Da: Alfabeta2, n. 26, febbraio 2013.
La “loquela ti fa manifesto” dice un dannato nell’inferno di Dante. Il manifesto dei New Realists ha un linguaggio altrettanto chiaro: “Il micidiale slogan: l’immaginazione al potere“. Precisiamo che non è il manifesto del Neorealismo pubblicitario, presentato a Locarno nel 2002. È quello pubblicato su Alfabeta2, il 9 settembre 2011, là dove ci mette in guardia dalle “epoche ancora legate al micidiale slogan l’immaginazione al potere“. Micidiale, cioè etimologicamente “omicidiale”, assassina, sarebbe l’immaginazione se e quando miri o vada al il potere. Spero non fosse un’allusione allo slogan francese del Sessantotto, né al suo primo enunciatore, H. Marcuse. A meno che questi non facessero parte, a nostra insaputa, della congerie infestante dei pensatori deboli, relativisti, costruzionisti ed altri accoliti postmoderni, debitamente stigmatizzati dai new realists. I quali parlano il linguaggio hard delle cose in sé e si vorrebbero ontologicamente di sinistra. È vero che il Sessantotto ha praticato la presa relativistica della parola, e non delle cose – salvo qualche esproprio proletario. Però Marcuse, per l’anagrafe, non era proprio un decostruzionista, addict dell’interpretazione illimitata.
D’altra parte il rapporto del reale (old and new), al potere si è meritato il titolo di Realpolitik ed è stato davvero micidiale. Quanti crimini sono stati commessi nel nome suo e del suo sinonimo, la Ragion di stato! Non potrebbe succedere con la (new)Realpolitik? Non basta dare il bentornato al figliol prodigo, il reale e uccidere il vitello grasso del relativismo. Non mancano davvero neo-cons post-realisti per dichiarare la fine della ricreazione e delle merendine postmoderne. E poi se ci ritornasse anche il neorealismo socialista dovremmo proprio dargli il bentornato?
Insomma un dubbio o un fraintendimento resta: perché l’Immaginazione al Potere sarebbe criminale? Segnato come semiologo e non rassegnato ai negazionisti, provo rileggere parola per parola: 1. Immaginazione; 2. Potere; 3. A. Est modus in verbis e non solo in rebus.
Cominciamo dall’Immaginazione. È la facoltà che vorrebbe qualcosa di nuovo sotto il sole (non new-, non reality!). Una fabulazione creatrice di intuizioni globali e di concetti generali, senza niente di pretestuoso e di vago. L’immaginazione ha le sue regole narrative e logiche ma non si limita alle inferenze nei mondi possibili: vuol interferire in mondi reali, con concetti e immagini attrattivi e repulsivi. Mondi in cui vige tutta la realtà, ma non solo e niente altro che la realtà già data e scontata. Anche la virtualità non le basta; l’immaginazione è “costruttivista”: per Deleuze mette insieme il relativo e l’assoluto per giungere alla trasformazione dei punti di vista con cui i puristi del reale percepiscono le cose “là fuori”. Non sente quindi il senso di frustrazione che coglie quanti identificano la realtà con l’impossibile, con la resistenza invalicabile. Poiesis, orientata verso l’attualizzazione e la realizzazione di concetti, percetti e affetti, l’Immaginazione deve anticipare i rischi e le precauzioni per non diventare micidiale. E poiché oggi sono in pochi a fare a meno della filosofia, diciamo che mentre la ragione e l’intelletto tracciano e danno consistenza ai piani concettuali, l’Immaginazione crea i personaggi che vi abitano: l’Angelus Novus di Benjamin, l’Archivista di Foucault, lo Schizo di Deleuze e Guattari, il Soggetto Enunciante di Benveniste. Tutti utili per porre le giuste domande all’odierna Realtà Aumentata, ibridata di nuove tecnologie, nuovi significati e valori.
Il Potere adesso. Con una premessa: di lmmaginazione ce ne vuole dove manca: anche per il sapere, il volere e il dovere, cioè per ia cognizione, il desiderio e le regole. Ma restiamo al potere nella sua doppia accezione di probabilità e di forza. L’immaginazione non cerca l’aleatorio, vuole il possibile e il compossibile, “se no si soffoca” (Deleuze); con le sue ipotesi mira ad ipotecare il futuro. Non ha solo bisogno di forme, di rappresentazioni salienti, ma di forze pregnanti e performative. Per trasformare i punti di vista inveterati con cui percepiamo le cose, l’immaginazione vuol comprendere come i poteri si esercitano, come operano tra loro i diversi rapporti di forza. Poteri molteplici quindi – non il Potere al singolare – che sono trasformatori sì, ma non micidiali: la violenza nell’applicazione delle forze, è concomitante, non costitutiva. Bisogna prima cogliere il reale sul Fatto per passare a vie di Fatto.
A, infine: è la relazione che mette in tensione e in moto Immaginazioni e Poteri. Non è un rapporto statico di appartenenza, è un processo. L’immaginazione non vuole stare al potere, vuol guardarlo con altri occhi e trasformarne l’esercizio: per esempio, il controllo attraverso il segreto, più arduo a riconoscere dell’inconscio stesso. In questo senso l’immaginazione è (Con)formicida di opinioni scontate e concetti zombi. Senza rapporto ai poteri la res latina, diventerebbe, com’è accaduto in francese, rien, cioè niente.