Da: AA.VV., Fellini & Dante. L’aldilà della visione, Sogep Ed., Genova, 2016.
“occorre seminare occhi”
V. Chlébnikov
L’ìstrione solitario
1. Intertestualità
La critica letteraria e cinematografica, merita il suo etimo: è in crisi. Applicata ad un testo rischia di farsi tautologica ed epitetica; replica trame e moltiplica gli aggettivi; si presta più alle promozioni che alle riflessioni. La semiotica le propone una via d’uscita costruzionista: un montaggio intertestuale, un co-testo, non un vago contesto, che lasci emergere dall’analisi un piano non arbitrario di significazioni. È quanto mi propongo con il Viaggio di G. Mastorna di Federico Fellini, il progetto incompiuto di un film che è una variante della Divina Commedia dantesca; intrecciandolo con l’opera di Dino Buzzati, uno dei maggiori scrittori italiani del 20 secolo, coautore ( con B. Rondi) della sceneggiatura e autore di un Poema a Fumetti che è una variante legata della sceneggiatura felliniana. L’analisi di un nuovo corpus se non risolve profondi misteri può mettere in luce modesti segreti.
Comincio col rinvio ad un noto studioso di Dante. Per Alberto Casadei, nel libro Dante oltre la “Commedia” è un’evidenza che il progetto del Mastorna di Fellini, il Fantasmone, come lo chiamava il regista, sia una variante virtuale della Commedia. Si tratta di argomentare questa evidenza attraverso la connessione con un sommario trattamento dell’Inferno e con la lettera al produttore Dino de Daurentis, ripubblicata da Ermanno Cavazzoni, in cui Fellini insisteva sulla possibile realizzazione di un progetto a lui caro. Dove insisteva sul suo carattere di grande avventura e la riproposizione critica “(o con ambigua adesione) di psichismo, spiritismo, magia, rituali, credenze”.
Sappiamo inoltre che esistono fotografie e spezzoni di “girato” attribuibili all’inizio del Mastorna. E sono molte le interviste, nelle quali Fellini si dilettava in descrizioni e spiegazioni contradditorie. Vorrei però in primo luogo intessere al progetto Mastorna, i testi verbo-visivi del Libro sogni, il librone in cui Fellini ha registrato, scritto e disegnato l’attività notturna con cui ha realizzato i suoi film, trattamenti diurno della sua vita onirica (Deleuze). Sogni che frequentano i simulacri di D. Buzzati e di P.P. Pasolini.
Continuiamo con la pagina sogno del 17 febbraio del 1980 in cui si può leggere: “Poteva essere un Signor film”. Sogno in cui figura il favoloso aeroplano che nell’incipit del racconto perdeva quota nella tempesta per atterrare poi un luogo misterioso, una grande piazza, vicino ad una cattedrale tedesca che Fellini fece parzialmente ricostruire a Cinecittà. Il protagonista scoprirà progressivamente che questo “campo di evenienza” è l’Aldilà e precisamente l’Inferno, e che si trova in un mondo di defunti dove potrà leggere il proprio epitaffio semicancellato: “…epp… torna”. Nel disegno e nella scritta la hostess in blù è il personaggio del Mastorna che raffigura una delle guide accompagnatrici del viaggio, quella che lo condurrà alle porte del Paradiso.
In un altro sogno, del 5 settembre 1978, il sognatore è a letto e vede, su di un ampio schermo televisivo, il personaggio di G. Mastorna: con i baffi, cappello, e soprattutto, con lo strumento che non lascerà per tutto il periplo oltremondano: un violoncello. Il protagonista infatti è un musicista e, concluderà il suo viaggio reinserendosi in un orchestra che lo attende per suonare una musica “profonda e misteriosa”.
In altri sogni figura Dino Buzzati: nel novembre del 70, Fellini trascrive il sogno in cui si trovano insieme in una stazione, e lamentano il furto del manoscritto del Mastorna. Evidentemente, la questione li riguardava entrambi da vicino.
Buzzati, come e più di altri scrittori (Flaiano, Zanzotto, ecc.) ha avuto con Fellini un rapporto durevole e di grande intensità1. L’occasione e lo spunto del Mastorna, proviene dalla lettura d’un racconto breve di Buzzati, Lo strano caso di Domenico Molo, poi ripubblicato con il titolo di Sacrilegio. Un viaggio di riscatto segnalato in particolare da Antonio Costa che ne ha colto le molte analogie, ma di cui è possibile tracciare altre trasformazioni significative e inversioni strutturali. È la storia d’un ragazzino, che per difficoltà scolastiche, manca ad un giuramento, compie una specie di sacrilegio infantile e si ammala per il dispiacere e il timore. In uno stato alterato, sogna di andare in un mondo ultraterreno per esservi giudicato. Gli accadono molte cose curiose2, tra le quali la visione dalla spiaggia di un immensa nave immobile, carica di persone in attesa di giudizio. Una figura imponente nel lessico dei motivi felliniani, dal Rex di Amarcord alla Gloria N., il funebre bastimento de E la nave va. La ritroveremo trasformata in un immenso treno carico di anime nella sceneggiatura del Mastorna e nel Poema a fumetti di Buzzati. Ma non anticipiamo.
Nella loro lunga amicizia Buzzati ha scritto molto di Fellini ed ha continuato a riscrivere il Mastorna. Un episodio per tutti: Fellini in una delle tante interviste, asserisce che, non trovando il nome per protagonista del suo Viaggio ultraterreno, decise di chiederlo proprio a Buzzati, per la sua abilità nell’inventare nomi appropriati ai personaggi delle sue storie. Buzzati non ha mai confermato ma possiamo fare un’ipotesi semi-anagrammatica: Mastroianni: Mas-tro/Mas-tor… Na è ottenuto attraverso l’eliminazione delle /i/ iniziale e finale, e del raddoppio della /n/.
Quanto a Buzzati, nei Misteri d’Italia3, che raccoglie una serie di articoli per il Corriere della Sera, manifesta tutta la sua adesione alla visione magica di Fellini e racconta dei loro viaggi congiunti tra guaritrici e veggenti4.
Tuttavia constatata la resistenza di Fellini alla realizzazione del film, Buzzati prese una decisione che dispiacerà molto al regista. Scrivere nel 1979 il Poema a Fumetti, che suscitò lo sconcerto per il mutamento della sostanza espressiva – la scrittura e l’immagine- e per l’onnipresenza del nudo, avvertito allora come quasi pornografico. E soprattutto per il dispositivo frammentario della narrazione poetica, inaspettata da chi come l’autore del Deserto dei Tartari, in una nota lettera, esortava Fellini ad una maggiore coesione narrativa. A non realizzare cioè il Mastorna, alla maniera degli altri film, come patchwork sintagmatico di frammenti e privo della parola “fine”.
2. Il Poema a Fumetti
Il plot del Poema è la discesa agli inferi di Orfeo (Orfi Baltazano) nel vano tentativo di ritrovare e ricondurre a sé la defunta Euridice (Eura Storm-Mors?). Il racconto è scandito in quattro capitoli:
Nel primo, il Mistero di Via Saterna, Eura scompare misteriosamente; Orfi il suonatore di rock – il cui modello visivo è un pittore, Antonio Recalcati – la segue, giunge ad una porta sorvegliata da un demone-cerbero e scende una scala verso l’Aldilà.
Il secondo, Spiegazione dell’Aldilà, è dedicato alla natura e alla composizione di un mondo ultraterreno e dei suoi pallidi abitanti. L’ingresso è controllato dal diavolo custode informa d’un giaccone vuoto, che lo metterà alla prova della poesia e del canto.
Il terzo capitolo è costituito dalle Canzoni di Orfi, in forma di enigmatici testi poetici: La storia dei nove gentiluomini; La storia dell’uomo che si voltò; La storia del casellante; Il visitatore del Pomeriggio; La storia delle Melusine e infine Le storie di dio. Orfi supera la prova.
Il quarto capitolo è Eura ritrovata. Orfi si addentra nell’Averno, ritrova Eura e tenta di ricondurla nel mondo dei viventi. Ma, come nel mito, il tentativo orfico fallisce.
La decisione di Buzzati di comporre una variante del Mastorna, tiene conto del solo episodio infernale, ed usa del linguaggio del fumetto, esplorando scrittura e segno visivo, secondo la predilezione felliniana per il racconto grafico5. Anche Buzzati ha dipinto quadri, illustrato e disegnato racconti come La famosa invasione degli orsi in Sicilia, le Storie dipinte e I miracoli di Val Morel. Egli si dichiarava spesso uno scrittore fallito, e aggiungeva che il successo nella scrittura, gli avrebbe impedito quel che più desiderava, essere il grande pittore che il futuro avrebbe riconosciuto6. Nelle vignette del Poema a Fumetti si trovano riconoscibili omaggi a differenti ad architetti, illustratori, anatomisti fotografi di foto piccanti e pittori, come Friedrick, Bellmer, Dalì o registi come Murnau,- c’è una figura è ispirata al unghiuto Vampiro. A Fellini è esplicitamente dedicato un disegno che traduce un grande quadro Il Treno di Fellini (1969, acrilico su tela, 50per80 cm.). Nella sceneggiatura felliniana (Interno. Stazione. Treno a 4 piani. Giorno.), G. Mastorna giunge infatti in una stazione rumorosa dove si trova un altissimo treno eternamente immobile e affollatissimo. In questa variante della nave di Domenico Molo, Orfi, ritroverà, ma invano, la sua perduta Eura.
2.1. Un lessico di motivi
Nello studio del Poema, alcuni tratti della narrazione ci pungono per la loro salienza intertestuale: (i) lo strumento musicale, (ii) il giaccone-diavolo (iii) l’anello scambiato (iv) il duplice sguardo.
(i) Buzzati disimplica dall’ intricata sceneggiatura del Mastorna, il mito di Orfeo sulla morte e la musica. Come Orfi, con la sua chitarra rock, anche Giuseppe Mastorna è un musicista, sempre accompagnato dal simulacro femminile del violoncello – che ritroveremo peraltro nel Casanova di Fellini, metonimia della sola donna veramente amata, la perduta Henriette.
(ii) Il motivo figurativo del Giaccone è la più curiosa delle varianti. Raffigurazione di un diavolo custode, è un cerbero circondato da nudi femminili, il quale esige una la prova poetica di canto per accedere al “pallido Averno” di cui è guardia confinaria. Ne troveremo il termine ab quo nel trattamento sull’ Inferno predisposto da Fellini. Davanti alla baraonda infernale delle richieste dei produttori americani per realizzare cinematograficamente la prima cantica della Commedia, Fellini scrive di sentirsi come un pupazzo. “A questo punto io mi sottraggo dalla presenza, costruisco un pupazzo davvero, installo il mio cappotto avvolgo una sciarpa, me ne vado, lascio me stesso lì, come pupazzo”. È una riflessione disincantata sul doppio, contradditorio ruolo del regista. Per rendere l’invisibilità creatrice dell’autore rispetto all’apparato produttivo, un “bel pupazzone” è il segno appropriato d’una inappartentenza e un’allusione ironica. Il Giaccone è il regista dell’Inferno.
(iii) Ancora un punctum, come direbbe R. Barthes. Allorché Orfi tenta di trascinare l’Eura trapassata nell’aldiquà della vita, ha luogo un singolare scambio: l’anello di Eura contro e l’orologio di Orfi. Eura che trascorre una pallida eternità, chiede al musicista il tempo. Orfi riceve da lei un pegno che ritroverà nel suo ritorno nel mondo dei vivi, la prova ambivalente che non ha solo sognato. È quanto accade alla conclusione de La Città delle Donne dove il protagonista si sveglia in treno, con l’impressione di un lungo sonno, finché ritrova i propri occhiali, rotti nel corso di quello che sembrava soltanto un sogno. Un meccanismo classico del fantastico: un’esperienza provata nell’eterotopia di un mondo possibile e il ritorno al mondo reale portando con sé la traccia non emendabile di quell’esperienza.
(iv) Infine la cifra buzzatiana del duplice sguardo di Eura, le due paia sovrapposte di occhi che incontriamo più volte nei suoi quadri, come nel Treno di Fellini e in altre pagine del Poema. Nella sceneggiatura di cui Buzzati è coautore, quando Mastorna tenta di capire cosa gli è successo – la sua identità, se è vero che sia morto, qual è il grottesco giudizio a cui è sottoposto, ecc. – lo legge negli occhi azzurri della hostess vestita di blu che l’ accompagna e sulla quale torneremo. Ci sono due tipi di occhi: quelli in cui si guarda e gli occhi con cui si guarda; quelli attivi che guardano o quelli ricettivi che vedono; occhi attivi e passivi emittenti e riceventi. Una reversibilità dello sguardo formulata narrativamente e resa da Buzzati con lo sdoppiamento dell’apparato visuale sul volto femminile.
(i-iv) sono piccoli mitemi della variante felliniana e buzzatiana della Commedia. Il Poema a fumetti sviluppa insomma, come La strana storia di Domenico Molo, la traversata infernale; l’intertestualità con la narrazione orfica approfondisce il mitismo della Commedia, caratterizzato da tutte le potenziali varianti. Dante che scende all’Inferno, acquisisce, per contagio mitico, la qualità di cantore orfico.
3. La vita è anche la Morte
L’ulteriore approfondimento intertestuale delle varianti del viaggio dantesco è esplicitato da Fellini nella sua Lettera al produttore De Laurentiis: “Cosa regge e mi piace ancora del Mastorna 1) L’idea che è alla base: cioè che la vita è anche la morte, come cantavano in quel coretto del sogno con Pasolini”. Un’idea che doveva dettare la scelta del cromatismo bianco e nero del film, documentato nelle poche sequenze e foto rimaste: la fotografia sarebbe stata così l'”espressione di un’eterna immobilità”. Il riferimento come vedremo è alle Tentazioni del Dottor Antonio e ad alcuni sogni di Fellini, che ha intrattenuto rapporti non sempre idillici con PierPaolo Pasolini. L’autore del Vangelo secondo s. Matteo ha notoriamente collaborato a Le notti di Cabiria e scritto su richiesta di Fellini delle varianti alla sceneggiatura de La Dolce Vita. Fellini gli riconosce di averlo condotto in alcuni ambienti, tra la periferia romana e gli ambienti intellettuali “come Virgilio o Caronte”. C’è un sogno del 6 giugno 1977, successivo alla morte di Pasolini, in cui, Fellini, lo immagina mentre canta, sull”aria del Trovatore, “la vita è anche la morte”. “Così cantava qualcuno su di un bel motivo che mi dicevano essere del Trovatore. Mi sveglio con questo canto che era festoso e lieto. Chi cantava? Forse Pier Paolo Pasolini che nel sogno faceva una piccola parte in un mio film. […] Ho ancora nell’orecchio quel canto, quelle note e il senso misterioso eppure chiarissimo di quel verso. Era il finale del film?”. Un’elaborazione onirica a partire da un preciso resto diurno: La Terra Vista dalla Luna, episodio delle Streghe, del ’67, che si conclude con questa scritta. Nella storia infatti Assurdina, la moglie muta di Totò, muore precipitando dal Colosseo. Dopo l’inumazione Totò e il figlio la ritroveranno però a casa; è morta, ma pronta a riassumere tutti i bisogni della vita domestica.
Il verso “La vita è anche la morte” appare in uno di quei sogni che Fellini che ha sempre integrato alla sua creatività, come ha sottolineato J. Risset, la traduttrice francese di Dante. Una frase che enuncia una interrogazione sull’identità e sul passaggio dalla vita alla morte come forma del vivere. Giuseppe Mastorna giunge infatti senza comprendere se è vivo o morto in un Aldilà che ha tratti danteschi. Come la citazione esplicita dei molti defunti che si affollano intorno a lui: “mi chiedono dantescamente informazioni sul mondo dei vivi”.
Il testo della Commedia, dove Dante scende vivo nella scura voragine dei morti, poi risale il monte del Purgatorio per attraversare infine i cicli celesti è l’ipotesto che permette di porre le domande simboliche a cui Fellini non riuscirà a realizzare una risposta immaginaria.
Or questi, che dall’infima lacuna/De l’universo infin qui ha vedute/Le vite spiritali ad una ad una. Paradiso, XXXIII, v. 22-24.
Il viaggio di Mastorna si lascia articolare in tre fasi: 1. Infernale, 2. Purgatoriale, 3. Paradisiaca.
3.1. La fase infernale
Un primo tratto pertinente al nostro confronto è la moltitudine di lingue incomprensibili: in quest’Altro mondo di “orribili favelle” Mastorna non capisce nulla e non riesce più a intendersi quasi con nessuno. Anche quando tenta di telefonare i numeri risultano illeggibili: è la baraonda dei segni linguistici e visivi.
Cos’è l’Inferno e come riuscirà a uscirne Mastorna? Nel trattamento che ne riporta il titolo leggiamo: “non capiamo più il significato, il senso, la funzione di cosa siamo. Dispersi, senza coscienza, senza ricordi, nostalgie, rimpianti, speranze, in un immensità che non vuol dire nulla. Questo è l’Inferno e nello stesso tempo l’orrore del mortale sconosciutezza del tutto, di colpo ti irradia in una sconfinata felicità. Una libertà che va al di là di tutti gli universi. Non sei più prigioniero dei significati e dei concetti, non sei più separato dagli oggetti dagli altri, dalla Società che è fuori di sé. Ma tu stesso diventi tutte le cose. Tu sei il fiore, il mare, gli occhi di quella donna, l’uccello del cielo, tu sei l’intero creato, la rosa mistica, il centro del Paradiso.”
Nel Viaggio, al colmo angoscioso d’una confusione “che mai non resta”, Giuseppe tenta infatti di recuperare disperatamente un identità mettendo in causa la propria memoria, sottoponendosi ad una prova davanti a una misteriosa giuria. In un enorme scenografia, “luogo, ridicolo, derisorio” (che ricorda la cerimonia del Premio Oscar) dove si assegna il premio dell’eternità, Mastorna viene un premiato con una medaglietta senza valore , ma non si riconosce nell’immagine che viene presentata come la sua. È quanto è accaduto invece al papa – nell’Inferno della Commedia non mancano papi dannati e tormentati – che si presenta prima in grande spolvero, per appare poi come un miserabile, sottomesso alla sentenza sulla sua identità.
Mastorna per contro è categorico: arringa la folla e la giuria rifiutando di riconoscere al luogo in cui è venuto a trovarsi lo status dell’Aldilà e aggiunge “io quello non sono io”. Questo gli consente, infine di lasciare il “funebre musical” e di passare ad una nuova fase del suo Viaggio.
3.2. La fase purgatoriale
Giuseppe è sottoposto ad una ulteriore prova identitaria in cui avviene un riconoscimento preciso quanto ironico. A partire da una prima risposta “mi sembra di non saperlo quasi più chi sono”, giudicata positivamente, la seconda giuria fa proiettare un film, con l’intera sua vita che egli commenterà con una frase sorprendente: “non mi riguarda”. La giuria delibera poi sul momento più significativo della sua vita. Nella biografia filmata c’è un momento apparentemente insignificante: da un’automobile , egli guarda un’altra macchina dove si trova un cane, a cui fa una boccaccia. Il fotogramma viene riconosciuto e selezionato, montato e missato, ritagliato e incollato con la frase conclusiva su una carta di d’identità. Una strategia ironica d’inversione – in un night club scopre ad es. che la donna che lo seduce è un travestito – che costituisce uno svuotamento definitivo del suo essere e una decantazione del suo fare. È pronto allora per un nuovo tratto del suo percorso iniziatico. Si rivolgerà infatti all’Accompagnatore che lo ha seguito nella fase infernale, ma questi non lo vede e non lo ascolta. È Armandino, un personaggio basso e smorfioso, un Virgilio rovesciato e ridicolo, secondo la modalità antifrastica dell’Inferno del Mastorna rispetto al dettato della Commedia. il violinista è impercettibile perché si trova in una diversa dimensione nella quale incontrerà una nuova guida, la hostess celeste del sogno. Una bellissima Beatrice , prevista dalla Lettera a De Laurentiis, legata alla dimensione poetica: è la sola a citare due grandi scrittori: il Camus de L’uomo in rivolta e l’Hölderlin della Morte di Empedocle. Empedocle, ricordiamolo, scende nel fuoco del vulcano uscirne più, mentre Mastorna avrà un altro destino. La hostess lo guida per una nuova partenza verso un lontano confine. Un altro “folle volo” dentro ad un aereo strettissimo, guidato da un cinese addormentato, in compagnia d’una bambina. Lungo la rotta, l’aereo vola in modo tale che Mastorna si ritrova diritto, anziché seduto: ricorderete infatti che per uscire dall’inferno di Dante è necessaria la singolare torsione per cui a partire dal centro della terra – l’ombelico di Lucifero – si risale verso gli antipodi. Alla conclusione di questa fase, Mastorna si ritrova in una linea di frontiera sorvegliata da doganieri, guardie confinarie che improvvisano una piccola orchestra. Lo aiuterà, per l’ultima volta, l’hostess angelicata con cui avrà un rapporto carnale. Il musicista, pacificato, potrà varcare il confine di una grande montagna purgatoriale: “uno sperone nero, altissimo […] come un gigantesco santuario”.
3.3. La fase paradisiaca
Giuseppe Mastorna attraversa un immenso cielo per ritrovarsi a Firenze, città dove ogni evento quotidiano si presenta come un meraviglioso miracolo. “La terra promessa”, il Paradiso, come scrive la Lettera a De Laurentiis dove condurre una Vita Nuova. Qui Mastorna entrerà, di spalle, nel teatro, dov’è atteso per iniziare il concerto; sa che vi si trova sua moglie Luisa e intonerà con tutta l’orchestra – diretta dal maestro che nell’Inferno era chiamato Lucifreddi! – una musica profonda e misteriosa che si leva al cielo. Il contrario esatto della baraonda infernale dei segni. La musica delle sfere?
4. Conclusioni.
Sappiamo quanto Fellini trasformasse nella realizzazione filmica lo spartito testuale della sceneggiatura v. ad es. il Casanova. Ma è possibile trarre dall’analisi intertestuale qualche osservazione generale e dei suggerimenti di ricerca sull’opera del grande regista.
Una prima osservazione riguarda la religiosità dell’opera di Fellini che è stata oggetto di una considerazione scarsa ed extratestuale. Il tribunale infernale riconosce come “religiosissima” l’enunciazione di Mastorna “la mia vita non mi riguarda”. Quando si parla di lui come musicista lo si definisce come religioso (“alla timida voce del tuo strumento […] l’uomo oscuro e afflitto si sentiva chiamato in… paradiso”), non perché creda all’Aldilà teologico, ma quanto partecipa alla musica come cerimonia collettiva. Se vogliamo alzare il tono speculativo, direi che ci sono due modi per pensare il biografema, cioè rispondere alla domanda identitaria. Uno è partire dalla nostra Autonomia, con i nostri ricordi, progetti, idiosincrasie caratteriali e culturali. In questa prospettiva il riconoscimento dell’altro, l’Eteronimia è complicato se non improponibile. L’Enfer c’est les autres, (Sartre) quando la nostra autonomia si estende fino a trovare il proprio limite nella relazione gli altrui. La seconda risposta è religiosa, in senso non confessionale ed è quella dell’Eteronomia. Si comincia quindi con l’accettare un codice, una regola dentro la quale cercare il massimo di possibile Autonomia. È la soluzione che propone il Mastorna? “La condizione di orchestrale […] può rappresentare simbolicamente un atteggiamento umano altamente religioso” (Lettera a De Laurentiis). Accettare il proprio ruolo nell’orchestra – come nel girotondo finale di Otto e mezzo?- per dare un senso d’armonia collettiva alla propria soggettività?
Veniamo più empiricamente ai suggerimenti di ricerca. Nella filmografia di Fellini la musica ha un ruolo pregnante, anche se attutito dalla salienza visiva. Nel Mastorna i suoni infernali – cori ossessionanti, assurde musichette, una fanfara militare in stile tedesco – si trasforma nell’allegra orchestrina dei doganieri del Purgatorio, fino a risuonare nel motivo paradisiaco “ampio e solenne, grandioso e disperato, dolcissimo, inebriante”. Dovremmo allora riesaminare le trasformazioni narrative della musica in Prova d’orchestra, per capire meglio il modo in essa cui introduce rapporti umani nella materia sonora.
Vorrei concludere formulando una proposta. Esiste una differenza semiotica tra l’autografo e l’allografo. La musica è allografa, nel senso che le diverse esecuzioni di uno spartito, se corrette nella loro compitazione, generano ogni volta un originale. Ebbene a partire dal nostro lavoro in questi giorni, potremmo redigere un spartito felliniano, con le sue varianti buzzatiane, per trarne un’ opera. Mentre il Poema a Fumetti nel ’13/’14 ha trovato un allestimento teatrale negli anni 2013/4, nessuno ha pensato d’utilizzare il trattamento del Mastorna, per realizzare un Opera lirica. So che l’ascolto è una risorsa sempre più scarsa nella società della comunicazione. Ma è un modo possibile perché “gli ultimi re delle favole (non) si incamminino all’esilio” (Poema a Fumetti).
Note
- Buzzati realizzò per il cinema, forse per Fellini, il racconto e il trattamento cinematografico Se sono grasso che male c’è, purtroppo perduto.
- Nel suo viaggio Domenico Molo è accompagnato da una misteriosa Beatrice, Maria che non riesce a cancellarsi il rossetto dalle labbra.
- Con la probabile influenza dell’antologia Italia magica, di Gianfranco Contini – che raccoglieva scrittori come Zavattini, Bontempelli, Moravia , Baldini, Landolfi, Palazzeschi.
- “Fellini in Italia è la persona più carica di misteri”. E a proposito di Giulietta degli spiriti parlava di “sortilegio e inquietudine attesa… con varietà abbacinante di motivi e faniasmagorie”.
- Sul gusto di Fellini per i fumetti oltre alle arcinote esperienze con l’editore fiorentino Nerbini e il rapporto con M. Manara , ma v. da ultimo il suo interesse per J. Giraud. Moebius, Vicente Segrelles Il mercenario, J. Munoz, Sampayo, Alack Sinner.
- “il crudele equivoco, sono un pittore che per hobby ho fatto lo scrittore. […] so benissimo che il mio gigantesco talento di pittore avrà un giorno il suo riconoscimento, ma prima devo morire”. Per Buzzti comunque “dipingere e scrivere sono la stessa cosa […] raccontare storie”.
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