Da: A. J. Greimas, Semantica strutturale, Meltemi, Roma, 2000, pp. 11-20.
Così ogni pensiero veramente rigoroso ed esatto trova il suo punto fermo solo nella simbolica, nella semiotica, sulla quale esso poggia.
(E. Cassirer)
1.
La lingua riserva ad ogni lettore il paradosso delle “pagine seguenti”. Non si tratta infatti delle pagine che ci seguono, quelle che abbiamo già letto, ma di quelle a seguire, cioè quelle che ci attendono.
Tali sono le pagine de La Semantica strutturale di A. J. Greimas, il maggior semiologo del secondo novecento, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1966. Questo libro, un classico della disciplina, ci segue come guida.
Chi lavora all’interno del paradigma “normale” (in senso kuhniano) della ricerca sui sistemi e i processi di significazione, sa che gran parte del suo lessico – forma del contenuto, attante, sema, isotopia, sintassi narrativa, ecc. – e del suo saper fare descrittivo proviene da questo libro, mai ripubblicato in italiano, ma presente come un “segno zero”, indelebile e come scritto in inchiostro simpatico.
La sua nuova apparizione, oltre alle convenienze filologiche e storiche, è motivata da una svolta nella teoria e nella pratica della semiotica: un cambiamento critico di rotta (perché questa non sia “sconfitta”)1.
Sappiamo che ciò che è originario si rivela tale solo ad una svolta della sua evoluzione (Nietzche). Questo libro è stato un gesto inaugurale di una semiotica a fondazione semantica che ha preso le distanze da una linguistica lessicale e da una semiologia dei segni. Ora che il rumore della moda strutturalista si è ridotto a brusio, si può fare il calcolo del campo: testi di forza e dei buchi neri dotati di reale forza di gravità2. La stessa diffusione del paradigma cognitivista, che non è certo univoco, ci invita a riprendere le acquisizioni delle ricerche compiute entro il paradigma strutturale, la cui fecondità non sembra esaurita. Come accade nelle scienze, il succedersi di alcune metafore esplicative non toglie ad altre la loro efficacia.
Proprio l’efficacia descrittiva e il potere esplicativo della semiotica di ispirazione saussuriana, poi hjelmsleviana, ci invitano alla necessaria deformazione a ritroso che è la rilettura della Semantica di A. J. Greimas; la sua novità iniziale, che è un dato permanente, e i suoi limiti, che sono stati i punti di partenza per gli svolgimenti successivi. Partendo dal futuro delle ricerche è conveniente tornare al passato, alla rottura del ’66, per venire ad un presente che mantenga una tensione speculativa ed euristica. Come ogni disciplina attiva, la semiotica è da sempre da ri-fare, ricominciando dai suoi esiti ma anche dal suo inizio.
2.
Secare è la probabile radice di segno. La Semantica aveva, al momento della sua pubblicazione, le caratteristiche di una rottura epistemologica per il rifiuto della nozione empirica e indecidibile di segno e il progetto di trattarlo come un ostacolo. Per Greimas, che da buon lessicografo conosceva le difficoltà di definire la parola, l’impegno era di andare oltre il segno. Sotto il segno, con la scomposizione in categorie articolate in unità minime dell’espressione e del contenuto; sopra il segno, con la costruzione di isotopie discorsive e di una sintassi della narrazione. Era una mossa ben più radicale della semiologia coeva di R. Barthes, che si presentava come una critica retorica delle connotazioni ideologiche (le Mitologie).
E infatti, al di là dei complimenti-oggetto e degli argomenti-spaventapasseri, questo libro è stato l’oggetto di una illeggibilità tanto più curiosa che altri testi di Greimas (cit.) costantemente ripubblicati ne presuppongono la conoscenza. Un ostracismo dovuto in parte alla temperie della glottologia storicista e alla filologia presaussuriana imperante in Italia, ma soprattutto a radicati quanto contraddittori pregiudizi sul suo presunto “idealismo” e “scientismo”. A buona distanza filosofica ed epistemica una lettura attenta della Semantica prova il contrario di questa nomea.
(i)
Centrale per Greimas è la dimensione materiale del significante e del significato. Nella relazione hjelmsleviana tra Materia e Sostanza (dell’Espressione e del Contenuto), la Semantica strutturale, insisteva e rendeva operativa la diversità delle istanze di sostanza; come la luce può essere appresa come corpuscolare o ondulatoria, così lo stesso materiale sonoro può essere oggetto di apprensione musicale o fonologica. Certamente, per principio di pertinenza, la materia era presa in carica dalla forma semiotica in vista della significazione; la forma semiotica o schema era invariante, mentre variabile era la sostanza, uso. Ma la distinzione tra forma e sostanza non è ontologica: è relativa al livello di pertinenza scelto per l’analisi dei testi semiotici manifestati in materie differenti.
(ii)
Quanto al dichiarato intento di una semiotica che operi “in vista della scientificità”, è il cambiamento di epistemologia a giustificarlo.
Le ricerche attuali di sociologia del fare scientifico, mostrano, proprio con strumenti semiotici, che lo scienziato non è più il prode cavaliere del vero, ma un Golem efficace quanto fracassone, se non un allevatore di mostri.
Comunque sia un progetto rigoroso di ricerche che tratti la scienza per i suoi errori e per i suoi successi può servirsi del corpus semiotico che viene dalla Semantica strutturale, come un organon di massime e modelli3. Questo è più pregnante nel caso delle scienze dell’uomo per cui la semiotica greimasiana, di chiara impronta linguistica ed antropologica (e non logico-filosofica), si propone come una metodologia in grado di mettere il senso in condizioni di significare. O più modestamente per ottenere qualche desiderabile effetto collaterale sui non luoghi, radure e terrains vagues, della ricerca sul sociale.
Non è un caso quindi che, esauritosi il pathos della decostruzione e dell’esenzione forzosa del senso-valore, ricomposta l’opposizione tra scienze dello spirito e quelle della natura, la riflessione filosofica riconosca alla semiotica testuale la capacità di spiegare di più per meglio comprendere. Valga l’esempio di P. Ricoeur, che già apprezzava il quadrato semiologico greimasiano come sintesi di una morfologia di posizioni e d’una sintassi d’operazioni alla base di una teoria narrativa. “In tal senso, la semiotica testuale di A. J. Greimas mi sembrava illustrare perfettamente questo approccio obbiettivante, analitico, esplicativo del testo, secondo una concezione non causale ma strutturale della spiegazione”4. Che si tratti di una ermeneutica materiale filologica o semplicemente di semiotica del discorso in ambito “post-fenomenologico” è un altro problema; sembra comunque tolto l’interdetto filosofico responsabile dell’oggettivo ostracismo alla Semantica strutturale.
3.
Il paradigma semiotico emerge dalla confluenza turbolenta di due correnti, una logica e l’altra linguistica, dalle quali trae la sua forza “dissipativa” e morfogenetica. I due grandi e frammentari padri fondatori F. de Saussure e CH. S. Peirce sono il riferimento o il bersaglio di caratterizzazioni variabili e di esegesi conflittuali. Mentre l’opera di U. Eco rileggeva, a modo e da par suo, le proliferanti tassonomie segniche del logico americano, la Semantica strutturale di A. J. Greimas si era già mossa nella linea post-saussuriana della glossemantica danese: L. Hjelmslev, V. Brondal. Se non ignora B. Russel o più ancora Reichenbach, i suoi punti cardinali sono linguisti come R. Jakobson e L. Tesnière e la tradizione comparativa in antropologia e storia delle religioni: C. Dumézil e C. Lévi-Strauss. Greimas dà alla semiotica il compito di disimplicare i dispositivi morfologici e la sintassi del significare dal saper fare filologico e antropologico. A partire dalla distinzione hjelmsleviana tra forma dell’espressione e del contenuto, egli immagina la possibilità di una articolazione del significato in categorie articolabili e in tratti pertienti (Semi) sul modello del fare fonologico quanto alle forme dell’Espressione (Femi). Non costruisce però un metalinguaggio a priori né pretende di comporre unità precostituite di senso: parte da testi culturalmente complessi, da analizzare secondo un progetto calcolato: definizione dei corpus, procedure di omologazione e di riduzione delle occorrenze e così via.
Semanticamente fondata, la qualificazione strutturale non ha nulla di “strutturalista”, né con la filosofia ana-umanista del primo Foucault, né con l’accezione linguistica dello strutturalismo USA, messo giustamente in causa da N. Chomsky (v. il distribuzionalismo di Z. Harris).
È una posizione che diverge dalle precedenti ricerche di lessicografia storica (v. Matoré) dello stesso Greimas come La mode en 1830: langage et societé, thèse d’etat, recentemente ripubblicata e che porta l’autore ad una postura esigente: costruire un autonomo livello di senso articolato, categoriale e processuale, un piano antecedente alla manifestazione discorsiva, destinato a fondare semanticamente la fragilità della stilistica e la tumultuosa demografia delle figure retoriche.
4.1
Qui sta la sigla inconfondibile della Semantica (se sigla deriva da singulum signum), i suoi punti esclamativi e di domanda5.
In primo luogo la cura assidua nella denominazione; nella definizione e/o nella interdefinizione dei termini; nell’esplicitazione dei primitivi teorici. E la costruzione dei modelli, per sostituire ad es. le semiotiche connotative come la distinzione – inestirpabile? – dei segni in termini di canali di comunicazione. Per Greimas ci si dovrebbe invece consacrare “all’elaborazione e alla formulazione rigorosa di un ristretto numero di sequenze canoniche, [per giungere] – a poco a poco – a dotarsi di nuovi dispositivi e di nuovi oggetti d’ideazione. Nella strategia della ricerca questi si sostituiscono – progressivamente – a esplorazioni condotte su semiotiche definite queste dai canali di trasmissione dei loro significanti per mezzo dei campi culturali che articolano”.
Modelli descrittivi di termini (come quella esemplare del lessema /testa/) o di testi (come l’opera di Bernanos, con il sensibile influsso “elementale” di G. Bachelard), ma soprattutto modelli euristici, con un accento particolare sulle procedure di scoperta. Insapori sono le teorie che si misurano con exempla ficta e che non scendono a vie di fatto coi testi naturali. I testi: “i nostri selvaggi” secondo Greimas, “le vetrate policrome della conoscenza”, per V. Nabokov – nella cui lettura la Semantica strutturale tiene sempre conto di una doppia dimensione analitica: quella paradigmatica (di scuola praghese) e quella sintagmatica (danese).
In particolare sembrano ormai acquisite alla ricerca “normale” in semiotica, (i) l’analisi semica e (ii) la caratterizzazione narrativa.
(i)
Val la pena di ritenere alcuni progressi significativi nell’articolazione del retaggio fenomenologico (intra-, estra- e proprio-cettività); nell’articolazione esagonale delle categorie binarie della significazione – il cd. “quadrato semiotico”, visto simultaneamente come rete di posizioni e sequenza di processi orientati; nella tipologia dei tratti semantici astratti e figurativi e nella loro sintagmazione all’interno dei formanti lessicali; nella specificazione degli attanti, nella loro articolazione ed energetismo, mutuata dalla ricerca sui casi linguistici e sulla morfologia delle fiabe russe. La ricerca di Greimas prende qui le distanze rispetto all’ipotesi glossemantica che prevedeva un’analisi completa del lessico come mezzo di conoscenza delle articolazioni d’una cultura intesa come sostanza del contenuto di una lingua. La Semantica strutturale limita invece la sua analisi (e la catalisi, cioè l’integrazione degli elementi presupposti o sottintesi) a universi discorsivi specificati.
(ii)
È la caratterizzazione della narratività, che ha prevalso sui modelli concorrenti a es. di R. Barthes, di U. Eco, di G. Genette, ecc.6 Riarticolando su di un piano di maggior generalità il modello di V. Propp sulle fiabe russe di magia ed integrandolo a quello del mito lévy-straussiano, Greimas definisce la narratività come trasformazione regolata al doppio livello di una sintassi profonda – di una semantica astratta e superficiale – cioè antropomorfa. Il narrare è specificato poi in composizioni di programmi narrativi contrattuali e/o polemici. La catena sintagmatica, sprovvista di senso nel grande ipertesto delle Mitologiche di Lévi-Strauss, ritrova la sua pertinenza e la combinatoria proppiana il suo semantismo.
Si tratta – è ancora il caso di dirlo? – di modelli indipendenti dalla semiosi, che possono manifestarsi attraverso sostanze diverse, linguistiche, somatiche o sincretiche (v. l’esempio dello psicodramma).
4.2
Riletta con i saperi se non col senno di poi, la Semantica del ’66 aveva una carattere protensivo. Se strutturiamo i suoi sintomi in sindromi, ci sono tutti i suoi i prodromi.
È lo stesso Greimas che nella prefazione a Del senso II (1983), qualche anno dopo la sintesi del Dizionario I, ha parlato di fedeltà e di cambiamento. Oltre alle prevedibili (i) rinunce: alla distinzione operativa tra semiotica e semiologia; ad un linguaggio autonomo delle connotazioni, ecc. e (ii) accentuazioni: una semiotica del mandato e della sanzione accanto a quella dell’azione, l’esplorazione poetica e visiva del segno motivato in via categoriale e qualificato come semi-simbolismo, ecc., la ricerca semiotica ha imboccato nuovi percorsi d’inflessione e di rottura.
L’economia della teoria, ad esempio, l’equilibrio tra l’asse paradigmatico e sistematico e quello sintagmatico e processuale si è rivelato precario; il successo della narratività ha spesso occultato i problemi di tassonomia e di gerarchizzazione semantica.
Per quanto riguarda la narratività già Greimas aveva introdotto, con una lettura originale della linguistica chomskiana, il piano delle Modalità che compongono la Competenza degli attori narrativi e portano ad una tipologia delle operazioni di manipolazione (seduzione, tentazione, provocazione, ecc.). Ma nell’analisi del raccontare, più delle sfere d’azione prende importanza il piano cognitivo, comprensivo del credere e dell’affettività. Oltre alla relazione fiduciaria è stato lo studio delle passioni a offrire negli ani ’80 il maggior numero di insights teorici e descrittivi (cit.). Tensione e quantificazione, valore e aspettualizzazione, la dimensione somatica hanno riportato l’attenzione al problema dell’affettività e del valore, come per replicare alla richiesta insistente di R. Barthes di “non credere alla separazione dell’affetto e del segno”.
Sempre per quanto riguarda il récit, Greimas ha distinto azione ed evento, liberandosi – parole sue – “dalla ganga proppiana” ed introducendo la dimensione dell’osservatore implicato, ma il gesto decisivo e problematico è quello che integra questi risultati alla dimensione enunciativa, costitutiva della messa in Discorso. L’opera originale di Benveniste7 e le intuizioni di R. Jakobson8, più che la nozione peirciana di indice, hanno posto in modo semioticamente pertinente al questione dell'(inter-)Soggettività testualizzata. La collocazione nell’economia della teoria pone spinosi problemi filosofici e imprevedute conseguenze metodologiche, ma integra una dimensione che la normalizzazione e la riduzione “informazionalista” della Semantica strutturale avevano tralasciato.
Questi ricchi filoni di ricerca giustificano in parte la dispersione del retaggio di questo libro: sia che si cerchi di ridefinirne le fonti (Brondal, piuttosto che Hjelsmlev) o di compiere sul piano percettivo e cognitivo dei confronti fruttuosi con la tradizione peirciana o la componente fenomenologica di Merleau Ponty. Comunque sia la semiotica contemporanea, per quel che vale, si misura sulla conoscenza dell’affettività e la prassi dell’Enunciazione.
Anche nell’assenza della stringente capacità greimasiana di integrare le ricerche di allievi e colleghi ci resta il suo stile singolare. Quello della Semantica, fatto di formalizzazioni provvisorie e di esplorazioni concrete, di tavole e di nota bene; chi poco ma preciso vuole molto stringe.
Ma anche quello del Dizionario I (la traduzione italiana è fuori commercio!) dove, abbandonata ogni architettonica, il rinvio rizomatico delle voci porta ad una interdefinizione rigorosa ed aperta.
“Piena di meraviglia e di diletto insieme è la forza delle dimostrazioni necessarie” (Galileo).
5.
In temperie post-moderna, – come aveva intuito Hjelmslev – il segno, nelle sue capacità simulatorie, effetti di realtà ed efficacia somatica è scatenato; nella lingua morta del marxismo è diventato infrastruttura. Le rotte e i percorsi di senso (poros e tekmor erano accezioni greche di “segno”) non lasciano scie durevoli. Le nuove tecnologie, proponendo, “immateriali” istanze di sostanza riportano in alto mare la semiosi; l’incontro tra Espressioni e Contenuti formati è sempre aporetico.
Anche le sfere filosofiche di cristallo sembrano piuttosto annebbiate: si veda la crisi dell’ermeneutica e l’abbandono del pensiero “molle” – anche lo scetticismo oggi si fa costruttivista.
Val la pena di cercare un nuovo ritmo: battere e di levare. Ribattere i concetti di base che la Semantica del ’66 ci ha indicato, levare la testa per calcolare spazio percorso e tempo trascorso. Per esplorare le possibilità offerte: nel Dizionario I di Greimas (1979) ogni entrata si proponeva come un programma di ricerca. Per discutere le alternative teoriche: una tavola delle presenze ci permetterebbe, ad es. verificare nel paradigma peirciano di l’assenza rimarchevole dell’affettività e dell’enunciazione. Discutere, che non è discettare o disputare, vien da scuotere.
In tal caso, ripetiamolo, la Semantica strutturale è un piccolo classico.
Per I. Calvino, che di Greimas era estimatore, i classici non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire; ma questo è vero solo quando l’ulteriore ricerca dà loro voce e sulla voce. È l’esegesi, che ha nella sua radice l’egemonia, ad additare e manifestare il senso, cioè il significato e l’orientamento. Cosa e dove andare a dire – nel dire c’è deixis e diké, ostensione e giustezza.
Nella treccia dei fili conduttori che, in termini greimasiani, danno senso alla fedeltà e al cambiamento indicheremmo oggi “il progetto scientifico [che] è probabilmente il solo spazio in cui la nozione di progresso abbia ancora un senso”9. Un sogno, forse, ma preciso e ad occhi aperti. Senza le illusioni che Greimas metteva in esergo alla sua prefazione all’edizione francese de Il linguaggio di Hjelmslev (1966) “per uno studioso niente è più bello di vedere davanti a sé una scienza da creare”. Oggi la semiotica è piuttosto una positività, nell’accezione di Foucault, cioè l’insieme delle “regole con cui una pratica discorsiva forma dei gruppi d’oggetti, degli intrecci d’enunciazione, dei giochi di concetti, delle serie di scelte teoriche”10. Da praticare per chi ne abbia la vocazione che è, diceva Deleuze, predestinazione rispetto ai segni.
Note
- Paolo Fabbri, La Svolta Semiotica, Laterza, Bari, Roma, 1998.
- P. Fabbri, G. Marrone, Semiotica in nuce, vol. I, Meltemi, Roma 2000.
- B. Latour, Non siamo mai stati moderni, Milano.
- P. Ricoeur, Réflexion faite, autobiographie intellectuelle, Esprit ed., Paris, 1995.
- P. Fabbri (con P. Perron), “Introduction” a A. J. Greimas, Semiotics and Social Sciences, Minnesota University Press, USA, 1989 (trad. italiana, Edizioni Scientifiche, Torino, 1990).
“Introduzione”, alla traduzione italiana di Sémiotique: dictionnaire raisonné de théorie du langage, par A. J. Greimas et J. Courtès, (Hachette, Paris, 1983) par P. Fabbri, Casa Usher, Firenze, 1986 trad. francese in “Pertinence et adéquation”, Nouveaux Actes Sémiotiques, Università di Limoges, Limoges, 1992.
P. Fabbri (with P. Perron) “Foreword” to A. J. Greimas, J. Fontanille, The Semiotics of Passions, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1993,:VII-XVI (trad. francese.”Sémiotique actionnelle, cognitive et passionnelle”, Protée, v. 21, n. 2, 1993, (Sémiotique de l’affect), Montréal (Canada). - P. Ricoeur, Tempo e racconto.
- E. Benveniste.
- R. Jakobson.
- A. J. Greimas, Del Senso 2, Bompiani, Milano.
- M. Foucault, Archeologia del sapere.