Da: E|C, rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line, pubblicato in rete il 21 gennaio 2019.
Dove trovare un uomo che dimentica le parole,
così che io possa parlare con lui.
E. Canetti
1.
Il Sessantotto è stato l’anno della presa della parola. Un tempo non avaro di neologismi anche nelle scienze umane e soprattutto nella linguistica, che la temperie strutturalista plaudiva come disciplina pilota negli studi della significazione. All’attrezzeria terminologica di Jakobson si aggiungevano la Paralinguistica (Trager) e la cinesica (Birdwistell, Pike), ecc.1. È nel 68 che il termine Prossemica fa un sonoro ingresso nel lessico incipiente della semiotica, attraverso la traduzione italiana del libro di E. T.Hall, La dimensione nascosta. Nell’introduzione U. Eco affermava che la Prossemica, tipologia interculturale delle distanze tra soggetti umani e non umani, era, se non una nuova scienza, “il primo tentativo organico di semiologia dello spazio”. Pur tra riserve culturali e ideologiche e senza illusioni sulla sua bonifica sociale – “la prossemica non salverà il mondo” – Eco intravedeva la possibilità di scoprire le regole di un linguaggio silenzioso, una grammatica spaziale intersoggettiva per generare altre articolazioni di senso e nuovi messaggi.
Sempre nel 68, partire dagli esiti di Hall, Eco dedicava alla prossemica le pagg. 238-249 della La struttura assente. Un interesse per i dispositivi spaziali del senso motivato dal suo ruolo di professore di Architettura presso l’Università di Firenze. Hall distingueva infatti le configurazioni fisse delle distanze intersoggettive, come i piani urbanistici e quelle semifisse, come piazze o bar; le discriminava tra centrifughe o centripete; offriva molti esempi interculturali di design d’ambienti costruiti.
A partire dalla matrice antropologica di Hall, Eco ribadiva che il rapporto spaziale tra individui in relazione di prossimità e/o distanza deve tenere e rendere conto delle valenze semantiche che acquisiscono in situazioni etnologicamente e sociologicamente rilevanti. Il significante architettonico non rinvia quindi ad un referente materiale, ma ad un significato culturale. Una postura risolutamente de-ontologica che Hall avrebbe poi approfondito attraverso il concetto di estensione simbolica (extention transference) prossima al saussuriano arbitrario segnico (Hall, 76). I valori semantici degli universi sensoriali che abitiamo e che ci abitano si enunciano come linguaggi culturali (bodily communication). Tra gli attori sociali in copresenza somatica si trovano bolle spaziali di vario calibro; zone prossemiche regolate da complesse convenzioni comunicative sulle maniere di situare i corpi interagenti – umani o non umani in specifiche forme di vita. Una posizione che trovava allora un pannello di controllo teorico in autori come E.Gibson e G. Bateson. Anche per Eco si trattava di codici antropici che decidevano dei comportamenti appropriati all’esterno e all’interno di complessi socio-culturali. La distinzione di Hall tra high context culture e low context culture – esplicita la prima e tacita la seconda – non poteva non ricordare al semiologo l’opposizione lotmaniana tra modalità grammaticalizzate e testualizzate della cultura2.
Tuttavia, e senza espliciti disconoscimenti, la Prossemica sarebbe diventata sempre meno Eco sostenibile; negletta per diverse ragioni: un entusiasmo (v. Watson) proporzionale al successivo disincanto – la giustificata diffidenza verso l’estrapolazione collettiva dei risultati di laboratorio; il passaggio da una teoria culturale “forte” dei codici a quella “debole” del rizoma; le ricerche sui segni distribuite in un dipartimento di semiotiche specialistiche; l’attrazione del quasi contemporaneo linguistic turn (1967) – la semiotica generale è disciplina filosofica fondata sulla semiosi.
Insomma, dopo una breve infatuazione teorica, la Prossemica è rimasta una semiotica connotativa, in attesa d’una metodologia “denotativa”, e soprattutto comparativa. Ha mantenuto comunque la vocazione antropologica: il raffronto tra i silenziosi linguaggi culturali della distanza inter-somatica possono ovviare infatti all’impensato dei nostri rapporti cognitivi ed emotivi: dirci quanto d’impercepito e d’in-sentito sia attivo all’insaputa delle nostre forme di vita..
2.
Mentre correva l’anno 68, la rivista Langages dedica il numero 10 “Pratiques et langages gestuels”, allo studio dei sistemi e processi della gestualità. Diretta da A. J, Greimas – che vi contribuiva con un memorabile studio sulla semiotica del mondo naturale – facevano parte della pubblicazione linguisti anglosassoni come Birdwistell, Cresswell, e semiologi continentali come C. Bremond J. Kristeva, F. Rastier ed io. La Prossemica faceva parte del progetto di ricerca che poneva il problema della relazione tra verbale e visivo (Bremond descriveva i gesti enfatici del fumetto!) – destinato a proliferare; e anticipava lo status della corporeità nella costruzione e manifestazione del senso. Il dossier non ebbe però gli attesi sviluppi e seguiti. In primo luogo, riconoscendo alla Prossemica lo status di progetto di disciplina utile allo studio di semiotiche non verbali, naturali e costruite (riti, cerimonie, teatro, circo, danza, pantomima, cinema, ecc.), Greimas estendeva le “procedure di prossimazione” oltre l’accezione antropomorfa delle variazioni significative e reciproche sulla dimensione distale e prossimale. Includeva nell’indagine attanti non umani (v. le ricerche di Hall sul ruolo della manipolazione e controllo della distanza nella domesticazione animale), ma anche a rapporti interoggettivi; prevedeva distanze estensive e/o intensive, graduali e/o categoriche ed istanze statiche e in movimento. Quanto alla relazione con la gestualità, per il semiologo merleaupontiano essa non andava intesa come translinguistica o sovrasegmentale, ma nel quadro di d’una generale testualità somatica: manifestazione del corpo umano come volume e movimento, generatore di testi sincretici intelligibili all’interno di sistemi, e di pratiche di senso
Per questo Greimas prende le distanze dalla Prossemica come translinguistica dei “cinémi”, costruita sul modello fonematico nell’accezione di Hall e di E. Sapir. E riafferma la priorità della dimensione semantica, dando la precedenza alla forma del contenuto, anche per il carattere non sufficientemente formato dei piani espressivi (v. ad es. la notazione Laban per la danza). In questa direzione si sarebbero orientate infatti le ricerche di semiotica dello spazio (v. M. Hammad).
Un’opzione deliberata e radicale che si espone alle critica “saussuriana” di F. Rastier: per l’indifferenza al significante e l’assenza di presupposizione reciproca tra forma dell’espressione e del contenuto si ricadrebbe in un cognitivismo – non naturalistico.
Un faux pas? È certo che la semiotica greimasiana ha mancato un’interdefinizione con quella comunicazione visiva che è la LIS, lingua dei segni con le sue grandezze somatiche e grammaticali (pronominalità, aspettualità, modalità, ecc.) la quale costituisce ormai un settore saliente della linguistica contemporanea. E ha rinunciato a ripensare alla Gestualità come correlazione tra significati e significanti verbo-visivi. Manifestazioni semiotiche queste ultime che inducono a pensare il rapporto tra il dicibile e il visibile al di fuori di ogni ontologia.
3.
Cos’è allora la scienza? La scienza è un golem.
H. Collins, T. Pinch
Il sostantivo di quella che fu dichiarata con enfasi una nuova scienza, è assente oggi dagli studi della gestualità ad orientamento cognitivo (McNeill). Oppure si integra in forma di aggettivo alle componenti situazionali (attoriali e cronotopiche), soprattutto nelle analisi conversazionali e terapeutiche (Tannen).
Nonostante la sua assenza tra le parole chiave della disciplina (Duranti), ci sembra però che mantenga la sua valenza nel programma interdefinito d’una semiotica della cultura ad indirizzo antropologico “comparativo e sperimentale”. Per la sua dimensione non ontologica e interattiva, la Prossemica non si limita ai coinvolgimenti sensoriali, incontri faccia a faccia in microambienti, distanze di fuga tra bolle interattive. Può estendere invece “la sua portata fino ad includere ogni umano comportamento nella interazione sociale” (Finnegan, pag. 121-22). In continuità con studiosi della gestualità e dell’interazione come E. Goffman e A. Kendom, per R. Finnegan il sistema prossemico resta un linguaggio silenzioso. Indipendentemente dal calcolo estensivo delle distanze e della restrizione categoriale (v. intimo, personale, sociale e pubblico), le convenzioni prossemiche permettono e impegnano zone sorvegliate di sicurezza ma anche punti o linee di tensione. Secondo regole apprese e non innate che articolano comunità passionali, condivise o conflittuali. Le infrazioni a regole più o meno stringenti in condizioni informali e/o cerimoniale sono veri e propri messaggi inavvertiti o intenzionali. Manipolare le distanze, trasforma la portata e i senso degli spazi propri e altrui.
Le discipline umanistiche che operano “in vista” della scientificità sono implicate nel loro mutevole oggetto, la significazione. Senza essere “debole”, il loro cruscotto concettuale è sistematico senza essere deduttivo, gerarchico, calcolabile e replicabile. Hanno l’andatura robusta quanto erratica del Golem. Tolti molti paraorecchi, la traiettoria punteggiata che la semiotica traccia nella vaste plaghe della semiosfera può tornare di nuovo ad intercettare la Prossemica. La quale, a differenza di altri saperi canonici, non è invecchiata, perché non offre soltanto buoni consigli, ma fornisce modelli ed esempi.
Note
- I primi studiosi di semiotica consideravano “il lavoro di E. T. Hall un testo indispensabile per tutti i cinesiologi e paralinguisti” (W. La Barre).
- La prossemica di Hall aggiunge alle dimensioni dello Spazio e del Tempo la dimensione culturale dove distingue codici forti e codici deboli. Per quanto riguarda il Tempo è interessante distinzione tra stili di vita (i) policronici: In cui la temporalità è assunta paradigmaticamente nella simultaneità, (ii) monocronici in cui i tempi sono sintagmaticamente disposti in sequenza.
Bibliografia
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