Da: Quaderni sull’opera d’arte contemporanea. Vol. 2: sulla 53ª Biennale di Venezia, et al. / edizioni, Milano, 2011, pp. 19-30.
Le nottole di Minerva sciamano al calar del sole. La chiusura di una grande rassegna d’arte è l’occasione per passare dalla fase informativa a quella analitica, dalla comunicazione all’approfondimento. L’epifenomeno è il mostrarsi del fenomeno. Poi, esauriti i tempi dell’implementazione artistica – esecuzioni, allestimenti, media, pubblicità, ricevimenti –, è il momento della riflessione. L’indagine critica non si esaurisce nell’anticipazione dei cataloghi. Il senso degli avvenimenti si legge a ritroso, dalla conclusione all’incipit.
Vorremmo prendere in esame uno degli esiti più alti della 53ª Biennale di Venezia, il premio a Bruce Nauman, conferitogli dalla giuria a titolo di migliore partecipazione nazionale. Già Leone d’oro alla carriera nel 1999, in una delle due Biennali di Harald Szeemann, Bruce Nauman ha rappresentato gli Stati Uniti in questa edizione del “Salone” veneziano, con una mostra, Topological Gardens, curata da Carlos Basualdo e Michael R. Taylor. Allestita al padiglione statunitense, la personale ha coinvolto due luoghi “estemporanei”: il chiostro dei Tolentini dell’Università Iuav e gli spazi espositivi dell’Università Ca’ Foscari, sul Canal Grande.
SEMIOTIC PLAYS
La mostra e il catalogo omonimo – con vasta bibliografia priva di articoli europei – presentano alcuni esiti esemplari dell’attività di uno dei massimi artisti viventi. “Modalità artistiche di base” di cui Nauman aveva compilato il promemoria, Codification (1967), che metteva in lista:
1. Fattezze personali e pelle – 2. Gesti – 3. Azioni ordinarie, come quelle che riguardano il mangiare e il bere – 4. Tracce di attività, come impronte di piedi e oggetti materiali – 5. Suoni semplici: parole orali e scritte – 6. Messaggi metacomunicativi – Feedback – Codificazione analogica e digitale.
Difficile quindi uno sguardo d’insieme, ma la ricerca non esige la totalità: al totus chiuso e terminativo della collezione su catalogo preferisce l’omnis, l’insieme costruito e aperto del corpus testuale.
Alla vista del semiologo dell’arte, interessato alle strutture e ai processi di significazione, si impongono immediatamente le opere “concettuali” di Nauman, consacrate alla dimensione dei segni e del linguaggio. Lingua da guardare e pensiero da leggere, si è detto. Occhio ai segni, dunque, disposti lungo una corsia preferenziale quasi assente dal catalogo della mostra veneziana, ma percorsa da autori come Robert Storr e Janet Kraynak, che hanno esplicitato l’intento semiotico di Bruce Nauman nei giochi linguistici (Wittgenstein), musicali (Cage, Reich), coreografici (Cunningham), teatrali (Beckett) e letterari (Robbe-Grillet).
La “lettura” delle Insegne – sequenze di lettere e di immagini – installate nel padiglione USA invita però a un caveat teorico. La vulgata critica, che comprende estetologi come Arthur Danto, vi riconosce l’influenza di Wittgenstein e dei suoi linguistic games, esemplificata dalla installazione in cui Nauman cita esplicitamente un testo del filosofo: A Rose Has No Teeth. Questo approccio concettuale all’opera dimentica che Nauman trae le sue citazioni anche da titoli di canzoni popolari – come Love me Tender (1956) di Elvis Presley, trasformato in Move Te Lender (1966), o Sweet Substitute (1940) di Jelly Roll Morton, trasposto in un neon del 1968, Sweet, Suite, Substitute. Quanto a A Rose Has No Teeth, il supporto metallico della lastra su cui sono incise le lettere maiuscole distribuite spazialmente in tre righe di cinque lettere ciascuna – A ROSE / HAS NO / TEETH – produce piuttosto l’effetto di un poemetto in attesa di affissione.
Tali osservazioni – che seguono le indicazioni di Nauman – “find the edge of the structure” – inducono a precisare la nozione stessa di linguistic game. Per Wittgenstein si trattava di atti comunicativi per comandare, descrivere, riferire, congetturare, ipotizzare, chiedere, ringraziare, imprecare, salutare; ma anche recitare, inventare storie, cantare un girotondo, indovinare sciarade, fare battute, risolvere problemi di matematica. Le scritture di Nauman, invece, hanno le caratteristiche del play: non seguono regole prefissate, ma istruzioni ludiche dettate con esatta libertà.
L’opera di Nauman, grazie alla sua formazione matematica e musicale, è un’algebra divertita dei suoni e dei significati, delle lettere e delle figure. Dalla matematica teorica l’artista ha tratto il suo interesse per il rigore strutturale e la vitalità innovativa nella sperimentazione dei linguaggi; dalla musica, in particolare da Steve Reich, l’interesse per l’asincronia e più in generale per l’asimmetria temporale applicata alla colonna sonora di una o più video-installazioni1. Ecco un esempio della ininterrotta sperimentazione sulla combinatoria delle lettere, delle parole e della frasi: “None sing”, diventa “neon sign” (1970); “War” si rovescia in “raw” (1971); da “sore” si ottiene “eros” (1974); “door” si commuta in “odor” o “rodo” (1973) e così via.
Per Robert Storr (1994, p. 55) “Nauman speaks in tongues”, in maniera enigmatica, ispirata, come i carismatici. Una vulgata new age che trae origine dalla prima opera rinomata dell’artista, il neon spiraliforme The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths. Propongo invece di applicare a questo testo – ironicamente ispirato a una pubblicità alcolica più che all’esoterismo delle spirali – il suo stesso dispositivo di senso che non è “mistico” ma “enig-mistico”. Un gioco (play) con il senso (sema) che si estende dalla lingua e dalla scrittura alla gestualità e al corpo (soma) e ad altri sistemi di segni che hanno la sostanza espressiva del mondo naturale. Le opere iconiche e le performance verbo-visive di Nauman non sono metafisiche ma, come vedremo, patafisiche.
FIGURE E TATTICHE DI POETICA
Tra i critici citati, Storr nota con ragione come Nauman inventi una scrittura tropologica, fatta di palindromi e anagrammi. Anche Janet Kraynak (2004) propone un’analisi saussuriana delle funzioni simboliche, distinguendo i segni dai segnali (si pensi alle insegne al neon). Le sue conoscenze di semiotica, però, sembrano fermarsi al primo Barthes e ignorare il memorabile contributo di Jean Starobinski sugli anagrammi di Saussure e la loro funzione poetica.
In effetti anagrammi e palindromi sono figure retoriche del trattamento del discorso poetico, dove per poetico non si intende l’effusione di un’intimità lirica, ma l’intransitività della lingua e il suo “autotelismo”, il modo in cui riflette ed esprime le sue complesse proprietà (Jakobson). Il principio anagrammatico o il palindromo in cui Nauman eccelle (si veda On/No/ONNO/NONO oppure OK/KO) è un registro privilegiato di questa dimensione riflessiva che si estende alle prove di commutazione, in cui lo spostamento del significante – di una lettera o un suono (here, “qui”, per hear, “udire”; lies, “giace”, per lies, “bugie”), possono generare o no una variazione sul piano del significato2. Le lettere monadi diventano nomadi.
Si tratta di poemi liberi nel senso in cui si dice versi liberi, in quanto si danno le proprie regole. Redatti al neon in grafica “neoniana”, sul modello comunicativo della pubblicità, le insegne di Nauman permettono l’illuminazione incandescente e il cromatismo ormai di pubblico dominio nelle arti contemporanee (da Dan Flavin a Mario Merz, a Joseph Kosuth). Anche se l’artista “concettuale” rivendica l’autografia pregnante dell’idea e tratta l’opera come un allografo, un’esecuzione irrilevante, non è senza significato che questi tubi fragili e flessibili, inventati agli inizi del Novecento, contengano un composto nobile e leggero che ha la scarica più intensa di tutti i gas. E che, attraverso le linee dei disegni e della scrittura, riescano a creare un simulacro di movimento con l’intermittenza dei loro lumi e l’alternanza dei tracciati.
Con i suoi linguistic plays, Nauman si iscrive in una tradizione che diverge dalle fonti avanguardiste che gli vengono attribuite, o che lui assume. Qui non è in causa una diafania del senso, il suo fading; l’estenuazione, neutralizzazione o vacuità del dire (“luoghi comuni che emergono da un brusio visivo come in una commedia di Beckett”, Storr 1994, p. 65). Il calcolo degli elementi – fino agli arabi le lettere notavano anche i numeri – permette improvvisazioni inattese. Se Nauman pratica la combinatoria nello stile delle avanguardie storiche è per disimplicare dalla lingua i costrutti di una significazione potenziale. L’ipotesi di lavoro che la combinatoria linguistica, attraverso l’alterazione – non la corruzione o la distruzione – dei linguaggi, avvia emergenze semantiche sorprendenti si forma nella temperie degli anni sessanta. Agli antipodi del decostruzionismo o del postmoderno, per Nauman la poesia vuol dire e fare altro e ben altro.
L’artista statunitense distribuisce nel tempo i suoi “geroglifici disegnati dalla rotazione delle parole nel volume del linguaggio” (Foucault 1978, p. 24). Potremmo riunirne le tattiche in (1) fattoriali, che permutano elementi primi, come le lettere o i suoni; (2) esponenziali, che operano su insiemi di parole e di frasi lette o pronunciate; (3) detrattive, che sottraggono lettere o parole.
1) Tattiche fattoriali – Nauman opera quasi sempre a partire da opposizioni binarie (anche in più lingue) per tracciare nello spazio del foglio o del muro figure di simmetria (War/Raw appunto ecc.) che innescano differenze, divergenze e asimmetrie. Negli scritti, nei suoni e nelle figure, l’artista declina tutte le figura retorica del palindromo o bifronte, cioè la lettura inversa o rovesciata di un termine o di una frase che ne mantiene o modifica il senso. Le sue lettere sono litterae agentes, nel senso in cui si parla di imagines agentes.
Queste lettere abitano Topological Gardens, giardini topologici, quindi la loro collocazione spaziale è rilevante: troviamo infatti composizioni lineari, circolari, ellittiche, a rombo o a spirale; altre invece sono colonne-matrici di frasi (per esempio, One Hundred Live and Die, 1984), che generano molte combinazioni e varianti.
Anche gli spazi e le immagini obbediscono agli stessi principi e procedure. Dromos (dal greco, “correre”) significa anche “corridoio”, e palin “di nuovo”. Il palindromo figura esattamente in Bruce Nauman, nei percorsi da compiere lungo gli strani corridoi con pareti affrontate, ma anche nelle sue figure antropomorfe, che si fronteggiano in incontri e scontri sessuali o conflittuali.
Come nella serie delle “conversazioni”, di cui fa parte Double Poke in the Eye ii (1985), esposta ai Giardini della Biennale. Le figure in movimento si scambiano sesso e minacce in forma ironica di palindromo: la reversibilità tra le armi e l’eros che mette in gioco (play) forze quanto forme. Forze di aggressione e di desiderio che riverberano sulla reversibilità delle categorie morali di vizi e delle virtù, che da categorie passano a parole-forza. Vices and Virtues (1988)3, come Violins Violence Silence (1981-1982), sono composte di termini semanticamente opposti i quali, attraverso dispositivi meccanici di movimento, generano effetti imprevedibili di sostituzione e sovrapposizione. Suggeriscono, per via d’inedite combinazioni colorate, nuove nozioni etiche e una codificazione cromatica dei concetti morali che manca fin dal medioevo alla nostra cultura.
2) Tattiche esponenziali – La salienza delle morfologie va compresa nel gioco pregnante delle forze.
Un esempio della tattica esponenziale: in occasione di una sua retrospettiva, l’artista propone un’installazione sul muro del Los Angeles County Museum of Art, adiacente al sito turistico di La Brea Tar Pits, dove si trovano animali preistorici immersi in pozze di petrolio. La scritta al neon che include il nome del sito e alcuni suoi anagrammi, La Brea / Art Tips / Rat Spit / Tar Pits, suscita fenomeni singolari di emergenza di senso e un pensiero sull’arte – Art tips/Rat spits – tutt’altro che vago.
Nauman sa sfigurare i luoghi comuni della lingua (idioms) per rifigurarli poeticamente, come in First Poem Piece e Second Poem Piece (1968- 1969), che consistono nell’analisi e nella rielaborazione della struttura elementare di una sola frase. Anche nel padiglione della Biennale, la ripetizione su scala ridotta dell’installazione Violins Violence Silence determina un’apparente simmetria ma, allo stesso tempo, una mutazione di senso che i linguisti chiaman ablaut, cioè ripetizione con dissimilazione (Jakobson).
Lo stesso principio è all’opera nella scrittura luminosa “neoniana” e nella versione orale. “I was thinking in terms of sound: the word “tone” and a sound or note, plus the idea of reversing a sound” (Nauman in Cordes 1989, p. 28) (si veda Tone Mirror, 1974). È il caso della video-installazione che consiste in una performance con strofe recitate da due o più persone, le quali coniugano verbi, declinano nomi, alternano pronomi o definiscono termini secondo principi di intermittenza che si ritrovano anche nelle scritture a spirale dei segni al neon. Jakobson le chiamerebbe “icone tonali” o “immagini foniche”, la cui sovrapposizione suscita un alone sonoro comparabile “al ‘buzz’ cromatico sul piano visivo” (Storr 1994, p. 60).
Nauman predispone questi “pans of words and objects” o “jokes and pictorial paraphrases” come “trappole luminose”. È il caso della video-installazione Clown Torture (1987), dove un clown è intrappolato in una reiterazione linguistica che ha l’andamento di una filastrocca a ripetizione – a schidionata direbbe Propp. Il clown, che recita a ritornello su una sola gamba, finisce dopo molti tentativi per “cadere” letteralmente e metaforicamente (in trappola).
3) Tattiche detrattive – Per Nauman la lingua non è soltanto un congegno produttivo e sovraesposto di senso, ma un meccanismo di sottrazione e sparizione. “Un vuoto operato nel linguaggio […] insidioso, desertico, ingannevole” (Foucault 1978, p. 24). Quello che la retorica chiama una liponimia (Perec 1995), una elisione lessicale che lascia una traccia comparabile a un apostrofo. Ne è un esempio l’installazione dove la frase “You may not want to be here” (First Poem Piece, 1968) è ripetuta da un bambino di quattro anni, che ne smarrisce ogni volta un termine, alleviandone o sopprimendone il senso. I segni di Nauman sono ludici ed elusivi – la radice è la stessa: il detto e il non detto, come l’invisibile e il visibile, sono intimamente legati.
MANO A MANO
Gli dèi dell’antica Grecia erano analfabeti. Gli elleni attribuivano infatti l’invenzione della scrittura e della numerazione non a un dio, bensì a un eroe. Il nome, che ritroviamo in Platone, è Palamede e rinvia etimologicamente alla palma della mano. Nauman, moderno Palamede, ha molto riflettuto e composto sulle due mani, come dimostra Fifteen Pairs of Hands (1996), installazione che occupa un’intera sala del padiglione veneziano.
Già per Annibale Carracci “noialtri dipintori abbiamo da parlare con le mani”; mani che hanno talora sei dita, come quelle di Chagall. Sappiamo infatti che il disegno delle mani è una delle prove, tanto classiche quanto ardue, delle accademie. Nell’universo coerente di Nauman, tuttavia, la coppia delle mani trova posto per la sua asimmetria correlata, detta tecnicamente “enantiomorfismo”. Disegnate su carta, al neon o scolpite, nel dialogo combinatorio dei polsi e delle dita, le mani – affrontabili ma non sovrapponibili – rappresentano un’ulteriore riflessione di Nauman sui concetti soggiacenti alla scrittura e alle altre forme segniche. La simmetria infatti è tautologica ed entropica, mentre la significazione si articola in differenze che si somigliano (Lotman 1985). Per Nauman questo è vero per l’intreccio di corpi quanto per le loro mani e dita. Le mani possono incontrarsi o scontrarsi, stringersi o colpirsi4. La combinatoria sessuale di più figure in moto alterante, e tracciate al neon, è isomorfa al circolo formato dal gesto allusivo degli indici che penetrano il cerchio del pollice e dall’indice delle altre mani (si veda Untitled (Hand Circle), 1996). Il gioco semiotico di mano – forbicicarta- sasso – in Consummate Mask of Rock (1975) è visualizzato attraverso una distribuzione metrica di pietre squadrate. Per Nauman, infatti,
il poema e le pietre hanno la stessa importanza. Ho lavorato prima sul poema e poi sull’idea della pietra. Ad un certo punto sono arrivate ad avere lo stesso significato per me. C’era un’analogia. (Nauman in Kraynak 2004, p. 34)
L’ENUNCIAZIONE TENSIVA
Il procedimento prevalente in Nauman è l’opposizione binaria e reversibile: un metodo che sarebbe meccanico se tra i termini (per esempio /Vizi/ e /Virtù/) o le particelle grammaticali (/e/ oppure /o/) non ci fosse, come avverte l’artista, una tensione, cioè un rapporto intensivo, manifestato da una gamma di atti linguistici e semiotici.
Le frasi che Nauman sottopone ai suoi gedankenexperimenten variano nei modi di enunciare: contengono oltre all’indicativo, inviti, istruzioni, ordini (“Pay attention!”) e talvolta improperi. L’artista, infatti, non si limita a enunciare impersonalmente immagini concettuali; richiede al suo spettatore-lettore una conversione intersoggettiva di ruoli. Non gli basta farsi prestare l’orecchio o gli occhi, vuol suscitare una antifona, fatta di dissonanze e consonanze, consensi e dissensi. Nauman cerca una alternanza di repliche, la conversione di posto che nutre una conversazione. Cerca un dialogo asimmetrico, cioè non banale, che non si riduce alla replica, alla contro-frase o al controsenso, ma lascia gli enunciati verbovisivi diversi da come sono stati posti (Lotman). Questa relazione enunciativa è iscritta nel dispositivo visuale dei suoi grafemi e precisamente nell’invito bustrofedico di molte scritte – la prosecuzione da destra a sinistra della lettura e la loro presentazione rovesciata, che situa mentalmente il lettore non di fronte, ma dietro la scrittura. Un’offerta verbale ortogonale; un rovesciamento prospettico che crea un effetto di profondità delle lettere o realizza un percorso fruito da un’istanza somatica enunciante.
Bruce Nauman si serve sperimentalmente del corpo proprio: lo sottopone a prove di equilibrio o all’azione di forze di pressione. Gli arti e il volto sono oggetti di una “smorfiologia” di stiramenti e dilatazioni, così come viene deformato il nome dell’artista fino a diventare un’interiezione. Sul piano semiotico From Hand to Mouth (1967) ha il suo stretto equivalente in My Name As Though It Were Written on the Surface of the Moon (1967): calchi di cera delle braccia si deformano e la scritta Bruce diventa Bbbbbbbbbbrrrrrrrrrruuuuuuuuuucccccccccceeeeeeeeee.
Più prossimo a una fenomenologia dell’esperienza è un altro esperimento sulle forme e sulle forze. In una sua performance, Nauman, sdraiato al suolo, compie due azioni binariamente opposte: la prima prevede lo sprofondamento immaginario del corpo proprio nel pavimento, la seconda è la sensazione di sollevamento del pavimento. Una strategia estesica elementare che esperisce il corpo come calco del mondo: segno-traccia del respiro di un enunciatore assente.
Félix Thürlemann (1989) ha analizzato con cura il percorso di un labirintico corridoio di Nauman, Dream Passage (1983), leggendo in simultanea la scrittura del proprio corpo di visitatore e la sua inscrizione nello spazio dell’installazione. La semiotica d’ispirazione fenomenologica chiama “istanze di persona” la presenza in luoghi che per Nauman sono “sculture di esperienza”, coerenti alla sua dimensione semantica e poetica. Questi corridoi coatti sono infatti dei palindromi: appoggiati a un muro a una loro estremità, obbligano a ritornare sui propri passi, bustrofedicamente, cioè a percorso continuato e invertito. In alcune installazioni, inoltre, Nauman colloca a mezza via uno spazio angusto, dove un tavolo e una sedia si trovano di fronte allo spettatore, ma anche ripetuti e capovolti sul soffitto. Un ribaltamento che è quasi una specularità. All’interno del palindromo, quindi, si trova un dispositivo speculare – un topos enantiomorfo – da fruire con l’esperienza di un corpo implicato. Lo spettatore che giunge in fondo al corridoio trae dall’esperienza dei mobili sospesi un’anticipazione del suo ritorno simmetrico. Una volta effettuata la traversata palindroma di questa architettura sperimentale, lo spettatore è semanticamente e somaticamente mutato: percepisce le cose che lo circondano secondo la struttura crittografica e le strettoie che l’artista ha predisposto. Chi pensava a una immaginazione erratica ha acquisito invece un’euristica, una procedura esatta per abolire il tempo.
E può sorriderne, con lo humor che gli permette la certezza di possedere una serratura di cui vanno cercate le chiavi.
OPITPO: OPIFICIO DI PITTURA POTENZIALE
Le citazioni si trovano tra virgolette come il discorso diretto. Gli autori a cui fanno riferimento l’attività e l’opera di Nauman sono per lo più il risultato delle sue attribuzioni, ottenute attraverso l’attrezzo, attraente quanto impreciso, dell’intervista (a cui Nauman è peraltro restio)5.
Una lettura costruttiva del suo fare artistico, senza debiti alla “nozione” di influenza, indica un’altra direzione: le attività teoriche e creative di Letteratura e Pittura Potenziale, cioè oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale) e opitpo (Opificio di Pittura Potenziale). Nauman condivide alcuni tratti distintivi di queste avanguardie europee e i loro precedenti storici, da Raymond Roussel e Alfred Jarry ai patafisici, via Man Ray e Marcel Duchamp. Sa bene che le norme dell’arte non sono sopravvissute alla crisi dei valori che le fondavano, e che reiterarne la trasgressione è un gesto pompier. Con i patafisici, Nauman condivide il progetto semiotico di generare regole senza aver regole per farlo: creare cioè una lingua straniera fatta – secondo Roussel – di “metagrammi” (Foucault 1978, p. 36). Come gli ulipisti, egli nutre una passione senza riserve per la combinatoria e la potenzialità: per il farsi e il disfarsi del linguaggio; lo studio delle configurazioni da calcolare e classificare; la ricerca di procedure di scoperta attraverso protocolli e algoritmi; il gusto per sciogliere vincoli e pianificare raggiri; il piacere di esplorare i segni – lettere e suoni – nelle loro variazioni, permutazioni, negazioni, addizioni; l’attesa di una emergenza di senso a partire dalle strutture e strettoie di una sperimentazione minuziosa; l’invenzione di una contrainte a partire dal testo che la definisce. Ma anche lo humor arcimboldesco dei bifronti verbali, visivi e architettonici (Barthes 2005).
Insomma, la celebrazione “virtuosa” dell’algebra dei segni e l’acribia nel porre problemi di cui un’opera è la soluzione iscrivono Bruce Nauman nelle stesse arti retoriche e semiotiche dove troviamo, accanto a Cage e Duchamp, la poesia spaziale di Perec, Ulcérations, o i Cent mille milliard de poèmes di Queneau – interessati entrambi all’arte delle lettere e delle immagini, al limite tra lingua e visione – e i procedimenti di Roussel, “condotto a prendere una frase qualunque che ho dislocato traendone delle immagini, un po’ come si fa per estrarre dei disegni da un rebus” (Foucault 1978, p. 147).
Un soggetto enig-mistico, ho detto. Nelle tattiche combinatorie di Nauman è segnatamente riconoscibile una vocazione “modernista”. L’autore si sottrae per far posto al gioco degli elementi, lasciando uno spazio appena striato da un’ombra, un calco; un paesaggio a un grado zero dell’istanza enunciativa.
La scelta di una regola, tuttavia – osservava Calvino – qualifica un’ossessione e funziona come una firma. L’opera di Nauman è pervasa da un “lirismo antilirico” e nel piacere sottile della rinuncia alla propria soggettività c’è forse un avatar, insospettato quanto laico e impertinente, del soggetto mistico.
Riferimenti bibliografici
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Note
- Nauman è stato uno dei quattro esecutori della rara composizione di Steve Reich, Pendulum Music. Era il 27 maggio 1969 al Whitney Museum; gli altri erano Michael Snow, Richard Serra e James Tenney.
- Si veda più avanti First Poem Piece e Second Poem Piece (1968-1969).
- I nomi dei Vizi e delle Virtù correvano come un fregio sull’edificio del padiglione USA: FAITH/LUST, HOPE/ENVY, CHARITY/SLOTH, PRUDENCE/PRIDE, JUSTICE/AVARICE, TEMPERANCE/GLUTTONY, FORTITUDE/ANGER.
- Sulle mani in conflitto Franz Kafka racconta, nel suo diario di scrittore, di una baruffa tra le proprie mani: “Cominciarono una lotta. Chiusero con un tonfo il libro che avevo letto fino a quel momento e lo spinsero in là, perché non intralciasse. Poi mi fecero un saluto e mi elessero arbitro dell’incontro […]. Come speri, polso sinistro, di resistere a lungo a quello destro, così potente? Di reggere, con le tue dita da fanciulla, alla morsa delle altre cinque? […]. Se, alla vista di quella situazione disperata, non mi venisse il pensiero liberatore che sono le mie stesse mani a combattersi tra loro, e che, con un lieve movimento, le posso separare […], giacciono l’una sopra l’altra, la destra accarezza il dorso della sinistra e io, arbitro disonesto, faccio di sì col capo approvando” (Kafka 1972, pp. 68-69).
- L’esplicitazione non è il forte di Nauman. All’occasione della 53a Biennale Arte, la Facoltà di Design e Arti dell’Università Iuav di Venezia ha conferito all’artista la laurea honoris causa. Dopo la laudatio, al momento in cui l’insignito avrebbe dovuto rispondere, Nauman ha detto solo “Thank you”, prima di eclissarsi. Anche le interviste behavouriste – stimolo/risposta – non sono benvenute. Solo i biglietti di invito ben redatti ottengono, più che risposte, la possibilità di porre in seguito domande pertinenti.