Introduzione alla seconda edizione de «La svolta semiotica»


Da: Paolo Fabbri, La svolta semiotica, Laterza, Bari-Roma, 2001 (1ª ed. 1998).


Quando un discorso è condotto dalla sua stessa forza a derivare nell’inattuale, si sottrae ad ogni forma di gregarismo e può diventare il luogo, benché esiguo, di una affermazione.
(R. Barthes, “Frammenti di un discorso amoroso”)

L’impegno, o la scommessa, della semiotica è dire qualcosa di sensato sul senso.
È tenuta quindi ad aiutarci a cogliere il significato delle introduzioni. Perché un’introduzione? in fondo habent sua fata libelli. Sappiamo che precedono i testi anche se sono scritte dopo la loro conclusione, che sono spesso esornative, se non dediche a se stessi o occasioni surrettizie per ritirare una parola data.
Assicuro che tale non è il caso. Questo prologo alla nuova edizione della Svolta semiotica è reso necessario da un paradosso apparente: la crescente inattualità della semiotica e lo sviluppo crescente della ricerca. Un meccanismo a forbice che richiede un chiarimento.
Nel 1998, la Svolta semiotica tentava di fare il punto sulla situazione delle ricerca, all’incrocio di due esperienze decisive della semiotica contemporanea: quella che si riferisce ai suoi due grandi e frammentari padri fondatori: Saussure e Peirce. L’università di Bologna, luogo di incontro e di dibattito delle due scuole europee corrispondenti che fanno capo a Umberto Eco e ad A. J. Greimas, permetteva una larga prospettiva sul panorama della ricerca. Di qui il progetto di tracciare una assetto generale della teoria semiotica fin de siècle per porre chiaramente, al di là degli idiomi teorici, la posta in gioco nel progetto di intelligibilità che risponde al nome di Semiotica. Con qualche dose d’urto, ma “dono” e “dose” hanno una comune etimologia.
Lo “scrigno degli anelli mancanti” era la metafora dei problemi posti dai collegamenti tra i piani della teoria del metodo descrittivo e della sua forza euristica. L’impressione era, ed è ancora, che le ricerche in semiotica si accumulino come portulani senza una carta generale. Oppure che i risultati locali vengono distribuiti secondo una distinzione fallace tra semiotica pura (riducibile alla filosofia del linguaggio) e semiotiche applicate (ai media, ai testi letterati, ecc.) che userebbero a scopi pratici e senza feed back, concetti elaborati a livelli filosoficamente epurati.
L’effetto era un quello di un bougé, quesi segni confusi che al cinema segnalano il movimento e il passare del tempo. Con il conseguente uso acrobatico di preposizioni (prepost– strutturalismo, prepost– semiotica) che si sostituiscono alla interdefinzione concettuale e alla fondazione teorica dei problemi che dovrebbero porre.

1.

Dall’edizione del 1998 qualcosa è cambiato: la semiotica è diventata sempre più inattuale. Non si tratta di tempi storici, anche se la semiotica (e la semantica) ha come le avanguardie artistiche almeno un secolo.
Il fatto singolare è che, mentre sono apparsi alcuni testi importanti (Eco, Fontanille, Coquet, Geninasca, Latour, Lotman, Rastier, ecc.), è ulteriormente mutata l’atmosfera della ricerca. Da una parte la disciplina sembra in piena evoluzione, dall’altra ci sono segni di esaurimento. Non si tratta di esaustione delle possibilità: la ricerca non ha neppure svolti i temi di ricerca accennati da Saussure quando assicurava che il posto della disciplina era assuré à l’avance. È piuttosto l’incapacità di costuire un luogo di dibattito dove critiche interne ed esterne (penso a E. Benveniste e a N. Goodman, alle ricerche cognitive di D. Sperber) permettano la formazione di un paradigma teorico. I cambiamenti di episteme – dallo strutturalismo al cognitivismo- i nuovi stili filosofici – dalla filosofia analitica alla nuova fenomenologia – non sono univoci e vanno ridefiniti e riconfigurati nella teoria generale.
Ad esempio, Eco in Kant e l’ornitorinco non sembra tenere in conto le ricerche sull’enunciazione, quella testa di Medusa – per parlare con Benveniste -, che si situa alla frontiera tra la lingua e il discorso. E le ricerche di scuola francese, se hanno portato fino in fondo gli studi di narratività e una analitica dell’enunciazione, hanno notevoli difficoltà ad integrare gli studi dell’argomentazione “naturale”. Per contro la tripartizione di Peirce (icona, indice e simbolo) viene oggi integrata dalla scuola greimasiana come base per rinnovare le basi fenomenologiche della percezione Ma gli studiosi di Peirce, un grande epistemologo con scarse conoscenze linguistiche, hanno qualche problema ad integrare la rappresentazione del linguaggio come discorso e come insieme di forze e di narrazioni. A riconoscere il ruolo dell’emozione e soprattutto a trasformare le operazioni conoscitive (inferenze, abduzioni, ecc.) in metodologie descrittive di classi diverse di testi.
Gli esempi potrebbero e dovrebbero moltiplicarsi. Solo così è possibile resistere ai grandi semplificatori, il tempo e il successo, ed ai costruttori di manuali con il loro imperativo: per ricordare bisogna imparare a dimenticare.

2.

Vanno quindi mantenuti con fermezza alcune figure semiotiche di prua: (i) l’orientamento epistemologico, (ii) l’organon dei metodi, (iii) l’intercessione tra i saperi e e le pratiche.

2.1

Per quanto riguarda l’orientamento epistemologico è interessante notare che la pretesa semiotica di lavorare “in vista della scientificità” (la formula è di Greimas) si trova confortata dalla riflessione filosofica e dalle ricerche sul discorso e l’attività pratica e discorsiva delle scienze.
Mentre la koiné ermeneutica aveva ridotto l’attività delle discipline del senso a tipologie storicizzate di atti interpretativi, la riflessione filosofica attuale tende a ricomporre l’opposizione ottocentesca tra scienze ermeneutiche dello spirito e scienze esplicative della natura. Per Ricoeur, ad esempio, proprio la semiotica testuale ha mostrato che nelle discipline del senso è necessario “spiegare di più per meglio comprendere”. “In tal senso, la semiotica testuale di A.J. Greimas mi sembrava illustrare perfettamente questo approccio obbiettivante, analitico, esplicativo del testo, secondo una concezione non causale ma strutturale della spiegazione” (P. Ricoeur, Réflexion faite: autobiographie intellectuelle, Esprit ed., Paris, 1995). Che si tratti di una ermeneutica materiale prossima della vecchia filologia (come vorrebbe F. Rastier) o semplicemente di semiotica del discorso in ambito “post-fenomenologico”, sembra comunque tolto l’interdetto filosofico che è in parte responsabile dell’attuale asfissia semiotica.

2.2

D’altra parte proprio gli studi dell’attività pratica e discorsiva delle scienze, il riconoscimento situato della loro complessità fa esplicitamente uso della semiotica come organon concettuale (Latour). E val la pena di ricordare che i modelli della semiotica sono stati utilizzati (e genialmente distorti) per la loro capacità euristica da Deleuze e Guattari nelle ricerche antropologiche su Milles plateaux(Hjelslev, “il principe spinozista danese”) o sul cinema (qui è Peirce, il primo dei pragmatisti, e il semiologo P.P. Pasolini, per la sua idea dello stile indiretto libero). Di qui la centralità del lavoro semiotico sui modelli, per trasformarli in concetti operativi interdefiniti: si pensi alla congerie delle figure retoriche da ridefinire come parte di una stilistica semanticamente e discorsivamente fondata. E alla possibilità di estenderli a sostanze espressive diverse: il concetto di enunciazione è stato applicato con pertinenza all’immagine pittorica da L. Marin, estendendo e precisando il concetto di punto di vista e da B. Latour alle protesi, costruendo una tipologia di oggetti in funzione dell’oggettivazione o alla soggettivazione di competenze umane. E sempre da B. Latour e i sociologi delle scienze naturali (ma non inumane) che ci viene l’indicazione di trattare semioticamente linguaggio, oggetti e pratiche come un testo “inconsutile”, un co-testo oltre la distinzione tra testo e cotesto.

2.3

È da Deleuze invece che proviene la più precisa accezione della semiotica come intercessore tra le discipline della significazione nel quadro d’un progetto filosofico e antropologico. (Per lui si tratta di una “scienza descrittiva della realtà”: “tale è la natura misconosciuta della semiotica, al di là dei linguaggi esistenti verbali e no”.)
Alle radici delle molte arborescenze semiotiche non sta solo la logica o la filosofia del linguaggio, ma la linguistica comparativa in stretta collaborazione con l’antropologia (un esempio per tutti la relazione tra Jakobson e Lévi Strauss o Propp e Greimas). Si tratta meno di una fondazione ontologica che di un programma comparativo dei sistemi e dei processi della significazione. Tra molte difficoltà è in questa direzione che si orientano alcuni filoni della ricerca antropologica anglosassone. La stessa storia della filosofia del segno e del linguaggio può essere ripensata all’interno di un progetto comparativo, costruttivo e sperimentale, per dirlo con M. Detienne. È l’orientamento, della ricerca di filosofia comparata di F. Jullien, partito da una sémiologie de la sinologie e approdato al confronto tra pratiche di senso – estetica, strategia, letteratura tra l’occidente e la Cina classica.

3.

Per questo progetto la semiotica deve avviarsi con un diverso viatico: non le basteranno i manuali correnti, veri kit di sopravvivenza metodologica. Per affrontare ad esempio le annose questioni del simbolismo, la sua scatola degli atrezzi va integrata con l’idea di valore e di efficacia, di passione e di credenza. Nell’edizione precedente era solo accennato il ruolo decisivo dello studio delle passioni nella semiotica degli anni ’80 e ’90. I concetti di tensione e di aspettualizzazione, di valore e di oralizzazione, di estesia e di somatizzazione vengono dalla risposta coerente alla richiesta insistente di R. Barthes: “non credere alla separazione dell’affetto e del segno”.
Qui, insieme alla integrazione dell’enunciazione al dispositivo metodologico, sta un chiaro discrimine tra una semiotica di prima e di seconda generazione. L’integrazione dell’Azione e della Passione permette di integrare alle esplorazioni degli universi discorsivi le nozioni di manipolazione e di conflitto, alla verifica dell’efficacia simbolica, della relazione già anticipata da Saussure tra sema e soma, tra corpo e significazione.
Il titolo stesso, Svolta semiotica, ricordava ed annunciava una svolta già accaduta ma sempre attuale rispetto alla vulgata semiotica in corso, che è quella degli anni ’60. Di questa svolta è ora in corso un’attualizzazione1. Mancava un adeguato sviluppo del concetto di Traduzione intersemiotica. Si tratta di un campo fecondo di ricerca che prolunga il gesto semiotico – studiare le articolazioni del senso attraverso le diverse sostanze dell’espressione. Non si tratta quindi di separare i diversi significanti (visivi, uditivi, ecc.), ma di prendere in considerazione il loro carattere sincretico e mostrare i trasferimenti ed i passaggi delle diverse sintassi tra le varie manifestazioni sensibili. Da un lato va approfondita l’indagine dei diversi canali sensoriali: oggi le ricerche portano soprattutto sull’immagine: dal linguaggio dei sordo muti al cinema.
È un campo importante per gli studi di Mediologia che insistono a ragione sulla differenza tra Comunicare e Trasmettere, cioè sulla necessità di tenere in conto nella costruzione e ricezione del senso della dimensione tecnica e sensibile degli apparati di traslazione del significato (R. Debray).
Dall’altro lato va considerato il passaggio tra media diversi che nella traduzione operano riflessivamente, introducendo nelle lingue di partenza ed in quelle di arrivo trasformazioni e ridefinizioni. È il legato della semiotica della cultura di I. Lotman, che ha saputo integrare la tradizione formalista e le intuizioni di Jakobson all’opera di Bachtin, integrandone le ipotesi e le obbiezioni alla sua semiotica di stampo informazionale (“Tutti i tipi di comportamento significante hanno carattere di dialogo”). La “semiosfera” di Lotman – concetto vitalista e biologico se esemplificato sulla “biosfera” di V. I. Vernadskij – è un campo di traduzioni: “la natura dell’atto intellettuale si può descrivere in termini di traduzione”, scrive Lotman, “la definizione del significato è una traduzione da una lingua a un’altra, mentre la realtà extralinguistica è anch’essa concepita come un tipo di lingua”.
È evidente che non si tratta di un rigurgito storicista (per Lotman la prima fonte di informazione resta il testo), ma di un progetto che va inserito entro un’antropologia generale, attento agli stili semiotici del vivere – per esempio alle passioni dominanti – e soprattutto a come una cultura si autodefinisce in modi performativamente efficaci. Anche l’innovazione culturale è pensata in termini di traduzione: come scoppio di metafore improprie e creative che accompagnano la resa di testi intraducibile. L’intraducibile non è più pathos del non senso, ma riserva di senso a venire.
La pertinenza e la ricchezza degli esempi, dalla cultura medioevale russa agli stili di vita dei contemporanei di Puskin, mostra l’interesse per la semiotica dei testi naturali in un periodo in cui la filosofia del linguaggio ci ha abituato ad una scolastica degli exempla ficta, costruiti in funzione delle strettoie logiche della dimostrazione.

Per G. Delezuze ogni “vocazione è sempre predestinazione in rapporto ai segni”. Siamo certi che la presente vocazione della semiotica sia di essere inattuale?
È cosi difficile dire nella presente dispersione dei saperi di chi siamo davvero contemporanei! Nel corso delle fasi lunari ci sono momenti in cui la luna nuova è invisibile. Fuori di metafora: la semiotica è in pieno mutamento e la sua inattualità può diventare tempestiva.
Dovremo smettere di guardarla come una nave in bottiglia con l’effetto di sorpresa completezza che danno i manuali di divulgazione e pensare che la ricerca nel labirinto dei segni non continua dalla fine né ricomincia da capo, ma come l’erba, cresce dal mezzo.


Nota

  1. (con G. Marrone), Semiotica in nuce, vol. I “I fondamenti e l’epistemologia strutturale”, Meltemi Editore, Roma, 2000.
    (con G. Marrone), Semiotica in nuce, vol. II “Teoria del discorso”, Meltemi Editore, Roma, 2000.
    A. J. Greimas, Semantica strutturale, Meltemi Editore, Roma, 2000. torna al rimando a questa nota