Da: Work in progress, Mostra Maurizio Cattelan, Trento, n. 8, gennaio-marzo, 2004.
Ora in: Riga 39. Maurizio Cattelan, a cura di Elio Grazioli e Bianca Trevisan, Quodlibet, Macerata, 2019.
1.
Sull’opera di Cattelan aleggia l’Angelo del Bizzarro, quello che “presiede agli umani contrattrattempi, che ha per compito di accudire a quegli accidenti bizzarri, che sono l’eterno stupore del scettico” (E. A. Poe). Genio custode, falstaffiano e vendicativo, che consiglia al semiologo un principio di precauzione: ripulire i propri utensili.
Dunque: ogni opera è un oggetto sincretico che usa e sperimenta tutti i registri semiotici: i segni, per la comprensione (semantica); i segnali, per il riconoscimento (i generi); i contrassegni, per l’identificazione (lo stile, la singolarità) e le consegne da seguire (le richieste al lettore). Un filo conduttore, per quanto intrecciato, non basta per seguire un autore che non ama ripetersi, schiva intenzionalmente l’unità di stile e cancella le proprie tracce. È noto che Cattelan rivendica il “vuoto” dei suoi intenti (“sono una fotocopiatrice”), il carattere ad hoc ed improvvisato delle sue installazioni, il bricolage anonimo delle sue dichiarazioni di poetica. Sono diversioni che accrescono il divertimento del suo bizzarro lavoro artistico? O c’è una regola di duplicità che è legata ai suoi esiti volentieri grotteschi? “Spesso gli artisti sanno che un certo essere è comico alla sola condizione di ignorarne la natura; mentre, per una legge contraria, un artista lo è soltanto alla condizione di essere doppio e di non ignorare alcun fenomeno di questa doppia natura”. Così Baudelaire sul riso.
Rovistando nella scatola degli attrezzi, il semiologo trova ben poco nello scomparto riservato alle chiavi del riso, “contrassegno dell’umano”, come diceva Queneau. (Non basta caratterizzare il grottesco come almost beautiful). Si risolverà quindi a chiedere a Cattelan, alla difficoltà felice della sua vis comica, un’implicito aiuto a generalizzare. Ogni parodia è il frammento di un mondo comico intero e l’univeralità comica è puntata sullo stesso oggetto che tratta la serietà.
2.
C’è una cultura del “riso”, libera e lucida, che esprime aspetti del reale accessibili a lei soltanto. Ma per farlo deve usare uno specchio rovesciato, e rendere irreale il mondo del serio. La procedura di scoperta per dire sul mondo un’ altro genere di verità è costruire col massimo della precisone degli antimondi possibili e vitali (“per me contenuto e senso” – dice Cattelan – “sono costruzioni; edificati attraverso un processo, non sono mai dati”). Il grottesco di molte sue figure animali (progettate o realizzate: gli uccelli che abbaiano, i pesci bidimensionali) accentua la contradditorietà e la pienezza bifronte della vita. Persino la morte entra a far parte del vivere (ricordate l’immortale fedeltà del vispo scheletro del cane, presente eppure defunto!) come promessa di rinnovamento.
“Nel campo dell’ arte figurativa la paura cosmica (come qualsiasi paura) è vinta dal riso”, dice Bachtin. Esercitare però questa libertà del grottesco è possibile solo in un mondo che va liberato dalla paura, una passione a cui Cattelan fa spesso accenno (v. Him). Lo strano riso che suscitano le sue installazioni mira a questa vittoria: per questo inverte senza sosta i termini del serio e della sua univoca violenza (il riso non alza roghi!). Il terribile si presenta spesso come un gaio “spauracchio” in cui è difficile però trovare i confine tra il lo spavento passato e il sollievo dell’allegria che incomincia. Mentre l’ironia discirmina tra i valori e i significati, il lavoro artistico di Cattelan suona piuttosto come la beffa, che confonde spazi semantici e sociali cumula e neutralizza i valori in uno spazio eclettico. L’eteroclito non è disparato ma è un modo complesso e burlesco di declinare un mondo possible. Nella difficile condizione dell’arte contemporanea, dove le opere sono spesso oggetti feticcio, reliquie a cui si è prestata l’aura artificiale del museo, Cattelan, con la sua l’arguzia anomala, conserva l’intonazione d’una “utopia portatile”, sollevata da ogni idealismo “creativo”.
La cornice “grottesca”, che molto trascura, riscontra però alcune figure testuali – Cattelan parla di realizzare una “scultura retorica”. Tropi dell’inversione (v. i due poliziotti newyorkesi a gambe all’aria), l’iperbole (v. l’amplificazione e la miniaturizzasione delle dimensioni naturali: v. i micro diorama) e soprattuttatto il colmo. Qui l’esempio è la sparlatissima Nona ora, con la meteorite abbattuta su (l’immagine de) il papa. Una causalità aleatoria che si converte subito in coincidenza preordinata, in fatalità intelligente ma non intelligibile: segno grottesco, indecifrabile quanto significativo. Il meccansimo retorico e la postura delle figure ribaltata o inginocchiata (Wojtyla, Hitler), va oltre l’oltraggio tematico Il medioevo pù osservante ha sempre scritto e sceneggiato Vangeli parodici e travestimenti parodici del culto serio ed ufficiale: elezioni di re e papi per burla. Il termine “dileggio” viene da una deformazione della parola “derisione”, rimodellata su “eslege”, la distorsione della legge.
Ma la quintessenza dell’immagine grottesca sono le chimere, cioè la serie di animali compositi e improbabili che abitano l’immaginario di Cattelan. Corpi ibridi e dislocati (come l’asino, lo struzzo e lo scoiattolo), inaccettabili per il senso unico dell’estetica classica. Tra questi il cavallo appeso al soffitto – un topos votivo delle chiese cattoliche- ritiene l’attenzione: nelle diverse versioni la sua proprietà salente non è quella di essere librato in alto ma attratto dal pavimento con un effetto grottesco di di allungamento delle zampe. Stravaganza positiva di un cavallo che Bataille avrebbe chiamato demente, per opporlo al cavallo classico che nella storia seria dell’arte è “una delle forme più compiute dell’idea, con la filosofia platonica e la architettura dell’Acropoli”.
Qui Cattelan raggiunge sul piano figurativo l’irresponsabilità creatrice della poesia che caratterizza la strana mucca del sonetto di Jacques Roubaud, il grande Oulipista, in Les animaux de tout le monde.
La
Vacca
È
Un
Animale
Che
Ha
Circa*
Quattro
Zampe
Che
Scendono*
Fin’
A terra
* Circa quattro zampe quindi che non vediamo salire, ma scendere verso terra con la perfetta logica della gravità.
Il riso grottesco è sempre fuori tempo e luogo. “L’immagine spazio-temporale fa la capriola e così il suo significato e qualsiasi giudizio” (Bachtin). La parodia delle forze di gravità (para-odos, è storno di direzione) è costante in Cattelan: lo struzzo nasconde la testa sotto il pavimento, da cui emergerà il suo scherzoso autoritratto. Il non sapere si converte in beffarda conoscenza, così come nel grottesco popolare la morte si cambiava in vita. Anche altre installazioni giocano sull’invasione e l’evazione dello spazio espositivo: dall’effrazione della meteorite della Nona ora, alle lenzuola annodate della fuga del Castello di Rivoli.
Il riso non è spensierato: nonostante l’equivoca definizione “concettuale”, lo spunto di Cattelan viene da un’immagine mentale astratta che poi cerca e precipita i suoi esiti nella lingua condivisa della conversazione (riflessioni, assciazioni, critiche, consigli). Si esprime poi nella costruzione di storie capricciose e raccapriccianti (come la donna del lago di Munster) che iperrelaizzano mondi possibili. Hanno la struttura della gag, battuta comica immediata che era originariamente l’interpolazione di una attore nella sua parte, una parola messa in bocca a qualcuno: un excusus e un a parte. Queste gag si propalano come voci, (come è stato il caso di Him e della Nona ora), rumors che perdono verità, ma prendono verosimiglianza e ritrovano aura nel passaggio bocca orecchio. “La parola di piazza è un Giano Bifronte” (Bachtin).
3.
Alla grammatica giocosa della burla e al motteggio (i titoli di Cattelan sono come nomignoli) si aggiungono, perché della stessa natura, le maschere e i travestimenti, le teste di Carnevale. In questo senso è vero che tutte le chimere di Cattelan sono autobiografia. Che non è l’ autopsia d’una identità, mere coincidenza con se stessi, ma il progetto, diversamente realizzato, di attraversare il sé per far emergere ua segreta alterità (v. Même toi même, 1997). Devolvere agli altri la realizzazione del proprio identikit è leggibile allora come una transizione negoziata e forse una promessa di rinnovamento. L’ironia, figura della citazione, richiede una moltiplicazione delle posture d’enunciazione e una distanza dal fare, a cui ci si impegna e da cui ci si desolidarizza. Lo stesso vien richiesto allo spettatore, che non è affatto un controllore di senso, ma viene invitato ad occupare, alternativamente e simultaneamente, i due estremi dell’atto del credere: la complicità e l’ingenuità.
Tutte le trovate, si dice, son fatte per essere perdute. L’humour scapestrato e spropositato resta puntuale e istantaneo e siamo ormai in un tempo di riso ridotto e di serietà relativa. C’è ancora posto per un grottesco da Galleria, una commedia dell’arte da museo? Cattelan sembra aver compreso che l’ambiguità del suo proposito deve penetrare più profondamente la sua opera, oltre agli interventi di occasione. Chi vedrà vivrà.
Per una storia non panegirica dell’arte ricordo soltanto che la figura del blagueur, immortalato da Murger e Goncourt, nasce nell’ atelier dell’artista bohemien il quale apre la “polifonia del reale moderno” con tutte le sue caratteristiche d’ambiguità politica e morale. Flaubert sognava di una beffa superore, capace di beffare sé stessa. Un programma per il lavoro per Maurizio Cattelan!