Tesina di Valentina Lucio, Corso di Letteratura artistica, Anno Accademico 2004-2005.
Ebdòmero – il mare è una relazione, o meglio un binomio, particolare che mi ha incuriosito leggendo il libro di De Chirico, ma che ho anche ritrovato in molte sue opere pittoriche, infatti analizzando il testo e trovando poi un riscontro nelle immagini, ho notato che il paesaggio marino è un elemento ricorrente, ma che assume significati diversi.
Certe volte la spiaggia bagnata dall’acqua o il porto fanno parte della descrizione dell’ambiente, altre invece dal mare arrivano gli invasori e i pirati, la sabbia diventa così un letto di morte, un campo di battaglia con le trincee, ma dalle acque può anche arrivare il “ritornante”e può giungere il vento del mare “… il vento fresco e dolce, il vento delle speranze delle consolazioni persisteva”1.
Collegando le immagini alle descrizioni e alle parole del protagonista, mi ha colpito la linea dell’orizzonte, quell’orizzonte spesso delimitato da una cinta di mattoni, oltre la quale si scorge comunque una vela di un’imbarcazione, o dall’azzurro delle acque marine ed ho cercato di comprenderne la valenza.
Nel primo caso si ha come l’impressione che il limite-muro ci protegga da ciò che può arrivare, come “Quando le vele nere dei pirati apparivano lontano sul mare, gli abitanti delle ville correvano rifugiarsi in quel casermone; essi portavano seco i loro oggetti più preziosi, i loro libri, i loro strumenti da lavoro, biancheria e abiti, niente armi, avevano in orrore le armi e del resto ne ignoravano completamente il maneggio”2.
In quadri come “L’incertezza del poeta”, “Il pomeriggio di Arianna”, “La conquista del filosofo”, “Orfeo trovatore stanco”, “L’enigma di un pomeriggio d’autunno”, ma anche in molti altri, l’orizzonte è delimitato dalla linea della fortezza, una linea, secondo me, di demarcazione tra il dentro limitato e statico ed il fuori incerto, è una soglia che può essere varcata con violenza o oltrepassata, o meglio, superata per raggiungere “l’oltre”.
Nelle situazioni descritte dalle opere dell’artista noi spettatori siamo al di qua del muro, l’orizzonte ci è negato, anche se con l’immaginazione riusciamo ad andare al di là, interpretando gli indizi che sbucano in lontananza.
Mentre in queste immagini il mare può essere solo percepito, in Ebdòmero invece “Soffi freschi provenienti dal mare passarono nell’aria come un appello muto”3, la flagranza pervade con una potenza suggestiva le strade delle cittadine nate vicino alle rive. Il protagonista spesso si fa coinvolgere dal rumore della risacca o dalla leggera brezza marina, “Ebdòmero intuì che il vento del mare giungeva finalmente e godè di tutto cuore; presentì pure che stava per assistere a fenomeni inspiegabili che l’avrebbero costretto a lunghe e profonde meditazioni”4.
Il mare è portatore di presagi perché è, in un certo senso, collegato con “… quegli orizzonti lontani e grevi di avventure, che sin dalla sua infanzia Ebdòmero aveva sempre amato”5, solo il marinaio è abituato a guardare molto lontano, è un cercatore che ha il coraggio di imbarcarsi per mari inesplorati. Per diventare intrepidi esploratori bisogna però varcare la fortezza, avere il coraggio di trasformare il limite in soglia, bisogna superare il limite per approdare a nuove conquiste.
L’immagine “Interno metafisico con faro” ci porta oltre il muro di mattoni, che prima ci circondava, il mare non “entra” nella città, ne rimane separato, “Di quando in quando, con una regolarità cronometrica, una lunga onda nasceva a poca distanza dalla riva, si gonfiava, accelerava la sua corsa e veniva precipitosamente a rovesciarsi sulla spiaggia con un rumore di tuono tagliato a metà. Tra un’onda e l’altra erano il silenzio e la calma più assoluti”6.
Le acque sono portatrici di assedi, sono motivo per nascondersi nelle fortezze, nel convento e nei caffè, sono quindi, in questo caso, una forza negativa che non si può domare e che fa paura.
In alcuni quadri, come “La partenza degli argonauti”, “La meditazione autunnale” e “Il saluto degli argonauti partenti” il mare non è più nascosto, ma è orizzonte della scena, entriamo così nel secondo caso prima citato, il senso di attesa per qualcosa che deve succedere pervade la scena, i personaggi e la statua nella seconda opera sono rivolti verso la distesa d’acqua, finalmente in queste occasioni possiamo vedere un mare “…liscio che rifletteva perfettamente il cielo”7, un mare “docile” davanti al quale ci può fermare a meditare. È un mare dove “… tante barchette vogavano come in un sogno”8, che invoglia il viaggiatore a prendere il largo, fa parte di quel paesaggio che spesso Ebdòmero descrive quasi come intermezzo tra le tante sue “avventure”.
Ovviamente, come dice lo stesso protagonista, “… mai fidarsi delle apparenze”9; le acque hanno le loro “… collere pericolose; bisogna stare attenti a non affogare”10, anche nella calma apparente è sempre presente una “sfumatura” di turbamento.
Il mare è propiziatore di “nuove partenze”, o di nuovi arrivi, come nel “Il figliol prodigo”, dove un piroscafo in lontananza ci dice che il “ritornante” è appena sbarcato, è a casa dopo molte vicissitudini. L’abbraccio tra padre e figlio è la risoluzione di un’attesa e il riconoscimento di un pentimento, in questo caso il ritorno dello “scellerato” è anticipato dal “colpo di cannone” che annuncia l’attracco “… nel nostro porto del piroscafo Garolide”11.
In questo caso quindi il mare ha un compito, se si può dire, positivo, il colpo del cannone non è più l’allarme delle invasioni o dei pericoli, tanto frequenti nel libro.
Passando ad altre immagini ricorrenti in “Ebdòmero” la spiaggia diventa un cimitero, un “…campo di battaglia dopo un combattimento”, un reliquario di cadaveri di pirati o di pezzi “… dei grandi vecchi di pietra” che “… furono rotti… e gettati lungo la spiaggia”. “Le onde irruppero fino a quelle tristi reliquie”12. Sulla sabbia però si possono esercitare anche i “Gladiatori in riva al mare”, gli atleti che si allenano nelle ore mattutine nella composizione di “… quadri viventi raffiguranti la morte di Patroclo, i combattimenti tra Greci e Troiani e altri fatti tolti dai poemi omerici”13.
Il mare, lo sfondo per queste vicende “classiche”, calmo e piatto si contrappone,così, all’energia delle scene sulla spiaggia.
Forze centripete e centrifughe dominano, secondo me, il rapporto con “l’acqua”. Da un lato c’è la voglia di varcare il confine di protezione alla scoperta di nuove terre che si possono delineare all’orizzonte e una frase di “Così parlò Zarathustra” esplica bene questa spinta verso il “fuori”: “Aleggia intorno a me qualcosa d’ignoto e di pensoso. A voi intrepidi cercatori, tentatori e a tutti coloro che s’imbarcano per terribili mari con vele sagaci: A voi, ebbri d’enigmi, amatori del crepuscolo. Voi cercatori, voi tentatori e voi tutti che con accorte vele v’imbarcate per mari inesplorati! Oh voi tutti che amate gli enigmi…”14. Lo stesso Ebdòmero, di fronte al mare, si perde in meditazioni, si vede su una zattera insieme ai suoi compagni, come naufraghi che “… guardavano verso il Sud; essi sapevano che là dove soffiava la tempesta, dietro quel mare sconvolto che rovesciava montagne di schiuma sulla riva, era l’Africa”15. In questa immagine, che mi ha fatto ricordare, come in un flash, la tragicità romantica del quadro “La zattera della medusa” di T. Gericault, il protagonista è in balia delle acque, vuole seguire le nubi che si spostano verso il Nord tanto amato, diviene uno stratega-marinaio alla volta di nuovi luoghi da conquistare.
La spinta verso l’interno, invece, è il ritorno dentro le mura, il rifugiarsi dentro i casolari o dentro la stessa camera da letto, è il temere il mare e lo slancio verso l’orizzonte; oltre il muro c’è l’ignoto non si può prevedere cosa accadrà, si possono solo avere delle percezioni e dei forti sentimenti di fronte alla grandezza dello sfondo. Ebdòmero cerca un luogo di pace dove rifugiarsi, spesso si rinchiude nella propria stanza isolandosi in mondi nuovi che entrano da un sipario sollevato, sfondando la parete, nell’abitazione.
Alla fine il protagonista si ritrova a galleggiare nel novello Oceano, “… una grande onda grassa e irresistibile, d’un’infinita tenerezza, aveva immerso ogni cosa”, “Ebdòmero galleggiava immobile, con tutte le vele pendenti”16, ha inizialmente paura, trema, ma poi una certa fiducia incomincia a nascere in lui, quest’onda, che ha sommerso tutto, porta calma e pace, tutte le ansie le incertezze, la vigliaccherie e le debolezze spariscono in un “turbine formidabile”, Ebdòmero s’abbandona verso isole meravigliose, verso quell’orizzonte prima oscurato dal muro.
Note
- De Chirico G., Hebdòmeros, Carte d’artisti, Edizione Abscondita, Milano 2003, p. 42.
- Ivi, p. 51.
- Ivi, p. 85.
- Ivi, p. 42.
- Ivi, p. 69.
- Ivi, p. 16.
- Ivi, p. 16.
- Ivi, p. 30.
- Ivi, p. 57.
- Ivi, p. 55.
- Ivi, p. 79.
- Ivi, p. 73.
- Ivi, p. 95.
- Citazione da Così parlò Zarathustra di Nietzsche, tratta da Calvesi M., Mori G., De Chirico, Art e Dossier, Giunti, Firenze 1988, p. 21.
- De Chirico G., Hebdòmeros, Carte d’artisti, Edizione Abscondita, Milano 2003, p. 74.
- Ivi, p. 118.
Bibliografia
Calvesi M., Mori G., De Chirico, Art e Dossier, Giunti, Firenze 1988.
Dell’Arco M. F., L’opera completa di De Chirico1908-1924, Rizzoli Editore, Milano 1999.
De Chirico G., Hebdòmeros, Carte d’artisti, Edizione Abscondita, Milano 2003.
Marin L., Della rappresentazione, Meltemi Editore, Roma 2001.
Zilberberg C., Soglie, limiti, valori, tratto da Semiotica in nuce, volume II, a cura di Fabbri P. e Mazzone G., Meltemi Editore, Roma 2001.