“Post-it” a Paolo Fabbri legge Ebdòmero


Da: Paolo Fabbri legge Ebdòmero. Letteratura e pittura nell’opera di De Chirico, a cura di Tiziana Migliore, Aracne Editrice, Roma, 2008.


Non saprei cosa aggiungere a questo dossier su Ebdòmero. Se l’avessi saputo, d’altronde, l’avrei introdotto nel mio corso; nei contributi degli studenti che lo hanno “perseguito” – seguito e prolungato; nella “refezione” – redazione e scrittura – di Tiziana Migliore, che ne ha reso possibile la pubblicazione.
Preferisco intraprendere una riflessione sull’insegnare e il ricercare: sui nuovi regimi comunicativi e i loro mezzi d’espressione nell’Università. L’accademia, come l’economia, ha i suoi cicli di illusione e delusione: pensare insieme alla situazione attuale è già un modo di com-pensare l’andamento negativo.

1.
Per Freud insegnare è – insieme a guarire e governare – un mestiere impossibile. Poiché il senso è fatto di differenze – almeno per un semiologo – apprendere è far sì che qualcuno prenda le distanze dai propri pre-giudizi, dal suo risaputo; adotti un decentramento critico rispetto a se stesso; si adatti a nuovi oggetti, nuovi soggetti e punti di vista. E deve farlo autonomamente, di propria iniziativa, ma sotto un impulso e una guida. Si tratta del noto il paradosso: “siate liberi!”
Per questo la didattica – disciplina empirica e saggezza pratica – è il campo proprio di vere manovre discorsive. Richiede da parte del docente una certa perizia retorica nell’accettare il rischio dell’esperienza. Esporre è esporsi.
Insegnare è un affare di segni e più precisamente un teatro della parola: se si eccettua il momento silenzioso dell’esame, il discorso insegnante è per lo più verbale: eloquente fino allo sproloquio. Per R. Barthes, il docente è uomo di parola, che tocca all’intellettuale trascrivere; diametralmente opposto allo scrittore che opera nel corpo scritto della lingua.
La parola docente è effimera rispetto alla scrittura, ma è irreversibile ed indelebile – “voce dal sen fuggita…”. È inoltre riassumibile – non è riducibile al suo stile – e quindi trasmissibile; in un contesto regolatore, la classe, può quindi essere ripresa in tutte le accezioni del prefisso “ri-“: dall’inizio, dal mezzo o dalla fine.
Nonostante il suo contesto istituzionale – la norma non sta in quel che il docente dice, ma nel fatto che lo dice; nonostante l’impegno impersonale di obbiettività – oblazione di senso e ablazione dell’enunciazione, una certa originalità resta possibile. Rispetto alla delega “trascendente” che lo traversa, chi insegna non è tenuto a denegare il proprio ruolo, ma a differenziarlo, differirlo, singolarizzarlo.
Questo non può avvenire senza il turno che spetta virtualmente al discente – anche il suo silenzio è implicato nel discorso didattico.
La relazione all’allievo – quello che va elevato, sopra i media e la media – introduce spesso una turbolenza nel “programma”: gli imprevisti della emergenza e della improvvisazione oratoria.
(Se si tiene alla metafora analitica, le posizioni sono invertite – è il docente che parla e il discente che pratica l’ascolto, volentieri fluttuante. Eppure non c’è niente di più “transferenziale” di questa transitività).
A questo proposito, R. Barthes ha praticato l'”entrismo semantico” di una tipologia. Alle figure del Professore- verboso, del Tecnico, non sempre impassibile, del guru, spesso silente, corrisponderebbero i generi discorsivi dell’insegnamento, dell’addestramento e del maternage.
Per chi è allergico al socratismo maieutico e alle sinergie di quei saperi saporiti che passano per via somatica senza mediazioni simboliche, due vie restano aperte e un ruolo “psicosociale” (Deleuze) è possibile.
Non impartire lo stesso corso e non affidarne la novità alla trasmissione di contenuti per definizione dimenticabili. (È permesso ripetersi quanto basta per non ripetersi del tutto). Ripartire invece dalla ricerca per creare una “perizia”, parola che ha la stessa radice di “esperienza” e “pericolo”.

2.
È più arduo imparare a imparare che imparare a ricercare.
Soprattutto quando non si pratica lo storicismo inveterato e invertebrato di certa storia dell’arte. E quando si ha a che fare con Ebdòmero, un vero centone testuale nel senso tecnico del genere: un insieme di frammenti provenienti da autori diversi, un abito verbovisivo di Arlecchino.
Di fronte a questo testo che è stato definito “inclassificabile” e “recalcitrante alle metodologie”, la ricerca non deve confondere l’ineffabile con la mancanza di vocabolario descrittivo. Soprattutto quando è l’autore stesso ad esplicitare nel testo la sua “semiotica connotativa” (v. Prendete un segno, ecc. G. De Chirico).
La ricerca insegna quello che non sa perché scopre via via quello che cerca e non sapeva che mancasse. La didattica è il momento dei lumi, la ricerca è quello dei barlumi, in cui i contenuti si costruiscono insieme col suo connaisseur. Nel corso della ricerca si possono enunciare propositi non ancora provati e insegnare quello che non si sa ancora.
La sola responsabilità è il metodo che non è “creodo”, una via obbligata in un panorama già “striato”. Il ricercatore lavora e inventa; deve costruirsi gli strumenti ad hoc per l’applicazione adeguata al corpus scelto e costruito in funzione del metodo stesso. L’accesso fa parte della significazione – strana idea che sia una impalcatura da togliere, mentre è una scala che non bisogna ritirare!
La ricerca – il lungo corpo a corpo con le articolazioni e le giunture di Ebdòmeros – non è l’esercizio del cogito ma del cogitamus. Un pensare insieme nella diversità dei punti di vista i quali entrano in relazione attraverso gli aggiustamenti di rilevanza d’un metodo comune. (In questo senso ogni ricercatore è relativista:: attivatore di relazioni).
Studenti e insegnanti partecipano quindi alla ricerca in un rapporto – conflittuale e contrattuale – di proposte avanzate e rettificate. Con lo scopo di mandare in prescrizione le ipotesi precedenti, quelle che contavano come prescrizioni di lettura.
(Per questo le citazioni sono rare nel dossier Ebdòmero – per evitare la pubblicità alle idee che considero false o inadeguate). Informazione è, ciberneticamente, rarefazione del senso e non la sua diffusione.
Uno scopo non ultimo. Per R. Barthes, la semiotica doveva mettere in opera tutti i trucchi segnici che impediscono alla disciplina di “cadere nel significato definitivo”. Pensava evidentemente al coordinamento di risultanze molteplici ed aperte nell’esplorazione di quella “x” che sta al centro della parola textum.
La ricerca più innovatrice è quella che crea lacune nel metodo.

3.
R. Barthes diceva di amare, tra tutti gli alberi, la palma, perché i suoi rami non puntano verso l’altro, ma ricadono, come un dono.
La parola docente e la ricerca aperta possono trovare, ed è questo il caso, grazie a Tiziana Migliore, una ricaduta scritta.
Le emergenze verbali e i punti di vista sono moltiplicabili ma la somma è difficile. È vero che “un certo disordine favorisce la sintesi” (Serres), ma il passaggio dalla logosfera alla grafosfera impone selezioni e rinunce.
La scrittura di questo corso sul centone dechirichiano prende il rischio con una perizia più che notevole. (Non è facile esporre in proprio una parola che si anticipa come effetto sugli altri).
Intanto questa “refezione” non è una copia né la replica di un modello: è produttiva e non riproduttiva. Non si limita a passare la parola così come si passa la mano. Anzi: espropria questa parola così come le improprietà dell’ascolto; evita l’io docente a profitto di un noi che comprende il duale, Paolo Fabbri e Tiziana Migliore, e il plurale, le cinque tesine degli studenti ricercatori.
Il dossier Ebdòmero è etimologicamente una spalliera e un sostegno di questo “attante collettivo d’enunciazione”. Un Noi che non è una dilatazione dell’Io, ma un Terzo Incluso che mi permette, ad esempio, di sapere cosa si trovava negli appunti presi durante il corso – sorpreso da quanto è stato davvero appreso. Si parva licet… Mallarmé voleva che i libri fossero turni di conversazione.
Per il moltiplicarsi dei supporti new-tecnologici – e della loro rapida obsolescenza – la scrittura ha perduto molta della sua signoria: la sua permanenza documentaria e il monito della monumentalità.
Ma non del tutto. Il corso scritto di Ebdòmero rinnova il contratto immaginario dell’insegnamento e della ricerca; il vigore performativo, l’illusione efficace di uno scambio creativo e di una reversibilità. Il Terzo Incluso della scrittura è un Terzo Istruito.

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