Fondazione Premio Napoli
Museo Nitsch
Vico lungo Pontecorvo 29/d
Napoli
Giovedì 8 Novembre 2012, ore 17
Ugo M. Olivieri dialoga con Paolo Fabbri
Letture di Franco Javarone
A cura di Francesco de Cristofaro, Giovanni Maffei, Ugo M. Olivieri, Francesco Storti
Eutopia
Non l’isola che non c’è, né che vorremmo, ma l’esatto punto mobile mobilissimo dove ci piace abitare senza sapere per dove è il viaggio. Preferiamo alle terricole la metafora di un domicilio nomade e avventuroso, trascorrente ed equoreo, congeniale alla schiumante dubbiosità dell’oggi: Eutopia come una grassa foce di svelti legni e lente pensose chiatte, che s’apre al mare della città e delle sue domande, e vi convoglia tre vie d’acqua, tre rotte già dal vario naviglio navigate da qualche anno nell’Università. Ciascuna rotta vanta un nome e una storia e questo sito vi ci mena, per ulteriori cartigli. Ciascuna ebbe rapide e gore, e furono – per i nocchieri prudenti, per gli equipaggi arditi, mentre si filava tra rive minacciose – le bussole vaghe, le favole parlottate sotto le stelle, lo scricchiolio delle bonacce, infine un crescendo fausto di venti, fino al delta. A ottobre il naviglio ne riparte, con chi vorrà imbarcarsi amante dell’altalena delle tavole, della fragilità generosa delle vele; e con gli scrigni d’improbabili preziosi, con le ghiaie onerose e umili, per solo intravisti approdi nel gran mare, per nuove provvisorie costruzioni.
Mitologia
«Così, ogni giorno e dappertutto, l’uomo è fermato dai miti, rimandato da essi a quel prototipo immobile che vive al suo posto, lo soffoca come un immenso parassita interno, e alla sua attività traccia stretti confini entro cui gli è concesso soffrire senza muovere il mondo». Ciò che da ottobre tenteremo – a quattro anni dalla costituzione di un gruppo di ricerca transdisciplinare, per seminari universitari ad elevato tasso politico – è, ancora, una riflessione sui nuovi miti d’oggi, sul mito nel nostro oggi: per chiederci, cinquant’anni dopo Mythologies di Roland Barthes, se, da allora ad ora, siano del mito mutate solo le sostanze, o non anche la regola del funzionamento.
Miti di aspettazione, in simbiosi e in sintonia con il prossimo primaverile Opificio della giovinezza: attese muliebri – incarnate negli archetipi di Penelope e Maria – di un ritorno o di una nascita; attese collettive dell’apocalisse, di un senso nel tempo che resta, di figure a tutto tondo della fine della storia; attesa infine di quel postremo golem dell’assurdo che è Godot: domandandoci cosa sia e dove stia, giusto per finire ancora.
Ma anche altre mitologie, diverse e confluenti lungo questo «confusissimo secolo». Innanzitutto il più madornale mito dell’Italia unita: niente di meno che Pinocchio, riletto alla luce di due malnoti ‘cartoni’ di Pier Paolo Pasolini e di Federico Fellini. Ancora, a un quarto di secolo dalla scomparsa, uno che a far mito basta il nome: Andrea Pazienza; alla ricerca delle cifre nascoste nel suo segno geniale, attraverso testimonianze di prima mano e inedite avventure dell’intelligenza. Infine, un tentativo di ripensare una formazione storico-antropologica di lunghissima durata come il Carnevale in rapporto alle nuove febbri contemporanee: Halloween e, più in generale, la montante e schizoide pulsione mimetica dei giovani.
Sei incontri, una volta al mese, per chiederci, con metodo indiziario e selvaggio (quanto basta perché funzioni), che cosa ci aspettavamo duemila, mille, zero anni fa. E per chiederci che cosa stiamo per aspettare adesso: soprattutto se, come a volte pare, siamo già morti.
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