A cura di Paolo Zublena, Il Verri, n. 35, 2014.
Si pubblicano qui tre lettere manoscritte di Italo Calvino a Paolo Fabbri, risalenti ai primi anni settanta1, quando i due si conoscevano da qualche anno.
Un tema di ovvia salienza, che emerge subito nella prima lettera, riguarda il ruolo già noto – ma che qui si arricchisce di ulteriori particolari – che Fabbri aveva ricoperto rispetto all’ideazione da parte di Calvino della macchina narrativa del Castello dei destini incrociati. Nella Nota al volume einaudiano del 1973 (che aggiungeva al Castello già pubblicato per Franco Maria Ricci nel 1969 una inedita Taverna dei destini incrociati), Calvino scriveva: «L’idea di adoperare i tarocchi come una macchina narrativa combinatoria mi è venuta da Paolo Fabbri che, in un “Seminario internazionale sulle strutture del racconto” del luglio 1968 a Urbino, tenne una relazione su Il racconto della cartomanzia e il linguaggio degli emblemi. L’analisi delle funzioni narrative delle carte da divinazione aveva avuto una prima impostazione negli scritti di M.I. Lekomceva e B.A. Uspenskij, La cartomanzia come sistema semiotico e B. F. Egorov, I sistemi semiotici più semplici e la tipologia degli intrecci (traduzione italiana in I sistemi di segni e lo strutturalismo sovietico, a cura di Remo Faccani e Umberto Eco, Bompiani, Milano 1969). Ma non posso dire che il mio lavoro si valga dell’apporto metodologico di queste ricerche. Di esse ho ritenuto soprattutto l’idea che il significato d’ogni singola carta dipende dal posto che essa ha nella successione di carte che la precedono e la seguono; partendo da questa idea, mi sono mosso in maniera autonoma, secondo le esigenze interne al mio testo»2. In effetti, come si potrà vedere dalla lettera e dalle note, è plausibile che anche la riflessione sulla rilevanza della posizione della carta nella successione spaziale, che lega quindi fortemente l’asse paradigmatico a quello sintagmatico, provenga dalla relazione di Fabbri del 1968 e dai successivi scambi, orali o epistolari, tra Calvino e il suo più giovane amico. L’interesse di Calvino per la combinatoria come orizzonte privilegiato nella prassi narrativa e nella sua analisi datava già da qualche tempo, ed è cospicuamente testimoniato dalla conferenza del 1967 letta e pubblicata a più riprese e poi confluita in Una pietra sopra con il titolo Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), in cui rivestono una notevole importanza lo schema di Propp e la sua revisione greimasiana. Allo stesso 1967 risaliva anche il racconto “combinatorio” Il conte di Montecristo che chiude Ti con zero, l’interpretazione del quale fornisce la chiusa anche per la conferenza. L’orecchio di Calvino arrivò insomma ad ascoltare la relazione urbinate di Fabbri già ben disposto a incamerare e fare propria una materia che si adattava magnificamente alla sua ricerca di una contrainte che fornisse le regole, le varianti e i limiti al gioco della combinazione. E i tarocchi si rivelavano uno strumento di particolare versatilità, dato l’incrocio che esprimono tra cultura alta e bassa, e la pregnanza spesso persino ambigua della loro funzione emblematica.
Varrebbe la pena di fare qualche osservazione anche sul tema fondamentale della terza lettera, ovvero la discussione sul saggio di Fabbri a proposito di semiotica e sociologia delle comunicazioni di massa in Italia. Si potrebbe osservare come Calvino semplifichi pro domo sua il dettato estremamente articolato e complesso dell’articolo, finendo per proporre un «”socialismo” della comunicazione» che forse depotenzia la critica semiotica e politica alla sociologia “dominante” coerentemente condotta con un ragionamento serrato e polemico da Fabbri. Ci si limita a notare che Calvino, proprio di fronte a una critica molto radicale alla comunicazione istituzionale delle scienze sociali, propone a Fabbri di divulgare – di trasformare i rimandi bibliografici in citazioni ed esemplificazioni -, secondo un’ossessione per l’informatività, la chiarezza e la semplicità che era del tutto tipica del Calvino operatore editoriale. Ma fino a che punto una perorazione in favore della teoria e della critica dell’ideologia avrebbe potuto essere diluita in uno strumento divulgativo senza perdere il suo rigore teorico – la sua polemica, tra l’altro, nei confronti dell’ideologica riduzione del linguaggio a semplice espressione – e la sua energia di opposizione? Non è questo il luogo per discutere i rapporti tra l’ideologia estetica (e la prassi di scrittura, nonché quella di lavoro editoriale) e la posizione politica di Calvino, ma l’interpretazione del saggio di Fabbri e il successivo accenno a una contrapposizione tra l’avanguardia che si limiterebbe a destrutturare il linguaggio e una letteratura (più moderata?) che cerca una comunicazione con il pubblico attraverso una lingua evidentemente più affabile pare por re da un punto di vista apparentemente laterale un problema – decisivo – che attraversa tutta la produzione, anche saggistica, dell’ultimo Calvino, fondata sulla tensione anche contraddittoria e irrisolta tra ansia di ordine e angoscia per l’entropia.
Italo Calvino a Paolo Fabbri
Parigi 20 aprile 71
Caro Paolo,
mi batto il petto, siamo noi quelli che non scrivono, da più di due mesi una tua bellissima lettera, con manganelli strappati al nemico e naipes contesi all’invidia degli dei3 attende una risposta. Ti dirò che siamo stati nel frattempo sul punto di venirvi a trovare, a marzo, durante alcune settimane in cui la famiglia m’aveva seguito in Italia, ma tra maltempo e occupazioni mie non arrivammo a valicare la linea gotica. Ora non mi resta che sperare nel Luglio semiotico urbinate. Risposi di sì a suo tempo a Zumthor che mi invitava alla settimana letteraria4, 18-24, ma forse in quelle date avrò un impegno einaudiano e vorrei sapere le date della settimana etnofolklorica5 per poter esercitare un’opzione interdisciplinare. Contatti diretti con il mondo semico non ne ho più avuti, sia perché la tua mediazione mi manca molto, sia perché ho passato tutto febbraio ai lavori forzati per finire il mio Fourier6 (ma già altre due edizioni italiane mi hanno battuto in velocità7) che riceverai tra non molto, e quasi tutto marzo l’ho passato in Italia, mentre invece grato mi fu il ritrovarmi a Parigi durante le vacanze di Pasqua che qui quest’anno sono state lunghe e importanti con esodo in massa dei parigini dalla metropoli rimasta spopolata e accogliente.
Sproporzione delle carte nefaste sulle carte faste della divinazione.
Progressione fasta degli eventi nel racconto.
Bisogna tenere presente che alle carte corrispondono le funzioni del racconto, le quali sono in maggioranza (controllare su Propp) nefaste (l’ostacolo, la mancanza, la trasgressione ecc.) solo che l’astuzia retorica del racconto popolare (e ciò che la contraddistingue p. es. dalla tragedia, dall’histoire larmoyante ecc.) è che le carte faste sono disposte alla fine, come in una divinazione truccata (propiziatoria) mentre invece nella tragedia, nel romanzo larmoyant ecc. è il contrario (per scongiuro?)8.
Spero che la mia negligenza di corrispondente non sia punita facendomi aspettare altrettanto o più un’altra lettera. Ancor più spero che gli uffici della semiotica mondiale ti richiamino a Parigi in questa primavera e si abbia il piacere di rivedervi qui tutti e due in carne e ossa e capelli. La stagione degli shorts inaugurata da Anna è al suo culmine, spero duraturo. Lascio il resto del foglio a disposizione di Chichita9 che vuol molto scrivervi ma che non può lasciare il timone in questo momento e se lei non potrà già vi abbraccio io a suo nome, per non tardare ad affidare alle incerte poste questo plico,
vostro
Italo
Parigi 12.12.71
Caro Paolo, ho decodificato quanto potevo della lettera stratificata di riferimenti dotti e arguti. Ho registrato la ghiotta indicazione biblioemblemografica – che mi testimonia il tuo ingresso nell’affascinante mondo warburghiano10 – ma vorrei informazioni più dirette ed evenementielles [sic] sulla tua e vostra esistenza empirica. Il dato di fatto che ricavo è solo che non verrai a Parigi per ora e questo molto mi e ci dispiace. Un volume laroussiano irto di formule che mi giunge con dedica di Greimas11 mi ricorda che sono rimasto tagliato fuori dal mondo dei semi, mancandomi – te assente – l’elemento di mediazione. Nel frattempo però ho prodotto uno studio semisemiotico pur mascherato da garbata elzeviristica nostrana, cioè la prefazione (commissionatami da un editore siciliano) alla riedizione d’un buon libro degli Anni Venti: i Mimi di Francesco Lanza, che è una raccolta di barzellette paesane sicule, in larga parte oscene12. Ho scritto che ti mandino il volume, avvertimi se non ti arriva e dimmi cosa ne pensi se ti arriva: penso che possa essere ottimo materiale per un tuo seminario sempre che il pudore delle studentesse appenniniche non ne soffra.
Sempre da Palermo ricevo una circolare da Antonio Pasqualino che chiama a raccolta per fondare una società italiana di scienze semiologiche. Secessione o emulazione? Gano di Maganza o Rinaldo di Montalbano?13
A te e ad Anna gli auguri di tutti noi e speriamo di rivederci presto.
Italo
Un nostro amico psicoanalista (kleiniano) anglo-argentino, Salomon Resnik14, uomo di rara sensibilità e interessi, fa qui a Censier15 un seminario Semiologie du corps di cui spesso mi parla chiedendomi riferimenti bibliografici e letterari16. Hai qualche indicazione bibliografica che possa avvicinarlo all’orizzonte propriamente semiologico? (Il suo è un orizzonte tra fenomenologico husserliano e psicoanalitico esistenzialista, Minkowski etc.)
Parigi 8.12.73
Caro Paolo,
la chiamata californiana mi rallegra perché il raggio della tua predicazione s’allarga fino alle rive del Pacifico, ma mi dispiace perché ti allontana da questi arrondissements.
Ho letto il tuo saggio massmediatico17 con grande interesse, facendomi largo nella densità del tuo stile fitto d’allusioni e d’implicazioni di cose che tutti dovrebbero sapere. Mi pare che la tua polemica verso i vari modi di considerare queste cose, e la tua posizione che considera la parte di vera comunicazione che esiste anche nelle forme di comunicazione alienata, e la sua necessità, e il modo come il ricevente ha una parte che non può essere solo passiva, ma attiva in un certo modo, sia molto giusta. Anzi sia la via che può condurci a capire come potrebbe essere un “socialismo” della comunicazione, punto essenziale senza il quale tutto il resto può rivelarsi illusorio. Mi pare che il tuo sia un discorso importante, che meriterebbe un libro, e nelle tue cinquanta pagine c’è materia per scriverne almeno centocinquanta, basterebbe tu lo riscrivessi un po’ più disteso e vulgato, tenendo presente un pubblico non da congresso specialistico ma tutti quelli che avrebbero bisogno di capire veramente queste cose, cioè bisognerebbe tra sformare in esemplificazioni e citazioni i rimandi bibliografici. So che non lo farai ma davvero è un peccato che tu non lo faccia. Dovresti trovare un collaboratore o negro o ghost-writer che avesse il genio della divulgazione e lavorasse sotto la tua guida magari magnetofonica. Un libro così te lo farei subito pubblicare da Einaudi. Se vuoi propongo di pubblicare anche queste 50 pagine così come stanno, ma davvero sono di una densità che ci farebbe mancare il colpo e sarebbe un peccato.
A me personalmente interessano molto i tuoi richiami alla lettera tura popolare, ai fumetti, ai due livelli della letteratura, e da tempo le idee che macino, anche per una rivista che non farò mai, dovrebbero vertere su quel nodo, e ora leggendoti preciso che l’idea che il problema teorico su cui vorrei lavorare è “letteratura e comunicazione” sui due fronti di letteratura che critica e destruttura le forme di comunicazione cioè il lavoro [?] diciamo in senso lato dell’avanguardia e letteratura che crede nella comunicazione con un pubblico nuovo, e se le due operazioni tendono a convergere o devono restare istituzionalmente distinte, questo ancora non lo so. E se facessi una rivista18 la farei come rivista-dialogoin cui con ami ci farei dei dialoghi parlati, seguiti da testi esemplificativi, dialoghi finti cioè io scrivo tutto quello che dico facendo finta di parlare come mi è venuto credo bene nel libro di Camon Il mestiere dello scrittore, e gli altri magari parlano davvero registrati, insomma il tuo scritto è entrato in questi miei progetti19.
Oppure dovresti fare un reader sulla sociologia e linguistica della comunicazione di massa, che di quello ci sarebbe proprio bisogno e in margine ai testi potresti fare tutto il tuo discorso. Anzi, il reader che credevo tu stessi preparando era appunto questo. Ora la tua proposta d’un reader sull’arte verbale20 mi riempie di felicità data la materia che mi sta a cuore mentre l’altro reader mi starebbe a cuore data la mia personale ignoranza in materia.
Dunque benissimo l’idea; mi dovresti mandare subito un progetto di massima di questo reader sull’arte verbale: una scaletta col titolo dei capitoli e una sia pur sommaria indicazione di autori e testi. Qualcosa insomma che possa passare a Carlo Viano che da Einaudi sovrintende al settore readers.
Se avessi questo progetto il giorno 19 in cui sarò a Torino e ci sarà consiglio editoriale, la cosa potrebbe essere varata immediatamente. Perciò ti scrivo per espresso ma chissà se le poste italiane stocastiche, randomizzanti permetteranno di fare in tempo. Scrivimi a Torino in casa editrice. Per la richiesta dei diritti ai vari autori sarà Guido Davico Bonino che condurrà le operazioni.
A te e a Anna il mio più festoso augurio di buone feste e buon anno da tutti noi
Italo
- Un doveroso ringraziamento va a Paolo Fabbri, che ha fornito i manoscritti delle lettere, e a Esther Judith Singer che – insieme al destinatario – ne ha consentito la pubblicazione. Desidero ringraziare anche Mario Barenghi. Molte tra le informazioni presenti nelle seguenti note sono poi dovute alle delucidazioni dello stesso Paolo Fabbri.
- Nota a Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino 1973, poi in Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, pp. 1275-1281, alla p. 1276.
- Secondo la testimonianza di Fabbri, Calvino allude a fatti narrati nella lettera: cioè a scontri fisici con studenti di destra (i «manganelli») e a polemiche ideologiche con studenti di sinistra che consideravano antistoricista il programma di studi del Centro di Semiotica e linguistica di Urbino (le «naipes», carte da gioco – in spagnolo: assunte come modello di combinatoria narrativa da Fabbri nel seminario del 1968).
- Si tratta del simposio di Semiotica letteraria diretto da Gerard Genette (Urbino, 18-24 luglio 1971), sempre nell’ambito delle attività estive del Centro di Semiotica e linguistica, fondato nel 1970 da Carlo Bo, Pino Paioni e dallo stesso Fabbri, e di cui era direttore scientifico Greimas.
- Allude al simposio di Mitologia e folklore diretto da Mihai Pop (Urbino, 12-17 luglio 1971).
- Calvino si riferisce alla sua Introduzione (appunto datata aprile 1971) a Charles Fourier, Teoria dei Quattro Movimenti – Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, scelta e introduzione di Italo Calvino, traduzione di Enrica Basevi, Torino, Einaudi, 1971, poi – con il titolo Per Fourier. 2. L’ordinatore dei desideri, in I.C., Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, ora in Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, I, Mondadori, Milano 1995, pp. 279-306.
- Le altre edizioni uscite nel 1971 sono: Charles Fourier, Contro la civiltà, a cura di Maria Moneti, Guaraldi, Bologna 1971; Charles Fourier, L’armonia universale, introduzione di Mirella Larizza, Editori Riuniti, Roma 1971. Sempre nel 1971 esce il primo volume di Charles Fourier, Il Nuovo Mondo Amoroso, testo integrale a cura di Paolo Caruso, Presentazione di Giovanni Mariotti, Franco Maria Ricci, Parma 1971-1972. Della presentazione di questo volume Calvino scriverà all’autore in una lettera (a Giovanni Mariotti, Parigi, 29 maggio 1971) di non molto successiva alla presente (Italo Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, Introduzione di Claudio Milanini, Milano, Mondadori, 2000, pp. 1104-1105).
- È probabile che Calvino stia commentando le proposte interpretative della «bellissima lettera» di Fabbri. In una lettera a Guido Almansi di qualche giorno dopo si legge infatti: «Paolo Fabbri s’era divertito a trovare opposizioni di continuità-discontinuità e simili all’interno di ogni singolo topos […]» (Italo Calvino a Guido Almansi, Parigi, 28 aprile 1971, in Italo Calvino, Lettere 1940-1985, cit., pp. 1097-1099, alla p. 1098). Mi scrive Fabbri a proposito: «Nella mia lettera era questione del Castello: il fatto che le carte dei tarocchi potevano avere un significato proprio se uscivano diritte oppure contrario se rovesciate. Ma che alcune “matte” , come il diavolo ecc. potevano funzionare sia come motivo “semantico” sia come trasformatore “sintattico” del significato della carta precedente e/o seguente. Era il tema del mio contributo a Urbino da cui Italo dice di aver preso lo spunto per il Castello».
- Segue una breve nota di saluto (qui omessa) di mano di Esther Judith Singer, moglie di Calvino.
- Ai tarocchi è dedicato il pannello 50-51 dell’Atlante di Warburg, e a quello si sarà riferito Fabbri nella lettera a cui Calvino risponde.
- Si tratterà di Algirdas Julien Greimas, Essais de sémiotique poétique, Larousse, Paris 1971.
- Italo Calvino, Introduzione, in Francesco Lanza, Mimi siciliani, Esse, Palermo 1971, pp. VII-XX, poi in Saggi 1945-1985, cit., pp. 1601-1610.
- Calvino chiede se Antonio Pasqualino e gli altri studiosi palermitani che avevano deciso di fondare un Circolo semiologico siciliano si trovassero in una relazione di continuità (amici come Rinaldo di Montalbano) o in polemica (traditori come Gano di Maganza) con il Centro urbinate. Del tutto normale che lo humour calviniano si serva dei personaggi dell’amato Furioso.
- Una lettera a Giovanni Jervis del 1° giugno 1971 chiede un parere sul manoscritto di Resnik Personne et psychose (di lì a poco uscito in volume: Personne et Psychose: études sur le langage du corps, Payot, Paris 1973), che – appunto grazie alla mediazione di Calvino e plausibilmente al parere positivo dello stesso Jervis – verrà poi pubblicato per Einaudi nel 1976 con il titolo Persona e psicosi. Si veda Lettere 1940-1985, cit., pp. 1105-1106.
- Cioè nella sede del campus della Université Sorbonne Nouvelle-Paris III, fondata nel 1970.
- A quel seminario Resnik allude in un articolo, Corps et existence. Réflexions cliniques sur l’autisme et la psychose, in Corps, psychose et institution, érès, sous la direction de Pierre Delion, Paris 2007, pp. 133-142, alla p. 133.
- Si riferisce a Paolo Fabbri, Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia, «Versus. Quaderni di studi semiotici», IV, 5, 1973, pp. 57-109.
- Sull’idea e le prove (con Gianni Celati, Guido Neri e Carlo Ginzburg) per una rivista che poi non si fece, cui Calvino allude in molte altre lettere, ci si limita a rimandare a Un progetto di rivista (dattiloscritto databile al 1970), in Calvino, Saggi 1945-1985, cit., pp. 1710-1717 e al fascicolo monografico di «Riga» (14, 1998) dedicato a «Alì Babà». Progetto di una rivista 1968-72, a cura di Mario Barenghi e Marco Belpoliti.
- Questo capoverso è preceduto e seguito da una riga orizzontale: pare probabile che Calvino si fosse lasciato uno spazio nella lettera da completare a lettura compiuta del saggio di Fabbri, come poi sembra essere avvenuto.
- Fabbri aveva proposto un reader sull’arte verbale non letteraria (filastrocche, proverbi, giochi di parole) vista alla luce di discipline allora molto giovani come l’etnolinguistica e la sociolinguistica.