Da: Claude Zilberberg, Giardini e altri terreni sensibili. Sulle tracce delle forme di vita, a cura di Pierluigi Basso Fossali, Documenti di lavoro del CiSS di Urbino, n. 10, Aracne, Roma, 2019.
Il dossier costruito, tradotto e presentato da Pierluigi Basso Fossali è dedicato ad un semiologo tra i più originali dell’École de Paris. Allievo di Algirdas J. Greimas, Claude Zilberberg ha avuto una presenza costante, per quanto schiva ed appartata, nello sviluppo del paradigma semiotico fin dai suoi inizi. È rimasto infatti fedele alla riflessione sul discorso poetico che ha caratterizzato l’incipit della ricerca semiolinguistica (v. i futuristi russi e Jakobson, Lotman, Geninasca e Coquet) e ha mantenuto una distanza, o forse un agio, rispetto alla generalizzazione del modello narrativo, al suo successo euristico e alla banalità dei suoi esiti (lo storytelling, per esempio). Ha però perseguito e approfondito i fondamenti glossematici e hjelmsleviani e ripreso la linguistica di autori come Sapir e di filosofi non ignari della scienza dei linguaggi come Cassirer.
1.
Dopo la svolta estesica rappresentata dal libro di Greimas, Dell’imperfezione (1987) e i tracciati proposti nella Semiotica delle passioni (1991), la riflessione di Zilberberg, critica di fondamenti come il percorso generativo, è stata un segnale indicatore, coerente e congruente, per nuovi oggetti teorici. Come le Forme di Vita, elaborate congiuntamente a Jacques Fontanille, che qui costituiscono l’ago della bussola teorica di Zilberberg, ago orientato verso la prosecuzione e la ristrutturazione del modello semiotico.
Nel suo saggio, Basso Fossali riconosce in Zilberberg l’antesignano dell’attuale semiotica tensiva, attraverso la riflessione sull’aspettualità (alternativa alla sintagmatica narrativa) e sui vissuti di significazione. Per Zilberberg «in principio è l’intensità affettiva», la quale possiede una propria grammatica e tonicità enunciativa, che si manifesta in accenti ritmici. Più che le azioni strutturate gli interessano gli eventi, il farsi della significazione (la narrazione è retrospettiva!) e l’idiosincrasia del valore nelle strettoie delle assiologie codificate. E poiché il piano dell’espressione è hjelmslevianamente omologabile a quello del contenuto, Zilberberg estende la forma fonica del significante fino alla prosodia, il che gli permette di parlare dell’intonazione modulata del significato, di un “accento di senso” (Cassirer).
La Forma di vita è, semplificando molto, un modello culturale dotato d’un proprio stile che partecipa della semiosfera. Autonoma rispetto alla narrazione, è una deformazione semiotica coerente, dotata d’un suo ritmo espressivo e d’una propria modalità assiologica dei contenuti. È uno “schema degli schemi” culturali e pratici, dotato di coerenza e stabilità estesica ed estetica.
1.1.
Sono questi e ben altri i concetti e le procedure di semiotica culturale dettagliatamente impiegati nei due testi sulle forme di vita scelti da Basso Fossali: i) quello sul giardino roussoviano di Julie, dove Zilberberg distingue tra intelligenza e sensibilità e apertura e chiusura dei punti di vista, per chiarire l’approssimativa tipologia di Herman Parret (giardino all’italiana, all’inglese, alla francese, alla cinese) e cogliere i principi di una semiotica del paesaggio; ii) e quello sul libertinaggio (e sul dandy), dove il don Giovanni di Molière giustifica il suo vertiginoso consumo di partner femminili come l’assunzione di un desiderio in e per quanto esso ecceda ogni misura.
Sono entrambe analisi letterarie in cui il dettaglio fa valere la totalità discorsiva; se iscrivono difficilmente la Forma di Vita tra testi e pratiche, tra gli esseri di carta e quelli in carne ed ossa, confermano però il ruolo sperimentale della scrittura nella disciplina semiotica, la quale ha nei testi i propri laboratori di significazione.
2.
A complemento del presente dossier, riprendiamo gli estremi di due testi redatti da Zilberberg nel 1993, e pubblicati in lingua italiana rispettivamente in Versus e in Semiotica in nuce. Contributi semiotici diversi nel proposito e nei risultati, che anticipavano però gli sviluppi successivi della ricerca di Zilberberg, ripresi, rimotivati e svolti da Basso Fossali.
Nel primo articolo, correlando i due termini topologici di soglia e di limite, Zilberberg ha posto alcuni problemi teorici generali, come la categoria di Partecipazione ed Esclusione, ed ha elaborato il concetto di Profondità, con cui proponeva di sostituire quello di Prossemica. Il semiologo distingue poi tra la violazione di limiti e la trasgressione di soglie, introducendo la categoria dell’aspettualità nei programmi e anti-programmi di attrazione e ripulsa. A differenza del modello proppiano della mancanza, che modella disgiuntivamente il fare narrativo, l’aspetto permette infatti di spostare il cursore del punto di vista sui processi trasformativi (incoativo, durativo, iterativo, terminativo), operando distinzioni più sottili ed euristicamente efficaci come continuità, gradualità e ritmo, correlate a differenti regimi di affetti. Mentre il limite è una demarcazione terminativa, la soglia è suscettibile di segmentazioni durative diverse. Ed è inoltre possibile trasformare una soglia in limite – un terminativo in uno stato – e il limite nell’incoativo di una soglia. Un approccio ricco d’insegnamento in una cultura afflitta dalla retorica della creatività e dalla trasgressione delle regole!
Diversa quanto sorprendente per il suo oggetto è la prolungata analisi della “Quarta parabola” di un celebre testo alchemico, Aurora Consurgens. La dettagliata lettura di Zilberberg, scordata o forse occultata, mantiene a tutt’oggi una valenza semiotica pregnante e un interesse per l’occasione che l’ha generata. La commessa, sollecitazione o sfida, di studiare quel testo alchemico proveniva dal direttore di Versus, Umberto Eco, che intendeva dedicarle un numero della sua rivista. Eco infatti ha indagato i modi del discorso alchemico ne I limiti dell’interpretazione, antologia di ricerche semiotiche di storia per una critica della Sragione Ermetica nel pensiero contemporaneo (il bersaglio era il Decostruzionismo!). Il problema della razionalità era posto nei termini dell’inferenzialismo di Charles S. Peirce e la realtà definita come habitus e consenso di comunità competenti. Il pensiero alchemico diventava la pietra di paragone di tutte le trasgressioni di queste soglie.
La lettura semiotica di Zilberberg però, non è condotta, come quella di Eco, nei termini di trattazioni storico-ermeneutiche delle idee ermetiche, ma a partire dai trattamenti alchemici della materia. Sviluppando uno dei risultati più interessanti della semiotica sulle sostanze espressive – «la ricerca di primitivi per saturazione figurativa» – di Françoise Bastide – Zilberberg ha precisato le sostanze in gioco nella testualità e nel bricolage alchemico; nelle loro posizioni – i quattro elementi – e negli operatori strumentali delle loro trasformazioni. Mettendo in opera i principi (i) Apertura e Chiusura, (ii) Esclusione (la Cernita) e Partecipazione (la Mescolanza), (iii) Concentrazione e Diffusione, Zilberberg ha dettagliato l’associare e il separare, il riscaldare e l’inumidire, lo sciogliere e l’amalgamare, il fondere e il mischiare: Solve et Coagula, fino alla purificazione alchemica che è un percorso iniziatico, materiale, mistico e morale insieme. Gli oggetti dell’alchimia assumono in Zilberberg una struttura prosodica.
Questa analisi condotta non per segni, ma per figure del contenuto e dell’espressione, fu avallata da uno specialista come Donald Maddox, mentre Eco non replicò, com’era previsto, e il numero di Versus si limitò a questi interventi.
Le conclusioni di Zilberberg restano tuttavia disponibili agli eredi attuali della tradizione alchemica, ancora attivi dopo la rottura epistemologica introdotta dalla chimica di Lavoisier. Pensiamo alla cucina, con il suo inesausto bricolage di sostanze, ad esempio il bagnomaria, che è una ricetta della leggendaria alchimista Maria l’ebrea! E all’arte (Fabbri).
2.1.
Ci resta da sottolineare l’apporto di Zilberberg alla conoscenza delle figure discorsive. Aldilà della retorica ristretta di Jakobson (metafora e metonimia) e delle liste connotative dei tropi, il semiologo ha definito nei termini intensivi, e secondo i gradienti aspettuali che sono i suoi, le figure patemiche dell’Esclamazione, dell’Interiezione, dell’Iperbole e dell’Apostrofe, particolarmente praticate nelle culture superlative della persuasione pubblicitaria e politica.
Zilberberg non tratta mai l’usato sicuro dei concetti “chiavi in mano”!
3.
Il progetto semiotico è multidimensionale, e come in ogni disciplina, lo sviluppo dei suoi diversi percorsi è “punteggiato”.
Non nascondo quindi le mie riserve sul diagramma di assi cartesiani con cui Zilberberg vorrebbe rimpiazzare il quadrato semiotico, solidamente argomentato da personalità diverse come René Thom e Paul Ricœur.
D’altra parte, la ricerca di nuove vie di senso motiva ma non sempre giustifica la sovrabbondanza dei neologismi sempre interdefiniti peraltro e motivati; il modo di presenza concessivo del sopravvenire e quello implicativo del pervenire si possono parafrasare con l’attesa e la sua realizzazione!
3.1.
La nutrita prefazione di Basso Fossali a questa silloge prova l’infondatezza dell’epiteto “standard” affibbiato alla teoria neo- saussuriana e ai suoi esiti, glossematico e greimasiano. La ricerca di Zilberberg, con la sua dominante aspettuale e intensiva, è certamente innovativa; non è però una rottura quanto invece un’inflessione e una prosecuzione di percorso, come dimostra il suo studio sulla passione dell’avarizia che prolunga la trattazione di Greimas e Fontanille. Mentre la versione della Semiotica delle passioni (1991) focalizzava la dimensione sottrattiva della forma parsimoniosa di vita, con il giudizio negativo che ciò comporta, Zilberberg ne sviluppa la valenza posi- tiva a partire da una lettura balzachiana sul valore dell’oro. I vizi privati possono diventare pubbliche virtù (Mandeville)! Inoltre, Zilberberg vi esplicita una strategia di programmi e contro-programmi in cui ritrova alcuni tratti fondamentali delle strategie narrative.
Anche in semiotica, mentre i risultati ottenuti con un certo punto di vista possono essere definitivi, i punti di vista non lo sono mai.
Riferimenti bibliografici
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