Da: (con Aurelia Marcarino), Carte Semiotiche, n. 1, settembre 1985.
1. Per descrivere il discorso politico: criteri di pertinenza semio-linguistici
Per ipotizzare una definizione del discorso politico (d.p.) secondo criteri di pertinenza semio-linguistici è necessario esaminare il problema della ‘costruzione’ dell’oggetto (discorso-oggetto); cioè esplicitare i criteri di riconoscimento e di delimitazione del d.p. nel quadro più generale di una tipologia dei discorsi ‘naturali’. Una volta delimitato (con criteri ancora esterni, cioè storici o sociologici), lo studio del d.p. può essere affrontato con metodi assai diversi: dall’approccio lessicale che si limita agli aspetti sincronico e diacronico del vocabolario; dall’approccio sintattico che valuta le specificità grammaticali frase per frase (senza porre la questione indispensabile della coerenza discorsiva); alla retorica che, pur offrendo uno schema discorsivo generale e coerente (inventio, dispositio, elocutio), è molto lontana da fornire gli strumenti rigorosi per la conoscenza delle argomentazioni e dei tropi. D’altra parte il problema che vorremmo affrontare qui è più complesso e richiede una valutazione di fondo come e più di altri discorsi. Quello politico non è semplicemente un discorso ‘rappresentativo’. Non si può descriverlo come un insieme di enunciati in relazione cognitiva con il reale ma va caratterizzato come un discorso in campo, destinato a chiamare e a rispondere, a dissuadere e a convincere; un discorso d’uomini per trasformare uomini e relazioni fra uomini, non solo medium per ri-produrre il reale. L’approccio lessicale, sintattico e retorico sembrano quindi profondamente inadeguati.
Un’analisi semiotica del d.p. dovrà tener conto della sua coerenza semantica e della sua forza locutiva. Una ipotesi generale sulla sua struttura va di pari passo con la descrizione delle strategie discorsive e la precisazione delle diverse configurazioni enunciative, polemiche o contrattuali, che rappresentano i principi del funzionamento di una vera e propria grammatica del ‘potere’. Una analisi ‘ricca’ del d.p. deve replicare l’uniformità senza rinunciare alla moltiplicazione delle diversità. Il concetto di ‘potere’ è qui concepito come una delle modalità suscettibili di definire l’esistenza semiotica degli attanti discorsivi e la loro doppia competenza: essere e fare. In questo senso gli attori politici iscritti nel discorso sono dotati di un repertorio virtuale di azioni e di passioni e di un ‘saper fare’ che consente loro, una volta attualizzato, di raggiungere il loro scopo anticipandone nel testo i risultati previsti.
Fra i criteri di riconoscimento o di costruzione iniziale dell’ oggetto e i principi di pertinenza che permettono di analizzare il d.p. e di definirlo in funzione di una nuova tipologia, un ruolo di rilievo occupa l’enunciazione e le sue tattiche, la costruzione e l’omologazione delle isotopie discorsive e il gioco delle modalità con cui il d.p. costruisce il proprio potere. Avremo bisogno, da una parte di una teoria che restringa il campo ad un certo numero di principi fondamentali e dall’altra la necessità di espandere una definizione del testo che renda conto delle possibili categorizzazioni del discorso e del suo metalinguaggio descrittivo. Probabilmente esistono nel d.p. forme discorsive differenziate che hanno forza ed efficacia diverse a seconda delle regole e delle trasformazioni passionali che le determinano.
Che il d.p. sia un discorso di guerra, la cui potenza definisce ed è definita dagli avversari in campo, questo ci indica che la posta, le mosse, gli esiti e i contratti sono eventi compiuti dal e nel linguaggio. Se avessimo una tassonomia di altri tipi di discorsi (scientifico, didattico, pubblicitario, religioso ecc.) mostreremmo che il d.p. è definibile in via strutturale per posizione e per differenza, e potremmo allora valutare gli effetti importanti che produce la differenza di forza. Ma questa tassonomia non è data, anzi è uno degli obiettivi che si pone la ricerca oggi. Sarà giocoforza restringere la definizione alla dimensione testuale e non contestuale; se c’è intertestualità nel d.p. la scopriremo, per ora, al suo stesso interno.
Il tentativo di descrizione semio-linguistica del d.p. potrebbe indicare il modo specifico con cui questo manipola prevalentemente certe categorie piuttosto che altre: le maniere di imposizione e di occultamento di verità ecc. Per farlo sarà utile uno schema generale del discorso quale troviamo ora nella teoria semiotica greimasiana. In questa prospettiva la superficie manifestata dei testi linguistici che studieremo è solo un criterio eventuale di falsificazione delle ipotesi più che di conferma dei nostri costrutti. D’altronde un modello maneggiabile ci evita il servaggio empirico della superficie manifestata (e il suo feticismo). Il discorso manifesto si sa «non sarebbe altro che la presenza repressiva di ciò che esso non dice» (Foucault, 1970).
Occorrono dunque ipotesi semiotiche per individuare il metalinguaggio che ci consenta nello stesso tempo di descrivere il contenuto del discorso e di tornare a controllare, con qualche speranza euristica la superficie testuale.
2. Per una grammatica del discorso politico
2.1. Per avere un modello della competenza politica del parlante, un’analisi testuale dovrebbe esplicitare i criteri di riconoscimento e di costruzione della grammatica del d.p. ossia dovrebbe cercare di raccogliere e isolare gli aspetti del discorso da descrivere e correlare questi aspetti in vista della descrizione della struttura e del funzionamento del suo sistema linguistico. Il problema dello statuto strutturale della significazione politica (o del d.p.) si pone quando entra in gioco il progetto della sua descrizione. Il progetto di una grammatica del d.p. sarà possibile mediante il reperimento degli ‘universali del linguaggio’, costituiti in modello semiotico, che rappresentano l’istanza originaria per ogni manipolazione di significato. La struttura semantica si configura allora come una combinatoria di categorie, di marche di atti negli enunciati, di entità operative quindi, postulate per la descrizione semantica e giustificate perché permettono di render conto dell’uso effettivo del linguaggio. La struttura semantica di un enunciato dovrebbe spiegare gli atti di enunciazione dei quali è l’oggetto. Nella caratterizzazione semantica di un enunciato Ducrot (1978) introduce un determinato tipo di utilizzazione enunciativa, non argomentativo ma relativo agli atti illocutori. Il problema è di giustificare l’introduzione di marche di atti di parola attribuite all’enunciato dato che costituiscono la ‘funzione’ che di volta in volta distingue i molteplici ruoli che l’enunciato può svolgere nelle effettive occorrenze e li esplicita.
Uno dei principi costitutivi della coerenza testuale consiste nel rilevare l’insieme delle presupposizioni di ogni singola enunciazione (come tipo particolare di atto illocutorio che pone certe regole per la prosecuzione del discorso), e l’insieme delle conclusioni ad esse inferibili, quindi la condizione di coerenza non significa assenza di contraddizioni ma l’integrarsi nel testo di più enunciazioni.
2.2. Una grammatica del d.p. ha per oggetto quindi non gli enunciati ma i tipi di collegamento fra enunciati, fra formazioni discorsive che hanno forza ed efficacia differenti.
L’oggetto di studio è suggerito dalla necessità di capire le ragioni del gioco per cui la decisione dello scontro o del confronto, la combinazione dell’azione di attacco e di difesa e la finalità politica, invece di contrapporsi, si organizzano secondo i principi di una grammatica intesa come connotazione semiotica dei contenuti e dei destinatari dell’informazione. Si instaura una corrispondenza fra ‘logica’ politica e la grammatica strategica; sarà compito della ripartizione testuale di render conto del doppio senso del calcolo strategico che attraversa il contenuto in funzione di chi ascolta.
Diventa allora importante lo studio di determinati atti, mosse, tattiche, strategie il cui valore non sta nella descrizione ma nella realizzazione; gli atti di autorità, gli impegni personali, i patti si realizzano mentre si compiono determinati atti (enunciazione performativa).
3. Descrizione di strategie enunciative e di formazioni discorsive
3.1. La descrizione di strategie enunciative serve a puntualizzare l’organizzazione e la trasmissione dei contenuti della comunicazione politica e a definire una regia discorsiva. In particolare l’analisi sulle modalità di apparizione del soggetto dell’enunciazione illustra i meccanismi di implicitazione ed esplicitazione del soggetto (débrayage pronominale) che sono utilizzati dal parlante. Il fatto di avere scelto delle operazioni di débrayage dal punto di vista pronominale per esempio significa aver cancellato la presenza del soggetto parlante. Tale procedura, utilizzata dall’enunciante come componente della sua strategia, permette di render conto delle unità discorsive di superficie. Il débrayage attanziale consisterà allora nella disgiunzione del soggetto dell’enunciazione e nella proiezione sull’enunciato di un «non-io»1. Nulla impedisce di reintrodurre la presenza del soggetto con un’operazione di embrayage che porta sugli attanti enunciativi e cerca di identificarsi con il soggetto dell’enunciazione. Potrebbe essere una strategia per valorizzare il d.p. e affermare che la verità nasce dal fatto che il soggetto la garantisce con la sua presenza nell’enunciato2.
Potrebbe essere interessante studiare i modi di apparizione del soggetto nel testo correlandoli con il contenuto manifesto per esaminare le tecniche di ottimizzazione del contratto enunciativo. C’è la possibilità all’interno del discorso di presentare l’istanza enunciativa ‘io’, di cancellarla ma anche di presentarla in terza persona3. Si tratta di vedere quand’è che il soggetto si sente in dovere di dire ‘io’, presentandosi come soggetto che garantisce l’enunciato, e quando invece ritiene il caso di farne a meno e di servirsi della delega4.
3.2. Generalmente una struttura modale di tipo veridittivo è soggiacente al d.p., in questo senso il discorso si presenta come vero e come tale deve essere accettato. In questa prospettiva il d.p. assume la forma di un contratto fiduciario fra enunciante e destinatario, che implica due operazioni: un fare persuasivo da parte dell’enunciante e un fare interpretativo da parte del destinatario. Questi due discorsi cognitivi che manipolano un ‘saper fare’ rappresentano i tratti preliminari di uno scambio che ha come fine la conclusione di un contratto. Se la verità (Greimas, 1970) non è che un effetto di significato, la sua produzione consiste in un far-sembrare-vero, e l’adesione del destinatario è condizionata non dai valori assiologici postulati ma dal tipo di rappresentazione del fare persuasivo dell’enunciante. Il problema della veridizione (Greimas, 1970) investe non soltanto il soggetto impegnato in un «dire-vero» ma programma per così dire la lettura del destinatario a cui un certo sapere è indirizzato. Le modalità di veridizione non sfuggono quindi alla verità, falsità, segreto o menzogna che circolano all’interno del d.p. e organizzano la trasmissione di un sapere5.
3.3. Nelle strategie di comunicazione del discorso si deve tener presente anche il ‘taglio dell’informazione’ ossia l’insieme di operazioni (condensazioni, espansioni) compiute per accumulare un certo tipo di sapere dentro il discorso stesso. Ogni testo rinvia generalmente a un sapere riconosciuto sul mondo che viene inserito all’interno del proprio discorso (anafora semantica). Ma ciò che è più interessante non è il fornire delle informazioni ma modalizzare le informazioni con le modalità del sapere (‘sappiamo bene che’). Si presuppone che fra enunciante e destinatario si instauri una sorta di contratto cognitivo sui discorsi-oggetti che si stanno trasmettendo, per imporre un sapere condiviso (anche se in realtà sappiamo che non lo è). Questo significa che un apparente rinvio a un sapere definito è in realtà una imposizione di forza all’interno del discorso che genera un sistema di attese (anafora cognitiva)6.
3.4. Lo studio dell’enunciazione riguarda i tratti linguistici presenti nel testo che caratterizzano la presenza dell’enunciante e dell’enunciatario. Il d.p. non costruisce all’interno del testo soltanto l’immagine della persona parlante ma programma anche la presenza di un’istanza ricevente utilizzando tecniche che attivano un contratto di trasmissione. In questo caso il d.p. non si limita soltanto a comunicare un’informazione ma a programmare la figura del buon ascoltatore, immagine a cui si può o non si può aderire. Il discorso allora diventa un processo in cui si danno continue istruzioni ad ascoltare ‘bene’; in questo modo il d.p. valorizza uno dei suoi contenuti attraverso la strategia enunciativa: «non avete capito», o «torniamo a». In altri termini, esistono già a livello enunciazionale, strategie complesse, linguisticamente marcate le quali ci consentono di vedere come il d.p. definisce la posizione del soggetto enunciante, definisce reciprocamente l’io-tu e li manipola. Questa problematica si situa in un’analisi più complessa delle figure d’autorità e della manipolazione, in quanto ‘far fare’, corrispondente a una struttura modale di tipo fattitivo e a una struttura contrattuale in cui l’enunciante spinge il destinatario verso una determinata posizione (non poter non fare) al punto di sentirsi obbligato ad accettare il contratto proposto7. Se il destinatario congiunge un ‘non poter non fare’ con un ‘dover-fare’ avremo la provocazione; se invece congiunge un ‘non poter non fare’ con un ‘voler fare’ si tratterà piuttosto di seduzione.
3.5. I contratti di tipo enunciazionale consentono la ripartizione discorsiva, in questo senso le configurazioni enunciative consentono di esaminare quando il parlante decide di finire il discorso e di passare a un altro argomento, in che modo l’enunciazione ripartisce la programmazione discorsiva stessa8. Si tratta di strategie che consentono non solo la formazione di contratti simulati, servendosi di una pedagogia o di un carisma, ma di ripartire il discorso stesso nel suo farsi. Il discorso quindi ripartisce delle unità cognitive sulle quali opera una modalizzazione che ha la forza di stabilire un contratto cognitivo portante sul discorso stesso, per questo il d.p. non è solo il luogo della trasmissione dell’informazione ma anche della sua trasformazione.
4. Costruzione della competenza politica
4.1. L’analisi delle strategie enunciative lascia aperta la possibilità di esplorare ipotesi interessanti sulle tattiche attanziali e modali che intervengono all’interno del discorso. Sarebbe interessante vedere, per esempio, come si può programmare il gioco enunciazionale della delega. Esistono tipi di discorso in cui si fa continuamente appello a una delega, per esempio all’opinione pubblica, d’altra parte ci possono essere delle caratterizzazioni di deleghe reciproche fra enunciante ed enunciatario che consentono di definire delle configurazioni (Landowski, 1980). Una delle tendenze nel d.p. è di implicitare le opzioni assiologiche dell’enunciante proiettandole in schemi narrativi in cui il soggetto delega agli attanti la presa in carico dei valori assiologici mentre non rifiuta di mostrare le sue prese di posizione epistemiche (certezze, incertezze).
4.2. Esistono delle modalità cosiddette epistemiche9, che non solo servono ad affermare la verità o la falsità di una proposizione, e modalità assiologiche10, che si pongono come paradigmi di valori, le quali operano delle trasformazioni di isotopia modale all’interno del discorso stesso. Il discorso quindi non solo è il luogo di modalizzazione fissa ma è un processo di trasformazione modale che stabilisce e attiva le tecniche di circolazione degli obblighi e dei doveri nei discorsi del potere.
Una delle modalità che definiscono la competenza politica è data dalle modalità di tipo fattitivo11 (far credere, far sapere, far volere, far potere); si tratta di una forza all’interno del discorso che oltre ad attivare e ottimizzare un contratto enunciativo, modalizza gli elementi che ha sottomano. Il discorso è così costituito non solo da un insieme di proporzioni ma da un insieme di azioni di forze che portano degli indicatori, solo a volte direttamente verificabili all’interno del testo. Il d.p. essendo un discorso polemico-conflittuale è anche un luogo di ambiguità della forza (ambiguità illocutoria) ossia del proporsi soggiacente all’enunciazione12. Si tratta di vedere come si costruisce la competenza politica ossia in che modo le strategie di persuasione politica giocano ripartendo gruppi di atti in mosse, tattiche e modalizzandole le manipolano. È possibile opporre due tipi di modalità: dell’enunciazione e dell’enunciato; le prime definiscono le modalità in rapporto al soggetto parlante e caratterizzano la forma della comunicazione fra enunciante e destinatario (imperativa, dichiarativa, interrogativa ecc.), le altre fanno riferimento al soggetto dell’enunciato e caratterizzano il modo con cui il soggetto situa la proposizione in rapporto alla verità, necessità, possibilità o a dei giudizi di valore13. La manipolazione modale avviene nel senso di affermare la verità, la falsità o il carattere segreto o menzognero di un enunciato. Le stesse categorie possono essere congiunte con tattiche di simulazione che forse conviene recuperare per il d.p.
Secondo l’analisi intuitiva di Austin il concetto di enunciazione performativa rileva un aspetto particolare della forza illocutiva di una enunciazione nel senso di esplicitare l’intenzione che la presiede; in questa prospettiva l’analisi performativa all’interno delle tattiche attanziali, nelle deleghe, nei contratti e nei conflitti può apportare utili chiarificazioni alla funzione del ‘fare enunciativo’ di un attante. Così la funzione di una enunciazione performativa è in primo luogo la messa in scena funzionale di un attante che si definisce attraverso una serie di atti nel discorso.
Un altro problema riguarda la specifica forza del d.p., in particolare l’istituzione di un contratto di diffidenza trasmissiva14, che è tipico di tutti i discorsi persuasivi. Si presume che la persona che ci ascolta e di cui noi siamo l’organo rappresentativo, sia una persona che vada sostenuta nello sforzo di ascoltarci. Il d.p. non si limita soltanto a compiere una serie di operazioni per tenere un canale aperto, ma costruisce la competenza ad accettare il discorso, c’è la possibilità di dimostrare che il d.p. teme la propria qualità, teme cioè di stancare l’altro. Si può verificare però, ad un certo punto, una presupposizione di credibilità tale per cui il parlante non fa più nessuno sforzo per attirare l’attenzione dell’altro.
È possibile all’interno di un discorso polemico imporre a una frase che aveva una certa forza, una nuova forza illocutiva tale per cui la lotta avviene sul tipo di forza iscritta nella frase.
Questo fa sì che si possano attuare le false interpretazioni del discorso. Rispetto al discorso dell’ideologia non si tratta di rappresentazione scorretta o distorta ma di essere in una lotta di imposizioni di forze a cui il d.p. non può sottrarsi.
5. Modalità del potere e figure di autorità
Una componente strategica del d.p. può essere rappresentata da un sistema di articolazioni semantiche che corrispondono alla modalità del potere. Esistono due tipi di potere: il Potere istituzionale che sta fuori dal discorso e il ‘potere’ che si istituisce come modalità che sta dentro al discorso. Il problema che si pone è quello della messa in scena testuale della conquista del potere da parte di un soggetto in correlazione alla sconfitta del suo avversario. In questa prospettiva il potere diventa un valore che né si vince né si perde una volta per tutte ma è suscettibile di essere sottoposto a una serie di prove all’interno del testo. Come nel discorso pedagogico, anche nel d.p. è possibile che si verifichi la congiunzione di un soggetto con la modalità del potere; in questo senso le circolazioni delle modalità del potere e le loro provvisorie configurazioni all’interno del testo, potrebbero essere uno dei criteri possibili della definizione del Potere15. Lo studio di queste configurazioni e delle figure di autorità offre lo spunto a ricerche sulle loro modalità di riconoscimento che potrebbero dare definizioni molto più interessanti dei concetti di legittimità, di autorità e di carisma e fornire alcuni chiarimenti sulle tecniche della manipolazione delle sanzioni.
Spesso nel d.p. le prese di posizione epistemiche del soggetto enunciante servono a sanzionare un tipo di discorso referenziale nei confronti dell’enunciatario (a volte positivamente ma più spesso negativamente). Appare allora la componente polemica nell’isotopia discorsiva, che regola lo scontro fra i detentori del ‘sapere politico’ le cui performances cognitive sono direttamente messe in causa.
Nel d.p. vengono utilizzate piccole strategie che fanno riferimento a presupposizioni di competenza in cui i candidati che si dichiarano competenti all’azione sono quelli che maggiormente chiedono l’approvazione. Forse si potrebbe ridefinire il potere di sanzione16, a partire dalle strategie interne e dal ‘fare’ del soggetto enunciante che tenta di valorizzare le sue performances e di sottolineare la conformità a un programma prestabilito.
Il problema imbarazzante è che non c’è nessuna specificità del d.p. se la specificità è il discutere del potere, proprio perché la modalità del potere sarà tipica di tutti i tipi di discorsi; ci chiediamo se è possibile una sintassi di circolazione delle modalità concrete del potere all’interno di un discorso politico.
La funzione del confronto di potere non rappresenta solo una indicazione sulla quantità di potere che si ha nei confronti dell’altro, ma ci dice direttamente se è possibile avere più potere degli altri e quindi raggiungere lo scopo. I protagonisti non si misurano l’un l’altro ma operano ciascuno su una modalità distinta (un tipo di potere o di sapere); indipendentemente da come si orienta la relazione fra gli attanti, si congiungono generalmente due categorie: l’interdizione a contrariare le decisioni prese dall’autorità (che detiene il potere) e la prescrizione ad assumere la responsabilità del potere, cioè a raggiungere gli scopi prestabiliti; questo doppio imperativo è suscettibile di reggere qualsiasi relazione tra figure di autorità (anche in altri tipi di discorsi).
6. La passione politica: l’atto linguistico e i suoi patemi
Gli atti linguistici pongono il problema della possibilità per l’enunciante di dire qualcosa con una certa intenzione (ma di voler dire anche qualcos’altro) per provocare degli effetti nel ricevente. Sul piano semio-sintattico è necessario costruire un apparato che includa non solo una teoria dell’atto di parola ma anche i principi di cooperazione (Grice, 1975); le manipolazioni cognitive che si realizzano fra gli attanti insieme alla capacità di trarre inferenze, e la capacità di produrre seguiti perlocutori (Austin, 1962); di provocare infine una serie di patemi. Così l’atto di convincere, di persuadere (seduzione, provocazione, intimidazione…) può raggiungere il suo obiettivo e avere anche un seguito perlocutorio generando delle passioni oppure può mancare il suo obiettivo ma provocare ugualmente dei patemi imprevisti; per esempio, può non convincere della verità o falsità di un’opinione ma chiedere e ottenere la fiducia su un determinato programma17.
Gli atti illocutori compiuti dall’enunciante (appello, ordine, promessa, minaccia…) sono caratterizzati dalla possibilità: 1 di congiungere un soggetto enunciatario con l’acquisizione (positiva o negativa) di modalità che creano la sua competenza; 2 di congiungere l’enunciante con l’obbligo di eseguire l’atto (/dover far sapere/, /dover far credere/) e probabilmente indicano la correlazione fra il percorso modale, e il percorso passionale sia dell’enunciato che dell’enunciazione. È necessario esaminare la funzione attiva e passiva dell’enunciazione politica per poter determinare quelle trasformazioni di stato del soggetto colto, ‘affetto’ dall’azione di un altro soggetto (fiducia/sfiducia, paura/sicurezza, interesse/apatia, distacco/solidarietà…). Probabilmente il secondo soggetto agirà in un certo modo secondo il tipo di configurazione passionale in cui verrà a trovarsi.
Si tratta di discernere nel corso del testo la programmazione discorsiva dell’impatto emotivo e di reperire i tratti formali della ‘passione’ enunciata nella sua duplice manifestazione: ‘enunciante’ (P1), marcata dall’isotopia di superficie del testo, e ‘enunciata’ (P2), prodotta dalle procedure discorsive. È forse in questa direzione che si potrebbe innestare lo starter fra il meccanismo illocutorio e quello perlocutorio degli atti linguistici18.
I ruoli attanziali iscritti nel testo rappresentano anche il luogo della trasformazione del discorso, del modo con cui diversi tipi di azioni sono correlate a tipi di passioni che a loro volta orientano l’interpretazione discorsiva. Non è sufficiente intendere il ‘potere’ come una modalità del /fare/ (poter fare, dover fare, saper fare) ma occorre definirlo anche nei termini di una modalità di stato, /essere/; occorre interrogarsi sull’impatto emotivo quando si presentano, per esempio, casi di delega del potere, quando ci si arroga il diritto di giudicare 1’azione dell’altro o di rimettere il giudizio; quando si danno le garanzie per superare la crisi19. Che cos’è la situazione di potere? Si potrebbe suggerire di portare l’attenzione su qua1e effetto di senso provochi l’attribuzione di una modalità, ad esempio la pertinenza con cui al /non poter-fare/ corrisponde uno stato di frustrazione mentre al /poter-fare/ corrisponde lo stato di soddisfazione.
I percorsi passionali (cfr. nota 19) esistono e sono programmati nel testo anche se nuove informazioni o intersezioni fra i vari percorsi modali possono eventualmente distruggerli o dirottarli verso altri proprio perché si possono configurare diverse passioni del dovere, del sapere, del potere, del credere, a diversi livelli di intensità.
Nella tassonomia dei discorsi (didattico, scientifico, pubblicitario…) il d.p. ha la modalità (comune ad altri discorsi persuasivi) di essere un discorso ‘agitatorio’, cioè ha la necessità di vincere l’indifferenza, l’apatia, di fare ‘presa’, di programmare le passioni con cui vorrebbe essere accolto. Si potrebbero differenziare i tipi di passioni che vengono programmate e non sarebbe inaspettato rinvenire un modello di forza del discorso, costruirne un indice di efficacia.
L’istituzione di un contratto fiduciario rileva delle categorie che non sono solo sintattiche dato che le condizioni essenziali del contratto di volere sono fondate sulla ‘volontà’, sul sentimento di volere. In questo modo ‘conservatore’, ‘radicale’, ‘opposizione’, non sono solo delle categorie cognitive del politico ma esprimono vere e proprie passioni discorsivizzate.
E siccome il d.p. è impegnato alla creazione di un attante collettivo e non singolo, si generano anche passioni collettive (solidarietà, distacco, impegno, coinvolgimento, mobilitazione…).
Ogni sistema simbolico ha i suoi percorsi passionali, le sue connotazioni e le sue resistenze; la resistenza contro cui lotta il d.p. non è solo di contenuto ma è largamente modale (dove, come si è detto, il senso del /dovere/ e del /potere/ si intendono non come competenza al fare politico ma come stati della passione politica).
Osservazioni
1. Il meccanismo della manipolazione che delinea i cambiamenti di uno statuto formale del discorso politico rappresenta la messa in scena del processo produttivo del sapere inteso come ‘fare cognitivo’ e, relativamente al sapere inteso come oggetto consolidato (far-sapere), rappresenta un risultato del fare cognitivo in quanto oggetto acquisito dal destinatario. Questo sta a significare che lo stesso discorso comporta una doppia funzione: rappresenta nello stesso tempo un ‘fare’ e un ‘far sapere’ quindi è un processo cumulativo di produzione e di trasmissione. Diverse operazioni modalizzanti all’interno del discorso rappresentano sistemi di regolazione e di mediazione fra diverse istanze tali che l’organizzazione testuale è suscettibile di trasformare il ruolo del discorso e di acquisire significazioni diverse. Può essere significativo per una micro-analisi della manipolazione e del discorso cognitivo giungere a una descrizione del modello persuasivo e del modello interpretativo e circoscrivere l’oggetto di analisi in base al ‘programma’ del soggetto, modalizzato da:
dover far sapere/far volere.
2. La struttura contrattuale del d.p. mette a fuoco la portata programmatica dei valori enunciati che impegnano gli attanti nelle strategie, nel loro /potere/ e /saper fare/. Il carattere polemico di queste componenti strategiche, nelle articolazioni semantiche, potrebbe essere analizzato nelle relazioni di consenso e di conflitto fra i ruoli negoziati nel testo; relazioni che permettono di individuare tante piccole messe in scena dei soggetti del potere riducibili a manifestazioni di: congiunzione, compatibilità, dipendenza, rappresentazione, associazione, disgiunzione, ostilità, rivalità, dissuasione… ai valori postulati.
3. Una prospettiva di ricerca semio-linguistica del d.p. deve valutare non solo i vari tipi di investimento del soggetto dell’enunciazione, ma anche l’insieme di regole a cui è subordinato il fare discorsivo del soggetto. Secondo una logica di approssimazione è possibile individuare una gradualità del /dover fare/ (fare deontico) inteso come contropartita in un contratto imperativo concluso fra gli attanti, nel quale il /voler fare/ del soggetto enunciante si trova investito di una nuova modalità e congiunto con un /dover fare/. Si tratta di recuperare sul piano interpretativo vari tipi di espressioni: ‘occorre’, ‘è necessario’, ‘si deve’, ‘è vero che’, nelle quali la necessità non è altro che una forma del /dovere/ ottenuta attraverso un meccanismo di débrayage attanziale che rende il discorso impersonale e rappresenta il luogo in cui il soggetto dell’enunciazione non solo programma il suo discorso ma proietta le sue regole di organizzazione presentandole sotto forma di prove, ostacoli, istruzioni, suggerimenti, che portano sul /non poter non fare/ e con un grado di approssimazione al /dover fare/.
4. L’analisi di micro processi che costituiscono l’organizzazione testuale del d.p. suggerisce uno studio non solo sulle modalità di organizzazione delle pratiche discorsive ma anche un’analisi nella pratica sociale sulle regole di applicazione delle regole, quindi sulle condizioni e restrizioni entro le quali i discorsi si programmano e sono orientati secondo una necessità di conservazione del Potere. Lo studio sulle modalità del /potere/ e del /sapere/ che caratterizzano ogni discorso persuasivo è solo una premessa a un discorso più ampio sulle altre modalità (volere, dovere, credere), sulle sovramodalizzazioni e combinazioni che un approccio pragmatico deve valutare esaminando le micro-strutture del processo comunicativo. Non solo il Potere funziona nel senso di un proprio mantenimento ma soprattutto tende a una più stabile organizzazione, non tanto di macro-strutture nelle istituzioni ma di regole di applicazione nelle micro-strutture.
5. La struttura polemica del d.p. può essere il risultato non di una strategia prevista ma della composizione eterogenea di molteplici spinte verso un determinato obiettivo, di varie modalità di intervento non sempre coordinate da un soggetto unitario ma percorso da una serie di istanze a volte individuabili solo a posteriori. Si tratta di studiare in che modo le azioni (poter fare, dover fare, voler fare) sono congiunte a un insieme di attività ‘passionali’ che costituiscono la base del funzionamento di ogni discorso provocatorio, agitatorio, conflittuale. Solo un’analisi più approfondita e una più chiara valorizzazione degli oggetti che sono messi in causa nella struttura attanziale può consentire di elaborare e di individuare alcune possibili tecniche di ottimizzazione di un programma basato sulla:
valutazione/sanzione/passione/azione.Occorre riflettere e vedere in che misura ognuna di queste categorie influenza, determina o regola le altre.
Note
- Ad esempio:
«L’autorità è necessaria per salvaguardare la libertà dello Stato» (Pétain, 23 giugno, 11 luglio, 11 ottobre 1940);
«II lavoro dei francesi è la suprema risorsa della Patria. Deve essere sacro» (Pétain, 11 luglio 1940);
«II movimento operaio italiano ha dato un grande contributo per conquiste rilevanti, come le leggi sul divorzio, sull’aborto, sulla parità…» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979). - L’atto di garanzia si pone come importante scelta e come mezzo per valorizzare il d.p.:
«Fin dal 13 giugno la richiesta d’armistizio era inevitabile. Questo fallimento vi ha sorpresi. Poiché rammentate il 1914 o il 1918, andate cercando le ragioni. E io ve lo dirò» (Pétain, Appello del 20 giugno 1940);
«Io penso che, se quella statistica della DC è esatta, il proletariato oggi non sa perché è chiamato alle urne tre anni dopo» (Autonomia operaia, «Il Quotidiano dei lavoratori», 1° maggio 1979);
«E quindi assicuro che, quando dico queste cose, non intendo rivolgermi con senso di sfida a nessuno degli amici» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro, 28 febbraio 1978). - Ad esempio:
«II PCI ha detto chiaro perché chiede voti: per poter dare vita a un governo pieno di effettiva solidarietà…» (Berlinguer, «Rinascita», 27 aprile 1979). - Esistono diversi tipi di deleghe reciproche fra enunciante ed enunciatario, riflessive o transitive, ad esempio:
«Mi sia consentito di dire che, con evidente eccesso, si è prospettato, sotto il profilo della moralità, il caso Italia quasi come unico…» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977) delega transitiva;
«Mi sia permesso un riferimento diretto a…» («Rinascita», 27 aprile 1979) delega transitiva;
«A questo punto ritengo necessario…» delega riflessiva;
«Vorrei fare osservare, innanzitutto, che l’accresciuta complessità della struttura sociale italiana rende difficile definire…» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979) delega riflessiva. - Il sapere del soggetto dell’enunciazione, si trova a sua volta modalizzato in vero/falso, segreto/menzogna, in rapporto a un’asserzione di esistenza; la verità appare come una modalizzazione dell’asserzione che può essere consolidata dal credere del soggetto enunciativo.
- Ad esempio:
«Sappiamo bene che quest’opera di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza democratica è difficile e complessa» («Rinascita», 27 aprile 1979);
«Sappiamo poi che il sistema del prestito si rivelò impraticabile, come forse un pessimista avrebbe potuto prevedere» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977);
«Noi sappiamo che quest’uomo non merita di essere ulteriormente giudicato e non possiamo indurci a dire diverso da quello che noi pensiamo» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977);
«Si dice e lo si rileva – anche all’estero – che l’Italia manifesta capacità spesso imprevedibili di recupero e di ripresa. È la verità. Lo si è constatato…» (Rapporto di Berlinguer al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979). - Ad esempio:
«Noi possiamo dire, quindi, che è inutile e politicamente inopportuno fare, certo avendo presente quel che è avvenuto sin qui…»;
«Dobbiamo dunque giudicare, formulare quel primo giudizio che si esprime in un atto di accusa…» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977);
«Possiamo e dobbiamo vagliare i pro e i contro che questo dibattito…». - Ad esempio:
«A questo punto mi permetto di ricordarvi che…»;
«A questo punto era davvero una pretesa assurda che il PCI tornasse a far parte della maggioranza» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979); «E qui che il discorso torna alla politica e all’azione … »; «Rinascita», 27 aprile 1979);
«Questa è una cosa importante, e dobbiamo ridirla in questo momento, perché è importante per ora ed è importante anche per dopo, perché è dovere reciproco… far comprendere…» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro, 28 febbraio 1978). - Ad esempio:
«È forse sul piano della politica che la costruzione europea ha più importanza…» (G. Pompidou, 11 aprile 1972);
«È evidente che responsabile primo di tutto ciò è il governo» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979);
«Forse non si è discusso abbastanza su quanto una tale ‘espansione’ ha prodotto degli obiettivi, dei modi di far politica rispetto a ciò che aveva caratterizzato…» («Rinascita», 4 maggio 1979). - La struttura assiologica dell’enunciato permette di valorizzare alcune istanze del discorso rispetto ad altre, ad esempio:
«Sull’autorità deve fondarsi la vera libertà» (Pétain, Messaggio dell’8 luglio 1941);
«Il PCI ha assolto lealmente gli impegni derivanti dalla maggioranza… ma con altrettanta fermezza ha dichiarato di non avere più fiducia nel governo…» («Rinascita», 27 aprile 1979). - Ad esempio:
«I partiti, democristiani, socialisti e socialdemocratici europei cercano di coprire con generici programmi comuni le diversità profonde che esistono fra di loro sui poteri… noi comunisti italiani dobbiamo seguire…» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979);
«…proponiamo che l’Esecutivo e il Parlamento smettano di emanare… leggi e regolamenti monosettoriali che obbligano…» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979);
«Conserviamo la nostra fisionomia e la nostra unità, chi pensi di far bene dissociando; dividendo le forze, sappia che fa… sono certo che nessuno di noi lo farà, che noi procederemo insieme…» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro). - Ad esempio:
«I democristiani faranno le regioni»;
«È ora di cambiare! È possibile cambiare»;
«Il mondo va a sinistra». - Ad esempio:
«Se non farete così verrà la crisi»;
«Se non avessimo saputo cambiare la nostra tattica, la nostra impostazione quando era venuto il momento di farlo, noi non avremmo tenuto, malgrado tutto, per più di trent’anni la gestione della vita del paese» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro, 28 febbraio 1978). - «Ebbene, di fronte a questo, noi, cari amici, che parliamo con i nostri elettori, dobbiamo pacatamente ricordare, senza inutili polemiche che la decisione di isolarsi tra DC e PCI…» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro, 28 febbraio 1978);
«A questo punto mi chiedo se…»;
«Questa attenzione può sembrare in contraddizione col precedente discorso sulle garanzie e sul controllo, mentre è…» («Rinascita», 27 aprile 1979). - Ad esempio:
«Io non sono in grado di compiere il mio mandato se voi non mi delegate e non me lo confermate con un voto»;
«I comunisti possono e debbono dare a questo movimento il loro attivo contributo, in quanto fautori di un indirizzo determinato…» (P. Togliatti, «Rinascita», 3 marzo 1957);
«…faccio dono alla Francia della mia persona per attenuare la sua sventura…» (Pétain, Appello del 17 giugno 1940);
«Io ho la fiducia, con l’aiuto del vostro consenso, con la guida della direzione che riflette poi le vostre stesse opinioni…» (Discorso ai gruppi parlamentari DC, A. Moro, 28 febbraio 1978). - Ad esempio:
«Molti credono che… ma io so che…»;
«Abbiamo preso atto che la maggioranza si era ormai di fatto dissolta… la verità è che, nonostante…» (Berlinguer, Rapporto al XV Congresso del PCI, 31 marzo 1979);
«C’è il rischio obiettivo di una inammissibile politicizzazione e quello, altrettanto grave, che il nostro comportamento sia considerato inficiato da ragioni di parte… io credo, e senza per nulla impegnare il mio partito che dovremmo…» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977). - «Ma io ho la fiducia, con l’aiuto del vostro consenso, con la guida saggia della direzione che riflette poi le vostre stesse opinioni… di poter immaginare un accordo opportuno…» (Intervento all’assemblea dei gruppi parlamentari DC, A. Moro, febbraio 1978).
- Vedi le paure, le ansie che sorprendono certi filosofi del linguaggio sulla dimensione perlocutiva infelicemente risolta con occultazioni di verità.
- «Abbiamo dinanzi degli uomini e dobbiamo saper valutare, con lo stesso scrupolo, con lo stesso distacco, con lo stesso rigore i quali caratterizzano l’esercizio della giurisdizione» (Discorso alla Camera, A. Moro, 9 marzo 1977);
«Quindi io ti dico che la via del Partito comunista è una via, diciamo disperata. Oggi ci sono due disperazioni in Italia: quella dei burocrati comunisti e l’altra dei ragazzi della P38 e della siringa» (Intervista a M. Pannella, giugno 1979).
Bibliografia citata
- AUSTIN, J.L.
- 1962 How to do things with words, Oxford, Clarendon (trad. it. Quando dire è fare, Torino, Marietti, 1975).
- DUCROT, O.
- 1978 «Enunciazione», in Enciclopedia, vol. 5, Torino, Einaudi.
- FOUCAULT, M.
- 1970 L’ordre du discours, Paris, Gallimard (trad. it. L’ordine del discorso, Torino, Einaudi, 1972).
- GREIMAS, A.J.
- 1970 Du sens, Paris, Seuil (trad. it. Del senso, Milano, Bompiani, 1974).
- GRICE, H.P.
- 1970 “Logic and Conversation”, in Cole and Morgan (eds.), Syntax and semantics. 3. Speech Acts, New York, Academic Press (trad. it. in M. Sbisà, Gli atti linguistici, Milano, Feltrinelli, 1978).
- LANDOWSKI, E.
- 1980 “L’opinion publique et ses porte-parole”, Actes sémioitiques. Documents, 12.