Tesina di Valentina Zanatta, Corso di Letteratura artistica, Anno Accademico 2004-2005.
Premessa
Riflettendo su tema che mi sono proposta ho considerato il pensiero come una categoria (intesa nel senso d’uso più comune del termine) che raggruppa modi diversi di svolgere l’azione “pensare”.
Intendo considerare De Chirico come un pittore e un filosofo che si esprime attraverso due mezzi comunicativi, la pittura e la scrittura.
Con questo intendo dire che dobbiamo tener conto che anche quando scrive De Chirico rimane un pittore, che lavora per associazioni di immagini anche nella scrittura, e ha un suo universo semantico coerente, non è quindi la coesione che si deve cercare all’interno del testo. La filosofia di cui parlo non è quella sistematica teorica, ma quella che in qualche modo riporta a Nietzsche e a “… i filosofi che hanno superato la filosofia…”, “… poiché hanno superato la contemplazione dell’infinito…”1. La regola della filosofia di De Chirico è la meditazione, che si mette in atto attraverso esercizi spirituali. Intendo considerare la meditazione come una variante interna della filosofia e per questo pensare a De Chirico anche come un filosofo.
Le fonti che intendo utilizzare si limitano esclusivamente a scritti e dipinti di De Chirico, tra cui Ebdòmero e Il Meccanismo del pensiero. Le riflessioni sviluppate sono frutto di un osservazione personale che non vuole ingenuamente esprimere il pensiero del Maestro durante la realizzazione dell’opera. Queste considerazioni intendono aprire delle possibilità, delle ipotesi all’interno del lavoro di De Chirico.
La meditazione e il pensiero filosofico in De Chirico
Tra il 1942 e il 1943 De Chirico scrive un saggio che intitola Discorsi sul meccanismo del pensiero. Saggio filosofico. In poche pagine l’artista, parla di come funziona lo sviluppo del pensiero nella mente umana e quali sono i fattori che lo determinano. Dice che “La forma corrente del pensiero umano è l’immagine visuale”2; questa è formata dalle impressioni sensoriali che il cervello riceve: “… le immagini esistenti nel nostro spirito…” raffigurano “… dei concetti, dei sentimenti o delle idee metafisiche”3. De Chirico scrive che anche i sentimenti producono delle immagini. Considera i sentimenti più forti: tristezza e felicità. La tristezza fa materializzare l’assenza della cosa desiderata, le immagini sono buie; al contrario la felicità è la presenza della cosa desiderata, le immagini sono luminose (per esempio, una cosa che De Chirico desidera raggiungere è la purezza). Le idee metafisiche non sono né fantasia né realtà, il loro legame più forte è quello con le impressioni. Le impressioni sono molto importanti, De Chirico le descrive come “… veri e propri pensieri sentiti dal nostro corpo…”4.
“I momenti in cui noi sentiamo o pensiamo per mezzo del nostro corpo sono probabilmente i soli momenti in cui il nostro cervello non pensa poiché esso è completamente occupato ad ‘ascoltare’ i pensieri del nostro corpo”5.
Questa frase con la quale si conclude il saggio è fondamentale, per quanto riguarda il pensiero e la meditazione. In Ebdòmero, i problemi complicati che portano alla meditazione occupano lo spirito. La meditazione può essere un esercizio che si rivolge oltre che all’ascolto dei pensieri della mente, anche all’ascolto dei pensieri del corpo.
Ebdòmero è stato pubblicato nel 1929 a Parigi, con questo testo De Chirico crea un antologia contenente il suo linguaggio, modo di pensare e porsi davanti a situazioni, persone, oggetti, ecc.
Ebdòmero (nome proprio di persona) è un alterego di De Chirico, nel senso che pensa e vede nello stesso modo dell’artista. De Chirico-Ebdòmero pensa per associazioni, che possono essere di idee ma anche di immagini, questo modo di lavorare è identico a quello che utilizza per le sue opere pittoriche.
Ebdòmero è un testo multisfaccettato, difficile da definire. È composto non da un solo genere ma da un montaggio di generi (per esempio: genere parabolico, papier collé). Quello sulla quale mi soffermerò è il “genere dell’esercizio filosofico”.
Prima di parlare del modo di pensare di Ebdòmero, vorrei sottolineare come nel testo è messa in rilievo “… l’imbecillità umana che considerava immensa ed eterna come l’universo…”6, ovvero il modo di pensare dell’uomo, contemporaneo e non. Il problema sta nella non comprensione delle persone, non solo quelle che disgustano l’artista, ma anche i suoi amici. Ebdòmero quando parla con gli amici, suoi discepoli fedeli, parla con noi interlocutori. Amici che non comprendono, che non lo capiscono, ma anche amici da mettere in guardia e alla quale presentare degli enigmi, che possono essere presi in considerazione o ignorati.
Fin dalla prima pagina Ebdòmero si mette a riflettere su un problema importante che persiste all’interno del libro e sembra essere tra i primi che gli preme di comunicarci. Riflette sulla sua difficoltà di farsi capire dalla gente, dal momento che si trova a una certa altezza o profondità. Continua parlando a se stesso dicendo “… a me, il pensiero che qualcosa sia sfuggito alla mia comprensione, impedirebbe di dormire, mentre la gente in genere può vedere, udire, o leggere cose per essa completamente oscure senza turbarsi…”7, la sua affermazione intende mettere in allerta il lettore che probabilmente non ha afferrato cosa lui cercava di comunicare precedentemente, allo stesso tempo vuole parlare della stupidità e dell’ignoranza degli uomini, fatto che lo rattrista. Parla anche di se stesso, del suo turbamento di fronte all’incomprensione, e quanto sente indispensabile capire.
All’interno del testo vengono chiamati in causa filosofi idropici che lo disgustano, per ciò al tempo stesso pensa ad altro ovvero a cose di cui vale la pena pensare. Un pittore amante la penombra, “… che per soddisfare un desiderio di un romanticismo di cattiva lega, voleva costringere decine e decine di individui a stare nell’oscurità, senza pensare che tra tutta quella gente vi erano forse dei fotomani, …”8. Ebdòmero dopo aver guardato in modo assorto l’uomo “… pensò con tristezza alla stupidità e incommensurabile egoismo…” di quell’individuo, che era tra l’altro senza tatto “… una delle principali virtù dell’uomo…”9 per Ebdòmero.
Gli amici, nonostante spesso non lo comprendano, ed Ebdòmero preferisce rivolgere a se stesso certe domande, vengono considerati come “… i soli che, malgrado tutto, mi abbiate finora meglio capito…”10.
Si può dividere schematizzando il pensiero di Ebdòmero in tre generi: 1) la riflessione e il pensiero comune, 2) i ricordi e 3) la meditazione.
Ci sono momenti inoltre in cui Ebdòmero ritiene sia “Meglio non pensarci…”11, “… non bisognava pensarci…”12 dice riferendosi a cose senza rilevanza.
Spesso Ebdòmero pensa nel senso più comune del termine, in alcuni casi riflette, fantastica, o lo si trova pensoso. Pensa ai sogni della sua infanzia, a città, esperienze metafisiche e ad associazioni che avvenimenti, oggetti, persone e quant’altro gli fanno affiorare. In questo stato pensoso Ebdòmero viene rappresentato anche in un quadro di un amico pittore, quasi a sottolineare che si tratta di una sua peculiarità. Il quadro in questione non esiste nella realtà, si tratta di Caucaso e Golgota e raffigura una crocifissione, all’interno della quale, a lato, sopra una pietra siede “… Ebdòmero pensoso che guardava un lontano paesaggio di officine e di comignoli fumanti…”13; i paesaggi moderni pieni di fabbriche raffigurate anche nei suo quadri, poi aggiunge “… il pensiero dell’artista è profondo…” ma quella pittura “… rimase per tutti un enigma…”; con questi accorgimenti l’artista mette l’accento sull’arcano inserito nel testo.
I ricordi sono dei pensieri particolari, vengono inseguiti, sono legati e in stretto contatto con il pensiero comune, le avventure metafisiche e con la meditazione. “Ebdòmero ricordava quelle cene a base di triglie putrefatte…”14; “A proposito di vendemmie Ebdòmero se le ricordava bene quelle giornate, molto più complicate di quanto sembrassero a prima vista”15; “si ricordava che nella sua infanzia risentiva la stessa tristezza…”16. Molte volte i ricordi sembrano casuali, senza troppa importanza, invece trattano sempre questioni importanti, legate spesso alla purezza.
Il terzo modo di pensare è la meditazione, che si differenzia dalla riflessione per una caratteristica fondamentale, ovvero l’esercizio e quindi la ripetitività.
La prima volta che si menziona questa parola ci si trova nel bel mezzo di un’esperienza metafisica che fa scaturire in Ebdòmero una domanda rispetto quello che sta vedendo. “Ma qui sta la domanda, vivevano essi realmente?… Sarebbe stato difficile dare una risposta, soprattutto così, subito, senza dedicarvi alcune notti di profonde meditazioni, come faceva Ebdòmero ogni volta che un problema complicato occupava il suo spirito”17. Il protagonista quindi, al di là della domanda che si pone in quel momento, parla delle sue profonde meditazioni notturne, come qualcosa di indispensabile che già nella prima pagina del testo aveva introdotto, dicendo che l’incomprensione di qualcosa gli impedisce di dormire. Spesso infatti le meditazioni avvengono di notte e sono sempre profonde e complicate. “Il lato enigmatico, sconcertante e inquietante della testa degli uccelli avevano più di una volta immerso Ebdòmero in meditazioni assai complicate e spesso gli accadeva di parlare da solo…”18, la sensazione che gli davano le teste d’uccello era quella del turbamento. È l’enigma che porta alla meditazione, ma non solo, anche i fenomeni inspiegabili e i problemi complicati che occupano lo spirito.
Successivamente si parla di una domestica invaghita di Ebdòmero, il suo aspetto “… preoccupato e meditabondo… la interessava e a volte, vedendolo appoggiato alla finestra, gli chiedeva se non avesse per caso la nostalgia del suo paese natio…”19. Un giorno la giovane vedendo Ebdòmero giocare con gli amici una partita di calcio con una vecchia scarpa si disgustò, egli aveva perduto “… il suo aspetto nostalgico e meditabondo…”, “… ‘e io,’ pensò con tristezza ‘io che credevo che almeno lui non fosse come gli altri'”20. Non è l’inversione dei sentimenti della domestica o il suo disgusto a preoccupare Ebdòmero, quanto il giudizio di se stesso. Lo scenario cambia subito e i ricordi affiorano, portando un senso di tristezza e vergogna, e il rimprovero “… di non esse abbastanza puro…”21. È questa la questione che lo preoccupa veramente, la sua purezza, essere come tutti gli altri.
De Chirico ci porta a familiarizzare progressivamente con la sua idea di meditazione, ci parla di luoghi, momenti ed enigmi. È a questo punto che Ebdòmero compie l’azione di meditare nel momento preciso in cui ne parla. “Doveva intraprendere da un momento all’altro una lunga ascensione notturna e avere bisogno di raccogliersi; si sedette quindi sopra una pietra ove mise prima il suo soprabito piegato con cura e si immerse in profonde meditazioni…”22. Il momento scelto è ancora quello della notte, Ebdòmero deve compiere un’ascensione, che non è solo fatica fisica per la salita della montagna, ma è anche un’ascensione spirituale. Come nel dipinto Caucaso e Golgota è seduto su una roccia, ma in questo caso non è pensoso, bensì sta per immergersi in una meditazione profonda. A questo punto accade una cosa curiosa, non sono enigmi quelli che lo avvolgono ma ricordi del passato che pian piano affiorano. Ebdòmero si lascia andare a queste nostalgie con gioia, la nostalgia verso un passato, per quanto non rimpianto, è una delle sue debolezze. Prosegue dicendo che i momenti che precedono e seguono il sonno pomeridiano evocano profondamente i ricordi del passato, per questo gli piace dormire durante il pomeriggio. “Rivolgendosi ai suoi amici aggiungeva che si trattava semplicemente di una questione di allenamento…”23. De Chirico sta dicendo che solo allenando il pensiero, attraverso l’esercizio si fa meditazione, il tono che usa è ovvio quasi stesse dicendo una cosa banale e scontata. Prosegue parlando del pittore e di come esso debba metodizzarsi e non sprecare le forze, questo spinge a pensare che anche in pittura la regola della meditazione non cambia. Dopo i consigli che guidano sulla rette via, arrivano anche le ammonizioni. Ebdòmero continua a parlare agli amici e discepoli, “… tanto più che voi tutti siete allenati da lungo tempo al giuoco difficile del rovesciamento del tempo ed a girare l’angolo del vostro sguardo; ciò sia detto senza lusingarvi; poiché sempre voi… credete ancora meno allo spazio che al tempo…”24 e chiuse le imposte “… sull’ardore del meriggio, e nella meditazione dei teoremi imparati a memoria in modo indimenticabile…”25. La semplicità dell’allenamento rivela ora la sua difficoltà.
Mentre gli amici verso le sei scendo alla piazza “… Ebdòmero restava solo lassù…”26, ancora l’altezza geografica accompagna la meditazione, chi non si occupa di questa pratica scende verso il basso. Fino a questo momento Ebdòmero è sempre solo, la meditazione è qualcosa di estremamente intimo, da fare soli fino a tarda sera. In questo momento emerge una questione che rappresenta un altro tema caro a De Chirico: il teatro. “… Quando meditava su tanti enigmi indecifrati, si era posto questa domanda: Perché il teatro ha sempre qualcosa di vergognoso? Non riusciva mai a darsi una risposta soddisfacente…”27.
Prosegue il suo viaggio ed ecco che la meditazione scaturisce dalla visione di una scena di gioia innocente, “… Ebdòmero con le braccia al sen conserte… guardava con aria meditabonda…”28.
Al ritorno di Locorto, il figliol prodigo, “… ovunque fu silenzio e meditazione…”29, per la prima volta non è un personaggio a meditare ma è un gruppo di persone e oggetti, un’atmosfera. Solo “… uno strillone poco preoccupato del mistero e poco interessato alle complicazioni metafisiche…”30 ignorò questo silenzio mettendosi a suonare.
“Certo non era il momento di pensare al lavoro…” Ebdòmero stava “… per giornate intere coricato in una poltrona, coi piedi sopra una seggiola a fumare la pipa e a guardare con aria meditabonda le cornici del soffitto”31. Ebdòmero non è solo, i suoi amici lo vedono meditare, da l’idea di essere completamente estraniato dall’esterno, De Chirico, non gli fa pensare al lavoro, ma lo fa meditare guardando le cornici delle stanze, elemento importanti nel lavoro pittorico dell’artista.
Da questo punto in poi qualcosa inizia a cambiare, De Chirico per quanto riguarda il pensiero prende una direzione precisa, in Ebdòmero avviene una sorta di evoluzione. Il pensiero e soprattutto la meditazione hanno molto a che fare con il capire. Se nel resto del testo il verbo “capire” è usato un numero limitatissimo di volte, nelle ultime venti pagine circa, è utilizzato molto frequentemente. “… e capì tutto. L’enigma di quell’ineffabile gruppo di guerrieri…”32.
La comprensione si fa sempre più profonda e investe tutto. ” Stanco di tutte queste avventure terrestri e metafisiche Ebdomero andò a letto e non si svegliò che il giorno dopo, molto tardi. Anche svegliato egli non si poteva decidere di alzarsi; allora rimase alcune ore nel suo letto a meditare…”. “Allora capì che sarebbe stato logico da parte sua chiudere alla fine di quella stessa giornata il suo ciclo metafisico”33. Ebdòmero stesso annuncia che qualcosa si sta per chiudere, si sta concludendo.
“Egli capì che quanto aspettava non era la felicità, così come in generale la intendono gli uomini…”34. Si accosta ad una comprensione tra il razionale e il sensoriale, “… sentì che questa volta si trattava meno di felicità e più di sicurezza…”, “… un equilibrio assoluto…”35. Dopo le innumerevoli esperienze, meditazioni, avventure metafisiche e terrestri, inizia a capire quello che sta realmente cercando. È la somma delle esperienze che fanno variare le teorie sulla vita, quello che compie ora Ebdòmero è propri la somma delle sue avventure.
Si percepisce che tutto muta rapidamente e che il protagonista sta facendo l’ultimo sforzo, le ultime domande per arrivare a chiudere questa sua grande meditazione. Ebdòmero capisce che sta giungendo al termine, come se finora tutto fosse stato un’unica grande esperienza metafisica che lo ha condotto fino a questo punto, il cuore gli si sommerge di tristezza. Ma in fondo “… perché bisogna da un tratto fermarsi? E rinunciare alle buone sorti e alle possibilità di un’impresa del resto molto costosa ma che permetteva gioie e riposi inattesi e indimenticabili benché non fosse un’impresa da dormire in santa pace…”36.
Ebdòmero ha fatto un lungo viaggio, ha compiuto un’impresa, segnata da esperienze e meditazioni, meditazioni che avvengono spesso di notte e non fanno dormire, ma si può sempre contare nei sonni pomeridiani che fanno affiorare i ricordi. La tristezza per la fine di questa avventura non ha ragioni di esistere perché in fondo non vuol dire fermarsi, nuove imprese lo attendono. Ebdòmero e una sorta di Ulisse moderno che arriva alla sua Itaca dopo un lungo viaggio arricchito di sapere, ma a differenza del protagonista dell’Odissea, l’eroe dechiricano non si ferma, tante sono le sue Itaca.
In conclusione avviene un ultimo mutamento, “… in modo enigmatico una nuova e strana fiducia cominciò a rinascere nel suo animo”37. “Poi, d’un tratto, spazzati da un soffio irresistibile, la paura, l’angoscia, il dubbio, la nostalgia, la scontentezza, gli allarmi, la disperazione, le stanchezze, le incertezze, le vigliaccherie, le debolezze, i disgusti, le difficoltà, l’odio, la collera…”38 avviene qui un trattamento delle passioni, che dovrebbe portare a una sorta di atarassia.
In questo momento si attua lo scopo della meditazione filosofica che consiste nello smettere di pensare ed iniziare a vivere. “… e allora capì. Essa parlò di immortalità nella grande notte senza stelle”39. L’immortalità pone delle domande a Ebdòmero, ad un tratto si blocca e si siede ponendo una mano su Ebdòmero e l’altra sull’Eroe. A questo punto Ebdòmero “… non pensa più… Il pensiero suo, all’aura dolcissima della voce che aveva udito, cedette lentamente finì con l’abbandonarsi del tutto”40. Ebdòmero non pensa più, è il momento di vivere, continuano così le sue avventure.
Le avventure metafisiche e terrestri sembrano spingerci continuamente in diverse direzioni, come a bordo di una nave che attraversa una tempesta, alla fine il viaggio prende una direzione abbastanza precisa e arriva a una sorta di conclusione che una conclusione non è perché questo testo non ha ne inizio ne fine.
È un dono dell’artista che per un centinaio di pagine ci fa entrare nel suo mondo, De Chirico scrive il suo vangelo.
Nell’opera pittorica di De Chirico, la meditazione si traduce in precisi elementi: i colori si fanno sfumati, il tempo si dilata, le ombre si allungano, l’attesa è infinita, tutto il paesaggio sembra meditabondo, come quando Ebdòmero assiste al ritorno del figlio prodigo.
De Chirico realizza una serie di quadri dedicati alla meditazione: La meditazione autunnale (1911-12), La meditazione del mattino (1912), La meditazione del pomeriggio (1912-13), e La meditazione del pomeriggio (II) (1912-13).
Le statue danno le spalle allo spettatore e guardano il mare che non è raffigurato sempre esplicitamente, ma si percepisce attraverso altri elementi. In una sosta infinita, uniche protagoniste dei quattro dipinti, sembrano attendere il ritorno di qualcuno.
Le statue delle due meditazioni del pomeriggio, sono affiancate da un sostegno, un pezzo di tronco d’albero pietrificato, sulla quale appoggiano una mano, sembra che si sorreggano lì per contrastare la stanchezza dell’attesa. La meditazione del pomeriggio è composta in una prospettiva che ricorda c’erti scorci stretti delle piazze d’Italia, la torre rossa che abitualmente è raffigurata insieme a vele di navi (per esempio, La conquista del filosofo, 1913-149) potrebbe informare che al di là del muro si estende il mare. La meditazione del pomeriggio (II) ricorda Il tributo dell’oracolo (1913) un dei dipinti della serie di Arianna. Il treno che passa e le palme, riportano alla stessa atmosfera, al di là di quel muro sembra di sentire il rumore dell’acqua.
In La meditazione autunnale, la statua è affiancata anche in questo caso dallo stesso tipo di appoggio, troppo basso per essere veramente “utilizzato”. In questo quadro c’è qualcosa di diverso, le altre meditazioni sono caratterizzate da una totale solitudine dell’unico personaggio presente, la statua, ha un aria malinconica. Si sa per c’erto che qualcuno è passato di lì, e ha lasciato un bastone.
Ma chi?
Non c’è risposta, si è pervasi da una curiosità morbosa, un enigma senza soluzione certa.
Nel 1973, più di cinquantenni dopo, riappare quello stesso bastone appoggiato al muro fa scorgere la sua ombra. Dalle finestre si vede il mare.
Ma anche qui non c’è responso certo. È il bastone del padre di Locorto?
Come suggerisce Ebdòmero, è l’enigma che fa nascere il bisogno di meditazione.
Oltre a queste atmosfere ed enigmi, la mia ipotesi è che esista un vero e proprio personaggio meditabondo.
Seguendo le indicazioni che troviamo nel testo di Ebdòmero, questo personaggio potrebbe trovarsi seduto, con le braccia conserte, l’espressione immersa nella meditazione più profonda. Nelle opere più recenti, esistono due quadri dal titolo Il meditatore uno è del 1965 l’altro del 1971.
Nel quadro Il filosofo e il poeta si ritrova un altro personaggio immerso nella meditazione, nel saggio Teoria della metafisica De Chirico scrive:
L’arte fu liberata dai filosofi e dai poeti moderni.
Schopenhauer e Nietzsche per per primi insegnarono il profondo significato del non-senso della vita e come tale non senso potesse venir trasmutato in arte, anzi dovesse costituire l’intimo scheletro d’un’arte veramente nuova, libera e profonda. I buoni artefici nuovi sono dei filosofi che hanno superato la filosofia. 41
L’opera I vaticinatori, è composta nello stesso modo, tranne per un dettaglio rilevante, il busto in gesso è sostituito dal busto di un personaggio che si trova similissimo in numerosi altri dipinti e che raffigura a mio parere un meditatore. I vaticinatori sono dei profeti, dei predicatori, coloro insomma che hanno conoscenza di cose future, questi non sono altro che gli artisti e i filosofi.
In Il filosofo-poeta è raffigurato in primo piano lo stesso personaggio meditante con barba e baffi.
In altre opere la posizione del personaggio può contraddistinguere l’azione di meditare. La testa è inclinata verso il basso, gli occhi chiusi come per accentuare la concentrazione, generalmente questi personaggi si trovano in piedi, all’opposto di Ebdòmero che per la maggio parte delle volte si trovava seduto o disteso.
Nonostante questo, non c’è una spaccatura fra le caratteristiche della meditazione tra opera scritta e dipinta, piuttosto le tipicità si mescolano creando personaggi ibridi.
In Il ritornante (1918) il personaggio semi pietrificato, è “in piedi” e ha le braccia conserte, il volto è quello già visto del meditatore con gli occhi chiusi. C’è da dire inoltre che il tema del figliol prodigo sembra intimamente legato alla meditazione, ce lo dice Ebdòmero e i numerosi dipinti, ma in un modo non meglio specificato.
Il cervello del bambino (1914) e Il filosofo (1923-24) presentano due personaggi meditabondi somiglianti ma che sembrano provenire da epoche diverse. Il primo sembra la rivisitazione moderna del secondo, anche se è stato dipinto precedentemente. L’impianto scenico è simile, al centro c’è il personaggio meditabondo, che il titolo ci suggerisce essere un filosofo, per il resto le immagini sono quasi speculari per la posizione degli elementi. Infatti in Il cervello del bambino a sinistra rispetto lo spettatore si trova una colonna che ha lo stesso colore del personaggio, a destra in alto una finestra mostra un paesaggio moderno; in Il Filosofo a destra c’è una tenda dello stesso colore del libro, a sinistra c’è una finestra dalla quale si scorge un castello.
Una considerazione a parete si deve fare per la serie delle Arianna, dove si ritrova un’atmosfera di meditazione, ricreata non dalla posizione della statua di Arianna ma da tutto ciò che la circonda. In Piazza con Arianna (1913), le ombre si allungano, i colori si sfumano, e il treno che passa alle spalle della scena emette uno in quel preciso momento.
Come nei dipinti delle meditazioni c’è una statua in attesa, ma Arianna non attende più Teseo, quanto la fine della sua tristezza. Nel mito Arianna rappresenta lo spirito della conoscenza, colei che con uno stratagemma, districa l’enigma. Quale statua più adatta dunque da circondare in un atmosfera di meditazione.
Il tema della meditazione all’interno dell’opera di De Chirico, anche se trattata con due linguaggi espressivi diversi, mantiene una profonda coerenza, che crea una rete di collegamento tra pittura e scrittura. Inoltre emerge come le opere stesse possano essere considerate esercizi di meditazione filosofica creati dall’artista. Questo è da considerarsi comunque come una sfaccettatura dell’opera di De Chirico, che mantiene al suo interno una costante enigmatica, che non può essere superata da nessuna meditazione.
Note
- Giorgio De Chirico, Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, 1985, p. 68.
- Ibidem, p. 409.
- Ibidem, p. 410.
- Ibidem, p. 412.
- Idem.
- Giorgio De Chirico, Ebdòmero, SE, Milano, 1999, p 66.
- Ibidem, p. 11.
- Ibidem, p. 91.
- Ibidem, p. 27.
- Ibidem, p. 101.
- Ibidem, p. 13.
- Ibidem, p. 74.
- Ibidem, p. 27.
- Ibidem, p. 19.
- Ibidem, p. 25.
- Ibidem, p. 28.
- Ibidem, p. 14.
- Ibidem, p. 25.
- Ibidem, p. 27.
- Ibidem, p. 28.
- Ibidem, p. 29.
- Ibidem, p. 48.
- Ibidem, p. 49.
- Ibidem, p. 50.
- Idem.
- Ibidem, p. 64.
- Idem.
- Ibidem, p. 70.
- Ibidem, p. 81.
- Idem.
- Ibidem, p. 87.
- Ibidem, p. 96.
- Ibidem, p. 109.
- Idem.
- Ibidem, p. 110.
- Ibidem, p. 116.
- Ibidem, p. 118.
- Idem.
- Idem.
- Ibidem, p. 119.
- Giorgio De Chirico, “Teoria della metafisica”, in Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, 1985, p. 68.
Bibliografia
- Giorgio De Chirico,
- Hebdòmeros, SE, Milano, 1999.
- Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, 1985.
- Maurizio Fagiolo Dell’Arco,
- L’opera completa di De Chirico, 1908-1924, Rizzoli, Milano, 1984.
- De Chirico. Gli anni Trenta, Skira, Milano, 1996.