Intervento di giovedì 10 agosto 2006 tenuto presso la Sala Conferenze del Castello Pasquini (Castiglioncello).
Comprendere e spiegare sono considerati usualmente complementari nel discorso quotidiano: spiego perché capisco. Nel discorso scientifico, a partire dalla fine dell’Ottocento, subiscono una biforcazione: da un lato le discipline della spiegazione, le scienze esatte che hanno come oggetto la natura, che ritenuta permanente e, dunque, uguale a se stessa, è suscettibile ad essere definita e incasellata; dall’altro le discipline della comprensione, quelle umane, di matrice storico-sociale, in cui il processo di spiegazione e interpretazione ultima diviene impossibile per via della indistinzione tra soggetto e oggetto, giacché è il soggetto stesso, l’uomo, che deve essere descritto. E l’uomo è per sua natura mutevole e scevro da qualsiasi sforzo di determinazione risolutiva. Lo stesso valga a dirsi per la composizione artistica: l’artista rifiuta la spiegazione della propria opera, secondo il principio – affermato questa volta da Heisenberg nel campo delle scienze naturali – per cui la presenza dell’osservatore di per sé contribuisce al cambiamento dell’oggetto osservato.
Il tentativo di Fabbri è rivolto a dirimere il contrasto tra queste due modalità di accesso alla conoscenza, inesistente prima della fondazione epistemologica della separazione tra uomo e natura, quando ancora l’uomo agiva sulle cose credendo allo stesso tempo di agire su di sé. Non più magia naturale è lo strumento, ma l’opera d’arte.
Molteplici sono i passi percorsi da Fabbri nella revisione critica della dicotomia tra scienze della spiegazione e della comprensione prima di giungere al caso specifico dell’opera d’arte. Malthus tra primi ha proposto l’uso di un metodo di studio nelle scienze sociali che è poi, così si evidenzia, divenuto paradigma per quelle naturali. In questa maniera si arriva alla constatazione che le scienze della natura sono anche scienze umane: quale natura, quale scienza potrebbe escludere l’uomo che le compie e che agisce su di essa? L’oggetto di studio acquisisce una nuova dimensione dato che non esiste fenomeno naturale, e umano, che non sia contemporaneamente materia di spiegazione e di comprensione. L’errore epistemologico delle scienze esatte, riassumibile nel diktat divide et impera – scomporre l’oggetto di studio per spiegarlo e successivamente comprenderlo – viene così parzialmente superato. Se l’opposizione tra comprendere e spiegare era una volta legittimata dalla scissione tra natura e cultura, adesso non possiamo che prendere atto che esse sono intimamente legate in continua, composti o montaggi che entrano in gioco nella nostra vita.
Ma ogni spiegazione ha un limite. L’assunto retorico secondo cui “meglio si spiega quanto più si comprende e più si comprende quanto meglio si spiega” nasconde una trappola, rappresenta un truismo al pari dell’uovo di Colombo citato da Ricoeur. Non sempre avere buone spiegazioni equivale a comprendere in misura maggiore. Non sempre chi ha capito riesce a spiegare ciò che ha colto. In alcuni casi ci troviamo di fronte a forme di apprensione immediata, radicale, rispetto a cui lo spiegare non eccede, ma approfondisce e struttura la comprensione.
Un primo esempio sono i tre pupazzi di Cattelan di un’installazione appesa per un solo giorno su una vecchia quercia presso la stazione di Milano che ha lasciato dietro sé un’inenarrabile scia di polemiche e interpretazioni arrischiate. Istigazione allo scandalo degli abusi sui minori, per chi sostituisce il segno con il referente (i pupazzi non sono bambini veri); sintomo di un inveterato protagonismo maschilista, per chi ragiona per elementi in assenza piuttosto che in presenza sulla scena (le donne sono sempre escluse); perfettamente inserito nella storia della pittura italiana, per chi pone l’accento sul tema figurativo (l’impiccagione ricorrente nei dipinti di Andrea del Castagno); inno alla libertà di espressione artistica. Una summa di interpretazioni infiammate e conflittuali, perché rischiose e intenzionalmente efficaci strategicamente nel muovere il destinatario a prescindere dal loro valore di verità.
Non è dunque il significato intensionale dell’interpretazione a esprimerne la validità, ma la sua rilevanza. Alcune spiegazioni, anche nei loro aspetti assurdi, rivelano un germe di comprensione non attualizzato nel giusto percorso interpretativo perché risultanti dalla selezione di elementi esplicativi e descrittivi errati. Così, evidenzia Fabbri, l’interpretazione adeguata si azzarda a divenire la più rischiosa, perché capace di annullare tutte le precedenti. Tre pupazzi, piedi nudi, occhi aperti, figura centrale elevata rispetto alle laterali in linea: è la scena della Crocifissione evangelica. La vecchia quercia, l’appeso, il pupazzo-bambino: è la simbologia di un episodio del Pinocchio di Collodi. Due grandi temi della cultura italiana si intersecano e pungolano il bagaglio enciclopedico dell’interprete.
Un secondo esempio è “Il sogno di Tobia” (1917) di Giorgio De Chirico. Un quasi-manifesto della corrente metafisica, che anticipa l’epopea del surrealismo. Un’opera attorniata, seguendo la letteratura critica, da un alone di mistero e non-detto che ha dato adito a spiegazioni, enigmatiche a loro volta, che non ne hanno favorito la comprensione.
Ancora una volta le trame del simbolico incorrono nell’aiutare lo sforzo interpretativo. Il sofisticato mondo costruito messo in scena nell’opera dall’autore rivela, a partire dal soggetto di base – il biblico episodio della vista recuperata da Tobia per mezzo dell’intervento dell’Angelo – un fine intrigo di rimandi intertestuali. La figura del pesce rappresentata a lato del dipinto; l’angelo raffigurato per sostituzione tramite le figure della colonnina di mercurio e del bastone che sorregge, rievocate, rispettivamente, in un’opera successiva di De Chirico (l’Autoritratto con busto di Mercurio, 1923) e in un’illustrazione per la Bibbia di Doré; la parola AIDEL (in ebraico, “ben fatto”), leggibile in verticale sullo strumento di misurazione e la firma dell’autore posta a sanzione dell’operato. È il sogno di Tobia, di recuperare la vista, di cambiare la vista, che diventa il nostro. Questi i componenti dell’invito alla decodifica lanciata da De Chirico, strutturato come sistema a crittogramma e ridestati con saper fare maieutico da Fabbri; e che diventa enunciazione di un’attitudine del pensiero a scoprire il significato delle cose al di là delle cose fisiche.
La virtù intersoggettiva e la dimensione conflittuale delle immagini e dei testi artistici consistono quindi proprio nel provocare il destinatario, stimolandolo a dire qualcosa in più, a reagire di fronte ad interpretazioni altre che percepisce come non significanti. Lungi dall’essere un’opera aperta a tutte le interpretazioni possibili, il testo chiude l’infinità delle decodifiche, escludendone alcune e accettandone altre come più probabili o più sicure, o più certe o più vere.
“Quando pensiamo di spiegare, facciamo un’analisi sedentaria”, puntualizza Fabbri, “in tal caso il pensiero ha portamento, ma non andamento” chiosa citando Ricoeur. Ed in questo andare verso risiede l’aspetto creativo dell’interpretazione, che supera il circolo tautologico del processo deduttivo-induttivo. Bisogna, allora, scovare testi recalcitranti perché sono il mistero e il segreto a costituire l’input del movimento interpretativo-generativo. La configurazione del mistero, infatti, non è mai fissa, ma in trasformazione. Le stesse scienze naturali, riconosciute come dispositivi interpretativi costruiti per leggere la realtà secondo punti di vista selezionati, e, dunque, discriminanti, non svelano i segreti, ma li spostano, esibendo capacità creativa e procurando incrementi di complessità.
Abbandonato il determinismo metodologico dello spiegare come “individuare una ed una sola causa”, la casualità – una casualità ‘sollecitata’ dagli appigli che ci porge l’oggetto di studio – sopraggiunge a giocare un ruolo importante quanto, se non di più, della causalità nell’emergenza dei fenomeni di com-prensione; al rigor logico della spiegazione subentra la sottigliezza della rilevazione di inedite intersezioni e correlazioni, che si concretizzano nella identificazione di regole e nella ideazione di bricolage concettuali ad hoc ad ogni rilettura.
Una riproposizione della dialettica tra spiegazione e comprensione? Non proprio, ma il riconoscimento dell’attuarsi di una danza interpretativa in cui siamo presi da un oggetto e allo stesso tempo lo prendiamo. È nel constatare l’esistenza di questo moto di reciproca intra-presa che si rivela la natura del conoscere nel riconoscere, reinventare e ricreare il senso, premio mai del tutto conquistato del regolato duello interpretativo che ci lanciano le parole e le cose.