Passions and Democracy
Workshop internazionale
Fondazione Giorgio Cini onlus
In collaborazione con UCLA – University of California Los Angeles
Isola di San Giorgio Maggiore
Venezia
19 – 20 Giugno 2008
a cura di Giulia Sissa (UCLA, USA)
Giovedì 19 Giugno
Paolo Fabbri
Meekness and Democracy
Rabbia, terrore, vendetta; speranza, fiducia, solidarietà. A lungo ignorate, le passioni oggi rivendicano la loro decisiva importanza nel descrivere ed interpretare gli eventi, le cause e le azioni della vita politica internazionale e dei suoi protagonisti. La guerra al terrore, la collera e l’odio nei conflitti sociali delle banlieues francesi, gli scontri tra comunità etniche e religiose che non si tollerano, le dinamiche di umiliazione e rappresaglia nelle relazioni internazionali: la semplice lettura dei giornali ci obbliga a fare i conti con un linguaggio crudo, che non esita a descrivere la violenza contemporanea in termini di ragioni emotive.
Partendo dal presupposto che la democrazia è la sola forma di governo grazie alla quale tutti gli esseri umani possono ambire al riconoscimento dei loro diritti, al godimento selettivo delle loro culture e alla protezione della propria incolumità fisica, il Workshop Passions and Democracy si propone di riflettere criticamente sulla necessità di recuperare il valore delle passioni nella scena della politica.
La razionalità democratica deve confrontarsi non solo con i principi della giustizia distributiva, il rispetto delle norme, l’uguaglianza di fronte alla legge, le forme pacifiche di gestione del disaccordo, quindi con una ragione pubblica e una cittadinanza civile, ma anche con tutto quel materiale vulcanico di umiliazioni, rivendicazioni, ambizioni, invidie, vendette e paure che fanno parlare, votare e uccidere gli uomini in quanto animali politici.
Il Workshop internazionale Passions and Democracy si pone l’obiettivo di riunire esperti di fama internazionale per riflettere criticamente sul ruolo delle passioni sulla scena della politica.
Per informazioni:
Segreteria generale
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e-mail: fondacini@cini.it – segr.gen@cini.it
Massimo Di Forti, Il Messaggero, 27 giugno 2008.
Sono ritornate. Dirompenti e feconde, generose e violente, stimolanti e pericolose, dopo anni di oblio e strisciante riflusso, le Passioni si impongono ancora come grandi protagoniste sulla scena politica di un mondo costantemente sull’orlo di planetarie crisi di nervi che non avanza di un millimetro nella soluzione di problemi ultradecennali (l’emergenza ambientale, la fame dei paesi poveri, la distribuzione delle ricchezze, la sfida energetica…) mentre viene terremotato da mutamenti epocali finora inimmaginabili (il caso cinese, l’effetto serra, lo tsunami dell’immigrazione…). Dacché la sconvolgente implosione creata dai mezzi di comunicazione ha abolito distanze imperanti da millenni e cancellato le differenze tra “noi” e “loro”, nel Villaggio Globale del profeta Marshall McLuhan è impensabile parlare di “estranei”. Volenti o nolenti, immersi in una rete mediatica senza confini, siamo una sola famiglia umana: certo, tutt’altro che unita e men che mai pacificata ma “costretta” a confrontarsi con le proprie contraddizioni, iniquità, conquiste, splendori o nefandezze accantonando gli alibi delle “separazioni” geografiche di un tempo. Ed è inevitabile chiederselo: è stata proprio questa travolgente implosione a rilanciare il ruolo delle passioni (la famiglia – ammoniva Sigmund Freud – sarà bene la culla dell’amore ma anche la madre di tutti i conflitti…) con la loro carica di coinvolgimento e tensioni, solidarietà e ataviche ostilità?
Illuminante e quanto mai opportuno, il convegno internazionale Passions and Democracy, organizzato dalla Università della California di Los Angeles e dalla Fondazione Cini, ha volto la sua attenzione a questo tema esplosivo riunendo politologi, sociologi e filosofi americani, italiani e francesi come Remo Bodei, Joshua Dienstag e Anthony Pagden dell’Ucla, Jane Bennett e William E. Connolly della Johns Hopkins University, Pierre Hassner e Marc Abélès del Cnrs di Parigi, Paolo Fabbri dell’Iuav di Venezia, Pasquale Gagliardi dell’Università Cattolica, Claudia Moatti dell’Università della California del Sud, Mariella Pandolfi dell’Università di Montreal ed Elena Pulcini di quella di Firenze coordinati da Giulia Sissa, antropologa dell’Ucla e ideatrice-regista dell’evento.
«Rabbia, terrore, vendetta, speranza, fiducia, solidarietà… La razionalità democratica», sostiene la studiosa italiana, «deve confrontarsi non solo con i principi della giustizia distributiva e l’uguaglianza di fronte alla legge ma anche con un materiale vulcanico di umiliazioni, rivendicazioni, ambizioni, invidie, vendette e paure che fanno parlare, votare e uccidere gli uomini in quanto animali politici». E cita una curiosità statistica, in apparenza trascurabile ma nella sostanza sconcertante: «Sulle pagine del New York Times la parola rabbia è apparsa 36.294 volte dal 1851 al 1980, in 129 anni. Ma, negli ultimi 27 anni soltanto, è stata presente 34.764 volte». Un vero Big Bang!
«La nostra appagata società occidentale», dice Pierre Hassner, direttore del Centro di studi e ricerche internazionali di Parigi, «ha cancellato le passioni dal suo orizzonte politico e dalla sua comprensione del mondo. Eppure, dopo Hitler e Bin Laden, è assurdo pensare che le relazioni internazionali siano governate dalla diplomazia e dalla razionalità. I paesi sviluppati vivono sotto il segno dell’economia e dei suoi interessi. Ma l’azione politica e sociale esige la passione, senza la quale niente di veramente importante è concepibile». Un esempio, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti: «L’Unione Europea è sostenuta soltanto dagli interessi economici e da un certo tipo di razionalità. Con il risultato che non appassiona i popoli».
Esaminando l’identikit della planetaria “famiglia” umana, Paolo Fabbri, semiologo dell’Iuav, può sottolineare opportunamente le discrepanze che accompagnano l’epocale implosione degli ultimi due-tre decenni: «Le distanze geografiche si sono ridotte, certo; quelle delle lingue e delle culture molto meno. Oggi si va a Mosca in cinque ore ma per imparare il russo ci vogliono almeno due-tre anni. Per portare riso dalla Cina bastano poche ore, per capire la mentalità dei cinesi bisogna fare ben altro sforzo… Perché il vero problema, dopo la globalizzazione, non è soltanto quello di sopravvivere economicamente ma di convivere». Sì, vivere “con”.
Non a caso una parola magica accomuna quasi tutti gli interventi: empatia, “mettersi nei panni degli altri”, pietra fondante della non violenza gandhiana intesa come metodo di gestione e soluzione dei conflitti sociali. Una risorsa che un tempo poteva essere considerata una virtù e che oggi appare una necessità.
Dice Fabbri: «La dialettica o antitesi simpatia-antipatia è nota a tutti. Il concetto di empatia lo è meno, ma è fondamentale soprattutto perché va contro l’apatia. Nelle moderne democrazie, il male contro cui dobbiamo oggi lottare è proprio la dimensione apatica. L’indifferenza. E un calo delle passioni può portare addirittura all’anestesia… Le passioni, insomma, non debbono essere represse ma solo “regolate” dalla ragione. E’ quella la giusta via».
In sintonia con il pensiero di Remo Bodei, che già in un celebre saggio degli anni 90 metteva in guardia dai pericoli di una sterile opposizione tra ragione e passioni, pur condannando ogni forma di fanatismo e di integralismo il convegno ha spezzato più di una lancia in favore delle passioni. Sostiene Giulia Sissa: «Le emozioni possono essere distruttive, certo. Non è detto che le loro ragioni siano buone ragioni. Ma l’anestesia, a volte, è anche peggio. La sottomissione delle donne, per esempio, dipende in gran parte da una loro asimmetrica condiscendenza che ne inibisce la capacità di protesta e ne favorisce l’arrendevolezza». E aggiunge una stoccata finale: «E’ un terribile errore sottovalutare il potere e il “realismo” delle passioni sulla scena politica, persino quando sembrano sconfinare nell’irrazionalità. L’uomo, animale politico, è un animale “patetico”, animato dal pathos e dalle emozioni. Non dimentichiamolo».
Appassioniamoci.