Da: Antonietta Demurtas, Lettera 43, Giovedì 28 Novembre 2013.
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Altro che tragedia. La fine del Cav è un musical grottesco. Ma Fabbri avverte: «Risusciterà».
Il giorno dopo la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore non è, come scriveva Giacomo Leopardi, quello della «quiete dopo la tempesta», in cui «l’uomo a’ suoi studi intende? O torna all’opre? O cosa nova imprende?».
Il 28 novembre, nel Paese dell’eterno ritorno non si intraprende nessuna nuova opera, perché «l’Italia non sa fare altro che tornare sulle proprie esperienze passate», dice a Lettera43.it il semiologo Paolo Fabbri.
«Il problema è che non abbiamo più attese». E così anche davanti a quello che l’esperto definisce «un piccolo evento storico», ovvero «la deposizione di Berlusconi», gli italiani sono inerti, «stanno a guardare», o al massimo vivono nella paura. Come quella «che lo zombie ritorni per vendicarsi».
DOMANDA. L’attesa è finita o è un intero Paese a essere sfinito?
RISPOSTA. La storia è fatta in due modi: c’è l’esperienza che è il passato e l’attesa che è il futuro. Noi semplicemente non abbiamo più attese.
D. Un’Italia senza Berlusconi, ma anche senza un futuro?
R. Sì, tanto che una volta deposto Berlusconi anziché chiederci cosa accadrà ora di nuovo, sappiamo solo chiederci se ritornerà.
D. E c’è chi ancora ne piange la dipartita come le sue donne, che durante il voto in Senato erano tutte vestite di scuro?
R. La mise delle parlamentari rappresenta un elemento semiotico specifico: il lutto. Siamo infatti nell’esperienza del passato e davanti al morto, al deposto. Come ci vestiamo? Di nero.
D. Una coreografia perfetta.
R. Federico Fellini che guardava spesso la televisione con intento critico diceva che la tivù stava diventando un funebre musical. Guardando le signore vestite di nero ho pensato che il regista avesse proprio ragione.
D. Un Amarcord funebre?
R. Ma senza la dimensione tragica.
D. C’era più rabbia?
R. Nemmeno, se fosse stato così per esempio le donne si sarebbero vestite di rosso. Poi la rabbia si esprime con la violenza. Invece è già malinconia, vedovanza. Ieri è andato in scena un luttuoso musical.
D. E ora che cosa andrà in scena?
R. Nulla, al massimo ci sarà una reiterazione. È la fine delle attese e la minaccia del ritorno delle esperienze, tipo zombie.
D. Lo zombie sarebbe Berlusconi?
R. Sì, il suo ritorno sarebbe una specie di resurrezione cannibalesca. Nessuno può pensare che ritornerebbe se non per vendicarsi, morsicare i suoi.
D. Il regolamento dei conti dopo il parricidio?
R. È questo il timore, che un giorno Berlusconi possa tornare, ma da zombie. Ormai è un personaggio andato.
D. A cui molti però credono ancora tanto.
R. Karl Marx diceva: «Tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa». Ecco il 27 novembre c’era questo sentimento drammatico, tragico, ma il genere era un musical, una piccola farsa, era già auto-satira.
D. Che ha anche un po’ della saga familiare: il tradimento del delfino, la difesa dei figli…
R. Apparentemente sembra una diatriba, una tragedia ma in realtà è tutto patetico. Siamo nella farsa generalizzata ed è questo l’aspetto più avvilente. Come ha scritto Philippe Ridet, il corrispondente italiano de Le Monde, per l’Italia Berlusconi non è ormai un problema politico, ma etnografico.
D. Si spieghi meglio.
R. Da una parte c’è la rappresentazione farsesca, dall’altra però c’è il pubblico che è il vero problema. Serve qualcuno che studi gli elettori di questo signore, che lo guardano e, anziché vedere la farsa, vedono la tragedia.
D. Tutti ipnotizzati dal suo fascino?
R. Non siamo più neanche alla persuasione, c’è una specie di adesione a livello molto basso di valori che sono mutati in maniera radicale.
D. Per esempio?
R. Anche l’identificazione familiare, il caso edipico, è immediatamente bloccata dal fatto che questo non è un buon padre, è un buffone pieno di donne, come dicono altri «un puttaniere», eppure i figli ne parlano come una specie di figura esemplare.
D. Ma si sa i figli so’ pezzi ‘e core.
R. Per questo dico che gli aspetti tragici sono in realtà grotteschi. Siamo nella società dello spettacolo e siamo tutti spettatori. La mattina le persone si alzano e anziché fare qualcosa, guardano che cosa succede. In altri tempi sarebbero successe cose straordinarie.
D. La rivoluzione?
R. No, ma qualcuno probabilmente l’avrebbe ammazzato, ci sarebbero stati scontri di grande violenza. O più probabilmente la destra sarebbe scesa in piazza in sua difesa in maniera molto pugnace.
D. Invece?
R. Non succede niente. C’è questo generalizzato sentimento di spettacolo luttuoso, ridicolo e grottesco. Si attende solo il sequel, che sarebbe il ritorno dello zombie. È l’effetto delle società dello spettacolo. E in questo Berlusconi è ancora il responsabile.
D. Il primo attore?
R. Sì, grazie alle sue reti televisive. Ricordiamo che è stato deposto dalla posizione politica, ma non da quella mediatica in cui occupa ancora un ruolo fondamentale.
D. Dal quale nessuno può deporlo.
R. Ci sono tante cose che si potrebbero fare, anche solo risolvendo il problema di distribuzione delle frequenze televisive.
D. Ma?
R. Nessuno agisce, anche chi dovrebbe farlo è spettatore e pensa che come ha fatto Napoleone Bonaparte dopo l’esilio all’isola d’Elba, così anche Berlusconi dopo Antigua, tornerà in Italia. E allora ci saranno i 100 giorni dello zombie.
D. È un pubblico amante della fantascienza?
R. No, sono solo una specie di bonapartisti ridicoli.