Da: AA.VV., Rimediazioni. Immagini interattive, a cura di Tiziana Migliore, vol. 1, Aracne Ed., Roma, 2016.
La rimediazione, centrale oggi nelle pratiche comunicative e ludiche, dell’entertainment, mi obbliga a una scelta di principio, a riconoscere un criterio generale di base negli scambi mediatici. Se c’è un universale linguistico e semiotico, il solo “primitivo” dei funzionamenti testuali, è la traduzione1: vale universalmente che ci siano singolarità traducibili. Ai fini dell’analisi, e a livello sia metodologico sia teorico, va fissata, accanto a questo principio, una massima ovvero una definizione di tipo non normativo, ma regolativo: nella traducibilità (linguistica) e nella transducibilità (semiotica) contano le trasformazioni testuali. Tenterò di dimostrarlo. Chiaramente la trasformazione implica commensurabilità, presuppone cioè l’idea che perfino l’intraducibile è ciò che attende di essere tradotto (Lotman 1993; Ricœur 2004). Non ci sono incommensurabili.
1. Apporti della rimediazione
Quali sono i tratti peculiari della traduzione nella rimediazione? Si può dire che a trasformarsi, nei testi, sono soprattutto i supporti materiali. La rimediazione comporta una mutazione “utensilare”, se si accetta di annoverare nella nozione di utensile il medium. Ovvio che la trasformazione del supporto di materia, attraverso la mutazione utensilare, provoca trasformazioni semantiche.
Si trasformano però anche le condizioni di enunciazione. Nell’ibrido di umano e non umano che è ogni processo mediatico viene in primo piano l’interfaccia: il testo-oggetto mostra espressamente, nella sua forma, le strategie enunciative di tipo transitivo e riflessivo che lo regolano: l’istanza che comunica trasforma chi riceve la comunicazione e trasforma se stessa nell’atto di comunicare. Georg Simmel (1918) ha riflettuto su questa “pelle interagente” a proposito del design della teiera: la teiera ha lo scopo di contenere il tè, ma ha un manico e un becco. Il manico serve a versare il tè, è il soggetto emittente, mentre il becco tocca la tazza del ricevente. Un’ipotesi funzionalista toglie il becco e il manico, mentre un’ipotesi intersoggettiva li accentua e orna. Il becco fa onore a chi riceve il tè, mentre il manico fa onore a chi impugna la tazza.
Nel concetto di rimediazione il prefisso “ri-” è marcato. Bolter e Grusin (1999) vi hanno insistito, ma senza considerare che spesso si rimediano non testi integrali, bensì porzioni di testo. A livello aspettuale, per esempio, si può rimediare di un testo la fase finale (terminativa), la fase iniziale (incoativa) o la fase centrale (durativa). Posto che la ripetizione non è mai ripetizione all’identico, ma differenza (Deleuze e Guattari 1968), la ricorsività si distingue dall’iteratività di grandezze sull’asse sintagmatico, appartenenti a una medesima catena, perché ripete le stesse grandezze sull’asse paradigmatico, cioè a livelli diversi di una gerarchia2. La ricorsività funziona all’interno di testi trasmessi attraverso media diversi a livelli diversi di testualità. Così, nel grande contenitore testuale tradizionale che è l’Orlando furioso, è racchiuso il mito di Edipo e vi si racconta una storia della sfinge. Alcuni testi si trovano condensati o espansi, dunque modificati, in altri testi e su altri piani della rappresentazione.
2. Machinima, un congegno semiotico
L’uso della traduzione nella rimediazione è a mio avviso efficacemente mostrato, in molte sfaccettature, dal videogioco. Attiro il lettore su un tipo di gioco interattivo, il Machinima, che ha avuto notevole impatto sul grande pubblico e con un rendering di computer-generated imagery (CGI), abbinato a un motore grafico 3D, che ha consentito la creazione di opere di un certo risultato. Machinima è un termine-valigia abbreviazione di machine cinema o di machine animation, entrambe le accezioni intese come un insieme di tecniche e come un genere di film (film prodotti con tali tecniche). Si basa sulla riappropriazione di materiali sotto copyright che gli artisti di Machinima, i “macchinimisti” o “macchinanimatori”, hanno licenza di ottenere, nella maggior parte dei casi, in quanto fan di videogiochi. La dedizione li legittima.
Dal 2005 si gioca parecchio tramite Machinima, che «refers to the process of creating real-time animation by manipulating a video game’s engine and assets. This classic form allows users to explore, create, and connect with their favorite games in new ways. In the same vein, Machinima is devoted to taking entertainment to all-new levels and capturing our fans’ imaginations»3. Una delle sezioni di questa voce in Wikipedia è intitolata “Semiotic mode”. Ecco in che senso: «[Machinima] it makes heavy use of intertextuality and raises the question of authorship. Machinima takes copyrighted property (such as characters in a game engine) and repurposes it to tell a story, but another common practice in machinima-making is to retell an existing story from a different medium in that engine»4. Chi oggi lavora con queste tecniche si cimenta nell’intertestualità e nell’autorialità, cioè si occupa di originale e di copia. Vi torneremo. Machinima è ritenuto un procedimento espressamente semiotico perché «this re-appropriation of established texts, resources, and artistic properties to tell a story or make a statement is an example of a semiotic phenomenon known as intertextuality or resemiosis»5. Intertestualità e risemiosi. L’accesso agevolato a giochi che godono del diritto d’autore ha reso Machinima un modello di democratizzazione del cinema (Berkeley 2006).
3. Rimediazione e camouflage
I testi rimediati si trovano spesso, e per vari motivi, camuffati nel testo rimediatore, soggetti a sistemi di cripsis – nascondimento – o di mimesis – travestimento6. La rimediazione ridefinisce il ruolo gerarchico della source, l'”originale”, rispetto al target, dove il testo rimediato è rigiocato meccanicamente. Il rapporto fra camouflage e media è stato preso in esame da Hanna Rose Shell (2012), che dà l’esempio del videogioco Battlefield 2 (2005), trasformazione-rimediazione dell’episodio 24 della serie televisiva britannica dei Monty Python Monty Python’s Flying Circus (1969-74).
Battlefield (Digital Illusions Creative Entertainment – Electronic Arts, 2002-2015) è una serie di video game di guerra che hanno avuto successo nell’essere giocati online, in modalità Multigiocatore. Il capitolo Battlefield 2 è pietra miliare dell’online first person shooting di Machinima, cioè dei sofisticati motori grafici degli sparatutto in prima persona. Lo schema e le ambientazioni somigliano molto alla puntata 24 del Flying Circus, che si intitola How Not to Be Seen (o H.M. Government. Public Service Film #42, Paragraph 6, 1970), è scritta, sceneggiata e narrata da John Cleese ed è stata poi inserita, più breve, nel film a sketch, compendio dei Monty Python, And Now For Something Completely Different (1971), per la regia di Ian MacNaughton.
Shell (op. cit.: 130 e sgg.) si accorge che il filmato è a sua volta variazione parodistica di un documentario di propaganda, Kill or Be Killed (1943), che istruiva i soldati sulle tecniche e i vantaggi del camuffarsi in guerra. L’autore, Len Lye, era un artista cinetico e di animazione d’avanguardia che lavorava per i servizi britannici impegnati in operazioni di camouflage. In How Not to Be Seen una voce fuori campo (Cleese) chiama alcuni individui (riportandone nome, cognome, professione, indirizzo e codice di avviamento postale) nascosti in meravigliosi scorci verdi. Gli appostati che rispondono, anche salutando, vengono abbattuti a colpi di arma da fuoco; gli appostati che non rispondono saltano in aria assieme al loro nascondiglio. La voce fuori campo descrive le migliori tecniche di occultamento e come è stato possibile trovare chi si era nascosto meglio (“i vicini ci hanno detto dove trovarli”).
Dall’una all’altra delle tre versioni intervengono trasformazioni di contenuto. Anzitutto il videogioco non sembra affatto cinematografico: è piuttosto un ritorno al teatro delle marionette o alle pratiche più antiche del XIX secolo, quando i fotogrammi del cinema venivano dipinti e animati a mano. Secondo un’idea dialettica, sostenuta perfino da Walter Benjamin (1936), i media si evolvono teleologicamente. Questo caso prova il contrario: il videogioco parte dal cinema, ma risale alle marionette. La postproduzione torna a essere una forma di animazione (Manovich 2001). Rispetto all’episodio del Flying Circus, il film-compendio di MacNaughton materializza la voce disincarnata di Cleese. Nell’ultima scena vediamo Cleese seduto a un’elegante scrivania mentre sghignazza sui bombardamenti – i soldati di Kill or Be Killed sono stati rimpiazzati da civili – e d’improvviso, come in un controcampo, esplode anche lui. Lo spettatore “fights back”. Mantenendo la sua posizione, lo fucila.
Chiaramente, è soprattutto il cambio di registro discorsivo ad emergere: nella comune isotopia della sparizione, che ha una sua propria estetica (Virilio 1989), si passa dal tono serio a uno ironico a uno parodistico, con due livelli di parodia: I) How Not to Be Seen ironizza sul documentario di Servizio Pubblico; II) lo sketch di MacNaughton fa la parodia di How Not to Be Seen; Battlefield 2 è una parodia più soft dello sketch di MacNaughton. Infatti, in How Not to Be Seen, è Cleese a ridere quando gli uomini nascosti esplodono. Nel video game, invece, le risate sono registrate, punteggiatura di istruzione dei momenti giusti in cui si deve ridere, creazione di una competenza nell’osservatore (modello). Parliamo di parodia e non di ironia perché l’ironia attacca i principi, mentre lo humour prende di mira le conseguenze (Deleuze 1967), in modo parodistico se le esagera. Due famosi esempi presi da Radio Yerevan: «Che cos’è il capitalismo? È lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Che cos’è il socialismo? È esattamente il contrario» (ironistico); «Perché nell’Unione Sovietica non c’è il libero amore? Perché c’è troppa gente che viene a dare consigli» (umoristico).
Veniamo ora al problema della copia. In Machinima tutte le riproduzioni si definiscono originali. Battlefield, benché copia di How Not to Be Seen, si autoenuncia come un originale. Si ricorderà il racconto che apre l’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert: un uomo chiede un ritratto della sua amata e, siccome lo vuole davvero molto somigliante, interpella una decina di pittori. Ma i disegni che ne ricava non si somigliano fra loro e non somigliano alla donna o, se le somigliano, lo fanno in maniera completamente diversa. Gli originali sono plurimi: evolvono nel tempo e cambiano nella Storia. È il tema di un dibattito intrapreso da Jorge Luis Prieto, più tardi sviluppato in uno specifico saggio (Prieto 1988), e che ha interessato Nelson Goodman (1968) e Gérard Genette (1994). Decidersi sui tratti distintivi della copia può chiarire i meccanismi di significazione in atto nella rimediazione.
Prieto (1988) sostiene che una macchina da scrivere, un’Erika portatile degli anni Trenta che ha visto esposta in un museo di Berlino-Est e che, secondo il cartellino, era stata utilizzata nella stampa clandestina della resistenza al nazismo, è sì identica alla stessa macchina scovata su una bancarella del mercato delle Pulci di Berlino-Ovest, ma è diversa sulla base dell’implementazione fornita dalla descrizione museale: la prima Erika (a patto di credere al cartellino e quindi all’asserzione del conservatore del museo) è proprio la macchina contro Hitler. Evidentemente di questo non c’è traccia nelle due portatili, perché si tratta di oggetti di serie. Non sono però lo stesso oggetto perché ciascuno di essi ha la propria “ricetta di produzione”, ossia un modo di essere qualificato in rapporto a come è stato prodotto, ma anche a come è stato usato. Per essere in grado di dire che cosa sia l’autenticità di un oggetto – o quando un oggetto è autentico – Prieto (op. cit.: 20-21) distingue l’identità numerica e l’identità specifica. L’identità numerica, immutabile, determina l’oggetto in quanto individuo e non è condivisa con altri – un oggetto può essere numericamente identico soltanto a se stesso. L’identità specifica è una caratteristica o un insieme di caratteristiche che l’oggetto presenta. È condivisibile e, nel tempo, se ne possono perdere o acquistare di altre, in virtù della trasformazione di ciascun oggetto. Nell’ambito delle realizzazioni che utilizzano un “originale”, Prieto considera invece l’esecuzione per matrice e l’esecuzione per segnale (ibidem: 36-37). L’esecuzione che si serve dell’originale come segnale è conosciuta col termine di copia e presuppone, da parte del copista, un’interpretazione dell’originale. Si tratta infatti di determinare, fra le infinite caratteristiche dell’originale, quelle della sua identità specifica pertinenti per una sua realizzazione. Il secondo procedimento, la “riproduzione”, più recente della copia, consiste nell’utilizzare l’originale dell’opera come matrice, e cioè come mezzo materiale per produrre realizzazioni non originali dell’opera. Nella riproduzione non c’è interpretazione, perché conta restituire il maggior numero di caratteristiche dell’originale, indipendentemente dalla loro pertinenza. È vero però che gli strumenti della riproduzione sono resi “sensibili” soltanto a certi “parametri” dell’originale e a un certo tipo di arte.
Per tornare al nostro caso, Len Lye interveniva direttamente sulla pellicola, colorandola e bucandola; operava cioè sulla matrice. La composizione e la scomposizione digitale del videogioco, fra cui i movimenti di macchina, costituiscono un esempio di esecuzione per segnale: consentono la produzione di un oggetto che può essere identico nella misura in cui esegue le istruzioni contenute nell’originale. How Not to Be Seen spicca come innovazione concettuale, tutte le altre sono esecuzioni subalterne. Battlefield ha la prerogativa di rispettare l’innovazione concettuale, realizzando al contempo esecuzioni subalterne, tali per cui i cosiddetti “originali” sono originali, e riproduzioni delle innovazioni concettuali. Insomma, l’esecuzione subalterna, a causa del tipo di strategia di produzione, che è quella della digitalità, funziona come un’esecuzione musicale: ogni volta suscita un’originale. C’è uno spartito, che è How Not to Be Seen, che permette l’esecuzione di… originali, non di copie. Per segnale anziché per matrice. Secondo Prieto, a dispetto di un feticismo buono per i musei e per il mercato, gli originali cambiano continuamente, durante i restauri e di fase in fase, come si evince dagli archivi fotografici. Si trasformano nascosti nelle loro copie.
Lo studio del rapporto fra originale e copia, attraverso il camouflage, ha un riflesso nei comportamenti di oggi. In una società della sorveglianza crescente gli individui si travestono da apparenze normali e, se possibile, spariscono. È la normalità come maschera (Goffman 1969). Il sistema di vita che prevale nelle metropoli contemporanee è il norm core, l'”abito” da turista medio, che è il grado zero della moda e insieme la forma più assoluta di dandismo. Ci muoviamo nel mondo del controllo visuale in divisa dazzle, come sovraesposizioni che nascondono.
Note
- Cfr. Dusi e Neergard 2000.
- Cfr. la voce “iteratività” in Greimas e Courtés 1979.
- www.machinima.com/downloads/Machinima_Branding_Guidlines.pdf
- en.wikipedia.org/wiki/Machinima
- Ibidem.
- Sul camouflage cfr. Fabbri 2011.
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