Intervista su Fabio Mauri


Da: AA.VV., Fabio Mauri. Arte per legittima difesa, Catalogo della mostra, GAMeC books, Bergamo, 2016.
A cura di Stefano Raimondi.


Dal 7 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017 la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo (GAMeC) presenta una personale dedicata a Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), tra gli artisti più rilevanti della scena italiana a partire dagli anni Sessanta. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da GAMeC Books, che si propone di evidenziare la “contaminazione del linguaggio”, tratto caratteristico dell’artista, attraverso una serie di interviste costruite attorno i sei nuclei tematici che vanno a comporre la mostra. Il Direttore Giacinto Di Pietrantonio, oltre ad arricchire il catalogo con un testo introduttivo interroga lo scrittore Tommaso Pincio e il giornalista e saggista Antonio Gnoli, rispettivamente sui temi della narrazione e dell’identità; Giovanna Brambilla, responsabile dei Servizi Educativi della GAMeC, dialoga sul tema dell’ideologia con il filosofo della scienza Giulio Giorello; Sara Fumagalli, curatore della GAMeC, si confronta sul tema dei diritti con il docente e ricercatore in antropologia culturale Luca Ciabarri; Valentina Gervasoni, assistente curatore della GAMeC, intervista sul tema tempo Antonio Somaini, docente e studioso di cultura visuale alla Sorbona di Parigi; Stefano Raimondi, curatore della GAMeC, raccoglie la testimonianza del semiologo Paolo Fabbri, rispetto al tema del linguaggio.

SR Linguaggio è guerra è un’opera-libro che Mauri realizza nel 1975, raccogliendo, selezionando e manipolando una serie di immagini relative alla Seconda guerra mondiale, un momento storico irripetibile e decisivo. Quest’opera in particolare innesca, tra le altre, riflessioni sulla storia, l’ideologia, il potere, le immagini e il ruolo dell’artista. Possiamo dire che tutti questi elementi ruotano intorno a una forza gravitazionale e contrastante che è il linguaggio? Cosa è e come viene usato da Mauri il linguaggio?
PF Mauri parla di quest’opera, in anteprima e in modo approfondito, in un’intervista del 1974 al critico Tommaso Trini1. Sostiene che la riflessione che lo condusse a realizzare Linguaggio è guerra era dovuta all’interesse per la ricerca semiotica, la disciplina che si occupa dello studio dei segni e dei linguaggi e il modo in cui articolano il senso – la quale ricopriva, allora, un ruolo di grande rilevanza nella cultura italiana e internazionale. Per Mauri “senza un’attenzione protagonista al linguaggio […] non si comprende e non si trasforma alcun tipo di realtà politica”2. Dispone quindi le sue immagini timbrate con la dicitura “linguaggio è guerra”, per dimostrare “l’uso aggressivo e dunque ideologico del linguaggio. La proposizione – aggiunge – mi è suggerita da un attento esame del lavoro dei semiologi”3. Non dalla loro pretesa di considerare questa disciplina “la regina delle scienze”4, ma dal riconoscimento che il linguaggio non ha solo una funzione dichiarativa del mondo ma è “un atto con cui ci si pone contro altre codificazioni e linguaggi”5. Il linguaggio per lui non ha solo forme e riferimenti, ma forze e valori; dispone, dalla sintassi alla retorica discorsiva, di forze specifiche, di natura interrogativa, imperativa, condizionale, ottativa; modi non riducibili alla dimensione filosofica di verità. Atti performativi che interpretano e impongono conflittualmente un senso, un significato e un orientamento. Anche con il vigore profetico che Mauri attribuiva fin d’allora a un artista come Christo (“La profezia prevede il reale, in parte lo realizza”6).
“Il linguaggio – dunque, per Mauri – strutturalmente è ideologico. Nominare le cose significa utilizzarle, dargli un senso, una posizione: questa prospettiva è carica di oggettività, ma anche estremamente personale”7. Per questa capacità costruttiva d’una propria pertinenza, alternativa ad altri valori e a contrastanti punti di vista, “l’attività del poeta coinciderebbe con un massimo di aggressività”8.
Questo concetto che suona paradossale e, oggi, politicamente scorretto, è simile a quanto sostenuto da de Saussure per cui la semiotica rileva e studia non delle entità di per sé intelligibili, ma rapporti discreti tra segni dal timbro differenziale e oppositivo.

SR Se la significazione, ossia la relazione tra un significante e un significato, non è più, in qualche modo, autoreferenziale ma viene “gettata nel mondo”, continuamente rinegoziata e combattuta, allora il linguaggio non è più solo il territorio della moderazione ma anche del conflitto. Ma dove risiede e come si relaziona al problema dell’ideologia questa differenziazione e conflittualità del linguaggio?
PF La differenziazione è tra gli elementi costitutivi del linguaggio ma anche tra gli attori del discorso: gli enunciatori dell’interlocuzione. Il linguaggio serve per mettersi d’accordo sul senso ma può anche esprimere e creare un radicale dissenso: ci sono contrasti e contratti. Questo ci conduce al tema dell’ideologia enunciata da Mauri ma, allo stesso tempo, da Umberto Eco. Nel 1975, anno in cui scriveva il Trattato di semiotica generale9, probabilmente noto a Mauri, Eco dedicava, infatti, un capitolo all’ideologia, intesa non come falsa coscienza, ma come maniera di “pertinentizzare”, rendere salienti, alcuni concetti o valori rispetto ad altri sottaciuti, “narcotizzati”, o comunque non marcati. Questa nozione d’una conflittualità insita nel linguaggio – e in ogni altro sistema semiotico, come l’immagine fotografica – è la stessa che conduce Mauri a una riflessione sugli aspetti polemici della lingua; sulla sua interna teatralità. C’è una drammaturgia conversazionale nella parola in atto, dove ci troviamo legati da contratti e conflitti, convenzioni e dissensi, paci e guerre. Mauri esplora e rappresenta i modi di comunicazione che caratterizzano la guerra. Regime sanguinoso di comunicazione in cui degli attori in posizione agonistica sono obbligati a tener conto delle azioni compiute dall’antagonista; nel combattere non ci si può permettere d’ignorare l’intenzione e le operazioni dell’avversario se non pagando un altissimo prezzo. Combattere è la forma estrema delle strategie e delle tattiche di comunicazione che si gioca sempre su due piani, quello militare, dell’armamento distruttivo e quello comunicativo, dell’intercettazione e falsificazione delle informazioni10.

SR Non a caso la guerra, l’esperienza della Seconda guerra mondiale, riveste un ruolo decisivo nella vita di Mauri. Durante la guerra ha visto e vissuto la sofferenza così intensamente da uscirne sconvolto. Mauri capisce, quindi, perfettamente l’importanza dell’evento, la interiorizza e prima e successivamente la traduce. Ma che tipo di guerra è quella vissuta da Mauri?
PF Mauri si rende conto che la guerra è, secondo la nota definizione dell’antropologo Marcel Mauss, un “fenomeno sociale totale”. La Seconda guerra mondiale rientra esemplarmente in questa categoria. Mauri è stato testimone della probabile fine di quell’immenso quanto tragico progetto che parte con la Rivoluzione francese. La costruzione del modello statalista e nazionalista dell’organizzazione sociale prevedeva in Europa che ogni cittadino fosse un soldato. Non offre il pubblico servizio di combattente, il cittadino è soldato e viceversa. La Seconda guerra mondiale è il fenomeno sociale totale di un modello totalitario estremo. Le parate e i grandi raduni erano (e talvolta sono ancora) una “iper-estetizzazione” e teatralizzazione della guerra: la semiologia delle collettività totalitarie.
L’intuizione profonda dell’artista è che forse si tratta dell’ultima di questo genere di guerre. Non nel senso di Comte, che intendeva “seppellire il cadavere delle guerre”; le guerre ci sono e ce ne saranno. Mauri presenta e rappresenta l’ultimo momento di un processo ideologico che comincia alla fine del Settecento e termina probabilmente nel 1945. Coglie la conclusione di quel conflitto totale in cui tutti i cittadini sono soldati.

SR Come arriva a questa intuizione e come riesce a trasmetterla attraverso la selezione delle immagini che nella loro successione formano l’opera?
PF Mauri si appropria artisticamente di immagini, foto di guerra: che chiamiamo semiofori11, ossia i portatori di segno, come le bandiere, le divise nei loro contesti cerimoniali: gli alzabandiera, i funerali, le parate, le uniformi, tutti riti dove si inalberano e si esibiscono determinati segni, simboli e insegne. Il grande tragico teatro della guerra, con i suoi scontri e le sue celebrazioni, è fondamentale nella scelta delle immagini di Mauri e in molte altre sue opere. In numerose immagini dell’opera-libro, lo colpisce particolarmente il simbolismo espresso nell’ideologia nazista. La bandiera dove Hitler colloca il colore bianco dei nazionalisti e il rosso per sottrarlo ai socialisti; la divisa, dove il cachi è ripreso dagli inglesi, il képi è il copricapo dei cacciatori delle Alpi, gli stivali della cavalleria, la cinghia trasversale inventata da un combattente inglese privo d’un braccio e così via.
Un secondo aspetto comunicativo: linguaggio della violenza e il suo aspetto metalinguistico. Un pensiero dell’azione e sull’azione. Oggi diremmo, proseguendo l’intento di Mauri, che la guerra è metalinguaggio: si comunica sulla comunicazione per rifletterla e trasformarla. Il linguaggio è il luogo della strategia di codificazione e decodificazione, come ci ricorda l’esempio della macchina Enigma, usata dai tedeschi per comunicare tra loro e decodificata dagli inglesi (Turing), con importanti conseguenze sull’esito della Seconda guerra mondiale. Nella quale sono stati inventati la teoria dell’informazione, i radar, i computer e rinnovata radicalmente la criptologia. Gran parte delle invenzioni tecniche della modernità vede la luce nel corso spasmodico del conflitto. Mauri lo avverte e lo indica.

SR A questo punto, è chiaro come il linguaggio è la guerra e come la guerra si combatta attraverso il linguaggio. Ci sono all’interno dell’opera delle immagini specifiche che ritieni possano esprimere in modo approfondito questo concetto?
PF Tra le icone belliche per Mauri è fondamentale quella dell’aereo, raffigurato isolato e in formazione: in ricognizione e in battaglia, come portatore di insegne e per gli aspetti traccianti del cielo. C’è soprattutto un’immagine che mi ha “punto”, come direbbe Barthes: un aviatore che dall’aereo punta un grosso strumento fotografico da ripresa. Una ricognizione che Paul Virilio avrebbe chiamato “dromoscopica”, cioè una visione in volo. In questa immagine è chiaro che lo strumento ottico è un’arma: nel suo collimatore riprende la realtà e il nemico da distruggere. Alla mira aerea e alla portata dell’obiettivo fotografico rispondono, però, altre strategie visuali del conflitto. Mauri riporta un’immagine di camouflage: soldati che coprono un’arma con una rete mimetica, inventata per sottrarsi allo sguardo che proviene dal litorale verticale. (Come i cannoni dipinti in camouflage dai cubisti francesi nella Prima guerra mondiale di cui Picasso ebbe a dire: “ma questo l’abbiamo fatto noi”). La rete e le uniformi, equivalenti del coprifuoco notturno, occultano o travestono uomini e paesaggi.

SR Il linguaggio diventa una partita a cui si risponde colpo su colpo, parola su parola, immagine su immagine, in un gioco potenzialmente senza fine di travestimenti e smascheramenti. Uso la parola fine riferendomi a un’altra opera nota di Mauri, la serie di dipinti su sfondo monocromo, recanti appunto la parola fine. Fine forse della guerra e fine anche del linguaggio?
PF Le guerre, come ogni lite, peggiorano sempre nel loro corso e possono finire tragicamente. Mauri, ripeto, cattura l’omologia stretta tra la strategia bellica e la strategia linguistica e segnica. Possiamo articolare questi concetti riformulandoli: ci sono regole e strategie operative – mosse e contromosse – come ci sono delle tattiche nel linguaggio e sintassi delle immagini.
Se si è costretti a tenere conto dell’azione della controparte, si genera l’inevitabile emergenza di un salire progressivo e reciproco agli estremi. I due casi di trasformazioni interdipendenti delle immagini – quella scattata dall’alto e la sua messa in scacco nel camouflage – mostrano il meccanismo dell’escalation metalinguistica della guerra. Segno per segno, trucco per artificio. Non è un caso se primo teorico del camouflage sia stato un pittore americano: Abbott Thayer – senza citare poi, Warhol e Boetti.

SR Anche Mauri sembra utilizzare in quest’opera il linguaggio e il metalinguaggio con una strategia ben definita. Mi riferisco al timbro che appone sulle singole immagini e recante la scritta “linguaggio è guerra”.
PF Il timbro è un segno costitutivo dell’operazione concettuale di Mauri. È una firma – un piccolo blasone – e una legenda – nel senso geografico – dell’immagine. Un gesto di appropriazione12 per cui le raffigurazioni della guerra – un’enciclopedia di luoghi comuni visivi oggettivata da media propagandistici – cambiano di tono, senso e destinazione. Si riscrive, così, pragmaticamente il contratto di comunicazione, redigendo un invito, sollecitando una risposta, una partecipazione. Il timbro è un atto enunciativo che propone un io/tu/voi; trasforma l’immagine impersonale aggiungendole una reciprocità.
Mauri, peraltro, viveva in quegli anni una temperie di guerra “fredda” internazionale, non solo transitiva – scontro con un Altro da me – ma anche riflessiva – civile (le BR, attive tra gli anni ’70 e ’80) e interiore. Anche la psicanalisi ritrova nel linguaggio una retorica di figure – metafore e metonimie – e soprattutto la presenza di istanze in conflitto tra desideri e censure. Il discorso che occupa l’analisi non è espressione e riferimento, ma formazione di compromesso tra contrapposizioni e collisioni.

SR Un altro aspetto collegato a questa idea di ri-soggettivazione e coinvolgimento credo si ritrovi nella scelta di Mauri di usare un timbro per imprimere le parole sulle immagini e non, per esempio, una firma con le medesime parole. Allo stesso tempo queste parole – linguaggio è guerra – che poi titolano l’opera, sono prive di determinazione.
PF È vero, non è una firma come l’artista avrebbe potuto fare. Questo è un esempio saliente del significato come valenza, valore differenziale. Diversamente della firma, che è gesto singolare fino all’illeggibilità, il timbro è un diagramma riproducibile e non determinativo. Anche il titolo del libro, infatti, è linguaggio è guerra e non il linguaggio è la guerra. C’è nel gesto meccanico e automatico del timbro un’appropriazione, una vidimazione, ma non determinativa. Quanto alla timbratura che “impronta” l’immagine, essa risponde a uno dei problemi caratteristici dell’idioma fotografico. La fotografia non è sempre un messaggio più denso rispetto all'”astrazione” linguistica; è certo, però, che quando ci esprimiamo con essa chiediamo di riconoscerla e di interpretarla. Ora, il timbro è già una risposta a questa domanda cognitiva ed ermeneutica; l’appropriazione sigillata “annulla” il valore di mera informazione visiva con un’operazione artistica di stampo concettuale e avanguardistico.

SR Penso che la lettura di Mauri in rapporto all’arte concettuale e ad alcune avanguardie storiche, prima di tutte il Futurismo, possa offrire molti spunti di riflessione e di rilettura dell’opera di Mauri.
PF Mauri questiona concettualmente l’estetico. Quando s’appropria in quel modo delle visioni della guerra non si pone il problema di cosa è l’arte ma di quando si dà arte – che è la prospettiva di Duchamp. L’arte è comunicativa e dichiarativa del mondo, ma proprio per il soggetto scelto, la guerra, Mauri può aggiungere che l’arte è una panoplia di forze, non un repertorio di forme. Come abbiamo detto, afferma l'”aggressività dell’atto artistico”, che è anche quella di uno speech act.
Credo, perciò, che per Mauri la guerra rimandi all’esperienza futurista. Non già perché pensi come Marinetti, che sia “igiene del mondo”, ma per la rottura artistica col passato connessa a un radicale rinnovo dei linguaggi. Nell’opera-libro ci sono alcune notevoli foto di piloti ripresi attraverso il primo piano dell’elica del loro aereo. Come non rammentare allora il Manifesto tecnico della letteratura futurista13, che proclamava, nel 1912, il rinnovo del linguaggio passatista e “ciceroniano”, descritto da un Marinetti in volo sulle ciminiere di Milano? È all’elica che il futurista lascerà la parola per dettare le nuove regole del linguaggio poetico: verbi all’infinito, niente avverbi, pochi gli aggettivi illuminanti, cancellazione dell’io14. Senza dimenticare, però, che il riferimento al Futurismo è mediato in Mauri dall’esperienza inesprimibile, quanto liberatrice, della sconfitta.

SR Al riguardo, e per chiudere, mi torna in mente l’aneddoto di quando nel 1912 Duchamp, Léger e Brancusi visitarono il salone dell’aeronautica di Parigi e Brancusi di fronte a un’elica di aeroplano, rimase tanto ammirato da esclamare: “Questa si è una scultura! E la scultura d’ora in poi non dovrà essere da meno”. E Duchamp a sua volta rivolgendosi a Brancusi: “È la fine della pittura. Si può fare di meglio? Tu sapresti fare altrettanto?”.


Note

  1. Tommaso Trini, “Fabio Mauri: linguaggio è guerra. Intervista”, in Data, Num. 2, anno IV, Milano, primavera 1974. Disponibile all’indirizzo: http://www.artslab.com/data/img/pdf/011_50-53.pdf (ultima consultazione: 25 agosto 2016). torna al rimando a questa nota
  2. Ivi, p. 52. torna al rimando a questa nota
  3. Ivi, p. 50. torna al rimando a questa nota
  4. Ibidem. torna al rimando a questa nota
  5. Ibidem. torna al rimando a questa nota
  6. Ibidem. torna al rimando a questa nota
  7. Ibidem. torna al rimando a questa nota
  8. Ibidem. torna al rimando a questa nota
  9. Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975. torna al rimando a questa nota
  10. “La dichiarazione di guerra è l’oggetto di una semiologia filosofica; lungi dall’essere una semplice constatazione, la dichiarazione è una vera Sinngebung, una donazione di senso”. Alexis Philonenko, Guerre et langage. Essais sur la philosophie de la guerre, Vrin, Paris, 1976. torna al rimando a questa nota
  11. Il termine semioforo viene usato da Krzysztof Pomian nel suo libro Cosa è la storia, Milano, Mondadori, 2001. torna al rimando a questa nota
  12. Un caso particolarmente significativo di appropriazione artistica è il libro d’arte intitolato Purloined (Sottratto), un giallo composto unicamente di numerosi frammenti di autori molto diversi tra loro. Per Kosuth, parlare è appropriarsi di un vocabolario comune. torna al rimando a questa nota
  13. Luciano De Maria (a cura di), Filippo Tommaso Marinetti e il Futurismo, Milano, Mondadori , 1973. torna al rimando a questa nota
  14. “In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. […] Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse […]”. Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912. Disponibile all’indirizzo: http://www.classicitaliani.it/futurismo/manifesti/manifesto_lett_futurista.htm (ultima consultazione: 25 agosto 2016). torna al rimando a questa nota
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