Da: Alfabeta2, n. 13, ottobre 2011.
1.
L’ira, si dice, è cattiva consigliera. Non sempre: il pretesto di una serie di libri sui vizi capitali ha permesso a Remo Bodei di scrivere un vivace trattatello sull’Ira, una delle passioni più frequentate – ma ora più trascurate – della filosofia: Ira, la passione furente, Mulino, Bologna, 2010.Lasciamo ad altri l’ardua sentenza: adirarsi è un bene – segno di un’energia positiva o un male più o meno curabile; se sia un sentimento, un’emozione o una disposizione caratteriale. Io credo che i vizi sono passioni calunniate, ma preferisco non insistere. Meglio seguire, almeno in parte, Bodei, un filosofo, che per il suo insegnamento a UCLA, ha l’esperienza comparativa del pensiero analitico.
La sua scelta però è decisamente “continentale”; traccia una storia filosofica dell’Ira da Aristotile a Sloterdijk, passando per Cartesio e Spinoza; riprende Seneca, Tommaso d’Aquino e va da Kant fino a Marta Nussbaum. Un percorso di “atletismo filosofico” (Deleuze) non genetico (sequenziale) ma generativo (concettuale), che segue il destino speculativo dell’Ira, con marcata e ovvia preferenza per i fondamenti greci e latini. Ne risulta che i filosofi classici hanno studiato l’Ira come un termine collocato in un sistema passionale interdefinito; e con un approccio volentieri gerarchico e logicamente binarista. Redigono cataloghi di stati d’animo, isolando prima i prototipi fondamentali (“la passion predominante”) – odio, amore, invidia, paura, ecc. – tra cui l’Ira figura quasi sempre. Derivano poi in via combinatoria coppie di passioni complesse (il corruccio, l’indignazione, la vendetta) o opposte (calma, mitezza, accidia, riconoscenza). Un metodo che oggi sarebbe tacciato di vetero-strutturalista.
Il libretto di Bodei esplora inoltre, con copiosa bibliografia, le traversie dell’Ira in quella branca della letteratura fantastica che chiamano teologia: dal Vecchio e il Nuovo Testamento tra le iradiddio di Mosé e i perdoni cristici, fino a Savonarola e Bruno.
Per il lettore non filosofo, che non teme la probabile “Ira liquida” di R. Bauman, grata è la sorpresa delle rabbie letterarie che ci scampano dagli stravaganti exempla ficta della filosofia analitica. Sono rievocate le ire omeriche dell’Iliade, dell’inferno Dantesco, del re Lear shakespeariano, di W. Blake e di Steinbeck. Dal capitolo settimo, dedicato alle collere femminili, emerge Medea nelle sue versioni antiche e moderne: da Seneca e Corneille a Grillparzer, da C. Alvaro a C. Wolf.
Avrei aggiunto Bellini con la sua sonora variante: la Norma! E in assenza della rabbia linguistica di Gonzalo contro i pronomi (“pidocchi del pensiero”) nella Cognizione del dolore, mi aspettavo uno strapuntino per gli Angry Young Men, i commediografi e narratori inglesi dalla metà degli anni Cinquanta, così chiamati dopo il successo di Look Back in Anger, tradotto con Ricorda con rabbia. Alla prossima edizione?
2.
La sensibilità culturale permette a Bodei di piantare sul terreno filosofico segnali indicatori dell’altrove: verso l’antropologia, la linguistica e la semiotica.
Dal confronto eterotopico (Foucault) con le altre lingue e culture – dall’assenza d’Ira fino al più furioso degli amok – sopraggiunge allora al filosofo occidentale lo spinoso problema della generalità e della traducibilità dell’universo semantico delle passioni. Nonché la definizione stessa del suo oggetto di studio. Anche nel lessico italiano la parola Ira non è un sinonimo di Collera o di Rabbia e neppure di Corruccio e di Furore. Le loro delimitazioni sono “fuzzy”, cioè approssimate e non si prestano alle categorie logiche delle classi. Qui vale l’adagio: Logica est Caligo.
Vediamo appunto la Collera e l’Ira. La Collera, più dell’Ira, sembra contenere un risentimento e una valutazione delle sue possibili conseguenze. C’è nella Collera un’indignazione che può mancare all’adirato. La Collera somiglia di più alla Rabbia e al Corruccio, mentre l’Ira s’avvicina di più al Furore (si “va in collera” e non si “va in ira”). La Collera ammette il freddo controllo da parte dell’Io, mentre l’Ira è la passione soverchiante del non Io. La prima usa della retorica dell’apostrofe, accentua l’ordine del discorso e del gesto, l’altra si esprime col grido inarticolato o il silenzio. Nulla ci autorizza quindi a tradurre in francese Ira con colère – ire è sostantivo desueto – e neppure anger in inglese, a meno di fare del pidgin anglosassone una metalingua universale. Il prototipo anger d’altronde ammette come frequenti sinonimi Frustration, Hate, Mad e molto meno Rage e Fury. Insomma anger non è proprio la “passione furente” del titolo di Bodei, a cui capita spesso di alternare Ira, indignazione, vendetta, ecc. Ma l’ira di Achille è collera contro i greci e furore contro i Troiani.
Val la pena di ricordare che il lessico delle lingue, prodotto storico culturale, è costituito da etichette diversamente collocate e parzialmente sovrapposte su spazi e percorsi di senso. Esistono quindi passioni innominate in alcune lingue – ma espresse da sistemi semiotici differenti, come la musica – mentre altre lingue nominerebbero configurazioni emotive del tutto idiosincratiche.
Per evitare oscillazioni terminologiche – Ira e Ostilità – e sbadate sinonimie e soprattutto per non trasformare surrettiziamente le parola Ira nel termine “Ira”, il “patema” prototipo – IRA – va costruito nei suoi tratti semantici e nei suoi percorsi.
Per questo la semiotica – v. il saggio A. J. Greimas sulla collera, citato in bibliografia, o la semiodinamica di Sloterdijk – ha optato per una strategia “a passion veduta”, sistematica se non logica. Descrive le passione come una sequenza; non tratta “stati” ma “processi d’animo” e trova i suoi riferimenti nella retorica e nella narratività, ricomponendo molti frammenti dell’edificio classico della filosofia.
L’IRA sarebbe una passione del valore: “movimento disordinato dell’animo offeso”. Chi “patisce” un’offesa, reale o immaginaria, ad un valore assunto, individuale o collettivo, può scegliere tra diversi percorsi reattivi. La pazienza, la mitezza, l’umiltà, l’indifferenza, il risentimento – oppure la reazione violenta e aggressiva, immediata o differita (la vendetta) per restaurare l’equilibrio violato.
Una caratterizzazione narrativa che raggiunge gli esiti della linguistica cognitiva, la quale ha ordinato il susseguirsi delle metafore fisico-somatiche dell’IRA, a partire dalle sollecitazioni del “saltare la mosca al naso” fino all'”esplosione”, attraverso, il ribollire, all’arrossarsi e al fumare (Lakoff). Il processo iracondo rappresenta il corpo come sostanza del mondo: contenitore di un liquido esposto alla fiamma che, a partire dalla singolarità della stizza, raggiunge il plurale di “tutte le furie”. Una sceneggiatura spazio-temporale – uno script – adattabile a vari casi e contesti. La componente temporale – già per gli stoici le passioni sono malattie del tempo! – ci permette di distinguere, ad es., l’immediatezza concitata del furore dalla durata iterativa, dagli scatti della rabbia. Anche la tradizionale distinzione delle passioni tra dolci e violente, ripresa da Bodei, può essere approfondita nella direzione della intensità. Il processo passionale non è graduale ma discontinuo e lo spazio patetico è intensivo, non estensivo. Per via di arrossamenti e bollori si passa da una passione all’altra – dall’esibito autocontrollo della collera allo scoppio furente attraverso transizioni catastrofiche di fase.
In questo trasporto eccessivo, estremo, esaltato e incontrollabile sta forse il cuore nero dell’Ira. In quel momento forsennato, smisurato e talvolta sublime, l’io è fuori di sé e la passione diventa il soggetto. Il Furore è esperienza del non io: quanto accade di distruttivo sembra capitare ad altri ed altrove.
3.
Come nell’altro testo di Bodei, La geometria delle passioni, la parte più avvincente del libro non è quella morale, sul controllo dell’IRA, ma sul suo governo politico. L’autore diffida degli indignati e della loro presunzione di valore: sa che è meglio essere economi del proprio disprezzo, perché ce ne sarà sempre bisogno. Riconosce anche, lucidamente, che è finito il tempo in cui la collettività imponeva la quarantena civile al furore guerriero ed è iniziato quello dei sedativi politici e degli analgesici mediatici. Sembra accettare quindi l’ipotesi della fine delle passioni intense, soprattutto dell’IRA rivoluzionaria, ormai deposta nei caveau di banche dati, gestiti da funzionari politici. Pur sapendo che non si dà democrazia senza attese, Bodei riconosce nella mitezza di Aristotile (e di Bobbio) il suo Principio, che non è quello di Speranza. Ma chissà? Forse la “medietà” virtuosa del mite non sta nel mezzo. Che ci sia una medietà degli estremi?
Per questo avrei sperato in un riferimento agli Enragés della Rivoluzione francese, che gridavano “Oh rage!” nel manifesto alla Convenzione e un cenno del loro rappresentante Jacques Roux, sacerdote cattolico, imprigionato da Robespierre per estremismo (sic!) e suicida in carcere. E perché no? Un’allusione agli Enragés del ’68 e agli sfasciacarrozze delle banlieue e delle città dormitorio.
Alla prossima edizione.
Per Musil, sterminata è la biblioteca delle scoperte scientifiche ed esiguo lo scaffale delle conoscenze sul cuore umano. Collochiamo qui il libretto di Bodei e proponiamo all’attenzione fluttuante delle nuove generazioni il compito di trovare un’emoticona che, più del punto esclamativo, segni nel ductus passionale la punteggiatura dell’IRA.