Francesca Ronchin, Il Club de La Lettura, Corriere della Sera, giugno 2014.
Il mazzo di carte scorre davanti agli occhi: 52 in un minuto. Poco più di un secondo per ricordarle una ad una, perché la sfida è estrema. Si chiama Extreme Memory Tournament, Xmt, si tiene a San Diego e in campo ci sono i migliori del mondo. Mnemonisti, «atleti della mente», così vengono chiamati, in grado di ricordare 900 e più combinazioni binarie, roba da far spavento all’homo sapiens sapiens medio.
01, 00, 10, 01… Johannes Mallow, 32 anni, riesce a ricordare una sequenza di 975 coppie, mentre Simon Reinhard, avvocato, è in grado di memorizzare un mazzo di carte in 21,9 secondi. Questi record appartengono a due tedeschi e non è un caso, perché in Germania a questi tornei di memoria ci si allena fin dalle superiori. Tutto merito della scuola anche per lo svedese Jonas von Essen, 21 anni. Se la scuola non l’avesse esentato dal rientro pomeridiano per potersi allenare, forse non sarebbe riuscito a diventare, nel giro di soli due anni, l’attuale campione del mondo, primo ai World Memory Championships nel 2013 e terzo al Xmt. Facendo zapping tra i talk show del Nord Europa, non è raro trovarlo impegnato a ordinare lunghe serie di carte e a spiegare al conduttore incredulo che la sua non è una memoria straordinaria ma soltanto tecnica e allenamento.
«Noi tutti siamo convinti di avere una cattiva memoria – ha spiegato alla Bbc il segretario generale dei World Memory Championships, Chris Day – ma non è così. La nostra memoria potrebbe essere ottima, se solo decidessimo di ricordarci le cose e quindi volessimo imparare come si fa». Nelson Dellis, campione americano, ideatore del torneo Xmt e consulente in tecniche mnemoniche, dice a «la Lettura»: «La nostra mente è un computer e per migliorarla basta aggiornare il software».
Uno dei «programmi di aggiornamento» più utilizzati risale alla Grecia del 500 a.C., quella del poeta Simonide di Ceo. È la tecnica del palazzo mentale o metodo dei loci, utilizzato anche da Marco Tullio Cicerone per ricordare correttamente i punti salienti di un’orazione. In base a questo metodo, le parole che si vogliono ricordare verranno trasformate in immagini da inserire in un percorso mentale che richiama un percorso fisico ben conosciuto, come l’interno della propria abitazione o la strada da casa al lavoro. Se il punto di partenza è il portone d’ingresso e la parola da memorizzare è mandarino, potremo immaginare un bel frutto arancione disegnato sul portone. «La nostra memoria lavora per immagini – illustra Dellis nei suoi corsi -. Quanto più queste saranno bizzarre, tanto più saranno memorabili».
Dopo migliaia di ore di allenamento la tecnica sarà diventata un automatismo e non comporterà dispendio di risorse cognitive. Il giovane von Essen sarebbe solito ricorrere ai personaggi della serie televisiva Lost. Nello specifico, lo svedese dichiara di avvalersi del sistema cosiddetto Pao, da person/action/ object, una tecnica che è l’evoluzione di quella dei loci e che funziona come un sistema di conversione immediato. Per esempio, se deciderò che 1 corrisponde a Kate, la protagonista della serie, che taglia una cipolla e che il 5 è Afrodite che emerge dall’acqua, l’oggetto potrà essere la conchiglia del celebre dipinto di Botticelli. A questo punto la coppia 1-5 potrà essere ricordata attraverso l’immagine di Kate che taglia una conchiglia. «La conversione dei numeri in immagini – spiega a “la Lettura” Clelia Rossi Arnaud, docente di Psicologia della memoria e dell’apprendimento a La Sapienza – è particolarmente efficace perché permette quella che in psicologia chiamiamo “doppia codifica”, ossia più l’informazione è ricca di elementi, maggiori sono le vie di accesso al recupero e quindi al ricordo della stessa, specialmente se la si collega ad altre informazioni già nostre e che sono significative per noi».
Ogni campione ha il suo personalissimo metodo. Per James Peterson, 57° nella classifica mondiale, per ricordare combinazioni di lettere e numeri l’ideale è la scena in cui il gladiatore Russel Crowe ispeziona nell’omonimo film i soldati uno a uno per controllare le armi. «L’idea che il cervello umano – dice a “la Lettura” il semiologo Paolo Fabbri – possa funzionare come un computer e quindi agire come puro associatore di significanti, semplici dati, senza significati, è una pura illusione. Qui non si tratta di immagazzinare dati, ma di costruire significati. Il ricordo diventa veramente tale quando una semplice sequenza di numeri ha un senso per noi, ad esempio la data del nostro compleanno. Per questo le mnemotecniche non sono altro che un modo di dare senso al non senso». Sarebbe dunque solo una questione di tecnica? «Nella maggior parte dei casi questi campioni non sono mnemonisti naturali, dotati di qualità mnestiche fuori dal comune – aggiunge Rossi Arnaud – bensì di mnemomisti strategici. Ciò che li rende unici sono migliaia di ore di allenamento e un’enorme motivazione».
Per Matteo Salvo, campione italiano, la spinta ad allenarsi è stata un’iniziale difficoltà di apprendimento: «Ero troppo lento nel preparare gli esami e volevo più tempo per me». Oggi ricorda fino a 1012 numeri e insegna agli altri a fare lo stesso attraverso le mappe mentali di Tony Buzan e corsi di lettura veloce. Per qualcuno la motivazione può essere il primo premio, se va bene si possono vincere 10 o 20 mila dollari. Per il campione americano Dellis, la molla è stato assistere al deterioramento mentale della nonna affetta da Alzheimer. Oggi pubblicizza integratori di omega3, è il testimonial di case farmaceutiche impegnate nella cura dei deficit cognitivi e scala montagne per sensibilizzare la popolazione sull’importanza di mantenere in forma il muscolo della memoria. «Mantenere la mente attiva è senz’altro utile – sostiene Arnaud – ma i risultati di questi campioni sono frutto di un eccesso di specializzazione su abilità che non è detto che servano. Se per ricordare un numero telefonico ci aiutiamo dividendolo in chunk, raggruppamenti di 3 o 4, un supercampione lavorerà su gruppi di cifre di 20 o più».
Per quanto lo span di un campione – ovvero la capacità massima di memoria – possa essere notevole, in termini evolutivi, l’iperspecializzazione non paga. Secondo Arnaud, ciò che renderebbe una memoria particolarmente efficiente sarebbe una varietà di abilità, in particolare quelle della memoria di lavoro, come ad esempio il controllo attenzionale, necessario a «ripulire» la propria mente ad ogni nuovo esercizio. Del resto, come spiega lo psicologo Zachary Hambrick al «New York Times», spesso questi campioni sbagliano quando l’operazione di cancellazione fallisce. «Il problema non è che ricordano poco, ma che ricordano troppo ». Le informazioni vecchie non verrebbero infatti cancellate bensì inibite e questo può sovraccaricare il cervello. «Se si fa un nodo al fazzoletto per ricordarsi qualcosa – conclude Fabbri – poi dobbiamo ricordarci perché abbiamo fatto il nodo al fazzoletto.
Lo stesso vale per le informazioni da dimenticare. La difficoltà non è dimenticare una cosa ma ricordare che l’abbiamo voluta dimenticare. E questo, per un campione di memoria, può essere una bella impresa».