli usi pratici e simbolici. La conformazione del bastone è dettata dal contatto con la mano che lo regge per il manico; oppure dal puntale con cui l’attrezzo si congiunge agli elementi naturali o artificiali, gli animali e gli uomini. Il bastone, che può essere scagliato, è in primo luogo la protesi estensiva, statica, di diverse parti del nostro corpo. Può essere il punto d’appoggio per il corpo intero: una terza gamba, come quella enigmatica di Edipo. Oppure il prolungamento di entrambe le gambe, come i trampoli, usati dagli acrobati ma anche dai contadini del nord della Francia, dove servono per camminare per vasti terreni paludosi. E come dimenticare che le aste dei trampoli sono state per Proust la metafora del tempo trascorso: camminiamo tutti sui trampoli della nostra memoria fatta di tempo perduto e ritrovato! Ma il bastone può essere anche la protesi di un braccio, del polso e della mano. Nel caso del polso e del braccio bisogna distinguere però tra l’imbracciatura – quando il bastone prosegue per così dire il braccio e lo estende fino al contatto con le cose e con gli altri – oppure l’impugnatura quando il bastone è compreso nel pugno che lo serra. Cartesio e altri filosofi hanno lungamente riflettuto sulla visione tattile del cieco. Il bastone del non vedente è come un prolungamento di tutto il braccio: il cieco sente quindi le cose a partire dalla punta del bastone, transitivamente. Se appena allentiamo la presa del bastone, la mano avverte invece, riflessivamente, non la punta che tocca il mondo, ma il suo manico. Ecco perché il pomo, così come il puntale sono spesso la parte più elaborata e riccamente decorata del bastone che si presenta quindi come un dispositivo comunicativo: l’emittente che tiene in mano il pomo e il ricevente che viene toccato dalla punta sono entrambi valorizzati di questo atto.
Il bastone elementale
Il contatto con il mondo che il bastone instaura, si effettua in primo luogo con gli elementi che lo compongono: con l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco, che pure è il naturale nemico del bastone almeno nella sua prima versione in legno. Il bastone serve come operatore deittico, utensile per mostrare, indicatore semiotico. Il bastone dell’aruspice per esempio. traccia spazi nell’aria, ripartisce il cielo in modo da segnalare il senso e il destino di un’azione. Si suddivide il cielo, poi, quando gli uccelli attraversano una certa zona così delimitata, diventeranno segni di buono o cattivo augurio. Ma il bastone serve anche per l’acqua, non solo per navigare – in laguna servono le pertiche -, ma soprattutto per indicare e rinvenire falde d’acqua. Penso ad esempio alla bacchetta del rabdomante, attratta dal liquido sotto la terra. C’è poi il bastone dell’agrimensore, che traccia i confini sulla terra e commisura i suoi spazi. Il movimento dell’agrimensore sulla crosta terrestre, ignora le differenze superficiali del paesaggio naturale, per tracciare linee che dipendono dalla costruzione di rapporti fra gli uomini. Per quanto riguarda il fuoco, non bisogna dimenticare che nella mitologia e nella tecnica il bastone può esserne un contenitore. È il caso di Prometeo che fugge dal mondo degli dei, portando dentro un bastone cavo il fuoco, dono per gli uomini. Dall’altra parte la possibilità di sputare fuoco con la cosiddetta canna tonante è la proprietà dell’arma da fuoco fucile o il cannone.
Morfologie
Il bastone ha una morfologia complessa di cui Storia e Antropologia sono gli attenti testimoni, una varietà di forme legata alla molteplicità delle funzioni e all’evoluzione di queste funzioni. Come tutte le protesi, anche i bastoni si rendono autonomi rispetto alla prima configurazione e mezzo per inventare nuove funzioni simboliche e pratiche. Si potrebbe fare una morfologia rapida dei bastoni a seconda se siano lunghi o corti, come il palo e la bacchetta del mago o del direttore d’orchestra; diritti come la lancia e la freccia o ricurvi, come quelli del pellegrino o le pastorali del vescovo, oppure ingegnosamente piegati come i boomerang; rigidi o flessibili, come la pertica e la verga o il vincastro e la giannetta, oppure snodati come il bastone “correggiato”. Possono essere naturali e nodosi o lavorati – con possibili ritorni: a volte il bastone intagliato e decorato, se piantato, ridiventa naturale e rifiorisce. Il bastone può essere compatto o cavo – abbiamo detto di Prometeo – e allora è il contenitore in generale di molte proprietà magiche e tecnologiche. Nei pomi dei bastoni seicenteschi, si depositavano le essenze contro la peste; svitando il proprio bastone si annusavano gli odori destinati a tenevano lontani i miasmi ritenuti cause delle epidemie. C’è il bastone animato che nasconde la spada e quello che esprime ed esibisce il valore semiotico ed artistico diventando asta di labaro, orifiamma o bandiera o il supporto di emblemi scolpiti.
Le tre funzioni
Senza numero sono le funzioni sociali della protesi-bastone, dalle più antiche culture come quella egiziana fino al proliferare della mode ottocentesche, ma almeno per la nostra cultura potremmo suddividere e riorganizzare la massa molteplice dei singoli bastoni in alcune grandi funzioni interdefinite dell’immaginario collettivo. (Evidentemente esistono anche bastoni che operano accavallandosi fra queste funzioni, ma qualunque tassonomia, come diceva Claude Lévi-Strauss, è sempre un vantaggio sul caos). Nella cultura occidentale, l’articolazione delle funzioni ideologiche – enunciata da Georges Dumézil, che ne è lo scopritore – è tripartita: la prima funzione è politico-religiosa, di giustizia e di verità terrena e sovrumana; la seconda è quella militare, con le sue due facce di violenza cieca e di calcolata strategia; e la terza funzione articola infine la fecondità nei suoi aspetti agricoli e mercantili, secondo la stanzialità e la mobilità.
Ripartiamo così la multiforme massa dei bastoni. Per quanto riguarda la prima funzione sarebbe semplice, ma infinito, l’elenco degli scettri regali e dei pastorali religiosi che segnalano la verità, dettano l’imperio e ad impartiscono la giustizia. Per quanto riguarda la seconda funzione bisogna distinguere il bastone che è simbolo della forza violenta – la clava erculea – e che si oppone a quella tattica e articolata. Qui il bastone rappresenta un vigore più brutale rispetto alle altre armi, come la spada e l’arco. Lo dice assai bene il suo lessico: la mazza, portata dal mazziere è fatta per le mazziate; la mazza ammazza, mentre la spada (o la lingua!) uccidono. Il bastone di seconda funzione ha parole proprie di violenza scatenata: il colpo, la botta, diversi dalla stoccata; il bastone pesta, non tira di scherma, non mette in guardia; è usato per la percossa, l’acciaccamento, l’ammaccatura. Infatti, quando si vieta il porto della spada riappare come canna o frustino e la lama si nasconde nel bastone animato. Il bastone inoltre non è destinato non ai propri pari, è portatore di una violenza punitiva che si può esercitare verso chi socialmente non è al nostro livello. Voltaire ricordava che per avere un giorno ironizzato su un un principe della corte, subì una bastonatura che sentiva ancora amaramente nelle proprie ossa. La terza funzione è come si è detto, quella agricola e mercantile e vi corrispondono due grandi tipi di bastoni: quello stanziale e quello del nomade. Il bastone del contadino che serve a bacchiare il frutto, le noci e le olive, a sostenere le vigne e il pollaio e il bastone nomade, come il vincastro del pastore e del mandriano. C’è quindi il bastone stanziale dello spazio striato, suddiviso e quello che guida nello spazio liscio del pastore o del pellegrino – il bordone che sta tipicamente in mano a San Rocco, che ritroviamo in versione moderna, specialmente ottocentesca, nel bastone da passeggio del dandy: dalla cultura romantica in poi ritrova nella grande metropoli uno spazio liscio di nomadismo.
A riprova di questa distinzione c’è l’esempio singolare di un bastone da nomade, in una sua particolare versione legata all’acqua, il remo, che viene scambiato per un bastone stanziale. Quando Ulisse scende all’Inferno e chiede a Tiresia il proprio destino, il profeta gli annuncia, dopo il ritorno ad Itaca, molti altri viaggi e che la sua vita nomade durerà fino al giorno in cui qualcuno scambierà il remo, che è il suo bastone di pellegrino acquatico, per una stanziale ventola da grano. Ed è qui che finirà la sua odissea.
Rompere i bastoni
Concluderemo con l’idea che l’uomo non ha soltanto fabbricato bastoni, ma li ha anche spezzati. Gli uomini non costruiscono soltanto protesi per fare o impedire (si mettono anche i bastoni tra le ruote) ma le distrugge; c’è anche un luddismo dello strumento bastone. Questa prima protesi che incorpora ed estende competenze pratiche e tecniche comunicative, come ogni oggetto di senso può essere costruito e trasmesso, elaborato ma anche distrutto. Penso a certe immagini dei cassoni matrimoniali toscani del Quattrocento che rappresentano lo Sposalizio della Vergine. Si vede San Giuseppe, scelto fra tutti gli altri pretendenti, con il suo bastone che rifiorisce in segno di fecondità (Giuseppe è un santo di terza funzione), mentre tutti gli altri pretendenti spezzano le loro verghe. Fuori da ogni “psicanalese”, ricordiamo che si possono rompere tutti i bastoni di abbiamo elencato la gerarchia delle funzioni: si può infrangere lo scettro, rompere il bastone sulle spalle di qualcuno, gettare i pezzi del bordone alle ortiche. Oppure si può lasciare il mondo striato per uno spazio più liscio. In francese per caratterizzare un andare senza meta prefissata, un muoversi nomade nel pensare e nel parlare, senza fini prestabiliti e in un mondo aperto, si dice infatti à bâtons rompus.