L’effigie e l’effetto


Da: AA.VV., L’energia delle idee, (con G. Basilico, C. De Keyzer, E. Erwitt, F. Scianna), Edizioni Contrasto, Roma, 2005.


1.

Si dice energica ogni operazione efficace, ogni forza che agisce sugli stati d’animo e della mente e su altre forze di cui provoca o impedisce la trasformazione. E sono energici i segni che intervengono sulle rappresentazioni e i valori, sulle azioni, gli affetti e le interazioni.
Decidere per il segno fotografico e mirare alla costruzione o ri-costruzione dello spirito di corpo di un’impresa finanziaria è l’oggetto insolito di un originale e impegnativo esperimento: l’Energia delle idee.
Ma come agire sull’immateriale e l’intangibile, le emozioni e i pensieri? Come ottenere e verificare l’efficacia sui sentimenti e le cognizioni?
Il progetto ha scelto un medium espressivo e calcolato un modus operandi: una campagna fotografica affidata a celebri operatori e un questionario standardizzato di interviste per i soggetti fotografati.
Il mandato era chiaro: in questo caso fotografare non ha lo scopo di rendere il visibile, ma di rendere visibili i valori. Non si trattava soltanto di rappresentare e documentare, cioè di accumulare un capitale simbolico e neppure d’informare sullo stato delle cose e degli animi in un’azienda finanziaria. L’obbiettivo, in tutti i sensi del termine, era performativo: i valori di solidarietà vanno costruiti, trasformati e assunti prima di essere comunicati e trasmessi.
Sappiamo, con la fenomenologia, che per essere efficace, l’immagine opera su concetti, credenze e principi morali attraverso la mediazione di corpi sensibili. E che questi, oltre agli status e ai ruoli di un’esistenza individuale e sociale, sono suscettibili di esperienze estesiche ed estetiche, percettive ed artistiche. Inseriti in diverse forme vitali, i corpi sono la mediazione “figurativa” attraverso la quale filtrano i principi etici di responsabilità e di convinzione. A differenza delle filosofie del quotidiano e degli stili sociologici di comportamento, le Forme semiotche di Vita guardano alle identità e ai comportamenti come valori espressi, provati da esperienze percepite, qualitative e intensive, che articolano il senso dell’esistenza. Qui si fondano le “valenze”, cioè il sistema di attrazioni e di repulsioni che stanno alla base dei “valori”, i quali marcano le preferenze o i rifiuti nel rapporto con gli oggetti o nell’interazione con gli altri soggetti.
Nelle interviste che interrogano giudiziosamente l’esperienza individuale e collettiva dei soggetti fotografati, membri del gruppo EY, emerge limpido un dato. Più che il risultato visivo, è stato l’avvenimento della fotografia ad agire sul sistema passionale soggiacente ai valori impliciti nelle forme di vita che ne articolano il mondo sensibile ed emotivo. Stimolazione, attesa, curiosità sono le sensazioni e le passioni incentivanti che agiscono sullo spazio-tempo delle forme di vita aziendali e domestiche. Il senso di apertura e la tensione al domani interferiscono con lo stato passionale abituale, le routine professionali, e suscitano un senso di prospettiva o di “opportunità” da cogliere. L’atto e l’interazione fotografica hanno attivato delle virtualità preesistenti che si sono rivelate solo al momento della loro attualizzazione.
La “trasvalutazione”, il mutamento dei valori e delle passioni su cui è basato il senso vitale, richiede dunque un cambiamento del piano espressivo, adeguato ai nuovi valori che vengono proposti attraverso esperienze sensibili, “concrete”. Tutte le emozioni infatti hanno un supporto sensibile somatico – l’amarezza, la tenerezza, la ritrosia, il disgusto, la speranza (che è respiro), ecc. – e la stessa credenza è cognizione e passione (in tedesco Glauben deriva dal lat. libido). Credere è la convinzione di un’idea ma anche, secondo una metafora tattile, attaccamento e adesione. Qui sta il punto che il progetto vuol toccare coi mezzi espressivi del dispositivo che si è dato. L’assunzione riflessiva di un credere è la radice di qualsiasi atto transitivo di fiducia e il quadro di una comunicazione autentica, caratterizzata dal coinvolgimento e dalla solidarità.
Motivare è mettere in moto. L’appartenenza è una condizione statica, l’affidarsi è passionale e dinamico. Solo quando un volere esplicito realizza un valore implicito ci sono le condizioni per l’autodefinizione efficace, senza la quale tutti gli organismi, naturali e sociali, sono sprovvisti di tenuta. È implicito, ci sembra, nelle risposte di quanti hanno percepito nel progetto una “sfida”: credere – in qualcosa o in qualcuno, al singolare o a un collettivo astratto o concreto – è accettare una sfida. Beninteso, ad una proposizione o a una proposta si può credere e non credere quando agiscono “valenze” contradditorie derivanti da forme alterntive di vita, come quello domestico e professionale, familiare e pubblico. È il caso di molti dipendenti di EY. Questi stili d’esistenza hanno ciascuno una loro coerenza interna talvolta incongruente con l’insieme. Sembra tuttavia che l’esperimento dimostri, se non una sutura o una trasposizione dei livelli, la loro esplicitazione e una problematizzazione della distanza di ruolo.

2.

La fotografia, così fragile ed effimera rispetto ad altri media, è un dispositivo adatto per delle strategie fiduciarie destinate a trasvaluare le forme di vita? Alcuni intervistati, compresi nelle foto, sembrano persuasi, altri sembrano dubitarne. Una precisazione è quindi necessaria.
Come Giano, ogni segno è bifronte: una faccia è il significante percettivo, l’altra il significato che informa la sostanza culturale. Ora, iI rilievo sensible, estesico ed estetico, del significante fotografico non è soltanto visivo. L’apporto della luce, la risoluzione, l’intensità, la forma plastica e cromatica delle sue impronte, contano quanto il supporto materiale, la pelle tangibile della fotografia. Ogni foto quindi è multisensoriale: nella sostanza, nel formato e nella percezione dell’organizzazione formale, (v. i possibili effetti tattili della profondità). Per questo essa non è riducibile ad un’impronta del reale o all’asserzione d’esistenza dei suoi soggetti, (“l’esserci stato” di R. Barthes), ma permette un’esperienza e un’assunzione ben al di là del documento.
Le foto si fanno e si prendono. Dalle interviste ai soggetti dei diversi atti fotografici risulta, val la pena d’insitere, che della percezione e dell’efficacia della fotografia fa parte costitutiva l’evento stesso della sua presa. Il fotografo diventa, per il fotografato, un modello professionale, che esemplifica col suo “sguardo artista” la fusione tra le forme di vita del lavoro e del tempo libero ed i valori, le passioni e le credenze corrispondenti. Ed è possibile l’inversione del punto di vista: fotografare gli occhi del fotografo o imparare a vedere come lui i dettagli che la routine rende invisibili. Il suo modo di riprendere che è interno ed esterno, transitivo e riflessivo – guardare agli altri e guardare a noi stessi – diventa un modello di vita.
Anche le strategie propriamente plastiche – topologiche, eidetiche, cromatiche – e le tattiche figurative hanno un ruolo, indubbio quanto presuntivo, sull’efficacia della fotografie dell'”Energia delle idee”: sulla costruzione di un’aria di famiglia, quella privata e quella professionale.
Ogni foto è un’enuciato complesso e un discorso compresso. Osserviamo soltanto che Scianna ha utilizzato perlopiù il modo della posa e il genere del ritatto; De Keyzer l’istantanea e la narrazione. Mentre nel primo autore le persone ritratte scambiano con noi un sguardo intersoggettivo, nel secondo siamo noi ad assistere ad una storia che ci interessa anche se non ci ri-guarda. (Erwitt si è servito di una strategia mista e questo piano di senso sembra, per lui, irrilevante). Scianna ha fotografato volti decontestualizzati e Basilico delle vedute di città: è una comune attenzione fisiognomica: anche le città hanno caratteri e lineamenti, fattezze e sembianti. Basilico ha però scelto di fare testo di quel che per De Keyzer o Erwitt è contesto. Una prova, se necessario, che il contesto è il segno visibile delle forme abitate della vita e che fotografare qualcuno fuori dal suo contesto esistenziale è un maniera di proporre nuove esperienze. De Keyzer ha raffigurato direttamente le relazioni professionali ed extraprofessionali all’interno e all’esterno degli uffici e delle case, ed ha usato colori contrastati per opporli all’acromaticità reale e immaginaria dei luoghi di lavoro.
Scianna e Erwitt hanno preferito dei contesti non lavorativi, riprendere in modo diretto le relazioni emotive di attaccamento e di autodefinizione: la scelta di una fotografia esemplare; le identificazioni e le proiezioni con un animale domestico. La selezione d’una foto caratterizzante negli album della propria memoria, oltre al livello riflessivo e metalinguistico, è una prova ulteriore del potere della fotografia: ogni istantanea si presta a diventare elettiva e il più casuale degli scatti essere un mezzo di ratifica e validazione.

3.

Dare un’immagine è come dare una parola. Può dirla più lunga e raccontarla più giusta, ma, come l’enunciato verbale, quello visivo non è soltanto dicharativo e può costituire un’impegno efficace.
Di un’operazione come l'”Energia delle idee” si può dire che è bene che sia avvenuta, anche se la sua efficaca non è ovvia da definire. Si obbietterà che nessuna legittimazione è una garanzia. Gli studi dei media di massa ci hanno insegnato infatti che gli effetti immediati dei messaggi sono ardui da calcolare in termini di riscontri e ritorni innovativi. Anche i buoni propositi delle interviste sono delle evidenze da interpretare. Non tutti i dipendenti della EY hanno avuto diritto alla fotografia ed è difficile assicurare la partecipazione degli esclusi senza escludere alcuni dei partecipanti.
Dalle parole e nelle immagini prese e date, si avverte però, pur nella diversità di genere, status, cultura, un’aria comune, un’atmosfera, che è l’insieme di molte piccole sensazioni. Abbastanza per accenare ad un’inflessione, se non ad uno shifting, delle forme di vita; ad una modulazione del campo della presenza e della compresenza; ad una tensione prospettica verso l’adesione. Ad un disponibilita insomma a cogliere la sfida che ha come posta l’assunzione e l’autodefinizione singolare e collettiva. Vanno compresi in tal senso molti enunciati delle interviste: cambiare i pronomi, dall’io Singolare al noi, plurale e inclusivo. Qualcuno dei fotografati ha chiesto una foto collettiva!
Tutto questo non basta a rompere con la ridondanza delle pratiche e dei programmi, delle sensazioni e del senso. Ma sembra una via da percorrere: ogni forma di vita – con le sue estesie ed estetiche, valenze e valori, credenze e passioni – si stacca sul fondo di un’altra che la routine a automatizzato. Col rischio mal prevedibile di produrre allergie cercando le sinergie!
Il mezzo fotografico, energia dolce, forma dell’impronta luminosa resta però disponibile. Per fare luce, più luce.

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