Se le pareti parlano a voce alta


A cura di Silvia Nani, Corriere, 9 maggio 2014.


Classici, iperrealisti, stile writer. Sui muri storie come opere uniche e personali

Al primo piano di un palazzo fine Ottocento, nella parte storica di Beirut, stanze che si snodano attorno a un salone: il nuovo ristorante Liza. Dalle pareti vetrate si scorgono muri dai motivi tutti diversi: decori effetto maiolica, la riproduzione di banconote giganti, uno skyline di grattacieli, intrichi di foglie. Sembrano affreschi ma sono carte da parati. Idarica Gazzoni, con il suo marchio Arjumand, ne è l’autrice: «Doveva essere un luogo in cui respirare le peculiarità di un paese, un insieme di tradizioni e modernità intrecciate tra loro», spiega, ed ecco l’idea di far parlare le pareti: «Con l’interior decorator Maria Ousseimi abbiamo scelto i temi forti di Beirut: le tipiche piastrelle da pavimento, banconote anni 50 — simbolo dell’attitudine al commercio — che riproducevano i paesaggi più belli del Libano, un panorama di grattacieli ispirati dalle ceramiche di artiste locali, il banano così diffuso qui. Suggestioni di un paese contradditorio ma vivo e stimolante».

Un soggetto diverso in ogni stanza, creato appositamente e trasformato in carta da parati. L’effetto è uno scenario in cui «entrare» e sentirsi parte di una realtà. Per un ricercato luogo pubblico ma, oggi soprattutto, a casa nostra. Il rilancio delle carte da parati, dopo i classici motivi ripetuti, si sposta verso temi figurativi in grado di svilupparsi su tutta la parete e persino in un’intera stanza. Soggetti da dipinto iperrealista, persone, grafismi, scritte stile writer, ispirazioni che spaziano dal Seicento alla pop art e oltre. Esasperazione della voglia di decoro oppure modo per raccontare se stessi? Potrebbe essere quasi un transfert dalla persona alle pareti della propria abitazione, ipotizza il semiologo Paolo Fabbri: «La pelle della casa — il muro — considerata alla stregua di quella vera. Come lo stampato di un abito che si è trasformato in un tatuaggio. Oppure gli stessi quadri, prima appesi alla parete trattata come fosse una pagina bianca, poi riportati direttamente sulla sua superficie, con graffiti e scritte conservati e sovrapposti in un processo di accumulazione», afferma.

Una relazione ancora più stretta tra noi e la nostra rappresentazione. Non a caso oggi le carte da parati, come le grandi opere d’arte realizzate su commessa, sono «su misura». «Cinque collezioni, soggetti naturali con alberi ed erbari, dipinti con tempere ad acqua, con cui comporre il proprio bosco», spiegano Orsola Clerici e Chiara Troglio di Picta Papers, nuovo marchio lanciato alle 5 Vie nell’ultimo fuori Salone. Sul web (da fine mese) si potranno scegliere soggetti, colori, indicare le misure e avere già il preventivo: «Con la possibilità di modularlo sulle proprie esigenze», sottolineano. Il fatto a mano, il valore di tecniche antiche riportate su carta: «Motivi con velature, colori creati con terre e pigmenti. Anche il supporto nasce appositamente, una carta-fodera telata che dà un effetto materico», spiegano i decoratori di Fabs Carte, che a breve intendono aprirsi anche all’arte contemporanea.

Motivi artistici, citazioni o commistioni tra generi: nelle nuove carte da parati (quasi) tutto è possibile. Come spiega Christian Benini, ex fotografo fondatore di Wall & Decò, che dieci anni fa ha iniziato a sperimentare la resa scenografica delle carte da parati: «La manualità, il gesto come punto di partenza: un disegno, un collage, una foto, un motivo in gesso, poi elaborati a computer e trasferiti sul supporto». Designer, artisti, writer autori dei quasi 500 soggetti a catalogo: «Motivi unici ma poi adattati in base alle misure della parete», precisa. La parete che diventa «nostra», per raccontare una storia, una passione, insomma dire qualcosa di noi: può essere un vaso di rose giganti (i fiori rimangono un motivo evergreen) oppure le carte dai disegni grafici sfalsati e non combinabili: pareti sempre diverse, nessuno scarto né stress da posa errata. Insomma, muri in grado di vivere da soli, senza bisogno degli arredi: «Meno funzione e più finzione», asserisce Fabbri che però afferma il rischio della sovrasaturazione: «Una sorta di “rumore visivo” che richiede a un certo punto la sospensione». Senza bisogno di tornare al muro bianco: come una quinta teatrale, anche la carta da parati si può cambiare.

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