Maestro, voglio stringerle la mano e dirle grazie


Da: la Repubblica, 30 settembre 1992.


Parigi ha detto, di Michelangelo Antonioni: “Non ha fatto semplicemente dei film: ha costruito un’opera. Ed è un’opera che interroga, e che si interroga, sempre… Il cinema di Antonioni è un cinema che parla poco. Ovvio che contiene parole, ma non è assolutamente fondato sui dialoghi: non è teatro filmato come usano gli americani. È un’esplorazione cinematografica che resta tale: non dà risposte…”. (Alain Robbe Grillet) “Antonioni è il primo cineasta dell”après-après guerre’: si colloca, solitario, fra Rossellini e la Nouvelle Vague… Rossellini non poteva dimenticare la storia, Antonioni scopre la necessità di dimenticarla: la facoltà di oblio è quella che dà lo straniamento dei suoi personaggi, e lo dà anche agli spettatori”. (Alain Bergala, professore di cinema a Lione) “L’opera di Antonioni è estremamente compatta, fredda, e internamente vibrante, discreta fino all’aristocrazia: esiterei a chiamarla problematica, dato l’uso che si fa dell’aggettivo in Italia, riferendolo quasi esclusivamente alla politica”. (Alberto Boatto, critico d’arte) “I suoi film sono sempre più ricchi delle dichiarazioni rese, nel tempo, dall’autore: le sue parole non hanno mai reso giustizia alla compattezza armoniosa della sua opera. Qualche volta addirittura gli hanno fatto del male, perché ne hanno impoverito la lettura, riducendo il film al concetto da cui era partito. Le parole di Antonioni sono servite ai suoi detrattori che lo hanno accusato di filosofeggiare sulla base di teorie, né molto originali, né molto nuove”. (nel volume ‘Michelangelo Antonioni Ou la vigilance du désir’di René Predal, Parigi les Editions du Cerf) “Io non ho la parola facile: direi piuttosto che ho l’immagine facile…”. (Antonioni su Antonioni, nel marzo 1961, in una lunga intervista ripubblicata in occasione delle manifestazioni parigine sull’ultimo numero dei ‘Cahiers du cinema’) “L’opera di Antonioni è un’opera riflessiva: capace di pensare. Costruisce uno stile. Non mi interessa né la sua dimensioni esteriore, né quella per così dire politica: mi colpisce e mi interssa la sua dimensione di straordinaria intelligenza; per Michelangelo Antonioni, parlerei di incanto intellettuale”. (Paolo Fabbri, direttore dell’Istituto di cultura italiana a Parigi) “Per pensare, bisogna desiderare di continuare a pensare: Antonioni pensa, e desidera pensare. E scopre, col pensiero, contrapposta alla dimensione dell”impegno’, la dimensione della ‘spossatezza’, che non ha a che vedere con l’apatia… I personaggi di Antonioni sono spossati, e questo ha a che vedere con una riflessione dell’autore sul tempo, e sui tempi dell’esistenza: la spossatezza non nasce da un allontanarsi dall’impegno, e dalla passione; non è pigrizia; ha a che vedere con il bisogno di dare un tempo all’esistenza… È fondamentale, nel cinema di Antonioni, la ricerca sul tempo: lui lavora sul tempo che ci lascia, sui contrattempi, sui ritmi del vivere…”. (ancora Paolo Fabbri, al convegno del Louvre) “Il realismo era ed è un’ideologia castratrice: in Antonioni, da questo punto di vista, c’è un’esplosione di modernità, e sta nel coraggio di proporre una descrizione fenomenologica degli oggetti e dei soggetti che guardano… Insieme a Resnais e Godard, ha scoperto gli spazi paradossali”. (Alain Robbe Grillet) “Lui non ha mai invitato a un’esperienza di comprensione. Si capisce ciò che già si sa; Antonioni, invitando a un’esperienza di investigazione, non può e non vuole essere capito…”. (ancora Robbe Grillet) È uno dei pochi che testimonia della possibilità di pensare con il cinema”. (Marie-Claire Ropars, professore all’Università di Parigi VIII) “La caratteristica del cinema di Antonioni è l’erranza”. (Alberto Boatto) “La caratteristica del cinema di Antonioni è la modernità estrema”. (Giorgio Tinazzi, professore all’Università di Padova) “Il suo cinema è orientato verso il vuoto: apre gli spazi, e, a percorrerli, non è il personaggio ma la macchina da presa… Prima di rivedere tutti i film di Antonioni, pensavo con un po’di disagio a ‘Zabriskie Point’, dato il tema che tratta: la contestazione giovanile negli anni 70. Temevo fosse, il più datato: e invece ha una forza misteriosa, e interna, che lo libera dalla storia che racconta, e lo fa volare alto, e avanti… Sullo stesso tema c’è un film di culto, che è ‘Easy Rider’: ma rispetto a ‘Zabriskie Point’, è un film bloccato dentro la sua storia, fermo. Forse non è un caso che la protagonista del film di Peter Fonda sia una motocicletta, che si muove a terra, mentre nel film di Antonioni c’è un aeroplano, e l’aeroplano vola…”. (Vittorio Giacci, critico, e direttore di Cinecittà International) “Maestro, possiamo stringerle la mano, e dirle grazie?”. (una fila di commensali, ‘gente qualunque’, alla Brasserie Lipp di Parigi, domenica) “Doveva fare una vita di Francesco d’Assisi. Quando gliela offrirono, prese tempo: ‘non sono credente’, si schermì. Poi lesse, e scoprì la durezza, il coraggio del personaggio: il coraggio di scegliere la povertà, in tempi, in cui si combatteva dentro armature d’oro e d’argento. Disse sì. La Rai rispose: non ancora. E poi, anni dopo, ha affidato il film a Liliana Cavani”. (Carlo Di Carlo, critico, curatore di tutta l’iniziativa ‘Cher Antonioni…’); “Il segreto di Antonioni è la sua capacità di produrre memoria futura” (Paolo Fabbri); “è nella sua capacità di cercare il reale al di là del senso: ha messo in immagini il pensiero di Lacan, secondo il quale ‘il reale comincia là dove si fermano il senso, il significato, il buon senso’…” (Robbe Grillet); “è un poeta” (Fabbri, e molti altri); “è un pittore perché mette in evidenza la corporeità dell’azione e la forma della sospensione” (Lorenzo Cuccu, professore a Pisa); “la modernità di Antonioni sta nella sua capacità di aver messo in luce lo scarto fra il tempo sociale e il tempo individuale” (Tinazzi); “è moderno perché coniuga, figurativamente, l’arte antica, quella contemporanea, e anche l’Oriente” (Boatto); “è moderno per la lettura che ha fatto di Hegel, ed è stata una lettura atipica per il tempo in cui l’ha fatta, rilevando, nella sua teoria, la coesistenza nel segno e nel colore dell’elemento descrittivo e di quello razionale” (Fabbri). “Qualsiasi cineasta si appresti oggi a filmare il deserto, si trova, anche senza averlo voluto, a competere con Antonioni: che si chiami René Dépardon, o Bernardo Bertolucci quando filma e firma il suo ‘Tè nel deserto’, deve comunque e sempre pagare il suo tributo ad Antonioni, e confessare la propria inferiorità nel gesto stesso di tentare di captare le vibrazioni di un luogo senza confini, senza limiti, definito solo dal vento o dalla polvere” (Thierry Jousse sull’ultimo numero dei ‘Cahiers du cinema’). Infine, e ancora Robbe Grillet: “Da quando la televisione si è impadronita del cinema, si può dire che Antonioni, che è stato il primo autore moderno, è destinato a restare anche l’ultimo: i produttori di oggi non consentirebbero più esperienze di investigazione, come quelle che lui ha fatto… il cinema è morto, restano gli specialisti del cinema”.

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