Da: (con G. Marrone), Semiotica in nuce. Vol. II: Teoria del discorso, Meltemi Editore, Roma, 2001.
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La “Svolta semiotica” è a portata di pensiero. Con la Semiotica in nuce 2, spiegata nel secondo volume da una ventina di autori e in 30 testi, è tutto un movimento di ricerca e di analisi tra gli anni ’80 e ’90, che prende fisionomia. Sottratti alla dispersione spaziale che è stata la caratteristica della comunicazione di successo, questi contributi sono pronti alla trasmissione nel tempo. Nella loro disseminazione regolata, conservano la traccia dei diversi stili d’indagine e della diaspora che ha seguito la scomparsa di alcune figure fondatrici della semiotica: R. Jakobson e R. Barthes, J. Lotman e A. J. Greimas. È un arcipelago di problemi e di quesiti che, se non permettono un passaggio a nord-ovest, presentano però rotte definite e mappe provvisorie. Le nozioni che intitolano le parti del reader, Enunciazione e Discorso, Figuratività, Passione, Estetica ed Estesia, prefigurano i nuovi ambiti dell’indagine. A questo tessuto teorico, non mancano certo le pieghe, i problemi interni ad un livello e le articolazioni tra i diversi stadi di complessità (il Percorso Generativo del senso, ad esempio, è vigorosamente sostenuto dagli uni e messo in causa da altri che gli preferiscono un modello stratificazionale). Per questo Greimas credeva che allo studio della semiotica convenisse, più che “la forma araba del trattato” (Benjamin), il formato del Dizionario che permette ai nuovi concetti di inserirsi in un corpus aperto di rinvii. Quali saranno allora, dopo la svolta e a partire da oggi, le nuove vie della ricerca? A molti il cristallo della “semiofera” sembra molto opaco e in ogni caso è più facile praticare le tecniche del ricordo che affinare la facoltà di presentire.
Premettiamo che, nella ricerca, la cattiva notizia è che non ci sono notizie.
Semiotica in nuce invece dimostra che è superato lo stallo che riduceva la disciplina ad una “Flatlandia”, con un lessico impoverito che non bastava citare per resuscitare (denotazione/connotazione; sintagma/paradigma; segno/simbolo; metalinguaggio/connotazione; indice/icona; metaforico/narrativo; ecc.). Ad un indubbio stato di grazia – la semiotica è stata molto à la page – sembrava che fosse seguito il colpo di grazia – una overdose da segno. Risultato: la divaricazione tra il saper fare testuale (della tradizione filologica) e i saperi speculativi teorici (delle diverse correnti filosofiche) che la teoria e la pratica semiotica aveva ed ha inteso articolare. Invece, tolti alcuni ingedienti regressivi, come il segno (singulum signum, sigla della semiologia), nuovi spazi testuali si sono aperti all’esplorazione. Cambiando di dominanza, cioè spostando l’accento da un termine all’altro delle opposizioni: meno paradigmi e più modi operandi, meno categorie e più procedure. Creando nuove categorie semantiche: azione vs passione; enunciazione vs enunciato; discontinuirà categoriale vs continuità e tensività. Cambiando la gerarchia di generalità concettuale: la narratività di derivazione proppiana passava da generica a specifica, culturalmente e metodologicamente, e il testo coi suoi contesti cedeva il passo al discorso con le sue situazioni significanti. Estendendo nuovi concetti a nuove sostanze, come quella visiva: l’Enunciazione, in pittura, nella fotografia e nel cinema; le Passioni, nell’intonazione e nella retorica. Arricchendo la tipologia segnica con la nozione di segno categorialmente motivato; il semi-simbolico, a metà tra metafora e allegoria. La semiotica ha avuto una sua morfogenesi e distinti filoni di ricerca diversamente etichettati: semiotica Soggettale, con forte caratterizzazione enunciazionale, in opposizione alla semiotica dell’Enunciato; una semiotica Tensiva, punta sul vivo dalla continuità intensiva di categorie definite prima nel loro aspetto discreto ed estensivo; una semiotica che si concentra sullo studio degli Insiemi Significanti, e così via. Come per la linguistica generale, passata da un interesse lessicale agli aspetti testuali e pragmatici, così per le discipline dei sistemi e dei processi di significazione resta valido il progetto generale, che include i vari percorsi nel frame della Discorsività: una Semiotica Generale di seconda generazione. Una conseguenza metodologica? Il superamento di nozioni quali Testo e Contesto a profitto della Discorsività. Mentre ogni analisi testuale (per esempio, le sequenze di una conversazione) richiede sempre un’integrazione di senso che comportava l’aggiunta ad hoc di co-testi prima e di contesti poi, la discorsività prende risulutamente le mosse da una costruzione e da una apprensione olistica per scendere, attraverso articolazioni successive, fino ai livelli d’analisi che ritiene pertinenti e interessanti. Un procedere che chiameremmo abduttivo, se il termine non fosse troppo costretto nel gesto inferenziale.
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In ogni caso, per verificare la condizione semiotica dopo la sua svolta basterebbe somministrare un test: l’impiego delle nozioni di (i) Passione e di (ii) Enunciazione con le implicazioni teoriche e descrittive che abbiamo segnalato. Ne risulterebbero escluse la prima semiologia, la semiotica strutturale della narratività e la semiotica interpretativa d’ispirazione peirciana (nei contributi recenti, del 1997, di Eco e Violi, le due nozioni non figurano e Benveniste non è citato).
(i) Dopo aver molto parlato di reti non possiamo tralasciare gli attachments, osservava Latour. La dimensione passionale, correlata all’azione (e non opposta alla razionalità) è stato il cavallo troiano nella semiotica narrativa di eredità proppiana e lévi-straussiana. Proprio dalla ricerca sulle Passioni e sul loro funzionamento discorsivo possiamo aspettarci dei risultati promettenti. Il modello canonico provvisorio caratterizzato dalla modulazione continua e dalla tensioni graduali oltre che dalle sincopi e dalle discontinuità qualitative, può specificare alcune profonde intuizioni filosofiche (la fluctuatio patemica di Spinoza). Promette e permette all’antropologia e alla linguistica di uscire dalle categorizzazioni paradigmatiche e di generare descrizioni comparative pertinenti degli affetti e del loro ruoli nelle azioni significative.
(ii) Per quanto riguarda l’Enunciazione essa non è più una “testa di Medusa al centro della lingua” (Benveniste). Questa istanza tracciante del discorso, occasione della sua “evenienza”, permette l’orientamento predicativo, il punto di vista sull’Enunciato. Il testo non è più fabula rasa: al suo carattere processivo si aggiunge quello processuale dell’istanza enunciativa che funziona come filtro della complessità semantica e come operatore di bricolage figurativo. L’analisi non parte soltanto da un testo “attestato” da cui estrapolare e ricostruire i simulacri dell’enunciante e dell’enunciatario che vi sono iscritti o implicati – come è stato fatto ed è comunque interessante fare -, ma dall’istanza capace di compiere gli “atti di testo” che lo costituiranno come tale. Atti discorsivi di debraiaggio e d’embraiaggio, la cui successione orientata accumula una memoria testuale che dà nuovo senso alle figure discorsive, alle configurazioni enunciazionali stilistiche e retoriche. Come per esempio il discorso Indiretto Libero, che ha interessato semiologi e filosofi come Bachtin, Pasolini, Deleuze: “procedura assai complessa di debraiaggio che consiste da parte del soggetto dell’enunciazione nel delegare la parola ad un soggetto dell’enunciato installato nel discorso, poi a riprenderla, embraianandola come per parlare a suo nome, quasi si trattasse non più di un ‘io’ ma di un ‘egli’ qualunque, cioè conservando il debraiaggio attanziale” (Greimas). Quanto alle Figure Retoriche possiamo vederle come effetti di una semiosi nel suo farsi (si veda l’Enumerazione in Geninasca). Più precisamente, come il risultato di una prassi dell’Enunciazione (Lotman li chiama “artifici negativi”) e non come disparata nomenclatura ereditaria che risponde a teorie linguistiche incompatibili. Si pensi ad esempio al tropo dell’Apostrofe, momento terminativo di un processo comunicativo complesso, con il passaggio da una situazione debraiata (in terza persona) ad una embraiata (Io-Tu), mosso da una competenza passionale ed animato da un’elevata intensità di rapporto.
Ne risulta che il Discorso, così inteso, non si limita a iscrivere e a rappresentare le diverse istanze della Soggettività (e in questo potrebbe già contribuire alla interdefinizione dei simulacri psicanalitici dell’Io, con le diverse manovre di identificazione: introiezione, intraversione, proiezione, ecc.). La pratica dell’Enunciazione diventa un sofisticato modello della comunicazione e dell’influenza che si propone d’esercitare: “Ogni enunciazione suppone un locutore e un ascoltatore e nel primo l’intenzione in qualche modo di influenzare l’altro”, osservava Benveniste. E in primo luogo, aggiungerebbe Greimas, il patto e il frame fiduciario, a diversa tonalità passionale, che si instaura nella co-enunciazione. L’istanza dell’enunciazione importa dunque per quel che comporta di forza del discorso, del suo capire il Mondo e del suo carpire l’Altro. Si introduce così nella semiotica del discorso una componente conflittuale già emersa nelle prime ricerche sulla narratività, sotto la forma di una manipolazione modale nei discorsi persuasivi (tentazione, seduzione, provocazione, ecc.), ma non abbastanza riflettuta e svolta. Facile preconizzare che la ricerca porterà sulla componente “eristica” del senso, sulle sue strategie e tattiche (programmi, sotto-programmi e controprogrammi) presenti nelle conversazioni, nello sport e nella guerra. Quanto agli aspetti logici (induzioni, abduzioni, ecc.) e retorici dell’argomentazione, essi troveranno senso all’interno di una teoria polemica delle posizioni e delle forze messe in campo dalla discorsività. Questi modelli sono suscettibili di contribuire ad una riformulazione delle tipologie discorsive correnti (come i generi, ecc.). Le semiotiche “connotative”, cioè i parametri autoctoni con cui una cultura definisce la sua economia discorsiva, andrebbero sostituiti progressivamente con categorie semiotiche più generali a cui quei parametri dovrebbero contribuire in via comparativa. Il discorso storico (dove l’enunciazione, secondo Benveniste si pretende “in folle”), quello poetico-letterario, mitico, scientifico, pedagogico, politico, pubblicitario, ecc. sono solo alcuni dei tipi discorsivi sommariamente esplorati; nuove indagini dovranno estendere e disimplicarne i tratti, da rifigurare in teoria ad un grado più elevato di astrazione. D’altra parte, se il linguaggio esercita la sua presa sul pensare, come ipotizzavano Sapir e Whorf, questo non avviene certo al livello lessicale o grammaticale, ma a quello dei diversi tipi di discorsi che caratterizzano tutta una cultura. Non solo per farci pensare quel che possiamo dire, ma per lasciarci dire quello che non potevamo ancora pensare.
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La dimensione discorsiva introduce inoltre a nuove vedute sul variegato terreno della Traduzione. Fortunatamente la mole delle ricerche in corso non riesce a nascondere la problematica essenziale: la traduzione avviene tra lingue diverse, ma anche all’interno della stessa lingua, tra tipi differenti di discorsi, spesso più idiosincratici del lessico e della grammatica. E, più ancora, tra forme di contenuto trasmesse da sostanze espressive differenti: Lotman, nella traccia di Bachtin ha precisato il carattere fondante per la semiosi di questo fenomeno che Jakobson chiama Transduzione. Le ricerche in corso sulla costruzione di livelli appropriati e pertinenti, cioè di isomorfismi su cui leggere la transduzione, fanno eco al riconoscimento generalizzato che la traduzione, lungi dall’essere un trasporto di senso, modifica variamente le lingue source e quelle target, le culture di partenza e quelle d’arrivo. Non è un difficile transfert, ma un tradimento creativo. Come già sapeva il Rinascimento: “tradurre non è fedeltà all’opera ma gara e contrasto” (Ermolao Barbaro: non tam reddere quam certare). L’intraducibilità è una riserva di senso e tradurre l’intraducibile è l’occasione, per Lotman, di uno scoppio creativo di metafore. D’altra parte se ogni linguaggio è un punto di vista e un’articolazione del “reale”, le pratiche discorsive con le loro traduzioni e transduzioni conflittuali ne costruiscono/rivelano aspetti imprevisti e nuovi.
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Un discorso a parte meriterebbe la problematica estesica e le ricerche sulla sensazione – aperte da Dell’Imperfezione e sviluppate nel confronto con le ricerche di psicologia cognitiva -, in particolare sull’articolazione tra il corpo “proprio” della tradizione fenomenologica e quello “oggettivo” che il sapere (e il potere) biologico rappresenta e manipola. Per una semiotica che abbia appreso dalla dimensione passionale è naturale pensare il somatico come “passibile di affetto”, suscettibile di essere trasformato riflessivamente dalla percezione di sé e transitivamente dall’altro; approfondendo insieme la percezione di sé e del mondo attraverso ulteriori articolazioni di senso. E non ci sono qualità primarie che spettino di diritto alle scienze “dure” e qualità secondarie da relegare alle riserve indiane del multiculturalismo! Per alcuni, la semiotica è propriocettiva, si terrebbe cioè all’articolazione tra l’estracettivo e l’intracettivo; è uno studio delle forme nel loro rapporto tensivo e poi categoriale con le sostanze del mondo naturale e culturale. Da un lato avremmo l’esame dell’Elementale, in senso bachelardiano, in cui il primo Barthes aveva fatto le sue prove, una “materiologia” di cui Bastide mostra alcune operazioni; dall’altro la riflessione sul “sensorio” comune. Verrebbero allora in primo piano le precondizioni della significazione o le forme incoative dalla discretizzazione del senso. Per descriverle si postula un campo di presenza modellato sulle procedure dell’Enunciazione e si progetta una topologia del corpo sensibile (Fontanille, Zilverberg). Nonché l’estensione Sinestesica, cioè il trasferimento (metaforico?) ad altri processi di senso della sintassi che scandisce un senso particolare. In assenza di descrizioni esemplari, come quelle che hanno caratterizzato gli studi sulla narratività (Barthes, Greimas, Eco) restano da calibrare e riponderare varie nozioni come quelle essenziali di Intensità (che non è solo fuzzy, quantificazione e gradazione) e di Valore (che non è mero valsente relazionale). Per quanto riguarda le variazioni intensive – che già Lévi Strauss aveva pensato come sistemi di riduzioni, omologabili alle opposizioni categoriali -, la loro efficacia descrittiva è indubbia: si pensi alla opposizione psicanalitica tra la castrazione freudiana e l’afanisis di E. Jones, il timore di una distensione irreversible, del fading del desiderio. In ogni caso siamo davanti a proposizioni promettenti per pensare, ad esempio, (i) l’estesia di quel collettivo d’attanti che è un corpo tecnico, dotato di protesi che ne estendono imprevedibilmente le possibilità e ne accrescono le articolazioni di competenza; o (ii) specificare l'”atmosfera” di certe situazioni, cioè il montaggio singolare delle sensazioni minuziose che compongono una situazione (Landowski); (iii) ridar conto della “efficacia simbolica”, meglio della “somatizzazione semiotica”, cioè di quella dimensione catartica che è stata, con la poiesis e l’aisthesis, un grande e negletto capitolo dell’estetica.
5.
Gli esiti della svolta discorsiva hanno implicazioni interessanti nelle ricerche di Storia della semiotica, la cui agenda non può essere iscritta una volta per tutte nel canone della storiografia filosofica. In primo luogo perché questa storia deve includere proposizioni formulate in sostanze espressive diverse da quella linguistica (pittura, musica, architettura, ecc.) ed in ogni caso – come ha dimostrato Eco nella sua ricerca sulle lingue perfette – perché la ridefinizione concettuale opera a ritroso, scoprendo nuovi autori o scrutando altrimenti testi già conosciuti. Ad esempio, la presa in conto della dimensione processuale del senso permette di ritrovare nella cultura greca classica accezioni aspettuali del /segno/ sema, quali poros, percorso e tecmor, la meta; altri invece, restringendone l’accezione all’inferenza, limitano l’argumentum latino alla dimensione sillogistica, per estenderlo poi impropriamente ad accezioni diverse, come tema, simbolo codificato, delle quali l’inferenza è soltanto un caso (Bettini). Tuttavia è la visitazione della tradizione antropologia e linguistica del ‘900 che si presenta più pertinente e produttiva. Quando si trae da V. Brondal e Lévi Bruhl una definizione partecipativa e intensiva delle categorie semiotiche; quando W. Humbolt e K. Buhler sono rivisitati per pensare l’energetismo discorsivo o E. Cassirer per la differenza tra estensività graduata e intensività – che rispondeva per lui all’opposizione tra profano e sacro. Si sta infine tornando al retaggio fenomenologico – esplicitamente indicato come fondamento semiotico da Greimas -, nella sua mutazione ermeneutica (Ricoeur) e soprattutto nella ricostruzione deleuziana, per trarne proposizioni interdefinibili e criteri operativi. Torniamo dunque al passato, soprattutto prossimo, purché sia del nuovo.
6.
Ogni antologia è anche un’antilogia. Se ogni libro contiene sempre un controlibro, nella semiotica contemporanea fare una scelta di testi è una scelta di campo. Tra Saussure e Peirce, i “due geni antitetici”, grandi e frammentari padri fondatori della disciplina, noi abbiamo optato per la tradizione europea, che dal linguista ginevrino va a Greimas e Benveniste, passando per la glossematica danese, il funzionalismo praghese e la semiotica russa. Procedendo così, per sommi capi, abbiamo lasciato sullo sfondo l’opera numerosa di Peirce e dei suoi esegeti (parola che con “egemonia” ha un etimo comune) e l’episteme cognitivista che si viene sostituendo a quella strutturale. Ma una ricerca di larghe vedute dovrà calcolare l’apparente incommensurabilità della posizione pragmatista. Intanto va preso atto del tagliente giudizio di Benveniste in questa antologia: Pierce “non si è mai interessato al funzionamento della lingua, ammesso che vi ha prestato attenzione” e la sua tripartizione – in indici, icone e simboli – è un quadro troppo generale in cui il segno è posto a base dell’intero universo del senso e funziona contraddittoriamente come principio di definizione per ciascun elemento segnico e come principio esplicativo per tutto l’insieme: “l’uomo intero è un segno, il suo pensiero è un segno, la sua emozione un segno”. Tuttavia alcuni indizi permettono di far convergere lo stato attuale della ricerca semiotica con alcune propoposte pragmatiste e di darne ragione, se non di dar loro ragione. Peirce è soprattutto un teorico della conoscenza che possiede una teoria articolata delle modalità “esistenziali”, compatibili con l’elaborazione modale della significazione di cui testimonia questa antologia. Per Fontanille, ad esempio, la struttura ternaria del segno Peirciano – che non è pertinente opporre a un preteso binarismo semiotico – può essere vista come una distinzione tra modi di esistenza (virtuale, attuale, potenziale, realizzato) che scandiscono il percorso dal sensibile all’intelligibile. Una schematizzazione che è carente nella categorizzazione greimasiana, anche se non ci dice nulla della formazione dei sistemi di valori esplicitamente strutturati e interdefiniti dal quadrato semiotico. Questo piano modale potrebbe dunque costituire un futuro terreno d’incontro tra la teoria peirciana dell’emozione, una “psicologia diagrammatica” prevalentemente ma non solo cognitiva (dubbio, curiosità, sorpresa, ecc.) ed una semiotica delle passioni (Savan). Il solo limite è la sua scarsa considerazione della dimensione estesica e somatica. D’altronde se il segno indiziario – maneggiato, ad esempio, da Eco nel quadro di una semiotica interpretativa – può spiegare il meccanismo di alcuni tipi di discorsi (ad esempio, il romanzo giallo) non è davvero sufficiente a render conto della complessità parabolica dei discorsi mitici e letterari (Geninasca). E sulla stessa semiotica interpretativa un dibattito critico è in corso, che oppone una prospettiva ermeneutica e storica (Rastier) ad un approccio cognitivo.
Altrettanto complessi ci sembrano i riscontri, da intraprendere sistematicamente, tra le semiotiche del discorso e le disiecta membra delle ricerche cognitive. Cercando qualche vettore nelle attuali turbolenze ed evitando le facili caricature dello strutturalismo, un chiarimento garantirà l’impatto di lunghe amicizie: la semiotica prende in esame proprietà discorsive e non mentali, nel quadro di una teoria del senso e non di una psicologia della cognizione. Una teoria dei prototipi semantici, ad esempio, non ha esistenza mentale autonoma, ma richiede l’analisi delle diverse tattiche “discorsive” di categorizzazione di cui i prototipi “mentali” sono gli esiti. Per forza di senso e non di cose, di natura. E ancora: la semiotica non si limita a constatare come circolano le informazioni ma interroga la loro composizione e disposizione significativa. A buon intenditore pochi segni!
7.
Questo reader testimonia che il ricercatore dei sistemi e dei processi di significazione può rivendicare a buon diritto il titolo di semiotico “condotto”. Come un medico generalista, il quale cura ogni paziente senza escludere le diverse specializzazioni e fuori da sterili opposizioni tra dimensioni pure ed applicate, tra le stelle e le stalle.
Inoltre, dalla scuola di Tartu all’arcipelago greimasiano, Semiotica in nuce 2 disegna un consenso sull’oggetto della teoria della discorsività: la Cultura, sostanza di ogni forma semantica (Hjelmslev), esperita come Semiosfera. Contro la tendenza attuale alla naturalizzazione che caratterizza o affligge la filosofia del linguaggio, il programma semiotico e antropologico persegue un confronto fecondo e risolutamente comparativo con tutte le discipline della significazione. Certo è un momento critico delle scienze dell’uomo, che perseguono senza scalo il loro viaggio attraverso il senso, accumulando troppi portolani senza una carta complessiva; ma è anche un momento di ricomposizione delle due culture, scientifica ed umanistica, ad opera per esempio della sociologia della scienza, del discorso divulgativo e della narrativa di fantascienza. Con i suoi strumenti, la semiotica può proporsi come metodologia o teoria delle scienze umane (Fabbri, Rastier) o inumane, naturali o innaturali, oltre ogni principio disciplinare di non ingerenza (Latour). Soprattutto ora che le discipline sono largamente infiltrate, se non intrise, dei probemi della comunicazione e della significazione. Non si tratta però di una metodologia unificata e riduzionista, che esclude, per raggiungere delle generalizzazioni, i fenomeni compatibili con versioni alternative (per esempio, la psicanalisi o le neuroscienze). Anzi, la semiotica rivendica una vocazione molteplice, empirica e sperimentale: i suoi Gedankenexperimenten sono i discorsi naturali, non gli exempla ficta della filosofia analitica (Per alcuni, ad esempio, ogni discorso ripeterebbe a suo modo, nel senso teatrale del termine, la scena primaria della messa in significazione). La condizione sine qua non è che la semiotica sappia immaginare dei modelli utili per provare e descrivere, ma anche per massimizzare la resistenza dei fenomeni da interpretare; dei “dispositivi per disputare” che offrano al pensiero occasioni per replicare e ribattere. Alla fine dell’analisi diceva Greimas, qualche cosa deve divergere. Nella teoria, soggiungiamo.
Il metalinguaggio semiotico non si vuole né scatola d’attrezzi né giardino pietrificato di concetti-mostro. Ce lo rappresentiamo volentieri come un organon per la ricerca, che dà delle indicazioni-istruzioni sul modo di acquisire conoscenze certe e di allargare l’ambito di verità riconosciute (Kant). Non conta come un canone logico, che formuli leggi necessarie che il pensiero deve rispettare e verifichi poi se, nelle sue applicazioni, l’intelletto sia rimasto in accordo con se medesimo. Decisiva invece è la perizia euristica: la working hypothesis, narrativa o abduttiva; regola di uso pratico e di impiego legittimo per risolvere dei problemi precisi, con il valore didattico che ne consegue. Meno la verità che non l’efficacia. Il semiologo come intercessore disciplinare, con propri stili (sistematici) e regimi (processivi) di descrizione e d’interpretazione; con diversi gradi di elaborazione dei concetti (sapere) e di capacità d’elaborare ed offrire modelli (saper fare). Ha bisogno anche di (i) una terminologia efficace e motivata, che abbia cioè creatività semisimbolica, coerenza epistemologica, adeguatezza ai fenomeni da descrivere e consenso nella comunità (a differenza della proliferazione peirciana). E di (ii) una schematizzazione rappresentativa e operativa: le critiche al quadrato semiotico di Greimas derivano in parte dalla sua impostazione logicista, ma le proposte alternative ispirate alle matematiche qualitative non sembrano imporsi (come non ha avuto successo la colorazione modificata dei blasoni araldici nei diagrammi di Peirce!)
Sappiamo bene che è più facile fare delle pre-messe che formulare e mantenere delle pro-messe; costruire exempla ficta in funzione di problemi precentivamente posti invece che Gedankenexperimenten per la scoperta; evadere vecchi dossier aggiungendo la parola semiotica a questioni vessate (la Soggettività) o a generi abituali (letteratura, media, ecc.) piuttosto che porre inedite questioni (la presenza, l’intensità, l’aspettualità, ecc;). Sappiamo anche come sia disagevole trasformare dei problemi (estesia, valore, ecc.) in cantieri di scoperta, senza le reti di salvataggio della tradizione filosofica. Ma restiamo convinti di un progetto generale che esige una politica della ricerca e una economia, cioè uno sviluppo equilibrato tra le dimensioni della teoria, con calcolo di buchi neri e angoli morti. Ad esempio, le ricerche sintagmatiche non stanno stornando ogni interesse dallo studio pur pertinente della paradigmatica dei codici? A quando uno studio semiotico dell’Araldica?
Ci sembra tuttavia che questo secondo volume dimostri che la semiotica ha preso una bella piega. E che si trovi sulla dirittura di partenza e non di arrivo.
Bibliografia
Coquet J. C., La quête du sens, PUF, Paris, 1997.
Fontanille J., Sémiotique du discours, Pulim, Limoges, 1998.
Greimas A. J., “Attualità del saussurismo”, in Miti e figure, a cura di F. Marsciani, Progetto Leonardo, Bologna, 1997.
Marsciani F., “Processi di efficacia somatica”, in Esercizi di semiotica generativa, Progetto Leonardo, Bologna, 1999.
Peirce C. S., “Iconismo e grafi esistenziali”, in Semiotica, Einaudi, Torino, 1980.
Rastier F., “Dalla significazione al senso, per una semiotica senza ontologia”, in AA.VV., L’Eloquio del senso, a cura P. L. Basso e L. Corrain, Costa & Nolan, Milano, 1999
Savan D., “La teoria semiotica delle passioni secondo Peirce”, in Semiotica delle passioni, a cura di I. Pezzini, Progetto Leonardo, Bologna, 1991.