Introduzione a N. Goodman e C. Z. Elgin, Ripensamenti in filosofia, arti e scienze, Et al. editore, Milano, 2011.
Copiare gli altri è permesso, se stessi no!
(Picasso)
1. Il senso di un prefisso
L’ultimo libro del grande teorico dei simboli, Nelson Goodman, propone un radicale ripensamento in filosofia, nelle arti e nelle scienze. I saggi che lo compongono, scritti a quattro mani con Catherine Z. Elgin e consacrati a bilanci (parte I), ricerche (parte II) e premonizioni (parte III), sono esemplari per coerenza speculativa e coesione di stile. Senza revisionismi e ritrattazioni, gli autori declinano il prefisso Ri- nelle sue tre accezioni: ricominciare da capo, riprendere in corso d’opera e riavviare dalla conclusione.
“Operiamo a partire da una prospettiva che abbraccia le arti, le scienze, la filosofia, la percezione e i nostri mondi quotidiani, e verso una migliore comprensione di ciascuno di questi campi, attraverso confronti significativi con gli altri”.
Per quest’ampio progetto comparativo, centrato sulla dimensione del significato, è necessario costruire una teoria generale dei simboli e del loro funzionamento nei diversi campi, cioè la loro costruzione, applicazione e interpretazione. È stato questo il primo momento della ricerca di Goodman, quello dei Linguaggi dell’arte (che aveva come sottotitolo An Approach to a Theory of Symbols) e di Elgin, With Reference to Reference. Un secondo momento è stato quello di Vedere e costruire mondi1, in cui Goodman dimostrava ed esemplificava come e quanto “i simboli non sono solo strumenti per descrivere gli oggetti, gli eventi o un mondo che attende di essere scoperto, ma entrano nella costituzione stessa di ciò cui si fa riferimento”. Il terzo momento, quello dei Ripensamenti, articolato ma non derivato dagli altri, si propone di ri-concettualizzare in modo nuovo la “concezione dominante della filosofia, irrimediabilmente carente quando si considerano tutti i campi della cognizione, i tipi di simboli e i modi di fare riferimento, e prosegue alla ricerca di concetti di più ampio respiro e più reattivi”.
Una nuova punteggiatura della riflessione filosofica sui segni e sui linguaggi che Goodman non esita ad applicare ai propri testi quando gli sembra necessario un ravvedimento a ragion veduta. Una svolta che lo ha condotto fuori dall’alveo della filosofia analitica, a cui continuano a riferirsi lettori abituati a visite guidate con sconti comitiva. Per Goodman il mondo non va copiato ma compiuto, cioè messo in atto, inculcato e radicato. Il filosofo costruzionalista non crede ad eterni concetti dinastici, da alimentare artificialmente col sondino storico o con l’accanimento terapeutico della logica. Proprio lo studio della lingua ordinaria e di altri sistemi di segni dell’arte e scienza – musica, pittura, architettura, spartiti, diagrammi, schizzi, ecc. – gli permettono di lasciare i problemi diversi da come li aveva affrontati.
Dopo aver constatato l’impossibilità di un punto zero della ontologia e incorporato la forma ontologica in quella simbolica, in questi Ripensamenti Goodman propone di abbandonare la centralità della Conoscenza a profitto della Comprensione; di spostare l’accento dalle modalità aletiche di Verità a quelle della Correttezza/Giustezza; poi da quelle epistemiche della Certezza alle pratiche dell’Adozione. Conoscenza, Verità e Certezza – ma anche credenza, dubbio, evidenza, probabilità e conferma – gli sembrano nozioni confinate a simboli di tipo dichiarativo, “quello che gli enunciati dicono”, mentre i sistemi e i processi di simboli – una sonata di Bach o un quadro di Picasso – chiedono altre nozioni che ne coprano lo spettro.
Se compresi, considerati corretti e poi adottati, i simboli si adattano, funzionano e rafforzano, riflessivamente, la loro tenuta. “Nel discorso ordinario” – insiste Goodman – “non portiamo prove a favore o contro, né confermiamo o confutiamo un modo di vedere o uno schema di classificazione (…). Analogamente, un quadro o una sonata per pianoforte non possono essere approvati o disapprovati; ma saranno “convincenti” nella misura in cui le percezioni, i modelli o qualunque altra cosa essi esemplificano, esprimono o cui si riferiscano, o il modo in cui si realizza tale riferimento, favoriscono la nostra comprensione. In altre parole, convinceranno nella misura in cui saranno efficacemente incorporati nel nostro sforzo di costruire una versione o una visione”.
Sensibile alla ricerca nelle scienze e nelle arti, Goodman non ha i timori ontologici di perdere lo “zoccolo duro”, il piedistallo della realtà2. I clinici attacchi di ontalgia – nostalgia dell’ontico – si devono al postulato tenace che il significato non risieda nei segni e nei linguaggi, ma in una esteriorità fisica (riduzione fiscalista) o in una interiorità psichica (riduzione mentalista). Entrambe le opzioni referenzialiste conducono ad immaginare rapporti tra le cose indipendenti dalle relazioni tra sistemi e processi segnici o ad inventare grammatiche universaliste con le quali valutare le lingue naturali, anziché esplorarne le semantiche comparate.
Per Goodman, invece, la significazione è irriducibile alla referenza: l’ontologia di buon senso, fondata su un’impressione di realtà, è sterile e contiene tutti gli errori dei pregiudizi reificati. Può quindi dichiararsi ironicamente “irrealista”, e denunciare una certa precarietà del cogito, a condizione però di pronunciare la promessa inesausta di molteplice mondi da fare. A differenza dello “scettico terminale” e del “relativista irresponsabile”, il costruzionista – che non è affatto nominalista – è molto indaffarato: avverte un dovere attivo di ingerenza nei mondi esistenti – e non solo possibili: per lui l’iniziativa è il futuro prossimo dell’agire.
2. Teorie del simbolismo
Per evitare le regressioni e i buoni uffici di collocamento filosofico, Deleuze sosteneva che “ogni vero pensiero è un’aggressione”. Sembra il caso di Goodman quando constata il disastro della filosofia analitica, compatisce la grama verità – “ingrediente occasionale della correttezza” – afferma che il noto è ignoto, che non esistono immagini mentali indipendenti dai segni e dai linguaggi, che i mondi sono tutti reali, che la stupidità la sa più lunga dell’intelligenza e che ciò che non vediamo è quel che ci riguarda di più.
Per lui, come per Quine, l’epistemologia contemporanea, incapace di distinguere tra credenze significative e insignificanti, arrossisce del proprio nome. Lo scopo di questi ripensamenti, quindi, non è riesumare nozioni o riposizionare concetti, ma sfrondare l’albero genealogico della filosofia analitica per prepararlo ai nuovi innesti o trapianti richiesti da una teoria generale del simbolismo.
2.1.
Qui Goodman opera una scelta di campo, gravida di conseguenze. Prende il partito di Whitehead, poi di Cassirer e di Langer, accantonando il contributo di Charles S. Peirce, che oggi gode, tra i semiologi, di un premio di maggioranza e di raccolte differenziate nei suoi vasti depositi testuali (Fabbri 2010). Quest’ultimo è citato direttamente solo per ricusarne la tesi della iconicità fondata sulla somiglianza e l’affermazione “pragmatista” che “la vera scienza si caratterizza per lo studio delle cose inutili”.
Indiretto, invece, è il riferimento alla intelligenza pratica di Watson rispetto a quella inferenziale e problematica di Sherlock Holmes. Nell’acuto studio sulla stupidità, Goodman dimostra che la conoscenza non elementare di Watson, come ornitologo e sommelier, ribalta il tradizionale giudizio della sua ottusità (Eco, Sebeok). Invece le sottili abduzioni di Holmes, esposte da Sebeok e anche letterariamente da Eco, lo conducono per lo più nella torre d’Avorio della suspension of disbelief (Marrone 1990).
2.2.
È da Cassirer, grande mediatore tra filosofia americana e continentale, che Goodman mutua i fondamenti di una teoria del simbolismo che riporta nelle lingue e nelle culture la metafisica di Whitehead. Non è solo la critica radicale dell’induzione e della deduzione e neppure l’idea di “forma simbolica” che Cassirer mutua e ridefinisce a partire da poeti come Goethe, filosofi come Vico, scienziati come Duhem e che avrà il successo che sappiamo nelle scienze e nelle arti (Panofsky). Centrale è la definizione di simbolo e di segno. Il simbolo, per Cassirer, è “realizzazione significativa del sensibile”, “manifestazione e incarnazione di un significato”. In esatta coincidenza con la semiotica – da Saussure a Hjelmslev, da Bühler a Benveniste, da Halliday a Greimas – “materia e forma della conoscenza (…) non sono più assolute potenze dell’essere, ma servono ad esprimere determinate differenze di significato e strutture di significato”. Il concetto si trova nella parola; e il nesso tra significato ed espressione, tra significante e significato, diventa “il modello di tutti nessi”. Un modello che non è astrazione, ma costituzione. È il potenziale semantico del segno (Zeichen, che Cassirer, come il primo Saussure, impiega alternativamente con Symbol) “a rendere possibile per la prima volta l’intuizione di una realtà articolata”.
Una lettura più approfondita troverebbe in Cassirer il piano di consistenza di molti concetti di Goodman – il primato della relazione, la necessità analitica di partire da totalità analizzabili, l’esemplificazione piuttosto che l’inferenza, ecc. – ma soprattutto un’affermazione programmatica: “la filosofia delle forme simboliche (…) apre il vero accesso alla sfera delle ‘opere'”, cioè alla semiosfera (Lotman) articolata dalle lingue e dalle culture – dal mito alle arti alle scienze.
Per Cassirer, come per Goodman, la percezione ha un esito “culturalista” e gli oggetti culturali, i quali sono dell’ordine dei valori, pongono problemi di giustezza e non di verità.
2.3.
Nella stessa direzione additata da Cassirer si muove la riflessione semiotica di Susanne Langer, per cui il segno – che comprende simboli e segnali (Innis 2009) – non rinvia direttamente alle cose, ma ad un piano di senso da comprendere, non da “stivare in proposizioni”. Come per Goodman, anche per Langer lo studio dell’arte è lo sviluppo di una teoria del significato; ed è l’applicazione e la disimplicazione dei segni artistici, soprattutto musicali, a farci ripensare l’epistemologia. Se la dicotomia proposta dalla Langer tra simbolismo discorsivo – linguistico – e simbolismo presentazionale – pittorico e musicale – sembra desueta, resta aperto invece il suo contributo alla dimensione passionale dei testi artistici. Lungo questo percorso, hanno fiancheggiato Goodman studiosi dell’arte d’estrazione semiotica come Gombrich e Schapiro, l’eco dei cui suggerimenti è percepibile nelle sue analisi artistiche. Renitenti allo storicismo, alla retorica delle monografie e alla pratica delle attribuzioni e, come Goodman, recalcitranti all’aura fritta e ai tremiti sublimi dell’estetica.
3. Semiotica d’oggi
Un paradigma è una promessa di successo nella ricerca (Kuhn). Anche quello semiotico esige un metodo euristico e una teoria che ne fondi la coerenza, ne copra gli omissis e i rompicapo. E soprattutto quel minimo epistemologico per il quale Goodman ci sembra il candidato più credibile. La parte “distruttivista”, necessaria a liberare le potenzialità simboliche, è ancora incompiuta. Basti pensare alla pervicacia con cui, nell’ibridazione multimediale, il linguista studia la sola lingua scritta, e “una miopia professionale lo rende cieco a tutti i sistemi simbolici diversi dal linguaggio” (Goodman su Chomsky)3. Goodman ha saputo tenere a freno questa linguistica miope, distinguendo tra analogico e digitale, proponendo alla ricerca i diagrammi e gli spartiti, la musica, la pittura, l’architettura, e allargando agli altri sistemi semiotici le nozioni di metafora, stile, narrazione, citazione e variazione. Evita così le specificità preconcette e crea le condizioni per una transduzione regolata nella complessità d’una teoria della cultura. Offre fondi negoziabili per energie rinnovabili.
Nel collimare la semiotica generativa, gli fa difetto quella componente enunciativa che fonda una teoria integrata della discorsività e che resta da sceverare e da asseverare.
Epilogo
Un cambiamento di stile oppure di vocabolario può talvolta ottenere una riconcezione significativa
(Goodman)
Le “Premonizioni” che titolano la terza parte dei Ripensamenti vanno oltre il riepilogo della prima e gli esperimenti della seconda. Contengono un programma di incentivi interdefiniti per uscire dallo stato vegetativo della epistemologia: propongono di ripensare la negatività, la consistenza, la consequenzialità. Ma l’indice di Goodman non è imperativo. Non è un’offerta chiavi in mano e non sottoscrive polizze assicurative contro il dubbio. Per lui, come per Flaubert, la bêtise c’est conclure. Questo libro non si chiude con un punto fermo, ma con i due punti. È una parola penultima che merita adozione.
Note
- Superfluo ripetere il carattere fuorviante della traduzione di Ways of Worldmaking, ma varrebbe la pena di sottolineare, per ragioni di benessere linguistico, che nell’articolo cruciale “Quando è arte” si trovano, accanto a perdonabili confusioni tra picture e painting – tutti tradotti come “quadri” o “opere” – sbagli come “campioni di tappezziere” anziché “di tappezzeria”, “materiali” in luogo di “stoffe”, “saldare il fornitore” per “coprire i mobili”. Più preoccupante l’arte “trovata” per readymade, “arte environmental” al posto di “arte ambientale”, orologi “liquidi” di Dalí anziché “molli”. Infine: Unicorn tapestry non sono misteriche “decorazioni come quelle costituite da unicorni”, ma i noti Arazzi dell’Unicorno!
- Questa opposizione al realismo che determina il senso con criteri ontologici è condivisa da semiologi come Rastier. Già per Saussure “se un oggetto potesse, comunque, essere il termine su cui si è fissato il segno, la linguistica cesserebbe immediatamente di essere quel che è da cima a fondo”.
- Sulle lingue e sui segni siamo tutti “supposti sapere”. Eppure Goodman illustra il problema caricaturando la battuta di Star Trek “come vanno gli inertial dumpers? Bene grazie!”, che riscrive: “Come funzionano i simboli? Non troppo bene, così così. Grazie”.
Bibliografia
Per una bibliografia complessiva di Nelson Goodman si vedano:
Cohnitz, D. e Rossberg, M., Nelson Goodman, McGill Queen’s University Press, Montréal 2006
Fabbri, P., “La riconcezione semiotica”, prefazione a Nelson Goodman, Arte in teoria arte in azione, Et al. edizioni, Milano 2010.
Goodman, N., La struttura dell’apparenza, (1951), Il Mulino, Bologna 1985.
– Fatti, ipotesi e previsioni, (1954), Laterza, Bari 1985.
– Problems and Projects, Bobbs-Merrill, Indianapolis 1972.
– I linguaggi dell’arte. Un approccio ad una Teoria dei Simboli (1968), Il Saggiatore, Milano 1976.
– “Semiotiske Aestetik und pragmatischer Irrealismus”, Zeitschrift fur Semiotik, 5, 1983.
– “Storie su storie, piani su piani, o la realtà in livelli”, in Livelli di realtà, a cura di M. Piattelli Palmarini, Feltrinelli, Milano 1984.
– Of Mind and Other Matters, Harvard UP, Cambridge, MA, 1984 (trad. parziale in Arte in teoria arte in azione, Et al. edizioni, Milano 2010).
– Vedere e costruire il mondo (1978), Laterza, Bari 1988.
– “Modelli del linguaggio e dell’espressione in rapporto al mondo dell’immagine”, in L’immagine, l’icona: gli impalpabili spostamenti della rappresentazione, a cura di C. E. Bernardelli (con un intervento di P. Fabbri), Ecotipi, Roma 1992.
– “Some reflections on my philosophy”, Philosophia Scientiae, 2, 1997.
Elgin, Catherine Z., With Reference to Reference, Hackett Publishing Co., 1983.
– “What Goodman Leaves Out”, Journal of Aesthetic Education, v. 25, n. 1, 1991.
– “Sign, symbol and systems”, Journal of Aesthetic Education, v. 25, n. 1, 1991.
– Between the Absolute and the Arbitrary, Cornell University Press, Ithaca 1997.
– Nelson Goodman’s New Riddle of Induction, Garland Pub., 1997.
“Worldmaker, Nelson Goodman, 1906-1998”, Journal for General Philosophy of Science, v. 31, n. 1, 2000.
AA.VV., Il segno dei tre, a cura di U. Eco e T. Sebeok, Bompiani, Milano 1983.
Cassirer, E., Filosofia delle forme simboliche, 3 voll (1923), La Nuova Italia, Firenze 1961-66.
– Lo strutturalismo nella linguistica moderna, (1947), Guida, Napoli 1970.
– Metafisica delle forme simboliche (1995), Sansoni, Firenze 2003.
Fabbri, P., La svolta semiotica, Laterza, Bari-Roma 1998.
– “Conclusioni” in Semiotica in nuce II. Teoria del discorso, a cura di P. Fabbri e G. Marrone, Meltemi, Roma 2001.
Innis, Robert E., Susanne Langer in focus: the symbolic mind, Indiana University Press, 2009.
Langer, S., Sentimento e forma, (1953) Feltrinelli, Milano 1965/1975.
– Filosofia in una nuova chiave, (1942), Armando, Roma 1972.
Marrone, G., Stupidità e scrittura, Flaccovio, Palermo 1990.
Monelle, R., The Sense of Music: Semiotic Essays, Princeton University Press, 2000.
Rastier, F., Arti e Scienze del Testo, per una semiotica delle culture, Meltemi, Roma 2003.
Stengers, I., Penser avec Whitehead, Seuil, Paris 2002.
Whitehead, A. N., Simbolismo, (1927),Cortina, Milano 1998.