Da: E|C. Rivista on-line dell’Associazione Italiana Studi Semiotici, 2013.
“Ed ecco a voi, cari spettatori, il nuovo leader democratico” (applausi). Dal gratta e vinci delle primarie del PD, emerge un nuovo Avatar, un’immagine scelta da milioni di elettori per rappresentarli in comunità politiche virtuali o attuali, luoghi di aggregazione e discussione o giochi on- e off-line. Il trionfatore del match di ritorno della Coppa del Segretario è homo politicus che vuole “scardinare il sistema” e homo festivus: “da domani ci divertiamo insieme”. Emerge dal mediascape con tratti espressivi difficili da appurare ora che i confronti di idee sono duelli d’immagine con sondaggio, le opposizioni compassate di programmi sono sostituite da comparsate con rissa e i grandi racconti e raccontini della politica si sciolgono in gossip. I media amano le cerimonie, i tonfi delle mancate elezioni e i trionfi di quelle riuscite. È però diffusa sensazione che l’ultimo Avatar eletto sia un nec plus ultrà della società dello spettacolo, un estremista centromediale che si muove come un pesce nel liquido campo dell’infotainement. Ora che l’Illuminismo ha lasciato il posto alle luci e paillettes dei set televisivi, questo showman, più preoccupato dai propri riflessi che dalle riflessioni generali, non dice nulla di sinistro né di sinistra. Per sostituire “la peggior classe dirigente”, ci intrattiene infatti sulla “bellezza delle relazioni umane” e vuol commuoverci: “si può piangere in politica”. Per lui, partecipativo e immersivo, un bello spettacolo è sempre meglio di un buon programma.
Si vale però di un genere discorsivo vintage, differente dalla diaspora mentale e linguistica della rete: il Comizio Catodico (CoCa). Anche se miniaturizzato – il CoCa sostituisce alla nobile eloquenza la vivace parlantina – il verbo comiziale ha le sue qualità: non facilita le interruzioni, sostituisce al conformismo dei ruoli la civetteria dell’improvvisazione, permette battute da oratorio e ha un retrogusto politichese – ma senza retropensieri (averne oggi è una colpa!). Il CoCa di Avatar è retoricamente ribelle e ri-generazionale: vuol far corrispondere il “digital divide” con quello dell’età. Forse i vecchi sono la nuova “altra metà del cielo” – quello del tramonto, che ha le sue albe e i pomeriggi -, ma per lui sono fossili ambulanti, handicappati con anacronismo congenito, guardiani impagliati di cimiteri ideologici. Inadatti alla norma del “tu” generalizzato e a figurare nelle metafore favorite: il fare, dove il fatto è faceto; lo sport, dove l’Avatar gioca, anche fuori campo, con la fascia di capitano; i concorsi di bellezza politica – “giovinezza come primavera di bellezza”? Nel suo dettame al rottame, il CoCa può sorvolare su alcuni dettagli grammaticali: l’uso dell’impersonale (tutto è “noi” ed “io”; niente funzioni e cognomi, solo nomi propri: Matteo, Silvio, Beppe, ecc.) e l’elisione dei complementi oggetto e d’agente. I verbi feticcio: il Fare, il Cambiare, Riformare (cosa, chi e con chi?, dove? quanto e quando? ecc.?) diventano intransitivi e poi si convertono in sostantivi – il governo del Fare! Alle proposte drammatiche si preferiscono le performance autistiche: una miopia sintattica, rafforzata dallo zoom, che permette di fare un giro in bellezza, intorno a se stessi. Dalla rappresentanza politica al presenzialismo televisivo, con meno protocollo e più effetti speciali; il trend è quello: relax politico e contrazione fotogenica.
Finito il civismo della disobbedienza e arruolati, in luogo degli intellettuali critici, gli spin doctors per la circolazione di idee fisse, l’esistente si può accettare senza valore aggiunto, le esigue contese facilitano le strette intese. Nel vuoto delle convinzioni si può praticare la tolleranza e pronunciare sonori solecismi. Il semiologo avanzerebbe se mai qualche riserva sullo storno dei fondi simbolici. In un testo che la scrive lunga, “Tra De Gasperi e gli U2”*, l’eletto Avatar asseriva che i giovani, tediati dalle diatribe sui valori democratici, prendono la bandiera rossa per un significante della Ferrari e l’Internazionale non come inno, ma come il designatore rigido di una squadra di calcio. (Aggiungiamo: Il corporativismo come un disturbo del tatuaggio? la Leopolda è la fidata cagnetta di Leotopolino?). Per questo l’Avatar non sbandiera le insegne vetero del PD e scrive il suo slogan con Italia al rovescio (AILATI’L), obbligando i non mancini, a leggere partendo da destra! Il tutto in Gentona, tipografia svizzera, sprovvista di grazie e nota per il suo carattere neutro, normale e flessibile. Il grafologo, semiologo dilettante, troverebbe di che dire.
Dove collocare questa istanza mutante del quadro semiotico del trasformismo italiano? Non è lo Statista, ma neppure il suo opposto, il Guitto e neppure un Tecnocrate (contrario al Guitto) col suo antagonista il Demagogo (contrario allo Statista). Un quadro instabile: mentre i demagoghi sono già diventati guitti (Bossi) e i guitti demagoghi (Grillo), i tecnocrati tentano invano di trasformarsi in demagoghi (Monti) e i guitti in statisti (il caimano). Ci possiamo deduttivamente aspettare il tecnocrate guitto (il sondaggista al Grande Fratello) e lo statista che danza e fa cucina, ecc. Dal garrulo Avatar, che esiste digitalmente senza troppo consistere e non ha credenze ma solo opinioni, si possono temere combinazioni inaudite. Non c’è bisogno di sperarlo per crederci.
Insomma l’epoca è opaca e il progresso retrogrado; aspettavamo la rivoluzione ed ecco la re-involuzione, il grado zero della volontà politica. Dovremo rassegnarci oppure cogliere un’occasione. L’overdose della telepresenza ci costringe a rivedere la lettura situazionista della società dello spettacolo (1967). Siamo ormai certi che l’analisi critica non basterà, come sperava G. Debord, per ritrovare l’autenticità personale e sociale alienata nell’universale visibilio. Bisogna installarsi tra queste istanze mutanti di mediazione di cui non conosciamo tutti i dispositivi emergenti e le inaspettate operazioni. Così è o, per chi tiene al congiuntivo, così sia. Basta che l’autocritica in corso nei media e in politica non ci sottragga l’unico diritto intellettuale: non credere prima facie alla resistibile ascesa degli Avatar: manco una parola, neppure un’immagine.