Andrea Sormano, L’Indice dei Libri del Mese, vol. 4, 2010.
Parigi, 1966. Gallimard pubblica i Problémes de linguistique générale, un insieme di ventotto studi, scritti fra il 1939 e il 1964, scelti dal loro autore, Émile Benveniste, allora sessantaquattrenne, “fra molti altri, più tecnici”, e da lui stesso presentati al lettore distribuiti in sei parti: Trasformazioni della linguistica, La comunicazione,Strutture e analisi, Funzioni sintattiche, L’uomo nella lingua, Lessico e cultura. Perché raggrupparli sotto il titolo di “problemi”? Perché nel loro insieme e singolarmente, scrive Benveniste nella presentazione, tali saggi danno un contributo alla “grande problematica del linguaggio”, qual è definita dai principali temi trattati: rapporti intercorrenti fra il biologico e il culturale, la soggettività e la socialità, il segno e l’oggetto, il simbolo e il pensiero, oltre ai problemi dell’analisi intralinguistica.
Nello stesso anno, sulle colonne de “La Quinzaine littéraire”, Roland Barthes presenta l’evento, più che soltanto il libro – “abbiamo appena cominciato a parlare del linguaggio (…) dobbiamo scoprire il linguaggio come stiamo scoprendo lo spazio” – riconoscendo a Benveniste un particolare coraggio, otre a un sapere impeccabile e a una chiarezza inesauribile: il coraggio di chi, specialista, resista alla tentazione di difendere gelosamente i confini della propria specialità, quando sia “presa d’assalto dalla curiosità di dilettanti di ogni stampo”, ma la ponga deliberatamente quale punto di partenza di un “movimento molto vasto”, individuandone già gli sviluppi futuri in quanto “autentica scienza della cultura”, la cultura essendo essenzialmente linguaggio. Al centro di questa scienza, prosegue Barthes, sta il radicamento della nozione di soggetto in una descrizione puramente linguistica, tale da non consentire l’identificazione del soggetto indipendentemente da un'”istanza di discorso”. In tale radicamento è la via d’uscita dalla vecchia antinomia del soggettivo e dell’oggettivo, dell’individuo e della società. Tutto è chiaro nel libro di Benveniste, conclude Barthes, e tutto può esservi riconosciuto come vero; ciononostante, in esso tutto “non fa che iniziare”.
Parigi, 1974. Gallimard pubblica i Problémes de linguistique générale II, una nuova raccolta di venti studi, pubblicati da Benveniste fra il 1965 e il 1972, ma non da lui stesso curata e presentata al lettore, essendo stato Benveniste colpito nel 1969 dall’apoplessia che lo paralizzò, lasciandolo privo della parola, fino alla morte sopravvenuta nel 1976. A curare la raccolta, “sotto la stretta sorveglianza dello stesso Émile Benveniste”, e a disporre gli articoli nelle stesse sei sezioni del primo volume, è Mohammad Djafar Moinfar.
Ancora Barthes, nello stesso anno e sulle colonne della stessa rivista, nel salutare il nuovo evento (la nascita del “libro dell’enunciazione”), precisa i contorni della “nuova scienza”, ancora “senza nome”, che vi corrisponde. Il linguaggio in Benveniste, argomenta Barthes, non è mai disgiunto da una forma di socialità, essendo sempre Benveniste impegnato a esaminare il linguaggio nelle sue “concomitanze: il lavoro, la storia, la cultura, le istituzioni, insomma tutto ciò che costituisce il reale dell’uomo”. Gli studi di Benveniste snaturano la disciplina linguistica, dissolvono la compartimentazione disciplinare, fanno della linguistica “la ‘sociologia’ universale: la scienza della società che parla, che è società proprio perché parla“. Al centro di questa scienza è la nozione di enunciazione: “un grande fenomeno – così la definisce Benveniste nell’ultimo suo saggio, L’apparato formale dell’enunciazione (1970) – così ovvio da confondersi con la lingua stessa, così necessario da sfuggire alla vista”, consistente nella “messa in funzionamento della lingua attraverso un atto individuale di appropriazione”. Prima dell’enunciazione la lingua non è che possibilità di lingua; con l’enunciazione la lingua è resa effettiva in una “istanza di discorso”. Ma immediatamente, non appena il locutore si sia dichiarato tale assumendo la lingua, “egli instaura (implante)l’altro di fronte a sé”, quale che sia il grado di presenza che gli attribuisce: ogni enunciazione, esplicita o implicita, dialogica o monologica che sia, “è un’allocuzione, postula un allocutore”. Il soggetto non precede il linguaggio, argomenta Barthes, diventa soggetto proprio perché parla; e nel parlare, sempre a qualcuno, interloquisce. Da qui la fondazione di una nuova linguistica, presente soltanto nell’opera di Benveniste, “la linguistica dell’interlocuzione”.
Tradotti in italiano entrambi da Il Saggiatore, nel 1971 il primo (da M. Vittoria Giuliani) e nel 1985 il secondo (da Francesco Aspesi, autore anche di un’introduzione), i due volumi dei Problemi di linguistica generale sono entrambi da tempo fuori catalogo, in attesa (annunciata) di ristampa. È peraltro recentemente comparsa, non soltanto a (parziale) compensazione di tale vuoto, una “versione compatta” della ricerca benvenistiana: Essere di parola. Semantica, soggettività, cultura, un’antologia di ventuno saggi scelti e introdotti da Paolo Fabbri, ritradotti da Tiziana Migliore. Già in passato, in La svolta semiotica (1998), Fabbri aveva posto con forza il costrutto benvenistiano di enunciazione al centro dell’analisi non soltanto del discours ma di testi semiotici d’ogni tipo, presenti in musica, pittura, letteratura e così via. Nell’analisi benvenistiana del linguaggio, argomentava Fabbri, non compaiono soltanto rappresentazioni di concetti, azioni o passioni: opera anche un’istanza di enunciazione atta a trasformare i racconti in discorsi, ossia in testi al cui interno è iscritta, quale che sia la loro sostanza espressiva, “la forma della propria soggettività e intersoggettività”. Emblematica in tal senso è, nella pittura vascolare greca, l’immagine frontale della Medusa, che “da del tu” a chiunque la osservi. Con la nozione di enunciazione verrebbe dunque a cadere la “fantomatica opposizione” tra semantica e pragmatica, la pragmatica verrebbe a costituirsi come una dimensione interna al testo, atta a mostrare come ciascun testo crei la propria contestualizzazione interna.
In Essere di parola Benveniste, “impareggiabile studioso della significazione”, è presentato da Fabbri a partire dalla radicalità del “gesto innovativo” mediante il quale il linguista francese introduce l’enunciazione quale “anello mancante” all’opposizione saussuriana di langue e parole, imprimendo con ciò una svolta alla linguistica e alla semiologia verso una “teoria del discorso”. I saggi scelti sono quelli che più direttamente documentano tale svolta, e la loro disposizione in tre sezioni interconnesse (Comunicazione, L’uomo nella lingua, Lessico e cultura) ne agevola la comprensione. I problemi posti dalla prima sezione, a partire dalla ricognizione benvenistiana delle opposte vie tracciate dai due padri fondatori della semiotica moderna, i due “geni antitetici”, Peirce e Saussure, trovano una “risposta pertinente” nella seconda sezione, incentrata sulla teoria dell’enunciazione e sull’articolazione di segno e senso (la ricerca linguistica di Benveniste è andata “oltre il segno”, oggetto di semplice riconoscimento, verso il “senso” del discorso, oggetto di comprensione), dove più originale e pregnante è, a giudizio di Fabbri, il contributo di Benveniste alla fondazione e allo sviluppo della “linguistica discorsiva” e della “testualità semiotica”. Confluiscono infine nella terza sezione alcune fra le “sottili analisi sul Lessico” di cui Benveniste ha rinnovato metodi e risultati.
Nella prospettiva di una “semiotica di seconda generazione”, così Fabbri conclude la ricca e problematica presentazione al volume, la ricerca benvenistiana sulla significazione – il più profondo tratto della condizione umana, secondo Benveniste, non essendoci relazioni naturali, immediate e dirette, tra l’individuo e il mondo e tra l’individuo e l’individuo – può essere assunta come un discorso “itinerante” di cui “è ancora attiva l’enunciazione e l’interlocuzione”.
Può essere accolta, la proposta di Fabbri, anche da chi, sociologo, ha quotidiana dimestichezza con la significazione, a partire dall’analisi dei “motivi” linguistico-culturali in cui si esprime il “senso” dell’agire di quell'”essere di parola” che è l’attore sociale? L’oggetto di cui si occupa anche il sociologo, oltre al linguista benvenistiano secondo Barthes, non è forse “la società che parla, che è società proprio perché parla“? Ancora agli inizi degli anni ottanta l’incontro fra linguistica dell’enunciazione e sociologia era prospettato, in ambiente linguistico, come “ineluttabile”: a condizione che la linguistica accettasse di “emanciparsi” dalle prospettive “immanentista, informazionalista, e monologica” tradizionalmente caratterizzanti il proprio “discorso dominante” (cfr. Catherine Kerbrat-Orecchioni, La pragmatique du langage.Benveniste et Austin, in E. Benveniste aujourd’hui, a cura di Gilbert Lazard, Guy Serbat, e Jean Taillardat, Societé pour l’information grammaticale, Paris 1984). Se tale incontro stenta ancora oggi a realizzarsi, è forse perché il sociologo, più del linguista e del semiologo, è poco propenso ad abbandonare quelle stesse, antiche certezze?