Da: Annamaria Gradara, «Corriere Romagna», 23 ottobre 2019.
RIMINI. «Bisogna sapere cogliere i segni». La frase è pronunciata da Fred-Marcello Mastroianni nel film “Ginger e Fred” di Federico Fellini. La ritroviamo, come citazione, a margine di uno dei saggi iniziali che compongono “Sotto il segno di Fellini”, raccolta di analisi compiute negli anni con la lente che gli è propria, quella del semiologo, da Paolo Fabbri, ex direttore della Fondazione Fellini, intorno all’opera del regista riminese.
Il volume, uscito da poco per le edizioni Sossella, è stato presentato a Roma al teatro Argentina, mentre lunedì 28 ottobre se ne parlerà a Rimini in Cineteca (ore 17), insieme allo scrittore Ermanno Cavazzoni, all’incontro organizzato nell’ambito del programma “Fellini 100”.
Il libro, e non pare un caso, si apre con il saggio “San Federico decollato”, prefazione al catalogo “Mimmo Rotella, A Federico Fellini” della galleria Fabjbasaglia di Rimini, risalente al 1998. Un saggio intorno ai “manifesti lacerati” di Mimmo Rotella, che è anche un “manifesto” per Paolo Fabbri. Il quale, scrive(va) del «metodo comune di rompere con le immagini cliché e con il trattamento della memoria, che avvicina le immagini mute di Rotella e Fellini».
Fabbri, perché partire proprio con Mimmo Rotella, e con il dichiarare l’affinità tra la sua opera e quella di Federico Fellini?
«Perché l’estetica felliniana assomiglia molto a quella di Mimmo Rotella. Fellini è tutto fatto di strappi, frammenti, montati l’uno sopra l’altro ed è il contrario di quello che si vuol fare credere accostandolo ad esempio a certo erotismo, come quello che viene fuori dai fumetti di Milo Manara, che non ha capito il ruolo che ha il comico, ad esempio, nella raffigurazione della sessualità in Fellini».
La sessualità grottesca
Di «aspetto comico, grottesco della sessualità» in Fellini, Fabbri parla infatti in un altro saggio contenuto nel volume, “Prima donna: la Saraghina tra Picasso e Kafka”. Ed è sempre qui che indica anche il metodo di lettura, la chiave (ricorrente in altri scritti) che ci consegna nelle mani per leggere l’opera del regista riminese: ovvero quella che la considera «trattamento diurno del sogno (…). Il momento in cui l’immaginario si dota del rigore e della flessibilità del segno».
«A me non piacciono i sogni “reali”, perché sono confusi, casuali, imprecisi – precisa il semiologo –. Preferisco invece i sogni letterari e cinematografici, se espressi da segni esatti, da finzioni ben costruite». L’esempio di ciò che intende, Fabbri lo fornisce proprio nel saggio sulla Saraghina indicando in questa figura, in cui si condensano i significati della Donna enorme, della Ur-donna, il risultato creativo di un processo che parte sì da «un’esperienza intima e personale», ma «per giungere alla dimensione figurativa, segnica e testuale, i sogni di infanzia passano attraverso i segni: dai ghirigori privati alla grande pittura (l’estetica di Picasso) per approdare al cinema».
Da Picasso a Kafka
Sono scritti, quelli riuniti in “Sotto il segno di Fellini”, che collocano del resto il regista riminese in un preciso universo artistico, letterario, pittorico anche, di riferimento. In una cornice in cui si stagliano le figure monumentali oltre che di Picasso, anche di Kafka, seguendo Milan Kundera quando afferma che «Fellini è il vertice dell’arte moderna, il solo la cui immensa opera possa essere messa sullo stesso piano di quella di Picasso, di quella di Stravinskij».
Mastorna come la Commedia
La “lettura semiotica”, dei segni, viene anche applicata da Fabbri alla grande incompiuta di Fellini, “Il viaggio di G. Mastorna”, progetto di film che «si intreccia con l’opera di Dino Buzzati, coautore (con Brunello Rondi) della sceneggiatura e uno dei maggiori scrittori italiani del XX secolo, il cui poema a fumetti è a sua volta una variante della sceneggiatura felliniana».
«Cos’è il Mastorna? Ma una piccola Divina Commedia – sintetizza Fabbri – c’è l’inferno, il purgatorio, il paradiso».
Pinocchio e Casanova
E poi c’è il Pinocchio di Collodi, nella lettura di quel capolavoro che è il “Casanova di Fellini”. Una scena, in particolare, quella che commosse Roland Barthes, il ballo con l’automa nel finale, è esemplare: «Una straordinaria trasformazione che conserva, al patto di alcune inversioni, il mitismo pinocchiesco».
Il rinoceronte
Ma c’è poi una figura che a Fabbri piace indicare come rivelatrice di significati per interpretare Fellini: quella del rinoceronte che compare nel finale de “E la nave va”.
«Lo sapevate? Il rinoceronte dà un ottimo latte» afferma il giornalista Orlando (l’attore Freddie Jones) rimasto solo su una scialuppa. «Quel rinoceronte è una femmina» avverte Fabbri, che lo ricava da una serie di “segni”. Non sembri una quisquilia. «La dimensione inquietante della femminilità (…) è mantenuta sul livello simbolico, ma risolta sul piano comico» scrive nel saggio Il rinoceronte dà un ottimo latte. Un segno “maestro”.