Mass media e accelerazione del tempo


Da: Il Grillo, programma televisivo di RAI Educational, puntata del 04/11/1998.


 

“…il risultato paradossale a cui oggi assistiamo consiste proprio nel fatto che, nonostante la disponibilità di strumenti sempre più rapidi, la loro utilizzazione provoca degli enormi rallentamenti (…) Anche se siamo dotati di un selettore di canali molto veloce – il telecomando – ci ritroviamo a dover fronteggiare dei veri e propri ingorghi di informazione…”

Liceo Scientifico Isacco Newton di Roma

FABBRI: Buongiorno, sono Paolo Fabbri, insegno al D.A.M.S. e ne sono anche il Presidente. Il D.A.M.S. è un corso di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna che vuol dire: Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Oggi siamo qui per discutere di un tema che ritengo vi interessi, perché è un problema caratteristico dello stile di vita contemporaneo: la questione del tempo e dell’accelerazione – o anche della lentezza – che viene imposta dalla vita di oggigiorno. Credo valga la pena di discuterlo perché riguarda il modo con cui ci rapportiamo alla vita quotidiana e perché si riferisce ad un tipo di profondità che non è quella dello spazio, bensì quella del tempo e del ritmo, vale a dire dei due elementi che pervadono tanto la musica quanto la vita. Proporrei di guardare la scheda che abbiamo preparato per sollecitare il dibattito. Grazie.

Il passare del tempo è fonte di sentimenti contrapposti. Da una parte esso rivela la caducità delle cose, l’oblio a cui esse vanno incontro, dall’altra, è proprio il movimento di dissoluzione del tempo, che spinge a salvare alcuni eventi e alcuni pensieri dal flusso continuo in cui si disperderebbero e a ricostruire intorno ad essi una continuità, come qualcosa di mutevole, eppure permanente. La nostra identità come esseri individuali e le identità delle culture, dei saperi, delle espressioni della creatività umana, sono legate a un processo di trasformazione e dissipazione. Il progresso delle civiltà e quello personale sono basati su questo. “Se tutto il tempo è eternamente presente, tutto il tempo è irredimibile”, recita una poesia di Eliot. La redenzione, la salvezza dalle proprie colpe, dai propri errori, è solo nel tempo, nel superare durante il presente la disposizione spirituale del passato. Invece la condizione del tempo, eternamente presente, è qualcosa che ci tocca più da vicino. L’idea dell’inizio e della fine sta svanendo sotto l’effetto di una contemporaneità di tutti gli accadimenti, nella percezione mediatica della realtà. Nella rappresentazione televisiva gli eventi sono come tutti presenti, allo stesso tempo, e perdono quella fisicità, in cui si deposita, invece, il senso del passato. Internet è esemplare. La forma della lettura del libro, che ha un principio e una fine e che può essere racchiuso come un evento compiuto e conquistato, è dissolta nell’uso di Internet, dove tutte le informazioni sono contemporanee e non hanno una direzione.
STUDENTE: Abbiamo visto come la velocità e la lentezza abbiano condizionato la nostra storia in maniera più o meno sbagliata e come tuttora continuino a segnarla profondamente. Ci troviamo di fronte a un’accelerazione portata all’estremo, sia per quanto riguarda la produzione tecnologica, sia per quanto riguarda la politica. Abbiamo nuovi telefonini, inedite e più potenti automobili e persino la clonazione umana. Come si dovrebbe reagire a tutto ciò? Rallentando l’andatura o accelerando il ritmo fino allo spasimo?

FABBRI: Non è facile affermare che ci sono decisioni da prendere, anche se evidentemente qualcosa bisognerebbe pur decidere: scegliere la lentezza o la velocità significa scegliere il ritmo della propria vita. Molto spesso, però, queste decisioni non appartengono ad ognuno di noi preso singolarmente; facciamo l’esempio – a mio avviso clamoroso – del traffico, un problema che riguarda tutti quanti: la sempre maggiore velocità delle automobili ci consentirebbe di attraversare la città in un battibaleno – di notte i grandi centri urbani si percorrono rapidamente – eppure in mezzo al traffico ci ritroviamo a guidare a passo d’uomo. Cosa significa? Significa che l’accelerazione estrema finisce per provocare il massimo ritardo. Il risultato paradossale a cui oggi assistiamo consiste proprio nel fatto che, nonostante la messa a punto e la disponibilità di strumenti sempre più rapidi, la loro utilizzazione provoca degli enormi rallentamenti. Anche la moltiplicazione delle reti televisive potrebbe dare la straordinaria impressione di padroneggiare tutta l’informazione possibile: ma ognuno di noi è un singolo individuo in possesso di due occhi soltanto e così ci ritroviamo nella condizione – sebbene dotati di un selettore di canali molto rapido – di fronteggiare dei veri e propri ingorghi di informazione. Su cose del genere dobbiamo prendere posizione, continuando ad essere ben consapevoli del fatto che oggi, probabilmente, rallentare significa aumentare la velocità: se tutti noi disponessimo di strumenti meno rapidi per muoverci forse potremmo essere più veloci.

STUDENTE – Gli odierni ritmi di vita potrebbero essere descritti come “dionisiaci” in quanto acceleratori delle nostre attività fino allo spasimo; come è possibile ristabilire un modo di vivere “apollineo”, vale a dire più equilibrato?

FABBRI: Questa grande opposizione ci viene direttamente dalla cultura greca, attraverso la filosofia: da un lato vi è Apollo – il bello, il rallentato, il nobile – e dall’altro Dioniso – l’accelerazione vertiginosa. È quindi evidente che anche in un’epoca priva delle tecnologie contemporanee vigeva l’opposizione tra la lentezza – vista come una forma di bellezza – e la tentazione della vertigine. Questa contrapposizione corrisponde alle due estetiche proprie della nostra vita quotidiana: quella della tranquillità e della contemplazione – dell’assaporare le cose – e quella della sfrenatezza e dell’accelerazione. Entrambe possiedono pregi e difetti. Ad esempio il “frettoloso” non assapora le sensazioni e a volte non integra completamente ciò che ha fatto in un’ottica più ampia, sicuro del fatto che il significato delle sue azioni si “svelerà” in seguito. Il lento aderisce ad un’altra estetica e crede che, tutto sommato, pensando due volte alla stessa cosa si possano raggiungere gli stessi risultati che vedendone o sperimentandone diverse altre. Vista in quest’ottica la lentezza potrebbe talvolta coincidere con l’accidia e sfociare nella noia, così come si potrebbe argomentare che la curiosità è un tipico “effetto collaterale” della rapidità. Penso che tocchi a ciascuno di noi scegliere il proprio ritmo, allo stesso modo in cui si sceglie la musica da ascoltare.

STUDENTE: – Secondo Lei è preferibile la qualità di un cd o quella di un concerto dal vivo?

FABBRI: La sua domanda pone un terzo problema: quello della simultaneità. È evidente che la rapidità ci permette di raggiungere alcune cose ma ce ne sottrae dalle altre. Durante un concerto dal vivo gli eventi accadono nello stesso tempo in cui siamo presenti in quel determinato spazio. Quando si ascolta un cd ci si può muovere e fare delle altre cose, mentre in un concerto si è costretti “all’immobilità”, un’immobilità che ha però il vantaggio del simultaneo, ossia la possibilità di interiorizzare l’insieme del ritmo e di capirlo fino in fondo. Con il cd invece, specialmente se ascoltato in casa, la tentazione di fare qualcos’altro e di avere un’altra esperienza è forte. Nei concerti dal vivo, inoltre, è presente un elemento molto importante, vale a dire il ritmo collettivo. Spesso non prestiamo abbastanza attenzione al fatto che ci esprimiamo quasi sempre in termini individuali – “Vado di fretta, perché non rallento?” – eppure nel concerto è presente una sorta di “simultaneità di sentimenti” grazie alla quale ci ritroviamo a provare le sensazioni che vengono vissute dalle persone che ci circondano. Presenza vuol dire immediatezza ed i media – lo dice la stessa parola – sono il luogo mediato che ci priva di quella vibrazione collettiva, di quell’aspetto dionisiaco di cui si parlava prima.

STUDENTE: Secondo Lei esiste una qualche correlazione tra la vita frenetica che conduciamo in questo periodo e l’emergenza di nuovi generi musicali caratterizzati da ritmi più veloci rispetto a quelli delle epoche passate?

FABBRI: Certo. Bisognerebbe comunque creare delle tipologie. Nonostante non sia un musicologo, ho percepito nettamente il passaggio dal rock and roll o dal boogie – ritmi a tre tempi – alla disco – a due tempi. È chiaro che un tre tempi risulta più differenziato ed articolato, mentre il due tempi sembra quasi militaresco e ricorda le sfilate di moda, che sono la cosa più noiosa del mondo. Credo che tale considerevole variazione ci possa dare la misura di quanto siano cambiati i nostri ritmi di vita e di come siano diventati uniformi e scanditi. Una volta si credeva che l’avventura si risolvesse nella velocità, nell’accelerazione – pensiamo a film quali Gioventù bruciata – mentre oggi ho l’impressione che capitino più avventure negli ingorghi e nei ritardi che nelle situazioni di frenesia. Andando tutti più forte, finiamo col trovarci il più delle volte in un ingorgo e costretti ad aspettare: qualcosa non funziona, va in panne, si rompe e, improvvisamente, si cominciano ad avere esperienze diverse e ad incontrare persone inaspettate. Anche in un piccolo incidente – a causa del quale bisogna chiedere aiuto – può capitare che si creino delle relazioni umanamente ragionevoli.

STUDENTE: – Alla nostra sinistra abbiamo un casco. Cosa rappresenta questo oggetto?

FABBRI: Ho chiesto che portassero un casco perché esso unisce il concetto di massima velocità a quello di massima protezione. La velocità è stato il mito d’inizio secolo e tutti noi siamo ancora profondamente legati all’estetica del Futurismo. Pensiamo, ad esempio, al cruscotto della moto o a quello della macchina: su di esso viene sempre segnalata la velocità massima a cui il mezzo in questione potrebbe andare e la tentazione di raggiungerla è molto forte. Quasi tutti gli strumenti tecnici contemporanei rappresentano un certo modo della velocità e ci invitano a portarli all’estremo. Pensate al computer: anche esso provoca spesso delle attese, come quando navigate in Internet e vi ritrovate ad aspettare – prima con interesse, poi con molta curiosità, infine con impazienza – che arrivino i risultati richiesti. Recentemente una persona si è fatta impiantare sotto la pelle una piccola cellula con la quale gli è possibile aprire la macchina e la porta di casa o accendere il computer. Il paradosso della velocità può consistere anche in questo: introdurre nel proprio corpo uno strumento per poter accelerare la vita quotidiana.

STUDENTE: – Lei è favorevole a questo tipo di progresso tecnologico, oppure si sente più propenso a condannarlo?

FABBRI: È molto difficile decidere quale atteggiamento morale adottare nei confronti di certi risultati, di solito ragiono più in termini estetici che etici. Qualche tempo fa Nicholas Negroponte – grande specialista di computer – mi disse: “Bisognerebbe poter entrare nella propria stanza, fare un fischio e vedere il nostro computer accendersi da solo”. Noi detestiamo i cosiddetti “tempi morti”: se riflettiamo su questa espressione ci possiamo rendere conto che essa rappresenta un buffo modo di intendere il tempo, quasi che si possa distinguere tra “tempo vivo” e “tempo non vivo”. Abbiamo l’impressione che tutti i funzionamenti si debbano concatenare l’uno dentro l’altro, senza lasciare intervalli; adesso, invece, possiamo iniziare a pensare ad “un’estetica dell’intervallo” la quale, piaccia o non piaccia, potrebbe essere messa in relazione alla musica new age ed al suo un tentativo di isolare i tempi morti per costruirci sopra un’estetica. Tutto la new age – nonostante si possa non condividere la sua ideologia – ha costituito un tentativo per dire: “E se diminuissimo lo sballo? Un eccesso di sballo provoca rallentamento!”. È come se una persona guardasse la propria ombra e scoprisse che essa crea delle forme molto interessanti. Può darsi che si possa osservare con più attenzione i nostri intervalli, in modo da rendere vivi i propri tempi morti.

STUDENTE: Sempre rimanendo nell’ambito dei computer e di Internet, Lei pensa che l’amore virtuale possa sostituire l’amore come finora è stato vissuto?

FABBRI: Sull’utopia dell’amore esiste una storia molto divertente: nel momento in cui si realizzò la prima società socialista al mondo, si pensava che fosse anche possibile avere il libero amore, e in Russia, nel corso degli anni Venti, circolava una barzelletta molto divertente che diceva: “Perché non farlo per strada?”, la cui risposta era: “Perché c’è troppa gente che viene a dare consigli”. Questa storiella può essere messa in riferimento a ciò che stava dicendo Lei: ho l’impressione che esistano delle utopie dell’immediatezza e delle utopie della mediatezza: “Si può fare l’amore attraverso un medium?” oppure: “Si può fare l’amore immediatamente?”. Ora, io preferisco l’immediatezza, ma non si deve credere che non esistano delle forme sostitutive ricche di intensità.: pensate a quegli anziani che si scrivevano da lontano e a quanto fossero profonde le loro lettere. Credo ci siano delle forme di rallentamento delle relazioni che possono dare luogo ad un’elevata intensità.
A questo punto vorrei farvi vedere la scheda che è stata preparata: si tratta di una piccola intervista che ci presenta uno stile di vita diverso, il quale provoca rallentamento da un lato e maggiore efficienza dall’altro.

TELELAVORATRICE: Sono una libera professionista e ho scelto il telelavoro perché esso mi dà la possibilità di conciliare i miei ritmi e le mie abitudini con le esigenze lavorative. È chiaro che già il mio tipo di lavoro mi consente di telelavorare, perché si tratta di una professione altamente intellettualizzata: faccio ricerche, consulenza. Il telelavoro è svolto a distanza con l’aiuto della telematica: esso può essere messo in pratica sia con strumenti semplici – quali possono essere il telefono o il fax – sia con strumenti molto più sofisticati, condividendo in rete le proprie informazioni con altri colleghi. Il telelavoro si articola in tre modi diversi: il telelavoro nomade – che consente di lavorare spostandosi sul territorio grazie ad un PC, un modem-fax e un cellulare, e che permette di colloquiare direttamente con la casa madre o di dare delle informazioni al cliente in tempo reale-; il telelavoro per settori-centro, che raggruppa diversi lavoratori, in alcuni casi della stessa azienda, in altri casi di aziende diverse; il telelavoro a domicilio, per il quale la persona in questione può essere o un dipendente d’azienda o un libero professionista. Il telelavoro presenta tanto dei vantaggi, quanto degli svantaggi. Personalmente mi sembra siano maggiori i vantaggi, perché grazie ad esso migliora la qualità della vita e, sul piano sociale, si riducono il traffico e il pendolarismo, così come lo stress e l’ansia.
STUDENTE: Lei introdurrebbe o insegnerebbe il telelavoro al D.A.M.S.?

FABBRI: Personalmente ho l’impressione che un intellettuale “telelavori” sempre. Se una persona che fa il mio mestiere si ritrova vivere con una donna – o con un uomo, dipende dai casi – dovrà di continuo fronteggiare la seguente domanda: “Ma non la smetti mai di lavorare?”. Il telelavoro fatto da casa ha dunque questo vantaggio: si possono organizzare i propri tempi. Ma anche il vecchio lavoro aveva un vantaggio: una volta finito eri libero, non avevi più niente da fare, mentre con il telelavoro non smetti mai di occuparti dei tuoi compiti. Il telelavoro è molto legato alla vita, e proprio in questo consiste la sua schiavitù: il lavoro invade la vita. Il vecchio modo di lavorare divideva le giornate in un tempo libero e in un tempo morto: c’era un momento in cui avevi il diritto di non pensare al tuo mestiere. Bisogna scegliere quale dei due tipi di lavoro adottare: ci sono delle persone che preferiscono organizzarsi da soli, altre che preferiscono subire una forte costrizione temporanea per poi essere liberi.

STUDENTESSA: Volevo chiederLe per quale motivo aveva portato il panino del fast-food.

FABBRI: Fast food: “mangiare alla svelta”. Nonostante anche la pizza costituisca un modo per mangiare alla svelta – per questo ha avuto un successo così straordinario – fast food significa nutrirsi al massimo della velocità, il che permette di fare altre cose. Ciò presume che il cibo non sia un qualcosa su cui investire a livello di sapori, gusto e tempi – o anche qualcosa che implichi lo stare insieme – ma, al contrario, che debba essere consumato rapidamente, che dia più proteine e generi più calorie. Ogni cosa che facciamo non è soltanto un sapere, ma anche un sapore: in Francia, dove i fast food ci sono come da noi, sono arrivati gli slow food, che costituiscono un tentativo per creare degli spazi in cui gustare dei sapori particolari. Credo che la società moderna spinga verso una tale rapidità da portare alla perdita di certi sapori. Si tratta del solito problema: un’estetica del recupero dei sapori. Quando pronuncio la parola “estetica” non pensate immediatamente al bello – apollineo o dionisiaco che sia -, estetica vuol dire “percezione”, aisthetikós significa “che è in grado di sentire”, “gusto”. Lo stesso discorso si potrebbe fare in relazione alle informazioni: veniamo continuamente bombardati da moltissime informazioni e alla fine le “gustiamo” troppo rapidamente.

STUDENTE: Con il telelavoro non si corre il rischio di isolarsi, di troncare i rapporti umani? In fondo, la maggior parte delle relazioni sociali vengono intrecciate sul lavoro o a scuola.

FABBRI: Certo. Penso comunque che vengano anche a crearsi delle relazioni sostitutive perché, in realtà, il telelavoro non isola del tutto. Faccio un esempio: ho aperto un sito Internet con il quale gli studenti della mia Università possono venire a conoscenza dei contenuti dei miei corsi, degli orari delle lezioni, delle date degli esami e così via. Essi hanno in qualche modo la possibilità di interagire con me: possono scrivermi e io posso rispondere loro, si viene a creare un contatto che prima non c’era. L’Università è sempre piena di gente: è molto difficile riuscire ad avere un contatto davvero personale con un insegnante. Tornando al telelavoro, penso che, effettivamente, esso possa portare alla perdita dei contatti immediati – che rimangono importantissimi – ma credo anche che, d’altra parte, stabilisca ed aumenti la quantità dei contatti di tipo mediato; tale mediazione può risultare molto efficace. Il vero problema del telelavoro è in realtà costituito dalla quantità d’informazione che con esso si viene a creare e dalla difficoltà di operare una selezione, di individuare una pertinenza.

STUDENTESSA: Sempre parlando di accelerazione, volevo porre l’accento sui continui cambiamenti che avvengono intorno a noi giovani, ad esempio in relazione alla moda. Non facciamo in tempo a comprarci un vestito che già ne esce un altro diverso ed in qualche maniera “più nuovo”. Allora ricorriamo a tatuaggi o a un piercing in modo da stabilire qualcosa di fisso sul nostro corpo…

FABBRI: È vero: la moda ha accelerato i suoi ritmi. Un tempo l’Alta Moda – o anche il Pret-à-Porter – era molto legata ai tempi e alle stagioni, quasi come il cibo: il caldo e il freddo stabilivano i suoi ritmi. Oggi esistono degli spazi che sono diventati “isolati” – ad esempio grazie al riscaldamento ed alla coibentazione – e questa organizzazione ne è rimasta sconvolta. D’altra parte l’industria della moda è così potente da arrivare a premere per un’accelerazione dei tempi e dei prezzi del vestiario. Non dobbiamo però dimenticare che la moda torna quasi sempre sugli stessi stili: un mio amico diceva che “la moda è la rotazione dei possibili”: la gonna può allungarsi, fermarsi e riaccorciarsi, lo scollo – davanti o dietro che sia – può scendere o risalire. Le tendenze della moda sembrano molto veloci ed in continua mutazione, mentre in realtà girano sempre intorno alle stesse cose: sono fulminanti e lente allo stesso tempo. La cosa che veramente mi incuriosisce, e che trovo molto interessante, è la questione dei piercing e dei tatuaggi. Una volta la moda era connotata da un vestito, ossia da un qualcosa che veniva “indossato”, “portato fuori”. Oggi la cura del corpo avviene tramite massaggi, diete, ginnastica e simili, con il risultato che non c’è più bisogno di qualcosa di esterno che lo comprima o lo decori, perché la sua forma non è più ottenuta con l’aiuto di corpetti: la pelle è diventata un vestito e come tale viene decorata tramite tatuaggi e piercing, quasi sia un tessuto stampato.

STUDENTE: La moda dei tatuaggi non potrebbe portare ad una certa omologazione?

FABBRI: È evidentemente una moda standardizzante, però costituisce uno standard che cambia nel tempo. Quando sono stato a Londra c’erano i primi movimenti punk ed ero rimasto folgorato dalla differenza rappresentata dai vestiti dei ragazzi punk. Poi sono andato in un negozio lì vicino e mi sono accorto che in esso si vendevano abiti punk in serie. La cultura contemporanea produce delle singolarità in serie: sembra un paradosso, ma avviene proprio così. La standardizzazione della moda è un fenomeno molto singolare: siamo tutti uguali, ma molto diversi. Chi pone l’accento solo sull’omologazione imperante credo non conosca abbastanza bene il funzionamento della moda. Se guardassimo al modo in cui siamo vestiti ora – ossia in una maniera abbastanza standardizzata – scopriremmo dei dettagli molto diversi, e per capire quanto siamo diversi bisogna conoscere bene la moda, la quale si aggrappa a differenze minime.

STUDENTE: Ultimamente nello sport, per accelerare i ritmi e le prestazioni, si è fatto uso di farmaci o di altre sostanze nocive per il corpo. Lei cosa ne pensa?

FABBRI: È un buonissimo esempio, dà bene l’idea dell’accelerazione, del record, di quel principio di velocità che da sempre ci accompagna: chi salterà più in alto? Chi correrà più svelto? Con esso si pone il problema del rallentamento. Prendiamo un esempio diverso dal doping: il Palio di Siena. Si sono accorti che i cavalli subiscono spesso delle fratture perché sono troppo fragili rispetto ad un terreno troppo duro: probabilmente bisognerebbe scegliere dei cavalli più robusti che corrano meno velocemente. Forse il Palio diventerebbe meno spettacolare? Ciò costituisce un problema, ma è una scelta che si può fare. Lo stesso vale per il doping: in un certo senso si potrebbe dire che la velocità “dopa” tutto. Anche la tentazione di truccare un motorino che va a 80 all’ora – mentre sul contachilometri c’è scritto 150 – è una forma di doping. Ho l’impressione che il doping sia un fenomeno generale della nostra cultura. Credo non sarebbe inutile tentare un cambiamento di ritmo: si potrebbe, ad esempio, dare un premio alla persona che è capace di star ferma più a lungo, di pensare più a lungo, o anche di star zitta più a lungo. Si dovrebbero immaginare tanto dei premi, quanto dei “contropremi”.

STUDENTE: Volevo sapere perché ha portato un cellulare?

FABBRI: Il cellulare è un buon esempio di simultaneità: esso non implica più un collegamento semplicemente molto rapido, ma una comunicazione ovunque simultanea. È uscito da poco un tipo di cellulare che consente, grazie al satellite, di telefonare a chiunque da qualunque parte del mondo. In altri termini, il mondo è abolito in quanto distanza: una volta si potevano condurre delle esplorazioni durante le quali non si sapeva bene dove si stava o dove si sarebbe finiti. La vera avventura, invece, è data proprio dall’incognita della meta: se al momento della partenza si conosce già la propria destinazione ed il relativo percorso, quel tragitto si trasforma in un semplice viaggio. Ora, grazie al cellulare, tutto è diventato simultaneo e l’avventura della comunicazione è terminata. Una volta, in Italia, – spesso ancora oggi, per la verità – mandare una lettera era un’avventura, non si sapeva mai quando sarebbe arrivata. Il cellulare è invece un perfetto esempio di simultaneità: non implica più né accelerazione, né ritardo: si spinge un bottone e si è dovunque.

STUDENTE: Sull’argomento abbiamo trovato diversi siti interessanti. All’indirizzo www.urra.it/163b.html Internet parla di se stesso, perché vi si spiega un po’ la sua filosofia. Poi alcuni siti sul telelavoro, tra cui il sito universitario www.univr.it, ed infine il sito del professor Fabbri, www.paolofabbri.it.

FABBRI: Ho aperto questo sito per una ragione molto semplice: ho scoperto che nell’Università alcuni miei colleghi, che sono già retribuiti per il loro lavoro, fanno pagare le dispense agli studenti. Allora mi sono detto che un modo per utilizzare il net poteva essere quello di introdurvi delle dispense virtuali: i miei studenti vanno su Internet, spingono un bottone e se le stampano gratis.

STUDENTE: Per quanto riguarda l’economia, l’aumento di velocità porta ad un aumento di produzione e ad un’inasprirsi della concorrenza. In una parola porta al capitalismo…

FABBRI: Ovviamente il capitalismo esisteva già da prima: esso rappresenta un modo di organizzazione della produzione. Indubbiamente l’enorme rapidità dell’informazione – la onnipervasiva simultaneità dell’informazione – accelera l’evoluzione dell’economia, così come aumenta la presenza di ingorghi al suo interno: mentre prima c’erano delle persone che giocavano sulle differenze di informazioni per speculare, in questo momento le informazioni sono tutte in simultanea. Circolano milioni di notizie e individuare quella pertinente diventa un problema di fiuto. Curiosamente, è proprio questa enorme quantità di informazioni a stimolare il ritorno di un istinto nello scoprire ciò che è veramente importante. Certamente tale sistema accelera dei processi caratteristici della produzione capitalistica la quale, dalla fine del Settecento, è stata strettamente legata alla velocità.

Bene, vi saluto e vi ringrazio per la vostra attenzione.

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