Grafologia. Una protosemiotica


Da: Il Verri, scrittura per immagini, Edizioni del Verri, Milano, n. 53, ottobre 2013.


Studiare la scrittura da un punto di vista semiotico, in Occidente, è porsi il problema della sua significazione come trascrizione fonetica, secondo criteri situazionali e relazionali. Naturalmente, alla domanda “quando è scrittura” – sulla scia del “quando è arte” di Nelson Goodman (1978) – si può dare una risposta grammatologica che include anche le incisioni rupestri, se tracce convenzionali destinate a trasmettere informazioni, e ogni attività comunicativa pittografica e ideografica. Ciascuno di questi sistemi ha un proprio funzionamento e specifiche strategie di collocazione, forme e processi di produzione, trasmissione, ricezione e interpretazione. Ma anche di modifica e cancellazione. Nel caso della scrittura alfabetica, che qui considero, è costitutiva invece la relazione con l’oralità.
Il sistema alfabetico, inventato dai mercanti fenici per scopi di circolazione e comunicazione, perde la ricchezza delle scritture quali quelle ideografiche, cinese, maya o egiziana, come sottolineava con largo anticipo un grande semiologo, Giambattista Vico. La scrittura fonetica trascrive, con una combinatoria di occhielli e bastoncini, i tratti espressivi del suono. È un livello metalinguistico, cioè la forma espressiva di una sonorità verbale, la quale è l’espressione del contenuto semantico.
La prassi e la teoria dei grafologi è quella di rendere questo metalinguaggio espressivo di un altro contenuto: manifestare i tratti di uno stato d’animo o di carattere. Una dottrina “protosemiotica”, di grafemi in grado di tradurre categorie identitarie della personalità, passionali e timiche, che ha avuto un grande impulso dalla metà dell’Ottocento (Michon), ma di cui la teoria attuale dei segni si è poco curata1.
Eppure Saussure (1916) aveva indicato come il primo dei sistemi segnici da studiare proprio la scrittura “L’immagine grafica delle parole ci colpisce come un oggetto permanente e solido, più adatto del suono a costituire l’unità della langue attraverso il tempo“. Compito della semiotica, quindi, è rendere denotative le macrocategorie della grafologia – etichette mutuate dalla psicologia comportamentale2 come forma, dimensione, orientamento, ordine, velocità, continuità e pressione, ecc.; i loro contrari e contraddittori: deformazione, disordine, lentezza, discontinuità, o le loro variazioni intensive e/o estensive, e così via.
Per indagare il “segno grafologico” è conveniente esplicitare questo Formniveau (livello di forma, Klages)3 in termini di semisimbolismo, cioè di omologazione “motivata” tra categorie dell’espressione e del contenuto. Partendo da questo segno- il tratto è “indice costituzionale” per il grafologo – si possono rinvenire o creare regolarità di ordine semisimbolico. L’analisi grafologica connotativa ne fa ampio uso: costruisce codici che correlano (i) l’opposizione /alto/ vs /basso/ con la /coscienza/ e l’/inconscio/ o l’/intellettualità/ e l’/istinto/; (ii) l’opposizione tra /sinistra/ vs /destra/ ai pronomi /io/ vs /tu/ o all’orientamento spaziale: /introversione/ vs /estroversione/ o al tempo, come /passato/ vs /futuro/, o a disposizioni come /egoismo/ vs /altruismo/. Poiché lo spazio è traducibile in tutti gli ordini non spaziali, le conversioni dinamiche tra queste categorie binarie trasformano lo psicodramma grafico in uno psicodramma narrativo.

1. Gesti della scrittura

Nell’era dell’informatizzazione riprende valore e vigore la grafia individuale. L’enorme opportunità di variazione che offre un computer nella scelta dei font sostituisce i tipi di scrittura codificati e separati un tempo rispetto al loro uso privato o ufficiale-diplomatico. L’analisi semantica di questi tipi di tipografie non è compiuto (Lindekens), ma ogni scrivente può appropriarsi di “tipo-grafie” prima riservate a pochissimi per renderle la marca di uno stile personale. Una scelta che è anche quella di un simulacro di gestualità. Il corpo, infatti, si esprime attraverso un impiego del gesto – nella comunicazione quotidiana, nella mimica teatrale, per esempio, o nel linguaggio dei sordomuti – anche attraverso la correlazione fra gesto e tracciato, ductus e applicazione scritturale. Nelle forme grafiche che riproducono suoni si depongono i processi somatici che devono esprimere sistemi semantici. R. Barthes vede la verità della scrittura “nella mano che preme, traccia e scorre, cioè nel corpo che batte (che gode)“.
In questi processi gestuali la scrittura non è molto diversa dall’attività della pittura, dalla scultura o dalla cucina. Al di là delle sostanze espressive interessate, inscrivere apticamente è un tracciare, levare, lisciare, cassare comune. Ciò introduce, anche nell’analisi grafologica, categorie familiari alla semiotica – il ritmo, la tensione e soprattutto l’aspettualità (tratti iniziali o finali, rafforzamenti, sottolineature). Servono a spiegare: altezza, ampiezza, taglia e spessore del carattere, vuoti e pieni, gradi di pressione, corsivizzazioni orientate, verso l’alto e il basso, la destra o la sinistra, andamento della linea, spaziatura fra le righe, centralizzazione o perifericità, densità o rarefazione nello spazio, ordine o disordine – sgorbi, tremolii e cancellature – contrasti fra “staccato” e “legato”, discontinuo e continuo4. I grafologi – abili detective – già associano questi tratti all’irruzione di emozioni o viceversa al loro controllo. Nessuna meraviglia se individuano nella scrittura categorie semantiche, passionali, stabilizzate lessicalmente nel linguaggio verbale. La scrittura, secondo i gradienti di forma, simmetria, regolarità, rinvia infatti a disposizioni e temperamenti indicativi di una dimensione timica. La pienezza di vita o la sua mancanza, il grado di maggiore o minore eccitabilità, il prevalere della vita affettiva o della volontà (Klages). Nelle sue prove di scrittura Klages ha mostrato con analitica efficacia “i sintomi “dinamici” di movimento – v. brusco vs lento – nelle immagini espressive della gioia e dell’ira“(Buhler).

2. Spartiti e autografi

A differenza di prassi come il disegno, inoltre, la scrittura segue uno spartito che la sottende e precede. Negli alfabeti delle varie lingue suoni molto vicini fra loro sono stati discretizzati mediante forme altrettanto discrete. Questo sistema grafico convenzionale è un allografo, una sorta di spartito di cui ogni esecuzione scritta costituisce un autografo originale. Il gesto autografico varia in condizioni situazionalmente differenziate – nel cronotopo e nella partecipazione degli attori – come gli eventi passionali per esempio, sollevando ardui problemi di riconoscimento. Così la firma, per definizione illeggibile – la leggibilità può essere richiesta! – aiuta a tracciare l’identità gestuale, a rendere la scrittura fisiognomica. Non va riconosciuto il nome, ma la configurazione gestuale, l’andatura e il portamento. Da un lato, quindi, si assiste alla costruzione di una semantica e di una timica; e ogni scrittura attualizza uno spartito, come esecuzione originale, indicando le componenti patemiche che la semiotica ha individuato: le modalità e la temporalità, l’aspetto e l’estesia. Si riconosce un carattere da una passione dominante o da una gerarchia emotiva, dall’abitualità o dalla fretta, dalla discontinuità all’esitazione, e così via.

2.1. Le interpunzioni

In proposito bisognerebbe esplorare la dimensione grafico-passionale delle interiezioni, grandezze discorsive che riconosciamo oggi come parte della grammatiche, mentre i razionali Greci le escludevano dalle classificazioni linguistiche. Gli equivalenti grafici, le interpunzioni, che la tipografia ha lungamente sottovalutato, è in visibile rimonta elettronica: la fisiognomica codificata delle emoticone si aggiunge a puntini di sospensione, esclamativi, interrogativi, che manifestano modi del linguaggio sintomatici di stati dell’essere e indifferenti a principi di verità. In quasi tutti i fumetti le imprecazioni dei personaggi sono segnalate “eugraficamente” – un eufemismo visuale – da serie di elementi che corrispondono ai pulsanti marginali della tastiera: virgolette, cancelletto, asterischi… Si ricorre cioè alla dimensione digitale della tipografia fissa per restituire una significazione molto analogica. Anche in questo caso il suono dell’imprecazione è “digitalizzato”, cioè reso distintivo dalla scrittura, nell’atto della sua esecuzione, mentre ogni imprecazione accompagnata dalla fisiognomica del personaggio enunciante è un autografo.
In generale, anche per psicologi come Paul Watzlawick, ogni sequenza di eventi è scandita dalla puntuazione. Nell’enunciato “voce di uno che grida nel deserto: «preparate la via del Signore»” (Marco 1, 1-3; Giovanni 1, 22-23), è sufficiente cambiare la punteggiatura perché cambi il senso degli eventi, es.: “voce di uno che grida: «nel deserto preparate la via del Signore»”. Da cui un’invocazione mistica all’invito a far parte di un movimento di eremiti. Un credente che scrivesse manualmente non lo farebbe forse con la stessa grafia.

2.2. Il segno caratteriale

Al grafologo tocca soprattutto ricostruire e attribuire il carattere, disegnare un ritratto, con le sue qualità e difetti, un po’ come gli storici dell’arte quando assegnano o rifiutano un’opera a un determinato autore. Gli attribuzionisti in pittura si basano sia sullo stile, sia sulla firma. I falsari infatti sono eccellenti imitatori, ma mancano per lo più di riprodurre la singolare tensione che caratterizza la firma. La storia dell’arte richiede molta pratica grafologica. Un esempio: “la firma è imitata dividendo troppo regolarmente le lettere senza incisività” (es. Maurizio Calvesi su un De Chirico).
D’altra parte non è un caso se una disciplina poco affidabile come la fisiognomica del gesto è impiegata ampiamente nella clinica psicopatologica e soprattutto nei tribunali. La fisiognomica in sé non è valida in ambito forense – non si può condannare un imputato perché ha una faccia patibolare (!) – ma periti grafologi che possiedono un loro albo professionale offrono prove indiziarie utilissime sul carattere o sull’identità di una persona. Anche nelle aziende la valutazione dei candidati per le assunzioni si basa non su test psicologici, ma sulla loro grafica.

3. Lo spazio della scrittura

“Si interpreta (ripeto) non il movimento isolato del braccio bensì il comportamento generale della situazione pre-compresa”
(Buhler)

Da tempo i grafologi, come i semiologi, cominciano l’analisi della scrittura dalla pagina nel suo insieme, in quanto totalità testuale: dall’intero alle parti, non dalle parti all’intero. Si scompone il complesso grafico fin quando è necessario e significativo (Hjelmslev). Tale approccio, che recupera un olismo a torto ritenuto antistrutturale, è in flagrante contraddizione con l’atomismo delle neuroscienze, orientate verso procedure modulari e computazionali. Invece, soprattutto a partire dall’opera profonda di Ludwig Klages, che ha studiato la calligrafia di grandi personalità della cultura, è opinione condivisa che qualsiasi forma di inscrizione, simula uno spazio di tensioni e conflitti e l’ergon che ne risulta. E costruisce margini, rientri e cornici che, lungi dall’essere una proiezione di relazioni logiche, imbricano “visibile” e “dicibile” con la corporeità dell’istanza enunciante. Lo stile è un legante che viene dal corpo, “deformazione coerente della carne” (Barthes). Alla lettura atomistica sfugge il suo ritmo modulare, così come sfugge la qualità della sostanza espressiva – non si firma con un qualsiasi strumento, su un supporto qualunque. Un trattato internazionale richiede una certa carta e una stilografica! La scrittura può farsi enfatica e ornamentale.

3.1. Corpuscolare e ondulatorio

La fisiognomica della grafica è un luogo appropriato per indagare le valenze del rapporto /corpuscolare/ vs /ondulatorio/. Greimas ha inizialmente applicato questa categoria in fonetica e poi, grazie all’isomorfismo fra espressione e contenuto, ne ha esteso l’uso alla semantica5: dalle istanze di sostanza dell’espressione a quelle del contenuto. Il materiale sonoro, infatti, può essere oggetto di apprensione fonologica o musicale nella stessa maniera in cui la luce può essere appresa come corpuscolare o ondulatoria (Fabbri 2000). L’altalena è tra una logica del discreto e una del continuo, entrambe interne ai linguaggi: nella scrittura, per esempio, a partire dall’opposizione di Formniveau tra arrotondato e spigoloso, il sensibile e il patemico intervengono a dettare un ritmo del ductus: a sincoparne ad esempio gli andamenti ondulatori o a lisciarne le angolature.
Per il ruolo che vi gioca la gestualità, questa alternanza fra discreto e continuo è anche visiva. I fonemi del linguaggio orale si individuano a partire da “visemi“, cioè da pattern figurali del volto. In francese la salienza di vocali protuberanti, [e] e [o], non è soltanto sonora, ma fisiognomica, se si estende la nozione a tutti i sistemi di segni in cui è impegnato il corpo. Si può dire che la scrittura è ricca di “gestemi“, che dipendono dal gesto e dalle protesi con cui il corpo embraya le competenze strumentali. Senza riferirsi al pennello orientale, si pensi all’utilizzo del pennini nella calligrafia scolastica. Negli anni Cinquanta, prima delle penne biro e quando su ogni banco si trovava un calamaio da riempire con precauzione, ce n’erano diversi, a foglia o a piramide. Si sostituivano nella redazione secondo gli effetti di ampiezza o finezza delle aperture, che lasciavano scorrere gli inchiostri attraverso la pressione, in funzione delle tracce preventivate. Il modo della scrittura, e anche l’aspetto – goffo o spigliato – si concatenava con le abilità applicative nell’impugnare e orientare lo strumento e nella scansione del gesto.
Parafrasando Goethe, “chi scrive tace invano“.


Note

  1. Per Jean Hippolyte Michon, che ha introdotto il termine nel 1868, quelli fisiognomici erano “segni fissi”, con un’identità statico-causale di tipo lessicale, fra un grafema specifico e un singolo tratto patemico-caratteriale. Cfr. Michon 1875; 1878. Ma già il suo allievo Jules Crépieux-Jamin indagava il composto grafico attraverso tratti generali, ripartiti in sette “generi”, raggruppati in 175 “specie”, cioè qualità grafiche peculiari, disposte in “modi”, cioè come particolari grafici. Vedi Crépieux-Jamin 1888, Ma altri ha aggiunto ancora decine di specie grafiche. torna al rimando a questa nota
  2. Sui rapporti tra grafia e fisiognomica, Ludwig Klages, più che Lavater, ha dato un contributo teorico fondamentale per ogni scienza dell’espressione – “L’espressione è un’allegoria dell’azione” – e accuratamente analitico. Cfr. Klages 1910. Senza citare la sua discussa legge delle variazioni concomitanti – ogni modifica di un tratto grafico significante non accompagnata da una trasformazione del suo significato si accompagnerebbe a cambiamenti espressivi di senso opposto – basti ricordare il suo capitolo sulla “Psicologia del legame filiforme”! In stretta ortodossia semisimbolica la /Scrittura Legata/ sarebbe caratterizzata da capacità associative e mobilità di spirito, e quella /Non Legata/ da ricchezza d’idee e stabilità mentale; mentre la /prima/ sarebbe però povera di idee che tenderebbero a sfuggirle, la /seconda/ esprimerebbe mancanza di logica e bizzarria di spirito. A Klages faceva critico riferimento il grande sematologo Buhler, maestro di Gombrich e Popper.
    A lui dopo un periodo di silenzio dovuto a complicate vicende politiche, rinviano oggi i neo-fenomenologi. torna al rimando a questa nota
  3. La dimensione connotativa, come accade sovente in Barthes, tende a formare un’autonoma densità ideologica e a produrre una sorta di mise en abîme della denotazione. Al grafologo, programmaticamente, non interessa il piano del contenuto linguistico denotato dal testo alfabetico che analizza. torna al rimando a questa nota
  4. I parallelismi del gesto fra pittura e scrittura sono oggetto di analisi in Migliore 2011, cap. 3. torna al rimando a questa nota
  5. Quando Hjelmslev afferma che esistono “sillabe del contenuto”, fa leva sulla tesi che, come l’espressione, anche i contenuti sono articolati. L’affermazione parve tanto stravagante al curatore americano dei Fondamenti che pensò bene di censurarla. Cfr. Hjelmslev 1939; 1943. torna al rimando a questa nota

Bibliografia

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Crépieux-Jamin, J.
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2000 “Introduzione” a A. J. Greimas, Semantica strutturale, Meltemi, Roma 2000.
2009 “Sulle penne e sui cappelli”, in AA.VV., Il discorso del design. Pratiche del progetto e saper-fare semiotico, a cura di D. Mangano e A. Mattozzi, E|C, Serie Speciale, Anno III, nn. 3/4, pp. 43-48.

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1978 Vedere e costruire il mondo, Laterza, Roma-Bari 1988.

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Michon, J.H.
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