Il mare e la metafisica in Giorgio De Chirico


Tesina di Valentina Maggio, Corso di Letteratura artistica, Anno Accademico 2004-2005.


Questa tesina riguarda l’approfondimento del tema del mare in De Chirico, un elemento relativo all’opera dell’artista sia letteraria sia figurativa che mi ha incuriosita; il mare, apparentemente è di minore importanza rispetto agli altri “classici” punti chiave che si analizzano nel pensiero dell’artista, infatti rappresenta un aspetto molto affascinante, soprattutto perché sembra non avere molto in comune con gli altri oggetti che fanno parte di una costruzione metafisica di metafisica quando in realtà è un tassello fondamentale di essa.
C’è una continua panoramica di riferimenti sul il tema del mare nell’opera letteraria Ebdòmero: De Chirico fa continui rimandi nel testo alla presenza del mare, per mezzo di semplici descrizioni, similitudini e soprattutto metafore. La mitologia nautica rappresenta un elemento corrente nel testo, ma oltre ad essa, l’artista è molto attento a descrivere le condizioni che permettono una buona o cattiva navigazione: quando il vento soffia molto, quando c’è aria da tempesta, quando il mare è piatto e calmo, quando il sole è alto nel cielo e illumina così tutta la superficie azzurra del mare.
Le similitudini e le metafore presenti nel testo, invece, associano Ebdòmero (l’artista) alla figura dell’eterno viaggiatore e navigatore senza una rotta comune agli altri navigatori, il mare ad uno spazio profondo che nasconde e custodisce il passato e le memorie dell’uomo e quindi pericoloso per il piccolo pescatore che non riesce a vedere il fondo dell’acqua, la camera ad un isola quasi dimenticata dal passaggio delle navi, infine la costa con i porti e le nuove costruzioni moderne sono associate al modo in cui la società moderna non permette più all’uomo di guardare se stesso e la sua storia: il cittadino non mostra più interesse al mare e ai suoi misteri, di conseguenza non è più affascinato a stare sulla spiaggia deserta a rimembrare il suo passato.
I quadri dechirichiani presentano anch’essi dei riferimenti al mare, il quale è raffigurato la maggior parte delle volte come lo sfondo di una scena metafisica in riva al mare, oppure come paesaggio lontano che si vede fuori dalla finestra di una stanza, o ancora come soggetto di quadri che fanno parte di una costruzione di un “interno metafisico”; di fronte ad un opera metafisica, quindi, il mare non appare mai come un elemento fondamentale per la comprensione dell’opera, anzi spesso esso sembra non avere nessun significato valore metafisico, ma in realtà ci sono delle analogie tra l’opera letteraria e le opere d’arte: in entrambe le forme artistiche di creazione dechirichiana, il mare assume una presenza importante che colpisce il lettore: ci deve essere un motivo, ci deve essere un filo logico che collega il pensiero metafisico ad un elemento così naturale diverso dagli altri soggetti scelti; in questa riflessione mi impegno a collegare e spiegare in base alla mia interpretazione personale, dopo aver letto i vari testi, i possibili riferimenti che si possono trovare in questa tematica.

Prima di tutto, il mare rappresenta un elemento fondamentale che ha influenzato la vita e il percorso artistico di De Chirico, a partire dalla nascita; egli nasce in Grecia e per i primi dieci anni della sua vita che trascorre in questa terra, sviluppa una forte passione per l’arte, disegnando il paesaggio mediterraneo dove vive; la Grecia e la mitologia antica diventano uno dei suoi principali interessi, in particolare le divinità marine, i templi, le statue, i quali saranno temi costanti per tutto il suo percorso. Il mito delle “sirene richiamatici” nei canti omerici, con le loro voci divine che hanno teso la trappola a numerosi navigatori, sono simbolo di qualcosa che è ignoto e pericoloso all’uomo e che ha il potere di attirarlo verso di esso.
Fondamentale è la necessità dell’artista di riportare in vita i segni di un’epoca primordiale, in cui anche l’arte aveva una funzione spirituale e anche là le più antiche inquietudini venivano esposte sotto forma di mistero sacro e un magico; il mare, prima di ogni altra cosa, è un segno primordiale, sacro, leggendario che ad esso si collegano tutte le altre vicende sacre e miti, la sua presenza in questo tipo di pittura è completamente giustificata.

– In queste opere, l’artista raffigura il mare come sfondo di figure mitologiche, mettendo in evidenza che il mare fa parte della loro storia, e simboleggia il destino che hanno dovuto combattere, per la loro sopravvivenza nella storia.
Teseo, figlio ateniese di Egeo e Etra, divenne l’eroe nazionale di Atene dopo le guerre persiane e fin da giovane un gran viaggiatore; egli tuttavia avrebbe potuto sempre invocare Poseidone come padre.
Arianna, dea della luna cretese e sorella di Deucalione “marinaio del vino nuovo”, la si collega ad epoca che risale a 3000 anni prima di Cristo; la dea, figlia di Pasifae e di Minosse re di Creta, è stata l’amante prima di Teseo e poi di Dioniso: quando Teso era giunto a Creta, lei lo avrebbe aiutato a sconfiggere il fratello minotauro per scappare poi insieme, ma poi, quando i due partirono insieme verso Atene, lui l’abbandonò a Nasso in una spiaggia deserta, in punto di morte.Teseo continuò da solo i suoi viaggi mentre Arianna venne aiutata e sedotta poi da Dioniso.
Infine anche Babele è raffigurata come importante città antica e sacra in cui gli astronomi si riunivano per consultale le stelle, ma che fu anche simbolo di una terra fertile che fu eretta in terreni poco solidi e toccati da forti venti divini; un grande simbolo di fiorente sviluppo scientifico, agricolo, sociale e sacro che era insidiato dall’acqua distruttrice e dai venti impervi, per mettere in luce l’aspetto del mare come fonte d’insidie, anche nei luoghi più sicuri e stabili.

De Chirico è il fondatore di un’arte considerata “arte nuova”, che è destinata solamente a pochi spiriti umani dotati di una particolare sensibilità e di una chiaroveggenza, cerca di evocare un’epoca primordiale, all’origine delle prima forma di civilizzazione, in cui l’uomo doveva ancora trasformare il suo stile di vita nella società attuale che l’artista non condivide; l’artista cerca un universo di miti e leggende che evocano delle inquietudini: la necessità dell’artista di evocare delle immagini relative all’antichità e riscoprirle sotto un nuovo punto di vista di uomo moderno, giustifica anche la presenza del mare nelle sue opere.
L’opera di De Chirico si basa sul tema del ricordo e sulla necessità di rievocare un passato molto lontano, poiché egli è spinto dal desiderio che ritorni l’era delle antiche e sacre inquietudini, ormai assente nel suo presente; il tema della memoria, importante per comprendere il riferimento alla mitologia dell’epoca classica, viene descritta in chiave nostalgica: il mare, infatti, evoca una sorta di inquietudine nell’uomo fin dai tempi più antichi e ciò lo testimonia i poemi del poeta più importante della Grecia Antica, Omero; le sue opere, l’Iliade e l’Odissea, narrano le prime gesta di navigatori ed avventurieri, in particolare dei protagonisti Achille e Odisseo, a navigare su delle acque che nascondono mostri, serpenti marini, abissi, sirene incantatrici, correnti marine impervie.
Le prima imprese di navigazione rappresentavano a quel tempo un mistero su quale sarebbe stato l’esito dell’impresa: il navigatore non sapeva se sarebbe tornato nella sua terra o se si sarebbe perso per i mari vasti e profondi; l’era dei miti e delle leggende, tanto cara all’artista, considera il mare come un universo blu vasto e profondo che fa paura all’uomo ancora privo di esperienza e tecnica nelle rotte di navigazione.
La differenza che emerge tra Omero e De Chirico, è che mentre il primo ha narrato di tempeste, battaglie, ritorni in patria, sfide tra divinità in cui, di conseguenza, il mare è dell’aspetto più brutale, De Chirico raffigura scene in cui il mare evoca silenzio, quiete, ricordo; per Omero erano necessari sia la quiete che la tempesta, mentre il pittore predilige il mare calmo.
'La partenza degli argonauti' (1922)– Gli argonauti sono chiamati anche Mini perché riportarono in patria l’ombra di Frisso, nipote di Minia, e il vello d’oro del suo ariete; ma anche perché molti di loro, tra cui Giasone, avevano sangue del re Minia il quale era giunto dalla Tessaglia alla Beozia, in Grecia Antica.
Gli argonauti erano un gruppo di viaggiatori, molto citati nelle ballate dell’Odissea di Omero, i quali attraversarono per primi meri pericolosissimi, presso la terra Eete, le isole delle Sirene e vicino a Scilla e Cariddi; ogni città doveva avere un un rappresentante tra gli argonauti, per giustificare i suoi diritti di traffico sul Man Nero; anche se l’artista realizza un opera in cui non è deducibile l’impresa degli argonauti, egli tuttavia mostra il loro interesse verso un orizzonte lontano del mare.

Il mare è quindi il simbolo del più grande numero di esperienze di viaggi ed esplorazioni che l’uomo abbia mai fatto, sia positive che negative; il mare contiene tutto il passato ma anche il futuro, poiché l’uomo avrà sempre necessità di esplorare, trarre qualcosa dal mare perché si tratta di una fonte troppo importante; il mare rappresenta un vasto orizzonte che contiene nei suoi abissi molti misteri mai svelati che riguardano la storia dell’esistenza dell’uomo: quest’operazione di esplorazione è iniziata già da secoli e ormai l’uomo è saturo di scoperte; ma quello che De Chirico vuole sottolineare nelle sue opere è che, nonostante ciò, il mare rappresenta il simbolo dell’eterno viaggio, della scoperta dell’esistenza, a cui l’uomo sarà sempre destinato a prenderne parte.
Ci sono però pochi uomini sono adatti e preparati a questo compito, perché pochi uomini hanno la dote di “artista primordiale”; De Chirico sostiene che il mare è inquietante non per la sua vastità ma per la sua profondità (“I segni eterni”, Valori Plastici), cioè per la vastità che separa la superficie dal fondo, uno spazio che rimane fonte di mistero e di paura.
De Chirico sostiene che una superficie del mare piatta e calma è più inquietante di un mare in tempesta; il mare a cui la maggior parte delle sue opere fanno riferimento, è un mare descritto al momento del crepuscolo oppure all’alba; a partire dal fatto che l’opera metafisica deve mostrare un apparente serenità, l’assenza di tempo, il vuoto ma anche enigma, e quindi essa dev’essere rappresentata in un’atmosfera di pace, silenzio, luce nel momento di risveglio metafisico, anche il mare è rappresentato in un tale stato di quiete da evocare il silenzio dell’eternità.
Nel testo, infatti, quando sta per avvenire una situazione di risveglio metafisico o di un momento in cui Ebdòmero sta per descrivere uno stato metafisico, c’è il riferimento al mare: il mare è calmo e piatto; condizione ottima per Ebdòmero.
Sia nell’Ebdòmero sia nei quadri, il mare rappresenta un continuo punto di riferimento che collega le diverse esperienze di Ebdòmero ad un’atmosfera evocata nei quadri.
Il mare rappresentato in una costruzione metafisica, rafforza l’aspetto enigmatico e misterioso della scena, in cui si vedono oggetti, battaglie tra uomini e statue, cavalli e templi di divinità marine; il mare che viene rappresentato in questa opere è piatto, azzurro, privo di imbarcazioni sulla sua superficie e questo aspetto rappresenta l’origine, il luogo dove hanno passato la vita intera tutti i navigatori citati e le divinità marine: il mare è la loro “culla”, ma per dimostrare la loro esistenza, hanno dovuto uscire dal mare, abisso che li protegge e conserva la loro sacralità.

– Nella prima opera il mare “accompagna” la costruzione metafisica, la quale si sovrappone ad esso; tale sovrapposizione sembra quasi che in questo momento l’artista non pensa al suo prossimo viaggio, ma sa che nuove scoperte lo attendono; in relazione all’opera” La partenza degli argonauti, c’è una somiglianza tra gli uomini, e la costruzione metafisica: entrambi hanno il mare alle loro spalle, come segno del destino; con la metafisica, l’uomo è pronto a scoprire il suo mare.
Nella seconda opera viene messa in evidenza come l’ora dell’alba in un limpido giorno di calma e mare azzurro profondo ha il potere di stordire l’osservatore, di trascinarlo nell’abisso e di risvegliare il sentimento di artista primordiale (“Il senso della preistoria”, 1913); l’alba raffigurata sul mare suscita nell’artista il brivido della morte mescolato a quello dell’eternità. La scena infatti evoca un sentimento intoccabile di eternità, un’eternità che si protrae fino agli abissi di quel mare raffigurato.

– Anche in queste opere compare il mare insieme a importanti riferimenti mitologici: i cavalli, le testa del Dio Apollo hanno alle spalle dei templi che anticamente erano costruiti sulle coste della Grecia e dell’Asia Minore e dedicati alle divinità più importanti.

Nel testo, l’artista descrive il mare anche come un luogo pericoloso: egli sostiene, infatti, che quanto più il mare è piatto e riflette i raggi del sole nei momenti di alba e crepuscolo, tanto più è pericoloso stare in mare (Ebdòmero); la scena in cui Ebdòmero teme per la sicurezza del pescatore, il quale è fuori in mare a pescare rischiando di essere divorato dai pesci neri o risucchiato negli abissi, dimostra che il mare è tanto bello quanto pericoloso.
Un altro riferimento molto importante nell’Ebdòmero è dato dalle metafore che descrivono il mare come simbolo del destino eterno del navigatore e l’artista come l’unico navigatore che non ha rotta; c’è un principio di opposizione interno-esterno, tra il mare e la camera dove ogni giorno Ebdòmero torna a tardo pomeriggio; la camera rappresenta il luogo prediletto per il riposo e la meditazione del navigatore che arriva stanco da un lungo viaggio.

– La prima opera rappresenta la metafora tra interno ed esterno della camera descritta nel romanzo: fuori si vede il mare, con una luce che sembra l’alba sul mare, e all’interno una visione metafisica dell’artista di uno dei principali navigatori della storia antica, ovvero Odisseo, reso qui una statua. Se il mare rappresenta il suo destino travagliato per dieci lunghi e continui anni, da quando lasciò Troia fino al suo ritorno ad Itaca, qui celebra il suo ritorno nella stanza dell’artista ovvero la sua amata isola, dove può essere finalmente al sicuro. Odisseo è infatti con le spalle alla finestra: ora è al sicuro,è tornato e non vuole pensare più al suo viaggio e ai rischi e pericoli che per anni lo hanno insidiato. La seconda opera è un interno metafisico in cui è chiara l’importanza del mare nel destino dell’uomo: un uomo ridotto nella sua essenza di ossa e muscoli che osserva con una posa coraggiosa il mare come simbolo del suo passato, di tutto ciò che gli è ignoto e che dovrà affrontare, cioè il suo destino; qui l’artista raffigura lo specchio di sé stesso.

– Anche queste opere mostrano dei particolari interni metafisici con delle importanti figure mitologiche; Oreste che prova rimorso per l’atto di Uccisione della madre Clitennestra, la quale ha compiuto l’uccisione di suo padre Agamennone, e qui mostra questo sentimento davanti all’ombra, mentre dietro alla porta si vede il mare; analogamente nella vicenda del ritorno del figlio il prodigo, in cui entrambe le finestre della stanza mostrano un mare azzurro, piatto, calmo, in cui non si sa da quale direzione il figlio sia tornato a casa; rimane un enigma. Infine l’ultimo interno mostra un mare ricreato in una stanza, su cui un navigatore segue la sua rotta, da solo, nella sua piccola barca a remi; anche qui una sorta di autoritratto dell’artista, egli vede sé stesso, il suo destino di viaggiatore.

La camera in cui dorme Ebdòmero è descritta come un’isola che si trova fuori dalle rotte di navigazione seguite normalmente dal comune navigatore, ma la quale, tuttavia, aspetta sempre che passi una nave per lasciare qualche provvista; Ebdòmero, essendo il navigatore che si oppone alle rotte seguite da tutti, è il solo che riesce ad approdare a quest’isola e a sfruttarla come un luogo di riposo, di sosta in cui contemplare tutto ciò che ha visto e scoperto navigando per mari sconosciuti.
La relazione tra isola e camera, mette in luce la relativa diversità tra Ebdòmero e il navigatore comune, tra l’artista ed il resto delle persone, infatti l’artista descrive “le isole fuori dai movimenti umani” (dall’Ebdòmero); a differenza degli altri, il mare per Ebdòmero un mondo da riscoprire, da far emergere lentamente alla superficie tutti quei misteri che l’uomo non riesce a vedere, e, al momento in cui approda all’isola,medita su tutto ciò che ha visto e grazie alla metafisica può risvegliare aspetti delle cose totalmente nuovi ed enigmatici.
L’artista metafisico, d’altronde, deve dimostrare un atteggiamento diverso dagli altri e nell’isola a cui approda, egli è l’unico ad arrivarci ed è anche l’unico che nei momenti in cui si chiude in camera riesce a vedere le ombre sul soffitto e a farsi domande sulla vita e la morte, l’immortalità e l’eternità.

– Queste opere sono interessanti perché mostrano dei particolari aspetti, che non emergono nelle altre opere: nel primo si nota un muro nero e spesso che divide il drammaturgo, il quale sta nascosto dietro ad esso e dimostra paura verso il mare che sta dall’altra parte; emerge la paura dell’uomo di affrontare il mare. Nell’altra opera è interessante l’opposizione tra oscurità dell’interno, in cui vi è un interno metafisico, e la luminosità dell’esterno della stanza: un contrasto così forte di colori che può simboleggiare un mare immaginario che sta là fuori e la necessità imminente per l’artista di partire.

I riferimenti del testo permettono di comprendere meglio il motivo per cui De Chirico in alcune opere rappresenta degli interni metafisici all’interno della stanza, mentre fuori dalla finestra di tale stanza si vede il mare lontano.
In alcune opere la finestra non viene neppure rapprssentata, ma è possibile immaginare che all’esterno della stanza ci sia comunque la presenza del mare, oppure non si vede l’immagine del mare dietro ad essa, ma è tuttavia ipotizzabile.
De Chirico paragona il “mistero delle camere chiuse da molto tempo con le rovine, templi di Nettuno invasi dal mare” (dall’Ebdòmero); si tratta di un’altra relazione tra l’isola in mezzo al mare e la camera; partendo dal riferimento nell’Ebdòmero, le camere sono isole a cui raramente approdano velieri, l’artista allude al fatto che è il mare la causa, poiché egli ha visto nascere le meraviglie del passato e poi col passare del tempo le ha coperte, per dare spazio ad un’altra epoca e per far in modo che l’uomo si dimenticasse del passato in modo più veloce di esse.
Nel testo assumono una particolare rilevanza i riferimenti ai punti cardinali, e quindi di orientamento per Ebdòmero e i suoi discepoli, permettono di capire quanto il nord sia migliore rispetto il sud: Ebdòmero sostiene che per andare in direzione sud, è necessario essere passati prima verso nord; è importante che la camera abbia la finestra in direzione nord, in modo tale da aver il panorama del porto della città e del mare.
Il Nord corrisponde al mare nel paese in cui si trova Ebdòmero; il Nord è però la mèta che il navigatore non segue, se deve andare in direzione sud, ma Ebdòmero la considera come passaggio fondamentale: per l’artista, per conoscere le cose, è necessario imporsi un tragitto più lungo e un passaggio per mari più rischiosi.
La costa rappresenta un luogo isolato e trascurato nel momento in cui giungono i pirati dal mare, creando il panico nei cittadini, costretti a fuggire nelle colline dove hanno le loro ville; la costa, invece, diventa luogo molto affollato quando ci sono le feste lungo il porto e nei nuovi alberghi, e la gente si diverte ed è ammaliata dalla nuove costruzioni moderne; la costa popolata si oppone con la passione di Ebdòmero per la spiaggia, luogo che al momento del crepuscolo diventa ancora più isolato, misterioso.
I cittadini non sono più interessati ad ascoltare né la storia sulla mitologia nautica, né quella sul passato antico, diversamente sono attratti dal nuovo, dalle mille luci che lasciano la spiaggia nell’oscurità e nel silenzio.

– Anche qui emergono i riferimenti all’antico, al classico e ovviamente il mare nelle sembianze di vasto orizzonte calmo e immobile che accompagna la visione metafisica; le bagnanti sono giovani ragazze con le caratteristiche di bellezze della Grecia Classica, capelli biondo dorato, leggermente rotonde di corporatura, ignude, con relativi oggetti preziosi, esse stanno sulla spiaggia una dimensione antica di pace e benessere; esse stanno di fronte al mare per attendere i loro eroi, per contemplare la bellezza di questo paradiso, poiché loro sono tenuta solo a guardare e non navigare.
I cavalli con un tempio retrostante anch’essi contemplano il mare calmo, essi sono l’essenza del dio marino, profetici, lasciati a terra e donati anticamente al re Argo, come segni dell’eterna presenza della divinità;essi sono creatureesterne alla vita marina, ma in realtà ne rappresentano i più potenti domatori, che incanrnano il corpo e lo spirito di un essere destinato a attraversare gli abissi.

La spiaggia è il luogo ideale dove raccontare racconti del passato, evocando dei e divinità, ma è anche il luogo in cui Ebdòmero può raccontare le sue esperienze ai discepoli; la spiaggia con il mare di fronte serve a evocare il clima metafisico, lo stimmung, ed ascoltare le onde, il vento, i rumori della natura, e far rivivere i miti del passato.
L’arte nuova, ovvero la metafisica, definita dall’artista “l’arte gioconda per eccellenza” (“Noi metafisici”, Cronache d’attualità, 1919), è paragonabile al risultato di un ostacolo sormontato, ma anche al superamento di un’onda inspiegabile nata sul mare placido dei dolori e delle gioie umane, che si è sempre più rafforzata col passare del tempo; con questa metafora, in cui l’artista prende in considerazione la terminologia marina e il riferimento principale del mare, spiega, forse nel modo più chiaro rispetto ad altre metafore usate, l’intervento dell’artista grazie alla metafisica, specificando che questo tipo di esperienza non l’abbia mai fatta nessun altro, durante questi secoli di storia dell’arte: egli ha oltrepassato l’onda che fino a quel momento nessuno ha mai oltrepassato, cioè l’artista grazie alla metafisica ha guardato le cose in un modo che prima non aveva mai fatto, con delle interpretazioni che nessuno mai avrebbe mai dato.
De Chirico ha oltrepassato l’onda carica dello spirito dell’interpretazione dell’epoca moderna, risultato di secoli di storia e di numerosissime civiltà vissute.
In realtà, tutte le gioie e paure dell’uomo moderno sono uguali a quelle dell’uomo antico, e quindi, guardando il mare si ritrovano le stesse gioie e paure che l’uomo nutriva un tempo; egli si paragona al “navigatore spagnolo che vedendo, alla fine di un’afosa giornata estiva, il vasto Oceano Pacifico apparirgli innanzi, capisce che ciò che gli appare è un mondo nuovo” (“Noi metafisici”).
Questa metafora autobiografica mi permette di concludere questa riflessione sull’importanza del mare nell’opera di De Chirico: il mare, quindi, non è un elemento che riveste un ruolo di paesaggio naturalistico che rappresenta le vicende, ma è il simbolo della vera e propria mèta dell’artista, un’enigmatica presenza che evoca il suo destino, e quindi un continuo termine di paragone a cui l’artista fa riferimento quando espone i suoi enigmi metafisici; non esiste, infatti, miglior silenzio di quello evocato dal mare.


Bibliografia

Giorgio De Chirico, Ebdòmeros, SE, Milano, 1999.

Giorgio De Chirico, Memorie della mia vita, Bompiani, Milano, 1998.

Giorgio De Chirico, Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, 1985.

Giuliano Briganti, Ester Coen, La pittura metafisica, Neri Pozza Editore, Venezia, 1979.

Robert Graves, I Miti Greci, Longanesi & C., Milano, 2003.

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