Da: AA.VV., Forme della Testualità. Teoria, modelli, storia e prospettive, a cura di P. Bertetti e G. Manetti, Idea & Immagine, Torino 2001.
Una prima versione di questo testo è apparsa in AA.VV., Paul Klee, figure e metamorfosi, a cura di Marilena Pasquali, Catalogo della mostra presso il Museo Morandi (Bologna 2001), Mazzotta Editore, Milano 2001.
Je trône dans l’azur comme un sphinx incompris
(Baudelaire, “La Beauté”, Les Fleurs du Mal)
1.
“Una stupefacente unione di radiosa trasparenza e magistrale semplicità con una multiforme elaborazione permette a Klee, pittore e poeta, […] un’armoniosa combinazione di procedimenti vari e originali.” È il giudizio di R. Jakobson a conclusione dell’analisi d’una poesia inclusa nei Diari di P. Klee, un ottastico del 1903. Il metodo semiotico marca la “dialettica della perspicuità artistica di Klee, il suo acuto senso delle correlazioni di dinamico e statico, di chiaro e di scuro, di intensivo ed estensivo, di concetti grammaticali e geometrici e infine di norma e di superamento della norma.” È l’analisi semantica e grammaticale, applicata all’arte verbale di altri poeti-pittori come Blake e il doganiere Rousseau, a rivelare la “profondità e monumentalità della miniatura verbale”, del poema di Klee.
Pittura e poesia non sono i soli linguaggi in cui si è espresso Klee, che fu anche musicista, naturalista e filosofo. Queste ultime qualità hanno destato minore attenzione. Con qualche eccezione – come W. Benjamin e N. Goodman per cui un’immagine di Klee era la miglior dimostrazione dei problemi teorici della prospettiva, o come A. Gehlen per cui Klee realizza e culmina a suo modo le tendenze fenomenologiche della Gestatlpsychologie1 – i filosofi non riconoscono alla pittura di esprimere proposizioni speculative. Quanto alla scienza essa rispetta fin troppo l’arte. E. Wind, che rimpiangeva l’intangibile isolamento in cui sono lasciati gli artisti – “non bisogna turbare né distrarre il loro genio e così sono costretti ad imparare tutto da soli” – notava come gli scienziati che mostravano a Klee preparati di sezioni di vegetali e tessuti morti e vivi, non sfruttassero la curiosità che lo spingeva verso i pozzi misteriosi dei microscopi e le tavole delle collezioni di fossili. La mano sensibile di Klee avrebbe potuto esercitarsi a vantaggio delle discipline scientifiche anziché lasciar tracce del suo gusto scientifico nei soli disegni fantastici!
Ma la vocazione fondamentale di Klee era la costruzione mitica, esposta nella diversità, dei linguaggi espressivi. Non per “trastullarsi con quelle immagini nel solo campo della fantasia”, come crede l’iconologo e neppure per un razionalismo primitivista2, ma per costruire, coi mezzi della lingua e del mondo naturale, un universo semantico e concettuale coerente. Spazi, forme e colori, scritture verbali o musicali costituiscono, con i loro richiami e contrasti, il piano espressivo di un senso profondo e complesso. Qui si apprende – dice Klee – a “organizzare il movimento in relazioni logiche”, qui si riconosce “il flusso sotterraneo” che costituisce “la preistoria del visibile” (die Vorgeschichte des Sichtbaren). L’intelligibilità non è data soltanto dagli elementi nominabili e dalla raffinata titolazione. Come hanno osservato i semiologi, il linguaggio plastico è già direttamente significante, prima del riconoscimento figurativo e al di là delle parentele “naturali” tra gli oggetti del mondo; il gioco delle componenti formali (topologiche, eidetiche, cromatiche) comporta già una significazione più profonda e più astratta (Greimas, Fabbri, Corrain-Fabbri). Resta da raccogliere la sfida della descrizione analitica, tanto più ardua che l’istanza di sostanza visiva ci è meno agevole di quella linguistica.
Chi conosce l’estro espressivo e l’acribia concettuale con cui Klee ha costruito un proprio linguaggio, non può limitarsi ad una apprensione immediata e corsiva, ma è tenuto ad una lettura degli elementi e della loro sintassi. Naturalmente è possibile affidarsi all’immaginario, al dizionario d’immagini dello stesso Klee il quale, a differenza d’altri artisti, non è stato avaro di indicazioni3. Resta tuttavia il problema della sintassi, cioè della messa in correlazione degli elementi all’interno della singola opera o gruppo di opere e della molteplicità dei sensi che consente e sfrutta la percezione simultanea della superfice planare.
Per questo, le migliori letture sono quelle che hanno esplicitato, per quanto possibile, la sottigliezza e la grazia dei dispositivi che costuiscono la “maniera” di Paul Klee. E che hanno potuto reperire non l’unicità ma la molteplicità di senso, non una generica ambiguità o reversibilità, ma la rigorosa ed esplicita stratificazione dei significati4.
Penso ad es. all’esegesi di Uguale a infinito (Gleich Unendlich, 1932) con cui H. Damisch, mostra progressivamente come l'”otto orizzontale” – chiave di violino e segno d’infinito – tracciato su di uno sfondo divisionista, raffiguri il progetto, musicale e matematico, di una genesi strutturata della forma.
O all’analisi di Lampo fisiognomico (Phisiognomischer Bliz, 1927) che P. Boulez considera “il simbolo stesso del pensiero e dell’immaginazione di Klee”, e comparabile nelle procedure al Wozzeck di A. Berg. In quest’opera il senso è dato dalla rappresentazione di forze in azione e deformazione reciproca. Sono gli incontri, antagonismi e congiuzioni astratte tra elementi geometrici primi, come le rette e i cerchi; è la linea spezzata che passa per un circolo e prende, grazie alla denominazione, il valore figurativo di “lampo che attraversa un viso”.
In direzione esplicitamente semiotica si muove l’analisi di G. Manacorda che si pone “i rapporti o equivalenze intersemiotiche […] tra i due sistemi di segni […] iconici e verbali” per dimostrare, in un’ottica jakobsoniana, che in Klee “i testi verbali non sono strutturalmente diversi dai testi pittorici e grafici”. Data la caratteristica iconizzante del linguaggio poetico, ottenuto colla negazione della temporalità e della linearità, l’analisi porta non solo sulle procedure linguistiche ma su quelle “proprie al linguaggio poetico e per questo replicabili nell’ordine del linguaggio pittorico”. Un piccolo poema, Motto, presenterebbe isomorfismi di codice che permettono al critico di inferire non delle massime di traduzione intersemiotica verbo-visiva, ma un vero e prorio “ipercodice”, una identità codica invariante, responsabile ad es. dell’effetto stilistico di “mistero” della pittura di Klee. La stessa morfologia, una scacchiera o matrice spaziale, sottopposta alla regole di sintassi – spostamento, rotazione e specularità – sarebbe all’opera nelle immagini e nei poemi di Klee5.
Ma la lettura semiotica esemplare è per noi, quella di F. Thurlemann, Mito dei fiori (Blumen-Mythos, 1918), dove gli aspetti mito-poetici dell’attività di Klee sono esattamente rilevati e svolti. Redatto l’inventario degli elementi di superficie sulla base di categorie formali (curvo vs diritto; spigoloso vsarrotondato, ecc.), il semiologo li ha poi correlati a categorie astratte di significato (animato vsinanimato; celeste vs terrestre, ecc.). E scopre una struttura mitico-simbolica in cui la congiunzione sessuata e quella delle forze naturali stanno in parallelo, “rimano” in modo simile alla poesia. Se il mito è, come vedremo, un modo immaginario di risolvere contraddizioni reali, allora per Thurlemann “la pittura (di Klee) nello spazio di alcuni decimetri quadri, è in grado di darci l’illusione di un mondo nuovo, dove tutte le contraddizioni appaiono risolte”6.
2.
Ci proponiamo, proseguendo questo gesto, la lettura di un acquarello su garza e carta, di 20 per 19,5 cm.: Sphinxartig (Come una Sfinge, 1919). Una lettura semiotica, quindi lenta e meditata, su due piani: quello (i) plastico delle forme, dei colori e delle forze e quello (ii) iconico delle denominazioni e delle figurazioni. Terremo conto delle categorie teoriche elaborate da Klee, del suo lessico iconologico e del dispositivo testuale specifico a quest’opera.
Insisteremo sulla differenza tra morfologia e sintassi. Per Klee “la forma statica è un maligno, pericoloso fantasma”. Ogni buona forma rappresenta per lui delle forze in formazione, genesi e divenire: “La struttura è un ritmo di particelle” (TFF, 69). Il sistema dei colori ad es. era per il Bauhaus una composizione di energie che attraversava l’universo e l’uomo; il quadro ne era il diagramma di cattura e d’iscrizione. Quanto ai quadri di Klee, sono essi stessi processi vitali scanditi da ritmi intensivi. Nessuno meglio di lui merita il nome che Platone dava a coloro che col disegno e col colore creavano la vita: zoographos.
Il Plastico
1. Topologia
Sappiamo che per Klee “il contorno aveva come funzione di imbrigliare e contenere gli sfuggenti impressionismi” (Diario, 1911, fs. 893). Una forma e una forza. In tal senso va vista la “nicchia” scura che circonda la configurazione, che ne viene inquadrata e focalizzata, con un effetto di profondità accentuato dalla “voluta a chiocciola” sulla destra. Con l’eccezione del segmento a destra in basso che, proprio in opposizione alle delimitazioni opposte e contigue, lascia un effetto di apertura e di appiattimento.
Il Centro geometrico della composizione è collocato sulla base del triangolo di destra, quello il cui lato superiore sinistro prolunga la diagonale che divide in due lo spazio del dipinto, all’incrocio del lato inferiore e più breve del rettangolo colorato di verde. Conoscendo il proposito di Klee – il centro è “la norma d”irradiazione” (TFF, 106) e “logos di disseminazione” (TFF, 219) – ecco il luogo rispetto al quale tutti gli elementi si trovano definiti e sensibilmente sfalsati.
Per comodità espositiva divideremo poi il dipinto in Verticale e in Orizzontale.
In Verticale notiamo tre fasce parallele (i) composte di due triangoli simmetrici; (ii) un rettangolo con configurazioni geometriche, ai cui lati troviamo due volute di eguale cromatismo; (iii) una fascia con due elementi arrotondati e a contatto (ad “otto”), ciascuna con un punto centrale e segmenti raggiati. La parte alta del dipinto dà in vasto effetto d’apertura.
In Orizzontale, l’acquerello si lascia dividere in due parti quasi simmetriche la cui linea di divisione attraversa il centro del formante ad “otto”. Ciascuna della parti è caratterizzata da tratti spaziali, eidetici e cromatici che introducono una dissimmetria a favore della parte destra, la quale risulta più aperta e spaziosa, perché ampliata nei volumi, per lo spostamento verso l’alto della voluta e la mancanza del bordo di delimitazione.
Va osservato che, sempre sulla dimensione orizzontale, le opposizioni prendono un valore dinamico, da sinistra a destra, nel senso abituale della lettura tipografica.
In questo senso ci portano i due doppi triangoli, topologicamente prossimi al centro della composizione per la maggior taglia o l’orientamento appuntito del triangolo di destra.
Lo stesso puo dirsi per la configurazione rettangolare sottostante, suddivisa in due bande e che presenta un’articolazione spezzettata. Per Klee, queste formazioni strutturali alternate non rappresentavano solo interferenze statiche (“membri intermedi ottenuti mediante sovrapposizioni o compenetrazioni strutturali”), ma veri e propri ritmi, cioè processi cadenzati. (TFF, 195 e segg.). C. Greenberg ha visto esattamente che il disegno in Klee è temporale e che va descritto da verbi e più precisamente, diremmo noi, dall’aspetto dei verbi. In ogni caso, il carattere più fitto delle divisioni a sinistra scandisce la lettura verso la maggiore rarefazione della destra. Anche le volute, marcate dal parallelismo cromatico, ci conducono fino al bordo scuro contro cui la “chiocciola” si ripiega, interrompendolo e introducendo un effetto di profondità del dipinto. Sappiamo che una leggera asimmetria, – che predomina anche nel mondo organico – era la tattica “plastica” di Klee per infondere vita alle immagini.
Più sotto, troviamo il dispositivo “a otto”. Nei termini di Klee “un cerchio duplice, ovvero un cerchio incrociato e bipartito”, il cui centro motorio “domina i due cicli contrapposti”. È un formante figurativo che ha valori semantici diversi nelle sue opere: ricciolo, la chiocciola di violino o la sua impugnatura, orecchio, bocca, colletto, ansa di vasi, pianta, pesce, serpente e così via. Come ha visto Damisch, è il segno matematico dell’infinito. Ma a livello plastico, è un ciclo a valore tensivo perché “consiste in un’alternanza di condensazione e rilassamento, dilatazione e concentrazione”. Può quindi rinviare a valori semantici quali degenerazione, rigenerazione, degenerazione e così via (TFF, 107). Il formante “a otto” si trova sulla stessa linea della intersezione dei triangoli sovrastanti. All’interno dei “cicli”, due punti centrati e allineati da una stessa retta sono intersecati da tre linee che modulano l’effetto circolatorio: rotazione e movimento. Quel che Klee chiama il “decorso continuo”.
Suddividendo poi la composizione in Parti, la Sinistra manifesta una disposizione plastica ad orientamento prevalentement Orizzontale, per la direzione delle penellate sullo sfondo e per i contorni neri della voluta di sinistra, così come per la linea che prolunga il bordo inferiore dell’occhio fino al margine. La Parte Destra è marcata per contro dal senso della Verticalità, per la linea che collega un dei formanti circolari dell’Otto con le sfaccettature soprastanti e per le linee che intersecano la voluta spostata, rispetto all’altra, verso l’alto. L’insieme intende ottenere un'”ininterrotta forma mobile”.
2. Cromatismo
È la dimensione plastica meno frequentata della semiotica visiva: per contro essa gioca nella teoria generale di Klee un ruolo molto articolato sul piano del significante come a livello passionale7. In Sphynxartig il colore è distribuito in modo complesso e sottile. È steso in maniera uniforme nella campitura o per pennellate orizzontali nella parte superiore, con un effetto di sfondo; alterna invece continuità e frammentazione nella parte centrale dove si trova più spesso delimitato dalle linee.
2.1.
Sappiamo che per Klee, l’articolazione tra chiaro e scuro precede quella propriamente cromatica, la quale è, goethianamente, effetto di un incrocio attivo della luce e dell’ombra, ottenuto attraverso la pigmentazione (“Le tonalità! L’anticamera del paradiso dei colori”). Bianco e nero, reversibili e correlati, occupano dunque la colonna centrale del suo noto modello. Il piano cromatico è concepito secondo una dinamica olistica, come un moto rotatorio in cui si giustappongono i tre colori fondamentali: giallo, rosso e blu. Al centro, la mescolanza dei colori forma il grigio. Risultano così definiti anche gli sposamenti possibili sul “solido” della rappresentazione: alto-basso, sinistra-destra; davanti-dietro.
Sopra verso il bianco |
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Dietro verso il viola e il rosso |
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A sinistra verso l’azzurro |
Centro grigio |
A destra verso l’arancione |
Davanti verso il verde e il giallo |
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Sotto verso il nero |
Di particolare interesse, per l’esplicita scelta di Klee, è l’opposizione tra il nero della “macchia” in basso a destra e il grigio di quella centrata in alto. Sappiamo che il disegnatore teorico dovrebbe “rendere la luce coi movimenti di colori come espressione d’energia” (Diari, 885). Qui la “progressione dei valori chiaroscurali” (TFF, 339), che dinamizza l’opposizione e orienta lo sguardo in verticale dal nero al grigio, cioè dal basso verso l’alto, attraverso la mediazione geometrica delle cuspidi dei triangoli e l’orientamento delle linee.
Per contro, la forma ad Otto conduce orizzontalmente dal chiaro a sinistra verso lo scuro a destra (“tutto ciò appartiene all’ambito ponderale, si tratta dei movimenti dal chiaro verso lo scuro” TFF, 111). Sappiamo che, per Klee, il movimento /scuro/ vs /grigio/ corrisponde sul piano semantico ad uno spostamento dalla certezza-lo scuro all’incertezza-il grigio (TFF, 306). Le opposizioni e gli spostamenti tonali corrispondono quindi a categorie e a percorsi sul piano cognitivo. In particolare su quello che per i semiologi è la modalità epistemica: il certo e l’incerto.
Riassumiamo: sul piano Orizzontale il moto da sinistra destra va da una determinazione all’indeterminazione, dalla chiusura all’apertura, “dall’unità del caso e della necessità ad un calcolo senza fine” (Damish). Sul piano Verticale, orientato dal basso verso l’alto, la tensione va dalla sicurezza all’improbabilità.
2.2.
Per quanto riguarda la tavolozza cromatica di Sphinxartig i quattro colori fondamentali presenti sono articolati in tonalità cromatiche, da “leggere” come spostamenti verso gli altri colori e verso il chiaro (bianco) e lo scuro (nero).
Il rosso mattone è tonalità di rosso spostata verso il giallo e oscurata; il verde è spostato verso il giallo e oscurato. L’azzurro, nella sfumatura color glicine, è ottenuto con lo spostamento del blu verso il rosso, poi verso il bianco. Il giallo, la tonalità più differenziata, corrisponde al giallo fondmentale, talora oscurata (zona ocra) o schiarita, come nella fascia di sfondo. L’effetto generale d’illuminazione – con rosso e verde spostati verso il giallo e scuro e l’azzurro verso il rosso e il chiaro – produce l’effetto di senso dorato e caldo di un paesaggio “orientale”, effetto su cui torneremo in seguito.
Sul piano topologico dunque la distribuzione delle estensioni cromatiche offre una dissimmetria (quindi un vettore) tra parte destra e sinistra che è ridondante rispetto al dispositivo eidetico. Per quanto concerne l’opposizione Figura/Sfondo: (i) a Sinistra abbiamo una maggior articolazione cromatica del Sfondo, mentre alla Destra le fasce di colore si fondono in una tonalità neutra omogenea; (ii) nella Figura l’effetto di maggiore uniformità si trova a Sinistra, – il primo l’ovale dell’Otto è dipinto nella stessa tonalità e il primo Triangolo è in tre colori – mentre a Destra i settori dell’altra figura ovale sono di colore diverso e il secondo Triangolo è dipinto in quattro colori.
Un ruolo particolare è affidato alle “macchie”, nera, grigia e gialla, non delimitate da bordi e i cui formati, ad eccezione – come vedremo poi – della macchia grigia, non sono facili da semantizzare. Mentre sono difficili da definire rispetto all’opposizione Forma/Sfondo, sul piano cromatico è possibile correlare la “macchia” nera a destra con quella gialla a sinistra, in quanto opposte categorialmente alla luminosità. Nella concezione di Klee infatti, il giallo è il colore più luminoso dopo il bianco, mentre l’azzurro -viola è il meno luminoso dopo il nero. Si può ipotizzare che la “zona” gialla – a sinistra della macchia nera – e di tonalità omologa alla macchia sinistra, produca un effetto di “rima”, cioè un collegamento tensivo tra gli spazi di Sinistra e di Destra, secondo il nostro orientamento abituale del leggere. Facendo perno poi sul nero siamo orientati- come abbiamo visto – verso l’alto attraverso la mediazione delle linee verticali e delle cuspidi dei triangoli. In Orizzontale dunque l’orientamento dinamico è suggerito da macchie, cioè da “colori senza contorno”, in Verticale da linee, definibili come “contorni senza colore”. Sappiamo che Klee non ha mai abbandonato la stuttura topologica per il colore “libero”, com’è poi accaduto in molta arte astratta. Il movimento enunciativo sembra comuque suggerito da tratti aperti, rarefatti, veri e propri elementi deittici con cui l’informatore iscritto nel testo conduce lo sguardo osservatore. Tra questi è importante sottolineare, oltre al ruolo oppositivo e categoriale delle tinte, quello graduale e tensivo con il movimento correlativo d’intensificazione e d’evanescenza. Si pensi ad es; al passaggio dal nero al grigio che è, per esplicito intento del pittore, il punto intermedio tra l’apparire e il dissolversi. Tanto più significativo per quanto stiamo per dire in seguito, che Klee ha sempre perseguito l’idea di una correlazione del movimenti plastici con i moti timici e patemici, con una caratterizzazione che chiameremmo “semi-simbolica”. Per quanto obbiettivate e “dividuali”, le emozioni in Klee restano “dualistiche e tese antiteticamente”, come osserva Gehlen. Come il “decorso spezzato” verso il basso è correlato ad un senso di oppressione ed impotenza, il dirigersi verso l’alto del punto di vista (dal nero al grigio appunto) è correlato all’agio di un “accresciuto benessere”. Ma il sentimento di una ascesa conduce l’osservatore verso un punto d’indecidibilità cromatica, l’isolata macchia grigia e ampliarsi dello sguardo si mescola al pathos d’uno fading dell’intensità.
“È una traiettoria – direbbe Klee – che si può definire un’Erlebnis” (TFF, 308).
L’iconico
Le Sfingi: “Noi esaliamo suoni misteriosi, voi date loro un senso concreto”
(Faust)
Colta come figura nominabile del mondo, la sagoma complessiva del nstro disegno potrebbe ricordare un violino visto di profilo, con l’impugnatura a destra, nella parte a voluta detta “a riccio” o “a chiocciola”, importante motivo del lessico di Klee8.
Oppure un veicolo sbilenco, un carro con ruote irregolari. La lingua non sembra all’altezza della ricchezza dello suardo
Ma il titolo, Sphinxartig, ci orienta altrimenti.
Sappiamo che dare un nome non è solo categorizzare; è stabilire relazioni tra oggetti o persone e se stessi. Ed è noto inoltre il ruolo speculativo e poetico dei titoli di Klee. Per lui la parola “ha il compito di completare e precisare le impressioni […] suscitate dai miei quadri”. E si tratta spesso di perifrasi allusive che colgono con esattezza il carattere di “prima volta” dell’impressione. Di qui l’importanza e la difficoltà di tradurli. In questo caso, Come una sfinge è accettabile, ma il significato di artig(conformità, garbo) è più sottile. Sfinge-conforme o Sfingiforme sarebbe più appropriato e rispetterebbe lo humour malizioso di Klee, la sua arguzia argomentativa, “prezioso fiore dell’ironia romantica” (Wind).
Quello che più ci interessa è l’indicazione della Sfinge, figura della domanda e della conoscenza. L’introduzione del piano verbale, la denominazione modalizzata, traspone i sensi astratti veicolati dai tratti plastici sul piano Figurativo, permette quindi il passaggio dalla dimensione iconica a quella icastica. Siamo condotti a riconoscere il ritratto, accentuato dagli effetti di profondità, di una figura composita; prende forma la “fiera diversa”, la Sfinge.
Vedremo in seguito le ragioni o le passioni di questa denominazione. Ricordiamo intanto che Klee usa spesso di indicazioni antropomorfe, reali o fantastiche. Tra queste ultime troviamo, oltre alla nota serie degli angeli, diavoli, arlecchini, geni, gnomi, sacerdotesse estatiche, diversi tipi di streghe e la serie di Urchs, animale magico-fantastico9. Sono rare le Sfingi, che però ritroviamo ad es. in Katastrophe der Sphinx,1937, accompagnata dalla linea spezzata che segnala, in Klee, la “grande tensione che scandisce il carattere drammatico” (TFF, 691).
Fatto o facezia, la figurazione sfingiforme si lascia dividere un due parti: quella che ci fa faccia e fronte, imperniata sugli occhi e il complesso copricapo10; quest’ultimo è diviso a sua volta in un diadema11 con strane tese, sormontato da due calotte triangolari, separate da un pennacchio.
Chiameremo Marionetta la faccia con copricapo, con l’esclusione della calotta triangolare, la quale merita un esame a parte.
La Marionetta
…i quadri figurativi ci considerano
(Klee)
Di primo acchito, l’indicazione antropomorfa sottolinea il punto di vista: la frontalità. Rivolti verso lo spettatore, gli occhi permettono di riconoscere una testa “sfingiforme” che ci osserva12. Per le caratteristiche plastiche che abbiamo accennato, questi occhi spalancati irradiano dal loro centro, contrastano la circolazione reversibile “ad otto” della linea ed accennano sul piano orizzontale una rotazione orientata da sinistra al destra. Chiedono il nostro sguardo e lo conducono verso la “macchia” scura da cui, con un movimento verticale, dovremmo orientarci verso l’alto, verso la “macchia” grigia e arrotondata. “L’occhio segue i tracciati che gli sono stati approntati dall’opera”, diceva Klee nel suo rinomato discorso di Jena.
Ma perché la Sfinge? E perché il mostro favoloso ha un aspetto ludico ed infantile? È una sfinge artig, garbata? Bisogna fare i conti con la modulazione satirica di Klee che rende reversibile il più profondo dei propositi. “Sono tutto, satira. Mi ci dissolverò totalmente? Provvisoriamente forma il mio solo articolo di fede” (Diari, 1901). La sua Sfinge si avanza mascherata dall’antifrasi ironica, ma “i quadri di Klee contengono sempre un indizio, un accenno alla vita umana o al destino” (Grohmann). E hanno un modo molto preciso di sembrar vaghi.
Sembra quindi una Marionetta, una di quelle che Klee amava fabbricare per costruirci storie fantastiche. Il severo copricapo reale della Sfinge egizia – un cappuccio con due appendici che scendono fino al petto e un diadema, l’ureo, sulla fronte – diventa una buffa acconciatura da burattino. O un cappello da fool, il buffone che sta accanto al potere per far ridere la verità.
Inoltre, il rettangolo compreso tra le due volute – e ad esse opposto formalmente – è identico per forma e rapporto fisiognomico al diadema di cui è insignito ad es. Il principe nero, un noto acquerello del 1927.
Sappiamo inoltre che è frequente in Klee la collocazione di formanti figurativi all’altezza del capo, i quali, per sovrapposizione o inclusione, rappresentano un pensiero, un sogno, una fantasia (come l’Innamorato del 1923 o Un ramo di pazzia, 1921, Hat einen vogel). Ora, sul capo della nostra immagine troviamo un doppio triangolo, un motivo ricorrente in Klee, come ad es. nel Monsieur Perlen-Schwein, del 1925 o nel Ritratto di un erudito (1930). Che senso attribuire a quei due triangoli tra cui cade il centro geometrico della composizione? Troveremo qui il segreto della denominazione: la Sfinge?
Le Piramidi
Le Sfingi: “Definisci te stesso: ecco già un enigma”
(Faust)
Ci soccorrono tre formanti figurativi: il “ciuffo” verticale tra i due triangoli; le sei linee, tre per ogni triangolo, che puntano verso l’alto e la “macchia” grigia arrotondata che risulta inclusa nell’ideale prolungamento delle linee interne, le più lunghe tra quelle che partono dai vertici di ciascun triangolo13.
Ipotizziamo che si tratti di formanti plastici che possono valere per i pittogrammi seguenti: Piramidi, Palma e Luna. Un paesaggio d’Oriente che rammenta l’esperienza del viaggio nordafricano di Klee nel 1914, ma sopratutto l’isotopia, direbbero i semiologi, cioè una lettura coerente al titolo: la Sfinge.
Per i significanti è facile una commutazione con i paesaggi o i giardini lunari di Klee e la Composizione cosmica dello stesso anno (1919), per quel che riguarda il significato il percorso è assai più complesso.
Sappiamo dai Diari che, l’anno prima alla catastrofica fine della guerra, il pittore si trovava nei pressi di Monaco, sotto le armi dell’aeronautica tedesca. Per quanto il servizio militare gli sembrasse un “mite inferno” e la guerra un “astratto con ricordi”, fu molto turbato dalla tragica fine del conflitto e dalla morte degli amici August Macke, con cui aveva viaggiato in Tunisia, e Franz Marc, carattere faustiano che “l’evoluzione del nostro tempo opprimeva”; “sempre dubbioso, si domanda è vero? Vede dovunque l’errore. Non ha la calma fiducia della fede”. (Klee F., Vita e opera di P. Klee, “Guerra e catastrofe”). Nel frammento 1121, il 28.5. 1918 egli scrive: “La sera ero sdraiato sul campo di aviazione con Goethe”. Un indizio prezioso14.
Nella parte seconda, atto secondo del Faust incontriamo le Sfingi. Nella Notte classica di Valpurga, attirate dal sangue versato, esse convergono con altri personaggi della saga ellenica, sul campo della battaglia di Farsaglia, là dove “il mondo sa chi vinse”15. Al lume della “luna limpida e chiara, [che] sale nel cielo versando su tutte le cose la sua luce mite”, scende dall’alto una sfera che contiene un Aeronauta, l’Homunculus. Allora giungono le Sfingi, regolatrici millenarie dei giorni lunari e solari. Ecco il loro canto:
Davanti alle piramidi allungate
Dei mortali ci sfiora il pianto e il riso.
Crollano i regni, sta la Sfinge e medita
Immoto il viso.
Se accettiamo la fonte goethiana, con la sua esatta corrispondenza – la guerra, l’Aeronauta, la Sfinge e le Piramidi, – ecco un senso conforme (artig?) al paesaggio che occupa la metà superiore del quadro: Piramide, Palma e Luna. Il viso immoto della Sfinge davanti alle Piramidi: un mitema dell’iconologia fantastica che si è costruito P. Klee. Un pensiero figurativo, una grottesca nel suo grande affresco mentale.
Ma i formanti triangolari possono valere anche per altri sensi, e così le rette che ne prolungano le linee di intersezione e il “ciuffo” centrale che abbiamo interpretato come Palma. Dato che per Klee gli elementi hanno funzione dinamica e le forme valgono come forze, secondo alcune proposizioni della Teoria della forma e della figurazione16 le rette qualificherebbero un moto ascendente e il ciuffo un orientamento discendente. Per contro i lati esterni dei trangoli convergono verso un punto “vuoto” compreso tra le due rette interne, cielo vuoto che accentua l’altezza della Luna. Come abbiamo visto è un moto che si correla ad un tratto timico di /benessere/, opposto all’/oppressione/ dell’orientamento contrario, ma insieme, al pathos d’una indecidibile evanescenza.
Digressione poetica
Risulta allora sorprendente l’omologia figurativa e semantica con l’ottastico di Klee analizzato da R. Jakobson e con cui abbiamo aperto questo scritto:
Ci sono due monti dalle cime chiare e luminose, il monte degli animali e il monte degli dei. Tra l’uno e l’altro sta la fosca valle degli uomini. Se mai uno leva lo sguardo in alto è pervaso da un vago, insopprimibile desiderio – egli che sa di non sapere – di quelli che non sanno di non sapere, di quelli che sanno di sapere.17
Jakobson ha colto da par suo la struttura ternaria dei significanti e dei significati che ritroviamo nella nostra immagine: Montagne, Valle, il “disegno spaziale puramente metaforico che sottende tutta la poesia” e che egli rende graficamente così:
Nella Valle degli Uomini si situa dunque il soggetto che sa di non sapere e che si confronta con le due Montagne, marcate dalla una dissimmetria semantica: la Montagna degli Animali e quella degli Dei18. Una tipica struttura mitica che mette in gioco sul piano grammaticale, visivo e semantico le opposizioni di contrari e di contradditori che sono caratteristiche del linguaggio di Klee. Bisogna “unire in composizione opposti di piccola entità, ma anche opposti rilevanti, per es. contrapporre l’ordine e il caos in modo che ambedue i gruppi tra sé collegati, uno accanto o sopra l’altro, entrino in reciproca relazione; nella relazione tra contrari, attraverso la quale, d’ambo le parti, i caratteri acquistano rilievo” (Diari, 921). Opposizioni paradigmatiche che possono in seguito risolversi per neutralizzazione o per composizione, sul piano espressivo e tematico. Segue il levarsi delo sguardo, poi il percorso cognitivo dallo scuro al chiaro e la trasformazione patemica.
Jakobson osserva come nel piccolo poema il “lettore sia invitato a procedere da visioni spaziali (significanti) a severe astrazioni spirituali (significati)”. Si disegna allora un nuovo piano figurativo coerente: quello della conoscenza. Per riprendere e sviluppare i termini jakobsoniani, la Valle, luogo centrale del poema-quadro, “è la sola sede della insolubile antinomia tra i due contrari, la consapevolezza della propria inconsapevolezza, che forse allude al suo rovesciamento pure antinomico, la tragica consapevolezza della propria inconsapevolezza”.
È evidente l’omologia figurativa con i due formanti triangolari del nostro acquerello e la loro dissimmetria spaziale e cromatica. Nonché il ruolo del triangolo rovesciato aperto, la Valle, con il vertice marcato dalla Palma e dalla (quasi) centralità spaziale. Inutile sottolineare il “sentore” edipico della proposizione: la tragica in-consapevolezza della propria consapevolezza.
Mancava a Jakobson, oltre all’Uomo, “unità complementare dei contrari”, un altro termine complesso tra l’Animale e il Dio: la Sfinge, appunto, nel suo faccia a faccia con l’Uomo.
In forma di quesito
Proteo:” I trucchi del filosofo sempre ti son noti”
Talete: “Le metamorfosi sono sempre ancora la tua passione”
(Faust)
Ritorniamo quindi all’effige della Sfinge (i due termini hanno forse la stessa etimologia).
L’osservatore del quadro, cioè l’essere Sfingiforme, ci fissa ad occhi sbarrati, con disarmante meraviglia (“E io guardo con gli occhi della meraviglia” (Und ich schaue, zu mit erstaunten Augen, 1903). Sappiamo che la frontalità dell’immagine si rivolge allo spettatore a partire dallo spazio rappresentato. È un modo di interloquire con noi.
Ma questo sguardo sgranato non è un’apostrofe minacciosa e paralizzante come quella di Medusa. L’effetto di senso è una domanda attonita, un enigma senza sfida.
È la domanda della Sfinge Tebana, quella che porta sull’animale a quattro, due e tre zampe19? Se così fosse bisogna dire che Edipo era favorito dal destino, in quanto già portava la riposta nel suo nome. Oidi-pous vuol dire “piede gonfio” e lui, che era stato un bambino in ceppi, di apparati di locomozione se ne intendeva. La Sfinge voleva forse che Edipo vincesse: stanca di ripetere la stessa domanda, stanca di silenzi e risposte sbagliate.
Non stiamo però sovrainterpretando, come Benjamin, nella sua vertiginosa lettura dell’Angelus Novus di Klee? Per il filosofo lo sguardo frontale dell’Angelo, “attratto da un donatore rimasto a mani vuote”, era un gesto di cattura che trascinava lo spettatore verso la profondità dell’immagine. Un Angelo ebraico: le volute intorno al capo luciferino (e baudelairiano) non sarebbero riccioli ma filatteri20.
Un testo però non è il luogo dove proiettare tutte le ambiguità. Anzi, con la sua forma seleziona tra le letture possibili. Abbiamo visto che le Piramidi e la Palma, l’illuminazione oritale e l’intertestualità goethiana ci orientano verso la Sfinge Egizia che ha appassionato Klee ben prima del suo viaggio in Egitto del 1929. Un disegno del 1923, in cui il nostro aquerello si trova, esattamente rovesciato con poche variazioni di tratto (un procedimento familiare a Klee), il titolo è indicativo: Impalcatura per la testa di una scultura monumentale (Gerust für Kopf einer Monumentalplastik).
Questo monumento faraonico ha però un tratto in comune con l’animale mitologico di Sofocle, di cui Klee era appassionato lettore: la caduta del regno. Citiamo:
Edipo: Quale sciagura poté esservi d’ostacolo al punto di impedirvi di conoscere la verità, dopo che un regno era caduto in tal modo?
Creonte: La Sfinge dal canto ingannatore ci costringeva a guardare il presente e a tralasciare l’incerto avvenire.
Se il mito è, come abbiamo detto, soluzione immaginaria a contraddizioni reali, la Sfinge meditabonda di Klee è una risposta, mantica e mitica, alla necessità di vivere l’inaccettabile presente: morte degli amici, sconfitta militare e crisi dinastica della Germania. “Crollano i regni, sta la Sfinge e medita/ Immoto il viso”, come dice Goethe. Ma Sphinxartig non è del tutto immobile; la sua è una contemplazione attiva, libera dai ceppi del presente, che si interroga, con noi, sull’avvenire. Non col canto paralizzante, ma con il roteare degli occhi che sono anche un segno d’infinito. A differenza dall’Angelo di Benjamin, che retrocede verso il futuro, la Sfinge Egiziana (shespankh, “statua vivente”) – veglia al limite dell’eternità, su tutto ciò che è stato e che sarà21. E a differenza della Sfinge Greca, il cui quesito pulsionale mette in gioco la vita e la morte, quella Egiziana è sempre orientata verso la conoscenza22. Conoscenza della non conoscenza: il futuro non è conoscibile attraverso il presente e l’accadere non è dato, ma senza fine trasformato. È persino possibile che si conoscano le risposte, ma che non sappiamo come porre le domande…
In questa Sfinge di Klee c’è un “decorso continuo” fatto di un movimento (orizzontale) di apertura e una tensione (verticale) d’incertezza. Sono gli stessi moti che Hegel, nell’Estetica attribuiva alla Sfinge, facendone il simbolo stesso del simbolismo: “Questa tensione ad una spiritualità autocosciente che non coglie se stessa nella sola realtà che le è conforme, ma che si intuisce unicamente in ciò che le è affine e viene a coscienza anche in quel che le è estraneo, è il simbolico in generale […]”. Forse!
Sphinxartig: titolo e fattura del piccolo dipinto consentono il senso “proprio”. Che alluda alla Sfinge la strofa di Klee (1914): “Pietre sacre ieri,/ oggi senza enigmi,/ oggi hanno un senso!:” (Heilige Sdteine gestern,/ heute ratsellos,/ heute Sinn!:). Sarebbe fare i conti senza l’arguzia dell’artig. Ma arguzia e facezia hanno una radice comune: una forza brillante e lucente. Invitano al gioco speculativo e lo illuminano con l’ironia e il sortilegio. Un senso è allora possibile? Il pictor doctus sembra crederlo: “Comunque, oplà!/ il senso eccolo qua./ Entrò l’apparenza/ dentro alla verità/ e divenne possibilità.”23
Note
- Per Goodman, I linguaggi dell’arte (cap. I “Rifare la realtà”), il disegno di Klee da Pedagogische Skizzenbuch, Munich 1925, dimostrerebbe a pieno come “l’artista che intende produrre una rappresentazione spaziale effettivamente accettabile in quanto fedele da parte di un occhio occidentale, deve trasgredire le ‘leggi della geometria’”. E compiere il necessario lavoro di traduzione.
Per Gehlen, Klee ha scoperto “le leggi particolari intraotticamente attive della percezione visiva”. Leggi che ha inoltre sottoposto “a piccole trasformazini, escogitate fantasticamente”. Infatti per “l’immaginazione psichica” di Klee, si realizzerebbe, con una razionalità ottica e concettuale, il prodigio per cui “le norme del mondo esterno percepito coincidono con quelle dell’immaginazione”. - Come sembra credere Varnedoe, che pure ha colto l’omologia tra il procedimento di Klee e il metodo strutturale di Lévi Strauss, volto a ricostruire una logica del sensibile.
- È un errore comune, che ha coinvolto anche S.M. Eisenstein, ritenere che Klee proponesse una nuova iconologia fatta di segni a significati emozionali fissi: un “alfabeto dei sentimenti”, di carattere simbolico (in senso hjelmsleviano). Come abbiamo visto, la sua rappresentazione patemica è invece semisimbolica, ottenuta per correlazioni categoriali tra il piano dell’espressione e quello de contenuto. La lettura della “spirale” di Klee è però una fonte inesplorata nell’ispirazione teorica e figurativa del sommo regista russo.
- Ecco un esempio piuttosto probante:
“In un disegno raffigurante un idillio a Berna dovrebbero essere contenuti: lo Zytgloggeguggel che canta: ‘chiami la mia patria’ / un quartetto di ubriachi che fa una serenata a questo uccello / due polipi con scarpe di gomma che si domandano se potranno sconfiggere quei quattro o finiranno col soccombere / i rami frondosi di Berna che si curvano sopra questa scena; ‘Un fulmine nella notte, la vivida luce leva un grido nel sonno. Il signor Eckzhan Shneller che in casa della signora Gfeller è invitato ad un lauto pasto’. Cose del genere ora posso esprimerle con una discreta intensità e cioè soltanto con la linea, con la linea come spiritualità assoluta, senza accessori analitici, assolutamente di getto”. V. Diari(1913), 920. - Per il confronto tra una pittura di Klee (Scheidung abends) e una poesia di G. Trakl (Die Stufen des Wahnsinns in schwarzen Zimmern), v. J. Walter, cit. in G. Manacorda, “La pagina del pittore”, op. cit.
- V. anche le analisi diversamente orientate di Verdi e di Bauschatz che ha esaminato in una prospettiva semiotica e strutturale le componenti linguistiche, numeriche e tipografiche di quattro composizioni di Klee. Sul carattere geroglifico dei segni tipografici di Klee, sulle figure di cornice e sull’importante effetto plastico del sostrato v. i contributi di Marin.
Sull’uso delle sostanze e i loro effetti particolari e complessi v. anche le dense osservazioni di Gehlen sui collages traslucidi e le risultanze di “polifonia traparente”. In particolare la descrizione della composizione “Via principale e via secondaria” (Haput und Nebenwege, 1929). Per quanto riguarda il formato condividiamo la sua indicazione che l’ingegnosità ironica del proposito si adatta particolarmente al piccolo formato. Nel grande, per contro, l’ironia trapassa facilmente in farsa. - Sull’uso comparativo del colore nella sua poesia emintemente acromatica e la pittura v; le osservazioni di Manacorda, op. cit. In particolare la correlazione introdotta da Jakobson tra il cromatismo vocalico e quello visivo che meriterebbe di venir ripreso e semioticamente sviluppata, v. Jakobson, Waught, op. cit.
- Manca tuttavia un apprezzamento comparativo più esteso dei diversi valori figurativi presi dalla linea a doppia voluta (la chiave di violino) che può fungere a livello figurativo come un orecchio (v. Il vecchio che conta) o una bocca nella Strega con pettine; da base nell’acconciatura in L’innamorato o da colletto de La cantante d’opera: come anse del Vaso di Pandora o come piante e così via. A partire comunque dell’orientamento nello spazio e dell’integrazione ad altre figure.
- Per una lista non esaustiva dei temi di P. Klee, v. F. Klee, op. cit.
- Frequenti e singolari sono i copricapi dei personaggi antropomorfi in Klee (v. ad es. La cantante L. in veste di Fiordiligi, 1923, i cappelli e in generale le acconciature).
- Per simili soluzioni calligrafiche v. in Pittura murale (1924), dove il formante può rendere una trama di merletto, o Pagina dal libro delle città (1928), dove si trasforma in notazione musicale.
- Possiamo quindi escludere che si tratti, della Archrontia atropos, una farfalla di vivacissimi colori del genere delle Sfingi. Le farfalle non mancano certo al bestiario di Klee.
- Sospendiamo la lettura delle linee che intersecano la voluta alla nostra destra: si tratta comunque di tre linee, a conferma del ritmo ternario colto a pieno da Jakobson.
- Sempre nella stessa occasione Klee nota che, mentre rifletteva sul mistero della musica e della pittura, i commilitoni gli “stanno intorno con occhi incantati, maschere diaboliche guardano dentro attraverso la finestra”.
- Sulla persistenza di questo motivo goethiano in Klee v. il poema “Mi rinfresca solamente la Notte / di Valpurga, e là volo / come una lucciola e subito / s’è accesa una piccola lanterna” (1899), che sta in Poesie, a cura di G. Manacorda, Ed. Abscondita, Milano, 2000.
- V. TFF, II lez 6 dell’11/1923, pag 52-68.
- “Zwei Berge gibt es, / auf denen es hell ist und klar. / Der Berg der Triere und / der Berg der Gotter. / Dazwischen aber liegt das / dammerige Tal der Menschen. / Wenn einer einmal nacht oben sieht, / erfast ihn ahnend / eine unstillbare Sehnsucht, / ihn, der weiss, das er nicht weiss, / nach ihnen, die nicht wissen, das sie nocht wissen, / und nach ihnen, die wissen, das sie wissen.”, Klee (1903), sta in Poesie, op.cit.
- Sul motivo triangolare della Montagna e della Piramide, insieme ad Albero e Luna v. Montagne in inverno, un acquarello del 1925 (TFF, 390). Ma v. anche il formante “Orecchie del cavallo”, in Addomesticamento dello stallone, (1926). O “I Tetti”, in Vista a una piazza(1912) e così via.
- “Vi è un essere sopra la terra che ha due e quattro piedi ed un’unica voce ed ha pure tre piedi; e muta natura egli solo tra quante creature si muovono in mare e in cielo”. Scolio alle Fenicie di Euripide.
- Sul carattere più romantico-baudelairiano e meno ebraico dell’Angelus Novus, v. le osservazioni di Scholem in Agesilaus Santander. L’angelologia contemporanea ha trovato terreno fertile nell’opera di Klee, ma non sarebbe senza frutto introdurre una rapporto differnziale e una tensione tra l’Angelo e la Sfinge.
- “Io sto all’erta, / io non sono qui, / io sono nella profondità… / sono lontano… / io sono tanto lontano /…io ardo coi morti.” (Ich bin gevappnet, / Ich bin nicht hier, / Ich bin in der Tiefe / bin fer… / Ich gluhe bei den Toten), P. Klee, sta in Poesie, op.cit.
E così Il libro dei Morti, “[La Sfinge] vede scorrere in lontananza i fiumi celesti del Nilo e navigare le barche del Sole”. - Gli psicanalisti post-freudiani stanno spostando lo sguardo, da sempre fisso alle pulsioni di Edipo, verso l’interrogazione conoscitiva della Sfinge. W. R. Bion, ad es. ci propone, di considerare proprio la figura della Sfinge come implicito mito fondatore della psicoanalisi. Per queste e molte altre informazioni sulla Sfinge sono debitore a L. Preta.
- “Von immer zu hin / Gewan es Sinn / Bis ging ein Schein / In wahrlich ein”, P. Klee, Esel(Asino), sta in Poesie, op.cit.