Da: AA.VV., 1939 – Danzando sull’abisso, Vittorio Mussolini e il Premio Riccione, a cura di Marco Bertozzi, Raffaelli Editore, Rimini, 2009, pp. 89-92.
Prologo
Nel 1936 l’amministrazione di Fermignano decide d’immortalare l’immagine del Duce scolpendone il profilo sulla parete del monte Pietralata, al passo del Furlo, sulla via consolare Flaminia, che collega Roma all’Adriatico, vicino Urbino. Il progetto è ambizioso, gli intenti chiarissimi. Il testone – un profilo lungo 180 metri – deve essere visibile a decine di chilometri di distanza, sui due lati della via Flaminia, sia da Acqualagna che da Fossombrone. Nei giorni di cielo terso, si deve ammirare dal mare Adriatico e, per renderlo evidente anche di notte, si progetta un’imponente illuminazione (mai realizzata). La mastodontica opera – autore della quale sarà Oddo Aliventi di Sant’Angelo in Vado, molto attivo a Corridonia1 – è “scolpita” dalla forestale grazie a una serie di muretti a secco. Per l’occasione si portano anche migliorie alla strada che serve il monte e si edifica l’abitazione del custode. Ma, sin da subito, a dispetto della chiarezza progettuale, il monumento suscita polemiche. Il Duce sembra in posizione di riposo (mentre è risaputo che egli non dorme mai, vegliando, piuttosto, sul destino dell’Italia) e la polemica arriva alla sua persona. Mussolini stesso si lagna con l’albergatoreCandiracci, dal quale solitamente sosta, il quale gli fa notare ilsuo essere, piuttosto, proteso verso il cielo, sino a ieri dominiodelle aquile, ma da quel momento orizzonte di conquista dellanostra aviazione: e che, in tale posizione, il duce può simbolicamentevigilare sull’efficienza della nostra modernissima arma.Al crollo del fascismo, il 26 agosto del 1944 i partigiani e letruppe di liberazione decidono di eliminare i 38 metri di naso etutto il profilo. La brigata Maiella spara parecchi colpi contro lamontagna ma pochi centrano il bersaglio e non procurano grandidanni al testone. Come la dinamite del partigiano BrunoBocchio, che cerca anch’egli di far saltare il profilo. Al terminedella guerra il Ministero dei Lavori Pubblici decide di eliminaredefinitivamente il testone: viene stanziata una cifra adeguatama per l’intervento di Adele Bei quei soldi vengono stornati perricostruire la strada che conduce alle cave, vista la necessitàimpellente di pietra. Passano gli anni, i resti del profilo sonosempre lì, e una prima richiesta di restauro del faccione vienenel 2006 da un gruppo di imprenditori e “camerati” nostalgici,capeggiati da Pino Rauti. Un paio di anni fa, il 29 marzo 2007,il comune di Fermignano approva una mozione relativa al ripristinodel profilo di Benito Mussolini in cima al Monte Pietralata.
Lifting boschivo
Oggi l’onda lunga dell’inquietante statuaria del periodo è particolarmente evidente. Mentre scrivo, nell’ex Unione Sovietica ci sono attacchi sistematici alle statue non abbattute degli ex leader comunisti (mentre non si trovano più, fortunatamente, statue di Hitler). Negli anni Trenta l’idea di colossal è condivisa, qualcosa di fascinoso per tutti, esaltata anche dal cinema: è l’epoca intera a essere attratta dal maestosamente grande (anche in democrazia, pensiamo alle faccione dei Presidenti americani scolpite a Mount Rushmore, nel South Dakota). Quindi il problema non riguarda tanto le statue non abbattute dei vecchi regimi, quanto il loro essere colossali. L’attrazione sembra essere generale e, probabilmente, riverberarsi sino all’oggi. Un seducente problema di scala che ci coinvolge una costante dialettica tra miniaturizzazione e colossale: da una parte “piccolo è bello”, per cui stocchiamo la massima memoria in un minimo di silicio; dall’altra ambiamo a oggetti, auto, case, città sempre più grandi, eleggendo a regola il fascino per la sproporzione. Se il concetto di colosso viene dalla Grecia antica – pensiamo al colosso di Rodi – nelle dittature del Novecento il tema è declinato in tantissimi modi. Prima di tornare al profilo di Mussolini al Furlo (l’etimo deriva da “furulum”, piccolo foro), mi piace ricordare che nel 1934 il giovanissimo architetto Luigi Walter Moretti viene posto
alla direzione dell’Ufficio edilizio dell’ONB (Opera Nazionale Balilla), con l’importante responsabilità di revisionare e di approvare i progetti a livello nazionale. Assieme a pochi altri colleghi viene poi invitato al concorso per la progettazione del Museo dell’ONB e per la collocazione della statua del Colosso nel Foro Mussolini. Questa enorme statua in bronzo, opera di Aroldo Bellini, alta 86 metri, raffigurante Ercole con le sembianze di Mussolini, supera di 26 metri la statua che Speer vuole collocare sulla tribuna d’onore del Campo di Marte a Norimberga, sull’area del raduno annuale del partito2.
Nel suo interessante saggio sul rapporto fra propaganda e paesaggio nel ventennio, Paolo Nicoloso ricorda che qualcuno auspicava una statua ancora più alta, in modo da superare di ben tre volte la statua della Libertà di New York. D’altronde anche il colosso mussoliniano sarebbe stato molto ben visibile, sulle pendici di Monte Mario, a dominare Roma3.
E si badi bene, non si tratta di uno dei tanti disegni visionari da chiudere per sempre in un cassetto. La faraonica statua è un progetto concreto, con i primi pezzi, la testa e un piede, effettivamente fusi; solo con l’applicazione delle sanzioni della Società delle Nazioni per l’aggressione all’Etiopia l’opera subisce un definitivo arresto4.
Mentre il colosso a Monte Mario viene considerato una statua urbana, inserita in un foro, quella del Furlo “appare” nella natura. Strategie diverse: una cosa è fabbricare una statua in ambiente urbano, costruita dall’uomo, in pietra come la città stessa; un’altra pensare che la natura alle porte della Romagna possa produrre un volto riconoscibile come il profilo del duce. D’altronde, per Mussolini passare al Furlo nei suoi viaggi fra Roma e Predappio o fra Roma e Riccione significa varcare le porte di quella grande Romagna che andava costruendo in quegli anni5, attraverso un chiaro progetto politico-territoriale (ad esempio spostando i confini con la Toscana e annettendo alla Provincia di Forlì alcuni comuni già in Provincia di Firenze)6: forte la valenza simbolica di un passaggio “imperiale”, sulle orme della galleria di Vespasiano, scavata sotto al monte per allargare la via Flaminia. Altrettanto importante, in un cinetico controcampo, pensare al duce pilota sopra la gola del Furlo, nell’enfasi di doti aviatorie propagandate da una pubblicistica in stile Iniziando Mussolini alle vie del cielo7.
Tagliando, smussando, curando la vegetazione che “sfigura” il viso del duce, l’intenzione di restauro del comune di Fermignano evoca oggi un’operazione di lifting territoriale. Con operazioni di consolidamento, con lievi correzioni dei muretti a secco si dovrebbe restaurare il volto di Mussolini: un volto “ritoccato”, tra il fitomorfo e l’antropomorfo, che richiama le gigantesche parole DUX scolpite in quegli anni dal corpo forestale8, visibili a decine di chilometri di distanza potando abeti giganteschi sui fianchi delle montagne. Così la scritta DUX diveniva un segno pervasivo, avviato dalla rivoluzione tipografica dei futuristi, amplificato dalla forza di una grafica “rivoluzionaria”, esaltato nelle Mostra della civiltà fascista e nella propaganda a “caratteri di scatola” (quei caratteri utilizzati anche nelle case a forma di lettere di Depero). Ma la rappresentazione della figura allungata sul monte, dal profilo del viso a quello dell’intero corpo, deriva anche dalla tradizione del simbolismo: ricordo, ad esempio, le situazioni spaesanti, fuori contesto, nella pittura di De Chirico.
Costruzione e annientamento dell’immagine del duce
Difficile l’operazione di iconoclastia: la statua è l’equivalente più vicino al corpo umano e arduo sembra distruggerla. Per questo, scherzando, sostengo che non sarebbe male restaurare “il faccione” minimamente danneggiato. Ma in futuro il problema sarà un altro. Chi riconoscerà quella figura? È un aspetto delicato perché la figura di Mussolini è stata un’icona dominante della nostra cultura, anche se è mancato quello che è considerato l’aspetto terrificante del Nazismo; laddove, ad esempio, nella foresta di Teutoburgo troneggiava la gigantesca statua di Arminio (latinizzato dal germanico Irmin, “grande”), il vincitore dei romani, oggetto di processioni notturne con le torce… E questo, per fortuna, il fascismo ce lo ha risparmiato. Negli anni trenta il profilo del duce sulla montagna non arriva a costituire un oggetto di culto: e il fatto che oggi, nei desiderata del comune di Fermignano, il turismo possa sostituirsi a un culto inesistente lo trovo particolarmente curioso. Questa è una sostanziale differenza con il borgo natale di Mussolini in quanto Predappio divenne luogo di pellegrinaggi sin dagli anni venti, con migliaia di visite, raduni, onoranze alla casa natale e al cimitero di San Cassiano (dove riposavano i genitori del duce).
Non a caso il profilo è pensato nel 1936, in un momento in cui il Fascismo evolve verso un classicismo più enfatico, sia nell’architettura che nella rappresentazione del volto mussoliniano. È il trionfo di ciò che in retorica viene chiamata prosopopea – da proson, “volto”, e pros “che si pone davanti” – negli anni in cui anche gli operatori del Luce ricalibrano il sistema di rappresentazione del capo e una non sempre sapiente messa in quadro degli anni venti cede il passo a calibrate definizioni del suo rapporto di dominio con la folla. Ad esempio, lo spazio del rito dal balcone di Piazza Venezia è ora reso con soppesate alternanze di campi e controcampi, fra lui e la folla, utilizzando sapientemente il controluce, le dissolvenze, le panoramiche verticali verso il cielo, in
un supplemento di senso, una connotazione che spinge in direzione simbolica e che deve confermare l’idea di una volontà unica nella quale il popolo italiano si identifica riconoscente9.
L’inaugurazione di Cinecittà, nel 1937, lo vede ormai divo assoluto del cinema italiano, capace di irradiare la sua energia paradivina a qualsiasi cosa guardi, tocchi, presenzi, fra i gerarchi o i figli del popolo. Il volto di Mussolini diviene l’oggetto artistico elettivo, emblema stesso del fascismo maturo. Il cinema semina il germe del primo piano – pensiamo agli stupefacenti paesaggi volto di Carl Theodor Dreyer in La passione di Giovanna D’Arco (1928) – e le dittature lo colgono pienamente: per poi moltiplicarne gli effetti in una molteplicità di forme artistiche, dalla pittura alla scultura, dalle arti grafiche a quelle ceramiche. L’ambiguità del volto di Mussolini (vivacità degli occhi e pietrosità della mascella), si risolve, dopo la conquista dell’Etiopia, nella necessità di un gigantismo litico monumentale10. Inoltre il volto di Mussolini diviene medaglia, passando dalla dialogante interpellazione del primo piano al distacco istituzionale del profilo. Una modalità glorificante, una strategia di rappresentazione che attiene alla terza persona e, in qualche modo, rimanda all’idea del sangue e della terra quali espressioni fondamentali del regime. Evidente che il profilo del Duce “emerso” dalla terra del Furlo risponda a questa ideologia.
Paesaggi monumentali
Oggi l’idea di modificare il paesaggio attiene a strategie stilistiche e modalità poetiche appartenenti alla Land Art, il cui esempio più celebre è la figura di Christo, l’artista bulgaro che “impacchetta” i monumenti. Ma nella Land art il fine riguarda la mutazione dell’intervento artistico, il suo lento dissolversi nella natura. Oggi il Comune di Fermignano vuole fare il contrario, restaurare un’opera di Land art come il faccione del Duce, per renderla stabile e sfruttarla come icona turistica. Forse, piuttosto che riattare il profilo di Mussolini, si potrebbe partire dalla suggestione al Monte Pietralata per pensare a nuove operazioni di Land Art. Ad esempio, ricordo l’installazione di De Maria nel New Mexico intitolata “The Lighting Field”: uno spettacolare campo di luci accese naturalmente allo scoppio di temporali, grazie all’installazione di 400 parafulmini. Una suggestione/provocazione che rimanda direttamente alla mancata realizzazione dei dispositivi illuminotecnici progettati per il faccione del 1936. Un colossale che interagisce col mondo e cambia di natura: proprio come il significato antico del termine che riguardava l’apparizione dell’invisibile, il manifestarsi di una presenza non obbligatoriamente abnorme. Con la modernità il significato si è ribaltato, ha investito l’idea di un aumento della visibilità, della dimensione, quindi del colosso come lo abbiamo inteso nel Novecento. Oggi il nostro sguardo a ritroso sui giganteschi relitti di figure totalitarie sembra scrutare questa litica fonte collettiva come appartenente alla lontana era della modernità. Non dovremmo dimenticarci che il postmodernismo è in qualche modo una maniera di ripensare le basi della modernità, una modernità riflessiva, consapevole dei suoi processi di costruzione immaginifica. Attraverso il Cinema: pensiamo a opere come Il Colosso di Rodi di Sergio Leone (1961), o alla eccellente metafora presente in King Kong (Merian C. Cooper e Ernst B. Schoedsack, 1933), nell’abbracciarsi fra il colosso arcaico, lo scimmione, e quello moderno, il grattacielo. Il tutto in una distorsione dimensionale che sembra richiamare il concetto – ormai superato – di Kitsch. Dico superato perché oggi il kitsch emerge piuttosto quale luogo in cui si placa la possibile definizione di “bello” o di “brutto”. Come nel profilo del Duce scolpito al Furlo, non giudicabile a partire da queste categorie ma interessante per una riflessione sul valore simbolico del volto, in questo caso del volto di un capo assoluto. Per questo era necessario che il profilo di Mussolini al Furlo si vedesse bene da lontanissimo e, magari, apparisse anche di notte (ma illuminare la natura è molto più difficile che illuminare in città). Il fatto che il Comune di Fermignano voglia restaurare il tutto, e non pensi, ad esempio, a utilizzare pannelli solari, è un chiaro segno di come ormai al fascismo non creda più nessuno, e che questa memoria stia diventando un’attrazione da parco giochi. Forse sembro cinico ma ci sono esempi molto evidenti di questa spettacolarizzazione turistica. Nelle Repubbliche baltiche hanno riunito in una foresta tutte le statue del periodo staliniano, le hanno recintate e ora fanno pagare un biglietto d’ingresso per la visita. Oppure, a Odessa, hanno gettato in mare diverse statue di regime e organizzano visite subacquee per curiosi armati di pinne, bombole e maschere. Un destino colossalmente “irriguardoso”, per una funzione che passa dalla propaganda alla pubblicità. Non è forse normale che tutto ciò avvenga alle porte della Romagna, nella terra dei cento parchi tematici, dove il turismo ha ormai storicizzato il loisir della memoria reinventata?
Oggi ripensare a un luogo del Fascismo come il profilo del Duce al Furlo fa parte pienamente della nostra post-modernità, un ritorno alle radici del modernismo in cui sta anche lo scopo di questo libro. Non solo un passaggio fisico, fra Roma e Riccione, di un duce che inventa l’idea di spiaggia per famiglie ma anche l’inizio del tracollo di una dittatura. “Danzando sull’abisso” non è solo l’atto surreale di un gran galà sull’orlo della guerra ma anche l’illuminazione mancata al profilo del Furlo, la statua di 86 metri per Monte Mario fermata dalle sanzioni, il blocco del grande progetto dell’Esposizione universale di Roma. Un’accelerazione verso la disfatta, nello sgretolamento del colossale.
Note
- Corridonia, l’antica Pausala, viene rinominata da Mussolini nel 1931, in onore dell’amico sindacalista Filippo Corridoni, morto durante la prima guerra mondiale. Nella piazza del Comune marchigiano, Oddo Aliventi realizza il monumento a Corridoni, una scultura in bronzo alta 7 metri, incorniciata dal travertino bianco del palazzo municipale.
- Paolo Nicoloso, Mussolini architetto. Propaganda e paesaggio dell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 2008, p. 117.
- Vedi anche Carlo Melograni, Architettura italiana sotto il fascismo. L’orgoglio della modestia contro la retorica monumentale 1926-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 115-118.
- Paolo Nicoloso, Mussolini architetto, cit., p. 117.
- Sia il Passo del Furlo che Predappio sono indicati tra le escursioni turistiche in programma da Riccione, vedi «Riccione. La stagione d’oro 1939-XVII», numero unico, maggio 1939, p. 19.
- Cfr. Roberto Balzani, La Romagna, Bologna, Il Mulino, 2001, pag. 168-169. Di particolare rilievo l’annessione alla Romagna del Monte Fumaiolo, dove nasce il Tevere, il fiume “sacro” ai destini di Roma e dell’Italia.
- Cesare Radaelli, Iniziando Mussolini alle vie del cielo, Milano, Radaelli, 1933.
- Nel 1926 viene soppresso il Corpo Reale delle Foreste e viene istituita la Milizia Nazionale Forestale che durante il regime si dedicherà all’opera di incremento del patrimonio boschivo. Negli anni Trenta vengono creati i primi parchi nazionali e vengono attuate opere idraulico-forestali in diverse aree del paese.
- Gian Piero Brunetta, Mise en page dei cinegiornali e mise en scene mussoliniana, in Riccardo Redi (a cura di), Cinema italiano sotto il fascismo, Venezia, Marsilio, 1979, p. 169.
- Cfr. Emilio Gentile, Fascismo di pietra, Roma/Bari, Laterza, 2008.