Da: Alfabeta2, n. 24, novembre 2012.
La letteratura, dicono in tanti, abita solo mondi possibili; il mondo reale può solo rifletterlo, rispecchiarlo, oppure rifrangerlo, travisarlo. Strana idea! Eppure le lettere e i letterati fanno parte integrante del mondo reale di cui traducono a modo loro le esperienze. Basta guardare ai premi letterari – ai criteri di scelta dei Nobel – e alle statistiche di vendita che circolano in rete e nei supplementi di stampa. Anche la critica letteraria, in tempi di crisi, dovrebbe rivendicare senza vergogna la condivisa etimologia, che è “valutare e giudicare“. Se la crisi ci fa metter giudizio, quello critico potrebbe servire. Dipende dalla critica naturalmente. Non quella che Barthes chiamava “epitetica”, specializzata nella selezione di aggettivi, per decorare rapide interviste d’autore: neppure quella “parametrica” – sempre Barthes – alla ricerca di metodi scelti in funzione dei prodotti dall’industria editoriale. Né quella “tautologica” cioè socio-storica: per cui tutto quel che è letterale è tale perché tali sono le condizioni o i contesti – finché non cambiano, naturalmente.
Pensiamo piuttosto alla critica tipologica, che sceglie con cura i bei tipi o i tipacci con cui classificare e interdefinire i personaggi della realtà/finzione politica. Individui tutt’altro che immaginari; soggetti così iperreali da risultare poco credibili. Un progetto tassonomico ci vuole per “fare chiarezza” nella congerie di pubblici e privati malandrini che i media offrono oggi, alla rinfusa, alla nostra sorpresa: “Non credevo, corrotti fino a questo punto, ecc.!“. Ebbene, gli studi tipologici del romanzo e i copioni della Commedia dell’Arte non sono avari di modelli. È il caso della cricca metalinguistica formata dal Furfante, dallo Sciocco, dal Buffone e infine dal Furbo. Dramatis personae maschili e/o femminili, o ruoli attanziali – semioticus dixit – che abitano mondi reali dove convivono con noi, cioè coi loro Babbei (dalla base onom. babb– col suff. spreg. béo).
Il Furfante lo conosciamo d’esperienza e non ha bisogno di ulteriori esplicitazioni: dall’antico francese fors-faire – è uno che la fa sempre fuori: dalle norme e dalle regole. Se fate la legge, lui gabba lo stato. Una norma per lui è solo lo spostamento dell’illegalismo. Invito i lettori a non perdere tempo a riempire con nomi propri questa casella: si finisce per perdere il conto o per smettere di leggere. Passiamo allo Sciocco – quello che non ricorda, non c’era, non sa chi paga l’affitto di casa o la escort, non controlla, non trova le ricevute, ecc.; è spesso il figlio o parente di veri Furfanti, ed è quello che si fa sorprendere e prendere. Ben gli sta! Poi viene il temibile Buffone, che è il Furfante con la maschera dello Sciocco: maschera più o meno aggiustata, dietro alla quale fa capolino a piede libero, ma persino dalle laiche galere, dai clericali conventi, dalle benestanti residenze coatte, “domiciliari”. Lui ruba a man salva e con un certo qual rispetto: comincia spesso da pensionati, e bambini. Sta bene persino in cella, dove altri spifferano oppure si sopprimono. Piace anche ai media, ma mi raccomando: con questo tipo di Buffone c’è poco da ridere! È lui che sogghigna di noi.
Ultimo viene il Furbo. Non il Furbetto, che è uno Sciocco travestito da Furfante. Proprio il Furbo, quello che non ha mai pagato il dazio e prende tutti per Babbei; tutti noi s’intende, ma persino i Furfanti, mascherati e smascherati. Lo conosciamo bene, ma non c’è progetto politico che lo possa rottamare, inchiesta giudiziaria né legge anticorruzione che riuscirà ad incastrarlo; lui morirà nel suo letto senza insudiciare le nostre celle, già affollatissime di Furfanti, Sciocchi, Buffoni e Babbei.
Tutti in attesa del prossimo, inevitabile indulto.