Progetto di ricerca sull’utilizzazione dell’informazione ambientale


Da: (con Umberto Eco) Problemi dell’informazione, Il Mulino, Bologna, n. 4, ottobre-dicembre, 1978.


Questo progetto è stato redatto nell’estate 1977 su incarico dell’Unesco, che aveva richiesto un progetto orientativo per una serie di indagini sociologiche nelle isole minori del Mediterraneo. Il progetto era corredato da una appendice di Mauro Wolf che presentava modelli concreti di indagine, tipi di questionari, eccetera. Il progetto conteneva anche vari paragrafi riassuntivi di ricerche compiute in Italia o di posizioni teoriche espresse in altre opere dagli autori. Tutto questo materiale viene qui eliminato per ragioni di spazio, ritenendo sia accessibile per altre vie al lettore. Si ringrazia l’Unesco (Division des Etablissements Humains et de l’Environnement Socio-culturel) per aver consentito la pre-pubblicazione in Italia di questo progetto, ancora inedito. L’uso a cui era destinato (traduzione in francese e inglese per ricercatori internazionali) spiega l’eccedenza di termini tecnici in lingue straniere, lasciati tali e quali, e talora coniati appositamente per facilitare la circolazione del testo.

I. PROPOSTE TEORICHE

1. Definizione di «informazione ambientale»

Si ha informazione ambientale ogni qual volta un individuo reagisce al proprio contesto naturale e artificiale interpretando diversi fenomeni fisici (spazi, oggetti, comportamenti di altri esseri umani) quali elementi portatori di significato.
Dei vari comportamenti umani fanno parte informazioni palesi (blatant communication) quali parole, scritti, processi di comunicazione di massa (giornali, tv, eccetera). Ma in linea di principio non è necessario, perché ci sia informazione ambientale che ci sia informazione palese. Un essere solitario su un’isola deserta che interpreta le traccie lasciate dagli animali o i sintomi meteorologici, reagisce a informazione ambientale. Naturalmente questa assunzione implica una particolare definizione semiotica di «significazione» (Eco, 1975).
Tuttavia, ai fini della presente ricerca, si può ridurre il caso di informazione ambientale ai seguenti modelli di situazione: a) contesto urbano (città o villaggio) e b) contesto comunitario, che implica una comunità di esseri umani in un ambiente dato non necessariamente urbano, i quali reagiscono sia ai comportamenti dei loro simili (tra cui casi di blatant communication) sia a spazi, oggetti, eventi naturali.
Per ragioni di semplicità restringeremo ulteriormente la nostra area di riferimento alla situazione modello a), ovvero a una situazione in qualche modo urbanistica (città o villaggio), in una civiltà occidentale avanzata (europea o americana) di dimensioni ridotte e in situazione periferica: in altri termini un agglomerato urbano inferiore alla grande metropoli e possibilmente decentrato rispetto ai grandi centri di produzione della comunicazione.
Questo tipo di obbiettivo verrà ulteriormente definito nella seconda parte del presente progetto quando si proporrà un modello di indagine-azione in una zona periferica della penisola italiana, nella fattispecie le isole del sud Mediterraneo.
A titolo provvisorio (l’elenco sarà ripreso in II.1.) elenchiamo qui una serie di fenomeni che possono essere intesi come veicoli di informazione ambientale:

a) blatant communication
Stampa nazionale
televisione e radio a diffusione nazionale
pubblicità a diffusione nazionale
cinema
teatro
musica riprodotta
oggetti, merci (in particolare con riferimento a messaggi che appaiono sul packaging)
stampa locale
radio e televisioni locali
pubblicità locale (cartelloni, insegne)
segnaletica stradale
comunicazioni verbali istituzionalizzate e collettive (predica, comizio…)
feste (religiose tradizionali, festival politici) per gli aspetti di blatant communication che veicolano
volantini e altro materiale di propaganda politica locale (compresi eventuali graffiti, murales, eccetera)
immagini non-standard (quadri nelle chiese, statue).

b) non blatant communication
Merci e oggetti standardizzati in quanto significano status sociale o modalità d’uso
merci e oggetti artigianali
strutture e uso degli spazi
feste e cerimonie rituali
comportamenti verbali
comportamenti gestuali, fisiognomici, posture corporali
moda e usi vestimentari
comportamenti associativi
musica prodotta artigianalmente

La presente ricerca viene proposta dopo che una serie impressionante di indagini è stata condotta nelle comunicazioni di massa in tutto il mondo (Halloran 1976). Quindi essa ha numerosi limiti e un vantaggio. Limiti: non si potranno ripetere ricerche già fatte per acquisire risultati ormai prevedibili. Vantaggio: si potrà utilmente evitare di compiere ricerche la cui utilità sia stata dimostrata dubbia. Riassumeremo quindi brevemente le fasi principali secondo cui, a nostro parere, si è strutturata la ricerca sulle comunicazioni di massa, per esaminare gli esperimenti già fatti e i loro limiti. La maggior parte di queste ricerche concerne casi di blatant communication ma i vari metodi impiegati possono essere riferiti anche ai più vasti fenomeni di informazione ambientale che qui verranno discussi.

2. Fasi delle ricerche sui mass media

2.1. Prima fase: ricerche sulle percentuali di ascolto e di gradimento. Questa fase era influenzata dalle esigenze commerciali dei media. Irrilevante per ogni seria ricerca sociale sull’impatto dei mass media anche se provvedeva delle informazioni di base sulla consistenza delle audience di un certo programma radiofonico o televisivo, o di un giornale. Si trattava di pura analisi di mercato. Non diceva nulla sul contenuto dei messaggi e sulla loro comprensione.

2.2. Seconda fase: ricerche dissociate sui contenuti e sugli effetti. Definiamo queste due ricerche come «dissociate» perché si avvalevano di metodi diversi.
Per il contenuto si trattava di stabilire cosa i mezzi di massa dicono. Il «cosa» era analizzato secondo modelli astratti di contenuti (unità di notizia, numero di parole, termini chiave, eccetera). Per una panoramica di questi metodi ormai «storici» si veda De Lillo, 1971, Gerbner et al. 1969.
Il limite di queste ricerche, oltre a quello che chiariremo più avanti, era che la nozione di contenuto veniva definita secondo una semantica rudimentale, ancora lontana dalle raffinatezze delle più aggiornate ricerche linguistico-semiotiche.
Per gli effetti si applicavano mezzi statistici e categorie psicologiche. Per una panoramica di queste ricerche e per una definizione dei loro limiti si veda Klapper, 1950 che costituisce ancora la sintesi più attendibile. Le conclusioni finali di Klapper sono le seguenti: non ha senso fare ricerche sugli effetti delle comunicazioni di massa per trarne conclusioni assolute. Una stessa trasmissione televisiva può indurre alla violenza o avere effetti catartici a seconda dei soggetti che la ricevono, della loro situazione socio-culturale, del loro stato psicologico, della loro età, eccetera. Pertanto nessuna ricerca sugli effetti delle comunicazioni può essere una utilità che vada al di là del rilievo ad hoc, riferito a una situazione specifica.
L’indagine sui contenuti appariva difettosa perché mette in luce i contenuti che vede il ricercatore (e che per ragioni di omogeneità culturale possono essere gli stessi che aveva voluto inserire nel messaggio l’autore) ma non mette in luce i contenuti che vi vede il destinatario.
L’indagine degli effetti appariva difettosa anche per i motivi che diremo in I.3.2.2. dove si dimostrerà come sia impossibile definire i veri effetti del messaggio attraverso tests verbali. D’altro canto il comportamento che segue alla ricezione di un messaggio non costituisce parametro valido perché a) ci possono essere comportamenti interiori (mutamenti di idee e opinioni non verificabili); b) il comportamento risposta può seguire molto tempo dopo la ricezione del messaggio, in seguito ad accumulo di effetti di diversi messaggi; c) ci sono casi (come si vedrà in I.3.2.3.) in cui il contenuto viene compreso e tuttavia l’effetto-risposta è diverso perché il ricettore oppone ai contenuti (capiti) del messaggio altri contenuti dovuti alla interazione tra i propri codici e il proprio patrimonio di idee, aspettative, esigenze e i codici a cui faceva riferimento il messaggio.
Il limite fondamentale di queste ricerche, che potremo circoscrivere agli anni quaranta-sessanta, era di tener separata l’analisi di contenuto da quella degli effetti. I contenuti erano definiti dal ricercatore, attraverso modelli teorici proprii dell’ambiente e della cultura del ricercatore, gli effetti erano definiti comportamentisticamente (tipo di reazioni a stimoli). Si vede come i due approcci siano inconciliabili. Ammettiamo che la ricerca di contenuto abbia messo in evidenza in un messaggio di massa i contenuti A e B e in un altro messaggio i contenuti C e D. Ammettiamo che una ricerca sugli effetti stabilisca che entrambi i messaggi producano l’effetto K. Si vede che i) o il controllo sugli effetti non serve a definire i contenuti o che ii) i contenuti non costituiscono categoria valida per prevedere gli effetti. Ciò che rimane in ombra sono i contenuti che i destinatari hanno individuato nei messaggi e che talora non hanno nulla a che vedere con gli A, B, C e D degli analizzatori. A meno che i contenuti siano irrilevanti ai fini degli effetti (nel qual caso l’analisi dei contenuti sarebbe inutile).
Per una critica di questi metodi si veda Fabbri 1973.

2.3. Terza fase: l’introduzione del modello semiotico-informazionale. Distinguiamo un modello semiotico-informazionale da un modello semiotico-testuale, di cui si dirà in I.6. A mediare entrambi i modelli dovrebbe esserci, in teoria, un modello semantico, ma di fatto il modello semiotico-informazionale lasciava già ampio spazio alla considerazione dei fattori semantici, attraverso la nozione di «codice».
Gli autori del presente progetto sono stati anche autori nel 1963 di un modello di ricerca interdisciplinare per le relazioni tra la televisione e il proprio pubblico (Perugia, ottobre 1965) che peraltro riguardava i mass media in generale.
Sia chiaro che ciò che a quell’epoca veniva detto della televisione va inteso come riferito i) a tutti i tipi di comunicazione di massa, ii) ai tipi di blatant communication individuale, iii) a tipi di informazione ambientale non direttamente intenzionale (come comportamenti degli individui interagenti, modo di vestire, posture corporali, organizzazione degli spazi).

3. Le indagini sulla comprensione orientate semioticamente

3.1. La proposta di Perugia 1965

Riprendiamo i motivi fondamentali della nostra proposta di Perugia (cfr. Eco 1972).
Dicevamo: non essendo un prodotto che esaurisce la sua funzione nella vendita e nel consumo materiale quantificabile, come i dentifrici, alla televisione importa pochissimo sapere quante persone seguono questa o quella trasmissione; almeno, il saperlo può certo orientare i programmi ma non ci dice nulla circa i loro effetti; il saperlo può essere utile in paesi in cui diverse catene, che si sorreggono esclusivamente sulla pubblicità commerciale, devono offrire ai loro sponsors dati che confermino la vastità della propria udienza, ma diventa molto meno decisivo in un paese a due soli canali, per cui sapere che dieci milioni di persone han visto il film sul primo canale significa soltanto che non hanno avuto il coraggio di seguire il concerto di musica per organo sul secondo.
Dicevamo: l’indice di gradimento (salvo le finalità commerciali, che talora possono anche essere finalità di consenso politico) non procura dati interessanti dal punto di vista pedagogico e civile.
Il fatto che un programma sia piaciuto non ci dice cosa la gente ha visto.
Dicevamo: l’analisi di contenuto senz’altro rappresenta uno dei momenti avanzati della sociologia delle comunicazioni di massa; tuttavia, cercando nei messaggi delle comunicazioni di massa unità ideologiche, pitture di atteggiamenti, sistemi di valori, vi trova esattamente quello che gli autori vi avevano messo anche perché sia l’autore del programma televisivo che il sociologo del contenuto vengono dalla stessa università, hanno letto gli stessi libri, hanno lo stesso tipo di censo e di educazione. L’analisi di contenuto ha svolto, può svolgere, dovrà svolgere una importante funzione pedagogica, quando non si arresti alla decrittazione ideologica del messaggio ma porti il risultato delle sue ricerche a conoscenza del pubblico più distratto, rivelandogli cosa il messaggio voleva dire – anche se non l’ha realmente detto a tutti. Ma come registrazione degli effetti di coscienza operati dalle comunicazioni di massa è del tutto irrilevante. Essa ci dice quali effetti di coscienza si volevano produrre, non quali si sono prodotti.
Nell’occasione perugina si tracciava dunque il classico schema della comunicazione divulgato dai matematici dell’informazione:

Schema classico della comunicazione

Esiste, dicevamo, a seconda delle diverse situazioni socio-culturali, una diversità di codici, ovvero di regole di competenza e di interpretazione. E il messaggio ha una forza significante che può essere riempita con diversi significati, purché esistano diversi codici che stabiliscono diverse regole di correlazione tra dati significanti e dati significati. E qualora esistano codici di base accettati da tutti, si hanno differenze nei sottocodici, per cui una stessa parola capita da tutti nel suo significato denotativo più diffuso, può connotare per gli uni una cosa e per gli altri un’altra.
Nel fare questo si traduceva in termini semiologici quello che era già stato compreso negli anni cinquanta dalla sociologia accademica americana (meglio che dalla sociologia free lance germano-americana), e cioè che il messaggio, all’arrivo, subiva il filtraggio dei cosiddetti leaders di gruppo, in modo che la comprensione veniva modulata sulle esigenze e sul sistema di aspettative del gruppo destinatario, non di rado con effetti dannosissimi per l’emittente, quali i famigerati effetti boomerang.

3.2. Esempi di ricerche sulla comprensione

Tra le varie ricerche che si sono mosse in quest’orbita citiamo alcuni risultati che renderanno più chiare le nostre assunzioni.

3.2.1. Incomprensione (rifiuto) del messaggio per totale carenza di codice1

Il risultato di questa situazione è che gran parte dell’informazione di massa (stampa, radio, TV) arriva in quanto segnale fisico ma non viene decodificata. Vale a dire che i segnali fisici (parole, immagini) non vengono intesi come significanti correlabili a un significato. Passano come puro rumore. Questo fa che in molte situazioni sociali la stampa e la televisione non agiscano come trasmissione di notizie tra il centro e la periferia, ma come trasmissione di messaggio in chiave tra gruppi di potere diversi, al di sopra della testa dei loro apparenti destinatari (Eco 1971).

3.2.2. Incomprensione del messaggio per disparità di codici

Un primo tipo di incomprensione è di carattere denotativo: si conosce male il significato elementare del termine oppure si attribuisce al termine un altro significato che muta totalmente senso al contesto in cui appare.
Scarti denotativi del genere possono apparire anche a livello non linguistico. Esempi: equivoco sul ruolo di un ufficiale dovuto a differenza nel codice delle uniformi nei contatti tra due eserciti; equivoci sui significati diversi acquistati dallo stesso comportamento nell’interazione tra due individui di civiltà diverse (cfr: Edward Hall, 1959, 1966, sui rapporti spaziali e sui comportamenti sociali); il dito puntato che in certe civiltà significa indicazione e in altre maledizione (si danno casi di civiltà in cui l’indicazione avviene attraverso un movimento delle labbra – cfr. Sherzer, 1973); il colore bianco che in certe civiltà significa «nozze» e in altre «funerale»; e cosi via.
Tuttavia l’incomprensione più comune è di tipo connotativo. Si individua il significato primario ma si attribuisce al messaggio una serie di connotazioni diverse2.

3.2.3. Incomprensione del messaggio per interferenze circostanziali

Sotto questo titolo poniamo casi ampiamente studiati oggi dalla sociolinguistica e dalla etnometodologia (cfr. Mehan & Wood, 1975; Fishman, 1970; Hymes & Gumperz, 1972). Il destinatario è in possesso del codice dell’emittente e capisce il messaggio; tuttavia esso è mosso da esigenze in conflitto con il tipo di persuasione che il messaggio vuole indurre. Pertanto riferisce il messaggio al proprio sistema di aspettative e – con un processo che potremmo moralisticamente definire di falsa coscienza – lo usa come conferma di ciò che crede, anche quando di fatto ne costituisce la negazione. In questi casi si parla di «assunti incorreggibili».
Facciamo un esempio astratto. Noi apparteniamo a una civiltà che ha legittimato e reso indiscutibili i principi della matematica. Pertanto crediamo che sempre e in ogni caso 2 + 3 = 5. Supponiamo ora che qualcuno, attraverso un gioco svolto manipolando palline, ci dimostri che due palline più tre palline danno sei palline. La nostra reazione non sarebbe «la matematica è sbagliata» bensì «si tratta di un gioco di prestidigitazione». Invece di intendere l’esperimento come falsificazione dei principi matematici useremmo le nostre nozioni di matematica (indiscutibili) per ritenere falso l’esperimento. Noi abbiamo assunti correggibili e assunti incorreggibili. Se ci viene detto che Milano non ha due ma tre milioni di abitanti, se abbiamo fiducia nella fonte di informazione, siamo disposti a correggere le nostre assunzioni circa gli abitanti di Milano. Ma se ci viene detto che la Terra si muove mentre il Sole resta fermo, resistiamo alla affermazione e vi opponiamo le nostre credenze più assestate, anche se l’autore della affermazione fosse un premio Nobel (a pensarci bene è accaduto lo stesso, per l’affermazione opposta, con Copernico e Galileo)3.

3.2.4. Rifiuto del messaggio per delegittimazione dell’emittente

Di solito i mezzi di massa (messaggi provenienti da un centro lontano dotato di poteri carismatici) vengono ricevuti come provenienti da una fonte particolarmente legittimata: «faccio cosi, o credo così perché lo ha detto la televisione – o il giornale, o la radio». Tutte le teorie dei mass media basate su concetti come «persuasione occulta», o manipolazione delle opinioni, danno per scontato il potere carismatico della fonte.
Tuttavia vari studi di sociolinguistica ci dicono che, nel caso in cui il sistema di credenze o le pressioni circostanziali del destinatario siano molto forti, il codice di destinazione rende illegittimo il messaggio. Si hanno allora sindromi di rifiuto aprioristico: «la fonte mente» o addirittura di messa fuori campo della fonte (e del messaggio): in altri termini, non si sta a sentire quel che il messaggio dice. Queste situazioni sono tipiche di comunità periferiche (o per ragioni geografiche o per ragioni di classe) che sentono il Potere, e quindi i mezzi di massa quali emanazione del Potere, come antagonisti. Ma possono verificarsi anche in situazioni sociali diverse, per esempio in casi di tensione politica in cui la televisione governativa o la stampa capitalista viene sentita come fonte «inattendibile» da gruppi rivoluzionari o da comunità operaie. Questo si lega al problema della catastrofe esposto in I.9.3.

4. Il concetto di decodifica «aberrante» e la negoziazione

In tutti e quattro i casi esaminati si può parlare di decodifica aberrante, dove il termine «aberrante» non ha necessariamente un senso negativo, bensì significa «diverso dal modo in cui l’emittente sperava che il messaggio fosse decodificato».
La tematica dell’aberranza (cfr. Eco et al., 1965; Eco, 1968; Eco, 1976) è stata ulteriormente sviluppata da Stuart Hall, 1974 e Fabbri, 1973.
Secondo Hall l’interazione comunicativa è «negoziata», procede per aggiustamenti e riformulazioni; pertanto l’aberranza (o i misunderstandings) non vanno più visti solo come prodotti di disomogeneità tra codici (subita quasi passivamente) ma come prodotti di strategie sociali spesso coscienti da parte del destinatario. In questi processi il codice egemonico dell’emittente viene riconosciuto ma è integrato da una particular or situated logic, riferendo cioè coscientemente il messaggio ai propri codici. In casi estremi si ha la messa in opera di un oppositional code: «Questo è il caso dello spettatore televisivo che ascoltando un dibattito sulle necessità di limitare i salari “legge” ogni riferimento all'”interesse nazionale” come riferito all'”interesse di classe”».
Fabbri dal canto proprio ha messo in luce il fatto che le «aberranze» venivano di solito interpretate alla luce di una idea di competenza deficitaria. Di qui due fallacie da parte del massmediologo: secondo la prima l’aberranza viene vista come difetto del destinatario che possiede un codice troppo «ristretto» rispetto al codice più «elaborato» dell’emittente (cfr. Bernstein, 1973). Secondo la seconda fallacia si presume che il destinatario abbia capito male perché si controlla il suo grado di comprensione del messaggio attraverso test puramente verbali. In realtà c’è molta differenza tra comprensione di un messaggio e capacità di verbalizzare quel che si è compreso. Ma di solito questi due momenti vengono identificati nelle inchieste sugli effetti e sulla comprensione perché il ricercatore è vittima della persuasione che tutto ciò che è pensato può essere detto con il linguaggio verbale e ciò che non può essere detto non è neppure pensato. Ora tutta una serie di recenti ricerche semiotiche ci dice che esistono forme di pensiero non verbale, e che non tutti i contenuti di una comunicazione non verbale (per esempio, gestuale, comportamentale, visiva) possono essere tradotti verbalmente (Sebeok et al. 1964, Garroni 1972, Greimas 1968, Hinde 1972, Efron 1972, Hall 1959).
Se comprendere non è verbalizzare, può accadere allora che la ricerca sugli effetti di comprensione porti a conseguenze troppo parziali. Può accadere persino che il soggetto sappia verbalizzare nei termini dell’intervistatore, ma rifiuti questo tipo di complicità con il codice dominante, se non altro di istinto (cfr. Cicourel, 1964), nello stesso modo in cui accade il contrario e si assiste in televisione a interviste con persone che (influenzate dalla presenza «colta» della telecamera) si esprimono in un linguaggio che non è il loro, che riproduce quello della televisione, che dice certo alcune cose ma non necessariamente quelle che il parlante avrebbe voluto dire. Quindi il test di comprensione attraverso verbalizzazione può far credere che si sia capito poco quando si è capito abbastanza o che si sia capito tutto quando non si è capito niente.
Dobbiamo ora chiederci:
a) se, sotto questo apparente «deficit dei codici», si nascondano culture subalterne autonome, con codici propri diversamente organizzati, in grado di fornire regole di competenza ai propri utenti sia nell’esprimersi che nell’intendere le espressioni altrui;
b) che cosa significa parlare di codici diversi, come sono organizzati, o se sono «codici».
Quando un soggetto dimostra di non aver capito un dato messaggio dobbiamo domandarci se:
a) lo ha capito ma non sa verbalizzarlo;
b) non conosce l’unità di forma dell’espressione che l’emittente ha usato (se qualcuno non ha mai udito la parola / metempsicosi /, si tratta di pura carenza lessicale);
c) conosce l’unità espressiva, possiede un contenuto segmentato come quello dell’emittente, ma assegna all’unità espressiva una diversa unità di contenuto (crede che / metempsicosi / significhi un particolare tipo di malattia psichica, in questo caso c’è conoscenza imperfetta del codice);
d) possiede un contenuto segmentato diversamente per cui l’unità espressiva ricevuta viene fatta corrispondere a unità dal contenuto disomogeneo con quello dell’emittente.
Il problema a) è già stato posto, e di fatto rinvia di solito ai problemi successivi. Il problema b) è abbastanza semplice e richiede solo un intervento scolastico. Anche il problema c) è risolvibile sulla base di una più diffusa scolarità. Ma quello che non è mai stato considerato a sufficienza è il problema d).
Lo studio dei modi diversi di segmentare il contenuto, sinora affrontato dall’antropologia culturale, sta dando ora vita a una nuova branca della semiotica che è la semiotica delle culture (Lotman 1975).

5. Ipercodifica e ipocodifica

Per analizzare o prevedere fenomeni di aberranza occorre tenere presente il duplice fenomeno della ipocodifica e della ipercodifica.
Un caso esemplare di ipercodifica è dato dalle regole di cortesia: tre frasi diverse possono esprimere (secondo il codice linguistico in uso) lo stesso contenuto denotativo ma possono significare, per esempio, tre diversi livelli di classe o di cultura. Un esempio: il signor Mario Rossi conosce a un party il signor Paolo Bianchi e sua moglie Anna. Intercorrono tra i due uomini rapporti di familiarità e Rossi e Bianchi decidono di darsi del «tu», o di chiamarsi col nome di battesimo. Il giorno dopo Mario Rossi incontra di nuovo Paolo Bianchi e nell’accomiatarsi può dirgli di salutare Anna Bianchi nei seguenti tre modi:

  1. Salutami la tua signora
  2. Salutami tua moglie
  3. Salutami Anna.

A livello denotativo le tre espressioni hanno lo stesso contenuto. A livello connotativo significano tre diversi livelli di familiarità. In particolare la terza espressione pare estendere nettamente il rapporto di familiarità alla donna. Ma queste connotazioni dipendono anche da processi di ipercodifica, che cambiano a seconda di diversi livelli sociali. Infatti la frase i) può essere detta solo da soggetti appartenenti alla piccola borghesia (può essere detta da soggetti dell’alta borghesia o del milieu intellettuale solo con tono scherzoso, citando appunto una frase ipercodificata nella società piccolo borghese). La frase ii) potrebbe essere intesa come troppo familiare e la frase iii) come esageratamente familiare in un milieu piccolo borghese. La frase iii), specie se i rapporti di familiarità al party sono intercorsi chiaramente solo tra i due uomini, indica già che i parlanti appartengono a un ambiente abbastanza sofisticato. Infatti l’espressione iii) usata in ambiente sofisticato significa almeno due cose: che a quel livello sociale la familiarità col marito implica automaticamente familiarità anche con la moglie, senza che giochino sullo sfondo tabù di nessun genere; che la signora Anna Bianchi viene esplicitamente riconosciuta come individuo autonomo senza caratterizzarla attraverso il suo ruolo di moglie di qualcun altro. Per cogliere queste connotazioni occorre essere in possesso di un ipercodice di gruppo (un codice molto elaborato, nel senso di Bernstein). Pertanto l’uso stesso dell’espressione manifesta (in base a un ipercodice) un livello sociale.
Quanto alla ipocodifica, per un soggetto straniero che viva da poco in un ambiente anglosassone le seguenti espressioni di saluto:

  1. How do you do?
  2. How are you?
  3. Nice to see you
  4. Hi!

vengono intese come intercambiabili e denotano «saluto» mentre nel contempo connotano genericamente «disposizione cordiale da parte dell’interlocutore». Di fatto per i parlanti nativi queste formule sono ipercodificate e sono usabili per esprimere diversi livelli di familiarità. Ma il destinatario che ipocodifica le intende tutte e quattro come «saluto» tout court.
Si danno iper e ipocodifica a diversi livelli semiotici. Un destinatario disattento e scarsamente interessato di politica può cogliere una intera trasmissione del telegiornale in cui non appaiano scene violente come un testo generico che genericamente dice «la situazione è tranquilla». Un viaggiatore bianco anglosassone e protestante in un paese del sud italiano può cogliere due cerimonie religiose, assai diverse quanto a finalità e struttura cerimoniale, come una generica significazione di «folklore religioso», così come un visitatore cattolico latino può visitare negli Stati Uniti i templi di diverse denominations religiose intendendoli tutti come «chiese protestanti», mentre per i fedeli nativi c’è una visibile differenza tra un tempio episcopale e un tempio quacchero. Certi ascoltatori non musicalmente educati, riconoscono musiche classiche a diversi livelli di ipocodifica. Il primo movimento della Quinta sinfonia di Beethoven può essere codificato ai seguenti livelli di ipocodifica progressivamente più precisa:

  1. musica per orchestra,
  2. musica difficile,
  3. musica classico-sinfonica,
  4. musica sinfonica dell’ottocento,
  5. musica di Beethoven,
  6. Quinta Sinfonia,
  7. Primo movimento della Quinta.

Si noti che lo stesso movimento beethoveniano può essere usato in una trasmissione televisiva o in un film in chiave di ipercodifica: infatti – ed è acquisizione comune della cultura occidentale – questo movimento connota «Destino che batte alla porta». Pertanto il primo movimento della Quinta Sinfonia può essere usato per commentare una azione tragica per connotare il significato ipercodificato di «Destino», mentre viene ricevuto da un gruppo di destinatari a livello di ipocodifica minima come «musica intellettuale» (ovviamente lo stesso significato, per quel gruppo di destinatari, è veicolato dalla «Toccata e Fuga in Re Minore» di Bach, da «Daphni e Cloe» di Ravel, dall’«Uccello di Fuoco» di Strawinsky e dal «Don Giovanni» di Strauss). Un messaggio emesso in chiave ipercodificata viene ricevuto in chiave ipocodificata.
Può accadere anche l’inverso e un caso tipico è quello di Chung Kuo di Antonioni: una sequenza in cui apparivano animali da cortile è stata commentata da una melodia cinese che il commentatore musicale, italiano, aveva trovato in repertorio. Per lui essa significava (ipocodifica) «esotismo» o «musica cinese»; per gli spettatori cinesi essa invece non solo era un determinato inno (denotazione), non solo questo inno connotava valori patriottici, ma per ragioni di ipercodifica rappresentava il simbolo stesso della rivoluzione popolare. Di qui la reazione adeguata degli spettatori cinesi che ipercodificavano là dove gli autori avevano ipocodificato.
Le due categorie dell’ipercodifica e dell’ipocodifica sono di importanza fondamentale per la comprensione di numerosi processi che si verificano nella circolazione dell’informazione ambientale. La comprensione negoziata di cui parla Hall avviene anche attraverso transazioni di questo tipo. Può accadere che una serie di elaborati discorsi politici pronunciati in televisione da rappresentanti di partiti diversi vengano colti da un gruppo di destinatari come «propaganda di regime» tout court, senz’altre distinzioni. Ogni tentativo di rilevare meccanismi e processi di comprensione deve pertanto tenere conto di questi continui dislivelli di decodifica.
Molti di questi fenomeni sono probabilmente legati a processi di delegittimazione della fonte (cfr. 9.1.).

6. Testi e grammatiche

Un’altra coppia di categorie proposta dalle indagini di semiotica delle culture è quella di grammatica/testo, ovvero di cultura grammaticalizzata vs cultura testualizzata (Lotman, 1975).
Questa coppia di categorie sembra particolarmente adatta a spiegare processi di ricezione dell’informazione ambientale. Gran parte dei cosiddetti «codici» di un gruppo sono in verità dei complessi testuali: ovvero, data una società periferica sarebbe molto difficile per i suoi membri rendere esplicite in forma grammaticale le regole di competenza che essi possiedono (a qualsiasi livello semiotico), ma ciascuno di essi è in grado di citare delle situazioni testuali in cui queste regole sono messe in opera (nello stesso modo un parlante può non essere conscio delle regole della propria grammatica, ma sa benissimo riconoscere un testo costruito in palese violazione di quelle regole, perché lo riconosce come un testo non ammissibile, ovvero diverso dai testi a cui normalmente è esposto).
D’altra parte sia i processi di blatant communication che gli altri flussi di informazione si presentano di solito a una comunità di destinatari in forma testualizzata.
Tutti i problemi delineati ai paragrafi precedenti si ristrutturano pertanto come segue: «sullo sfondo di quale insieme di testi viene inteso un nuovo testo che venga improvvisamente offerto alla comprensione dei propri destinatari»?
Parleremo dunque d’ora in poi non solo di messaggi ma di testi-modello. Non di sistemi di codici ma di competenze testuali diffuse in un gruppo sociale. Parlare di un messaggio che arriva, formulato sulla base di un dato codice, e che viene decodificato sulla base dei codici dei destinatari, costituisce una semplificazione terminologica che può indurre in errore4. In effetti la situazione è la seguente:
a) I destinatari non ricevono messaggi singoli riconoscibili, ma insiemi testuali;
b) I destinatari non commisurano i messaggi a codici riconoscibili come tali ma a insiemi di pratiche testuali depositate (all’interno o alla base delle quali è senza dubbio possibile riconoscere sistemi grammaticali di regole, ma solo a un ulteriore livello di estrazione metalinguistica);
c) I destinatari non ricevono mai un solo messaggio: ne ricevono molti, sia in senso sincronico che in senso diacronico.
In senso sincronico: perché uno stesso avvenimento può venire appreso attraverso la radio, la televisione, i giornali, le notizie recate a viva voce da altri, eccetera; e inoltre perché uno stesso contenuto può venire veicolato a livello connotativo da messaggi diversi con un contenuto denotativo diverso. Per esempio una comunità può acquisire informazioni concernenti un nuovo modo di vestire sia attraverso una rivista di moda che parla esplicitamente di quel modo di vestire, che attraverso un film il quale «mostra» l’abito del protagonista e implicitamente lo connota come à la page.
In senso diacronico: perché lo stesso tipo di informazione viene ridondato in modo diverso, da messaggi diversi, lungo un arco di tempo. Si noti in ogni caso che, anche a proposito di messaggi ripetuti, non si può mai parlare di ridondanza pura e semplice perché più che ripetizione vi è accumulo e variazione. D’altra parte anche un messaggio pedestremente ridondato (come per esempio l’invito a non frequentare le autostrade il giorno di ferragosto) viene fatto interagire dal destinatario con altri complessi testuali (per esempio un film sulla bellezza del ferragosto al mare) per cui il messaggio subisce, attraverso processi di negoziazione da parte dei destinatari, variazioni multiple e può trasformarsi nel proprio opposto, inducendo per esempio la persuasione che partire di ferragosto sia un’esperienza eccitante, visto che la radio e la televisione lo proibiscono.
Come elemento di coagulo tra messaggi e codici, testi in arrivo e sistemi testuali alle spalle del destinatario, dobbiamo rivalutare il ruolo degli opinion leaders già ampiamente descritto dalla sociologia tradizionale.
L’opinion leader non è semplicemente colui che, commentando il messaggio in arrivo, ne determina la corretta (o scorretta) comprensione: è il dispositivo di switching che lega testo a testo, collega codice a codice, fa pesare circostanze devianti sull’applicazione di un codice piuttosto che di un altro, squalifica la fonte, ribadisce un sistema di opinioni che precedeva il messaggio, mette fuori campo determinati codici o il messaggio stesso, magari opponendovi messaggi contraddittori di cui si ribadisce la legittimazione della fonte («la televisione dice x, ma ricordatevi che «l’Unità» diceva y»), o addirittura induce processi di disattenzione e «cancellazione» attenzionale del messaggio. Ancora, l’opinion leader produce atteggiamenti proposizionali (credere, volere, ecc.): «l’emittente vuole che voi crediate… o vogliate che…». Pertanto l’opinion leader non è solo colui che dice «il messaggio significa x» ma anche colui che insinua «l’emittente vuole che voi pensiate x».

7. Si può ancora parlare di cultura di massa?

A questo punto diventano difficili quattro cose:
a) parlare di una Cultura di Massa come di un modello di vita e di comportamenti generalizzato uguale in tutto il globo;
b) pensare che lo stesso messaggio (o insieme di testi) produca gli stessi effetti di comprensione in gruppi di destinatari diversi;
c) pensare che i destinatari commisurino i messaggi ricevuti ai loro codici originari; se le nostre ipotesi sono giuste, non esistono codici «originari» dei destinatari; i destinatari vivono negoziando la comprensione dei testi e così facendo producono altri insiemi di testi;
d) che i destinatari abbiano codici omogenei: il modo in cui negoziano i testi che arrivano fa sì che essi producano sistemi testuali magari non conciliabili in momenti diversi della loro attività.
L’immagine che si può delineare partendo da queste ipotesi può apparire a prima vista sconfortante per chi pensi ancora alla ricerca sulla comunicazioni sociali come a una ideale sociometria che produca risultati computabili quantitativamente, oggettivi (vale a dire: non influenzati dalla stessa inchiesta che li mette in luce) e permanenti. Inoltre appare difficile opporre a una cultura «ufficiale» ed «egemone» la cultura dei mezzi di massa da un lato, e dall’altro le culture «subalterne» o locali che vi si opporrebbero sia come alternativa globale sia come elemento di disturbo.
Quella che viene messa in crisi da questo modello d’indagine è la stessa nozione di cultura subalterna autoctona in quanto opposta sia alla cultura «colta» dei gruppi dominanti e alla cultura per le masse prodotta dai mezzi di massa come adattamento e divulgazione della cultura dominante «colta».
È difficile per esempio stabilire quali siano i codici con cui un operaio meridionale italiano riceve un messaggio cinematografico. Per quanto attiene alla sua formazione politico-sindacale, l’operaio partecipa un codice abbastanza grammaticalizzato, di tipo internazionale, comune alla classe operaia europea organizzata, che assume le forme della cultura egemone per quanto riguarda le tecniche di organizzazione del pensiero, la sintassi stessa delle idee. Per quanto attiene alla vita sessuale, probabilmente modelli testuali sono quelli dei giornali illustrati, della televisione, del cinema: il soggetto sarà partecipe, a livello sentimentale sessuale, di valori che contrastano con quelli di cui è partecipe a livello politico, senza che peraltro la contraddizione sia veramente vissuta. Per quanto attiene alla vita familiare è possibile che i suoi valori siano ancora quelli ancestrali (nozione mediterranea della madre, eccetera). In certi momenti egli avverte la contraddittorietà del proprio insieme di modelli testuali: la donna, secondo il codice politico sindacale, dovrebbe apparirgli come compagna a pari diritti civili e morali; secondo il codice sentimentale sarà un oggetto di piacere; secondo il codice familiare sarà oggetto di culto e protezione. Ma di solito egli potrà vivere in modo accettabile queste contraddizioni, commutando da modello a modello a seconda delle circostanze e avvertendo la contraddizione solo in momenti particolari (cfr. RAI, 1973).

8. Pidginizzazione e creolizzazione

8.1. Le ricerche sociolinguistiche

Pidginizzazione e creolizzazione sono categorie linguistiche, ma sono estrapolabili a tutti i sistemi di comunicazione. In particolare esse sono state oggetto di ricerca rinnovata da parte della sociolinguistica negli ultimi anni, là dove queste discipline si sono sforzate di dimostrare che, in gruppi umani a cui comunemente si attribuiva un uso «scorretto» o «insufficiente» della lingua dominante, si era invece verificata la nascita di un diverso sistema linguistico che aveva una propria autonoma dignità culturale. Tipici in questo senso gli studi sul Black English negli Stati Uniti: considerato tradizionalmente una «aberrazione» nei confronti dell’inglese scolastico, si è rivelato come un’altra forma di inglese, dotata di una grammatica diversa. Non è il caso di far rilevare l’importanza politica e sociale di questo modo di affrontare i problemi linguistici in prospettiva socio-semiotica anziché dal punto di vista di un puro formalismo grammaticale.
Questo tipo di approccio è simile a quello che stiamo qui applicando alla comprensione dell’informazione ambientale cercando di togliere al concetto di «decodifica aberrante» ogni connotazione di devianza e anormalità.
Pidgin e creoles sono lingue marginali: «pidgins nascono da adattamenti provvisori, ridotti nel numero e nella struttura, non costituiscono lingua primaria per nessuno; creoles sono pidgins divenuti lingue primarie… Queste lingue vengono considerate come degenerazioni e non come frutto di adattamenti creativi; non costituiscono sistemi autonomi, ma deviazioni da altri sistemi… Non ultimo tra i crimini del colonialismo vi è stato quello di persuadere i colonizzati che essi, in quanto sono differenti, sono inferiori». Ora sappiamo che questi fenomeni «hanno a che fare in modo profondo con i processi che sottostanno a quell’unica società mondiale che sta ora emergendo. La loro stessa esistenza è largamente tributaria dei processi – scoperte, esplorazioni, commerci, conquiste, schiavitù, migrazioni, colonialismo, nazionalismo – che hanno portato i popoli dell’Europa e i popoli del resto del mondo a condividere un destino comune». Essi «sembrano costituire il punto estremo verso il quale i fattori sociali possono arrivare per modellare la trasmissione e l’uso della lingua» (Hymes, 1971, pp. 3-5).
Nei processi di contatto tra culture diverse avvengono fenomeni di hybridization attraverso processi di cambiamento di scala (espansione, semplificazione, complicazione), di confluenza, di cambiamento dei fini di uso e di mutamenti nello stato della norma (modi di parlare che diventano più o meno permessi, più o meno interdetti, ecc.).
La pidginizzazione è quel complesso processo di cambiamento sociolinguistico che comporta una riduzione convergente delle sue forme interne, nel contesto di un restringimento nell’uso. Un pidgin è il risultato di un simile processo che abbia acquistato autonomia come una norma… La creolizzazione è quel complesso processo di cambiamento sociolinguistico che comporta un ampliamento convergente delle sue forme interne, nel contesto di un’estensione nell’uso.
Un creole è il risultato di un simile processo che abbia acquistato autonomia come una norma… La pidginizzazione è normalmente associata con una semplificazione nelle forme esterne, la creolizzazione con una complessificazione nelle forme esterne» (Hymes, 1971, p. 84).
Senza addentrarci in descrizioni di pidgin e creoles, possiamo ricordare che spesso i pidgins si limitano a invenzioni di lessici, senza una propria grammatica, mentre i processi di creolizzazione coinvolgono anche le strutture sintattiche.
Volendo tentare delle analogie con situazioni familiari, le comunicazioni tra aerei e torri di controllo negli aeroporti si svolgono ormai attraverso una sorta di Pidgin English fatto di poche formule fisse, a grammatica molto elementare, con molti termini tecnici di nuova invenzione. Tuttavia un pidgin nasce sempre e solo in situazione multilinguale e si forma per mistura da due o più lingue e il caso tipico è quello del Chinese Pidgin English usato come lingua franca da individui di entrambe le lingue. «La pidginizzazione non è né una semplificazione arbitraria né un miscuglio meccanico, ma un adattamento, un cambiamento selettivo finalizzato a fini determinati; ciò che soprattutto va evidenziato non è tanto l’emergere di singoli elementi del processo (miscugli, semplificazioni) quanto il fatto che questi processi appaiono in una nuova parlata ben individuabile e stabile» (Hymes, 1971, p. 66).
Diversa ovviamente la situazione dei creoles che sono riconosciuti, sia pure con molte esitazioni, come lingue a tutti gli effetti, systems in their own rights.

8.2. Nozione semiotica di pidgin

Ora quello che ci pare più facilmente estrapolabile in una prospettiva semiotica più ampia è il concetto di pidgin.
Facciamo un esempio abbastanza semplice. Esistono delle lingue vestimentarie, con un loro paradigma di pezzi combinabili e dei sintagmi significanti. Forma, colore, qualità di stoffa, presenza di ornamenti, si combinano a creare abito da sera, abito da ufficio, abito da vacanza, eccetera. Questi codici vestimentari hanno sottocodici particolarmente organizzati come quelli delle uniformi militari o dei paramenti ecclesiastici; esistono codici diversi (si pensi agli abiti tradizionali dei Lapponi opposti a quelli degli Hawaiani). In tempi antichi questi codici erano così forti che in un porto di mare si potevano riconoscere un Vikingo da un Greco; ancora nel secolo scorso il viaggiatore inglese o tedesco a Napoli era immediatamente riconoscibile dagli abiti. Nel nostro secolo ci sono stati notevoli processi di ibridizzazione e si è arrivati a una sorta di lingua franca diffusa che è la moda vestimentaria all’europea (in gran parte assorbita anche in altri continenti – ma recentemente rifiutata e ricodificata nella Cina Popolare). Potremmo parlare di una creolizzazione intensiva che ha prodotto una koiné, come il greco che si parlava in epoca ellenistica in tutta l’area mediterranea e in genere in tutto il mondo conosciuto. All’interno di questa koiné, che conserva le sue distinzioni significative (grey suit per white collars, tuta da operaio, dinner jacket, eccetera) si sono create delle zone pidginizzate: per esempio l’uso dei blue jeans con maglietta. Si tratta di una espressione vestimentaria comune all’indigeno di un’isola mediterranea, al turista americano di passaggio, all’agente di polizia fuori servizio. Comunica genericamente «disponibilità al rapporto sociale indifferenziato non formale». Infatti serve per lo sport, per le attività quotidiane, per andare al ristorante; proibita per certe funzioni pubbliche (impiegati di banca), per certi rituali sociali (ristoranti o night clubs di lusso), può costituire ancora forte «sgrammaticatura» in certe situazioni (visita al sindaco o all’arcivescovo). Astrae dalle differenze sessuali (fenomeno di semplificazione, come l’abolizione dei generi o delle flessioni in un pidgin). Connota tuttavia «giovane» e, in certe situazioni, «spregiudicato». Si tratta (cfr. I.5.) di un fenomeno di ipocodifica (tutto il pidgin è un caso di ipocodifica, ma come si è visto si hanno fenomeni di ipocodifica anche all’interno di un sistema «normale» egemone e colto, e non solo nel pidgin).
A questo punto appare tuttavia un uso ideologico (e una «falsa coscienza») del pidgin. I pidgin verbali dei paesi colonizzati danno al soggetto parlante coscienza della sua esclusione. I pidgins vestimentari danno al soggetto coscienza di una propria supposta integrazione («non vi è alcuna differenza tra me, meccanico di automobile e indigeno, e il ricco yachtman di passaggio, perché tutti e due vestiamo nello stesso modo»). Questa integrazione è spesso soltanto apparente: perché il soggetto vestimentario crede che gli elementi dell’abito servano a distinguerlo o a identificarlo, mentre intervengono invece tratti fisiognomici, gestualità, posture corporali, comportamenti verbali veri e proprii (accento, correttezza grammaticale, ricchezza lessicale), e spesso addirittura la qualità dei pezzi vestimentari.
Si veda per esempio i processi ben noti di cambiamento di codice connotativo avvenuti riguardo lo stato di usura dei blue jeans; inizialmente i blue jeans erano eleganti se nuovi, mentre quelli vecchi e stinti connotavano usura dovuta a uso prolungato per lavoro o per mancanza di ricambio. Gradatamente però è diventato snob avere blue jeans molto stinti e strappati, tanto che i migliori negozi li vendono già usurati. Ma la rapidità di adeguazione ai nuovi codici distingue il soggetto «in» da quello «out». I genitori (ricchi) che rimproveravano il figlio per i blue jeans usurati non avevano ancora individuato il nuovo codice; e si può supporre che qualche soggetto giovane di classe sociale inferiore sia stato meno rapido nell’acquisire il nuovo codice, continuando a portare blue jeans nuovissimi fiammanti, sottolineando così la propria differenza di classe. Naturalmente sono intervenuti fattori di ridondanza a correggere il gap: l’esempio prolungato degli utenti «in», le informazioni fornite dalla televisione, dal cinema, dalla pubblicità, dalle riviste illustrate. Tuttavia ci sono stati gaps temporali notevoli. Quindi anche all’interno del pidgin generalizzato si inserivano varianti significative che ristabilivano la differenza tra codice elaborato e codice ristretto, e in definitiva differenze di classe.
Lo stesso avviene per la moda femminile: è stato detto che essa oggi, attraverso l’offerta di pezzi combinabili liberamente a prezzi accessibili nei grandi magazzini, permette a una ragazza di condizione sociale inferiore di vestirsi come una signora della buona società, eliminando molte differenze. Indubbiamente la signora della buona società compera gli stessi pezzi della ragazza di condizione sociale inferiore, ma vi sono differenze in: i) varietà e abbondanza dei pezzi; ii) occasionalmente, qualità del tessuto; iii) tempestività nella sostituzione dei pezzi fuori moda; iv) creatività e gusto nella combinazione dei pezzi. Quest’ultimo punto è il più importante; poiché le regole di gusto vengono sancite prima di tutto dalla stampa specializzata (e solo successivamente divulgate da altri media) la signora della buona società ha più possibilità di adire a fonti di informazione privilegiata. Ancora una volta la pidginizzazione è apparente, ovvero mantiene varianti significative con connotazione di status sociale.

8.3. Ricerche possibili

Il tema della pidginizzazione consente vari tipi di ricerca:
a) rilievo dei casi di diffusione di «lingue franche» – e rilievo della coscienza che i soggetti hanno di appartenere a questa koiné;
b) rilievo delle differenze significative che si verificano all’interno della lingua franca e rilievo della coscienza, che i soggetti hanno, della permanenza di tali differenze;
c) rilievo di fenomeni di pidginizzazione ritardata; quella che era una lingua franca, arriva in ritardo in zona periferica, viene acquisita come lingua franca e legittimata, mentre è diventata soltanto la «lingua» di quella comunità ed è stata abbandonata altrove (senza che i soggetti locali abbiano coscienza del fatto che, mentre ritengono di aver realizzato una certa integrazione comunicativa, hanno di fatto sancito la loro emarginazione). Questo fenomeno è tipico nella moda o negli usi verbali che la provincia ritiene «di città» mentre la città riconosce ormai come esclusivamente «provinciali», nei gusti estetici, eccetera. La rapidità delle comunicazioni di massa pare in molti casi ridurre sempre più questi tipi di gap;
d) rilievo della funzione provocatoria di codici pidginizzati quando sono assunti da un gruppo (di solito sono i giovani) come manifestazione di spregiudicatezza e autonomia in polemica contro la tradizione. L’uso viene avversato dagli anziani o dai gruppi più conservatori della comunità che non ne riconosce il carattere di lingua franca universalmente accettata. In tal caso il pidgin funziona come «gergo» di gruppo;
e) rilievo di diverse dinamiche di creolizzazione: dal tipo più ovvio (i nativi assumono modi tipici dei «colonizzatori») al caso più complesso in cui, stimolati dai comportamenti di «visitatori» esterni, i nativi riformulano i propri codici sotto l’influenza dei modelli esterni ma senza di fatto tentare una imitazione cosciente di quei modelli. È il fenomeno che si è verificato in paesi coloniali coi cargo cults (cfr. Mead, 1956) ma è lo stesso a cui ci si troverà di fronte in II.3.1. a proposito della nozione di «autenticità». Si noti che in certi casi il pidgin è usato da minoranze coloniali per prendersi gioco del colonizzatore (Hymes, 1972): si tratta di un caso di assunzione del pidgin nel quadro di una cultura originaria che si riconosce come alternativa e che lo usa come strumento polemico.

9. Accumulazione, catastrofe, delegittimazione delle fonti

9.1. Fenomeni di delegittimazione delle fonti

L’informazione ambientale arriva da varie fonti. Alcune come vedremo sono locali, altre esterne. In un paese contadino le informazioni circa i valori familiari arrivano, per esempio, da due fonti: i modelli di vita cinematografici e l’educazione religiosa impartita dal parroco. In molti casi le due fonti sono in disaccordo (codici morali diversi).
Di solito non si assiste alla prevalenza netta di una fonte, ma a fenomeni appunto di pidginizzazione o a creolizzazioni assestate. Tuttavia i processi di negoziazione della comprensione dell’informazione da ambo le fonti dipendono dal riconoscimento di legittimità conferito ora a una fonte ora all’altra (cfr. I.3.2.4.).
Si hanno processi di pluri-legittimazione (si ascolta il parroco per quanto riguarda la fedeltà della propria moglie ma si ascolta il film pornografico per quanto riguarda la fedeltà della moglie altrui) oppure processi di crescita e decrescita della legittimazione. Una fonte che appariva particolarmente legittimata a un certo punto non lo è più (evidentemente per corrosione a opera di messaggi provenienti da altre fonti).
Il problema della legittimazione è importante per stabilire dove sta la norma. Infatti in una civiltà delle comunicazioni di massa non esiste più una norma (tradizionale, locale, statale, ecclesiastica, o altro). Esiste un conflitto tra norme trasmesse sotto forma di testi modello. Si tratta di vedere quale fonte è reputata fornire testi modello legittimi.
Ora si deve ritenere che i processi di informazione, nella loro globalità, attribuiscano e sottraggano legittimità a determinate fonti di informazione particolari.
Un caso tipico è stato il referendum sul divorzio e gli esiti che ha avuto in zone molto tradizionaliste dell’Italia meridionale. La norma vigente era quella della tradizione cattolica (indissolubilità). I mezzi di massa offrivano modelli alternativi ma non abbastanza forti e tutto sommato dispersi (film con coppie divorziate, notizie giornalistiche sul divorzio dei divi, eccetera). In occasione della campagna per il referendum molte fonti sono intervenute a emettere messaggi divorzisti. La televisione si manteneva apparentemente neutra (ospitando interventi di ogni genere) ma di fatto aveva assunto un atteggiamento antidivorzista, programmando film in cui apparivano famiglie felici, o si mostravano i danni della disgregazione familiare.
Mentre la televisione era ritenuta una fonte particolarmente legittimata (al pari dell’autorità religiosa), il risultato del referendum ha mostrato che sono stati non solo compresi ma accettati i messaggi pro-divorzio con un processo di ibridizzazione dei valori per molti cattolici: i quali rimanevano fedeli alla Chiesa salvo per quanto riguardava il divorzio.
Questo significa che la comunicazione orale delle autorità ecclesiastiche e la comunicazione televisiva aveva subito un processo di de-legittimazione.

9.2. Salto di limite

Quali sono i fattori che hanno contribuito a questa delegittimazione?
I dati a disposizione sono troppi e troppo interrelati per permettere una risposta sicura. Si può pensare anzitutto alla azione di opinion leaders locali che hanno contribuito a delegittimare la comunicazione televisiva. In molti casi l’opinion leader ha agito come interprete degli atteggiamenti proposizionali dell’emittente: «essi vogliono che voi pensiate x»; il messaggio veniva inteso correttamente ma delegittimava l’emittente svelando una sua volontà di persuasione che tendeva a rimanere occultata. In secondo luogo c’è stata l’azione di modelli massmediologici (film, trasmissioni televisive, stampa di attualità) che hanno di colpo prodotto un salto di limite. Si dice «di colpo» perché questi messaggi divorzisti si erano accumulati per anni sotto forma di testi-modello, senza che i destinatari li collegassero e «grammaticalizzassero» come proposta di norme. Improvvisamente la campagna del referendum ha fatto apparire la possibilità di una nuova norma, ed ecco che le informazioni accumulatesi hanno subito una sorta di trasformazione chimica: da testi-modello sono diventati progetto di grammatica. Dunque eventi esterni o flussi di comunicazione hanno fatto in modo che flussi informativi precedenti si «coagulassero» passando una data soglia di concentrazione. Ci sono stati pertanto degli agenti catalizzatori della reazione semiotica, ovvero catalizzatori del passaggio da una serie di deviazioni vaganti a un assestamento creolizzatore del sistema di valori vigente.
È chiaro che in termini teorici si possono solo ipotizzare agenti possibili. Sul piano dell’indagine sul campo potrebbe essere interessante scegliere un caso evidente e recente di salto di soglia e cercare di ricostruire quali agenti abbiano contribuito al fenomeno delegittimando certe fonti e rendendo più legittime altre.

9.3. La catastrofe

Per una formalizzazione di questi processi potremmo indicare (a livello di grande sofisticazione matematica) i modelli proposti da René Thom con la sua Teoria delle Catastrofi: un crollo di legittimità e il salto brusco di soglia di cui si è parlato (in seguito ad accumuli lenti e inosservati) può definirsi una «catastrofe» nel senso topologico di René Thom (Thom, 1974)5.
A proposito di queste «catastrofi» che realizzano un processo di delegittimazione della fonte sarebbe utile studiare sul campo i tempi di allontanamento da una norma data e di assunzione di una nuova norma. Rispetto a una coppia di regole del tipo obbligatorio versus interdetto si possono avere gradi diversi di adeguazione-rifiuto: disinteressamento, rispetto con scetticismo, violazione sentita come tale, violazione sentita come osservanza di una norma opposta (cfr. Goffman, 1969).

10. Conclusioni teoriche

10.1. Per una ricerca attiva

Se tutto quanto è stato detto ha qualche senso, le conclusioni sono abbastanza importanti.
È inutile tentare inchieste quantitative e oggettive su quanto una data comunità capisce dei messaggi di massa. È inutile disegnare codici permanenti. Non è possibile una geografia dei codici dei destinatari (mentre può essere ancora possibile una geografia e tipologia dei codici degli emittenti). È possibile al massimo una tipologia dei processi di negoziazione, ibridizzazione, creolizzazione e pidginizzazione dei codici; tipologia che si è tentato di tracciare nei capitoli precedenti.
Non rimane dunque spazio per ricerca sociale sul campo? Noi crediamo di sì, purché muti il concetto stesso di ricerca sociale. Essa non sarà più rilievo di quello che i soggetti fanno senza saperlo, ma la promozione di quanto i soggetti debbono fare per sapere di più.
Se l’attività di comprensione dell’informazione ambientale è un processo attivo, fatto di negoziazioni e integrazioni, cadono almeno due luoghi comuni della sociologia delle comunicazioni di massa.
a) Quando si danno fenomeni di decodifica aberrante non si deve tentare di produrre messaggi più semplici e maggiormente ridondati per permettere ai destinatari di capirli meglio. Non è vero che i destinatari non capiscono i messaggi difficili e capiscono quelli facili. Ovvero, è vero, ma solo in una certa misura. È indubbio che se si vuole spiegare un nuovo sistema per compilare i moduli di un censimento, varrà la pena che i mezzi di massa ripetano il messaggio didascalico il maggior numero di volte possibile e nel modo più chiaro. Ma occorre che i soggetti desiderino compilare i moduli e riconoscano l’autorità del potere che richiede loro quell’atto burocratico. Altrimenti, per quanto ridondato, il messaggio didattico ricadrà nella disattenzione più completa. La pedagogia conosce abbastanza casi di scolari che non capiscono non perché la materia è difficile ma perché rifiutano il rapporto didattico in sé e non riconoscono all’insegnante il diritto di influire sulla loro mente. Quindi il problema della comprensione non è «come fare perché costoro capiscano meglio» ma semmai «come fare perché costoro diventino criticamente coscienti del modo in cui stanno negoziando la loro comprensione»6.
b) Quando si vuole capire i meccanismi di comprensione non si devono esaminare i destinatari come oggetti passivi dell’indagine sociale che li riguarda, dal momento che l’indagine concerne un loro momento di attività negoziatrice. Il problema è di far diventare l’oggetto di indagine soggetto partecipante dell’indagine. Al limite, si auspica che lo stesso ricercatore con la sua batteria di questionari iniziali divenga oggetto d’indagine da parte del gruppo.

10.2. I gruppi di inchiesta attiva

Pertanto si propongono gruppi di inchiesta attiva. Questi avrebbero, nei confronti di un tradizionale campione di ricerca sociologica sugli effetti dei media, lo stesso rapporto che un gruppo di autoterapia avrebbe nei confronti di un ammalato steso sul tavolo operatorio. Questi gruppi, cioè, mentre analizzano i messaggi ambientali analizzano nel contempo i loro processi di negoziazione; nello stesso momento diventano coscienti sia dei sistemi di codici o dei sistemi di testi che costituiscono la loro competenza di base, sia dei codici o delle tecniche testuali dell’emittente.
Naturalmente in un gruppo del genere si crea un principio di indeterminazione (nel senso della metodologia della fisica) per cui l’andamento stesso dell’indagine influisce sul proprio oggetto. In altri termini l’inchiesta di gruppo non rileva atteggiamenti ma li promuove.
In questa prospettiva i leaders di opinione sarebbero in partenza gli operatori sociali animatori del gruppo ma, man mano che l’interazione procede, il ruolo verrebbe assunto dagli stessi soggetti dell’indagine, a turno. Questo può avvenire attraverso una spontanea autoselezione degli elementi più attivi che acquistano autorevolezza nei confronti del gruppo. Ma la ricerca attiva deve tendere a rendere il ruolo dei leader di opinione quanto più interscambiabile possibile. La soluzione ottimale è che si configurino dei ruoli transitori a seconda del tipo di messaggio, vale a dire che soggetti diversi acquistino il ruolo di leader a seconda del tipo di argomento in discussione.
In questa prospettiva la «decodifica aberrante», anziché osteggiata e corretta, viene riconosciuta come la condizione naturale di una comprensione negoziata.
Ripetiamo, il fine di questa tecnica di indagine sociale è a un tempo teorico pratico: essa non tende solo a sapere come la gente pensa, ma a indurre la gente a diventare cosciente dei propri meccanismi, di decodifica dei messaggi ambientali.

10.3. Modalità di partecipazione creativa all’inchiesta

Per capire la pittura bisogna provare a dipingere. Per valutare una esecuzione musicale con competenza bisogna saper suonare uno strumento. Per capire le tecniche di comunicazione bisogna mettere in opera tecniche di comunicazione.
In questa prospettiva creativa (si conosce bene solo ciò che si sa fare) i gruppi di ricerca dovranno esprimersi attraverso operazioni di comunicazione.
Per esempio, se il gruppo dovrà individuare dei canali di non blatant communication e vorrà indicare le merci esposte nelle vetrine come messaggi, alcuni soggetti comunicheranno agli altri membri del gruppo questo fatto fotografando la vetrina, o disegnandone uno schizzo. Se si individueranno canali d’informazione nel modo di camminare dei turisti, si deve cercare di riprodurre questo modo di camminare (in una sorta di teatro improvvisato) in modo che la tipologia risulta precisa e si individuino i tratti che rendono un modo di camminare diverso da un altro.
Indichiamo qui a titolo orientativo alcuni dei metodi creativi che possono essere messi in atto per raccogliere materiale di ricerca:

  1. Fotografia
  2. Portable camera e videotape o camera cinematografica
  3. Recorder
  4. Disegni, schemi, diagrammi
  5. Drammatizzazioni e mimica
  6. Montaggio di materiale filmato in moviola

Questi mezzi sono essenziali se si vogliono descrivere sistemi di comunicazione non verbali. Altrimenti la tentazione è di tradurre verbalmente fenomeni visivi o paralinguistici (come accenti, interiezioni), non riuscendo cosi a coglierne i veri tratti distintivi.
La riproduzione dei fenomeni rilevati consente poi la discussione di gruppo sul materiale di ricerca.
Inoltre questa attività è preliminare alla formazione di una banca dei dati (cfr. II.3.3.). Oltre alla fase di pura riproduzione dei fenomeni osservati, si può utilmente inserire una fase di esercizi manipolativi. Ecco alcuni esempi (altri potranno essere trovati dagli sperimentatori o dagli stessi soggetti del gruppo attivo):
1. Riformulazione di notizie (come l’«Unità» avrebbe dato una notizia data dal «Popolo», o viceversa; una notizia della Radio nazionale formulata secondo la tecnica di una radio libera; come dare la stessa notizia in modi crescenti di difficoltà o decrescenti di semplicità, eccetera).
2. Descrizione di percorsi preferenziali dei turisti e riformulazione dello stesso percorso urbano fatto da un nativo; mimica di rapporti spaziali di gruppo secondo gli usi di gruppi etnici diversi.
3. Adattamento di oggetti o abiti standardizzati allo stile locale o viceversa.
4. Tentativi di ricuperare tecniche di comunicazione tradizionali ormai desuete.
Nel compiere questi e altri esercizi i soggetti diventano coscienti delle differenze di codici e di testi-modello.
Sia chiaro pertanto che questi consigli non mirano a stimolare una generica creatività estetica (né sono proposte di utilizzazione del tempo libero) ma rappresentano forme attive di ricerca sociale che hanno un duplice scopo: i) familiarizzare all’uso dei media per comprenderne le tecniche; ii) provvedere oggetti d’indagine registrati secondo modalità comunicative diverse.

II. PROSPETTIVE DI RICERCA ATTIVA SUL CAMPO

1. Individuazione dei messaggi ambientali

Abbiamo detto che tra i fenomeni di informazione ambientale non dobbiamo solo registrare i casi di blatant communication ma ogni tipo di traccia, sintomo, indizio, modello di comportamento eccetera che provenga dall’environment. Vediamo ora di tracciare una mappa teorica di questi tipi di informazione ambientale, prendendo come punto di riferimento un agglomerato urbano periferico, diciamo una cittadina di diecimila abitanti, lontana dai centri metropolitani, normalmente raggiunta dai mass media, sottoposta a flussi turistici, legata a una civiltà contadina e dominata parzialmente da modelli di vita ancora tradizionali.
Chiamano questo centro Smalltown. Chiameremo la metropoli, da cui partono la maggior parte dei messaggi di blatant communication, Metropolis. Chiamiamo il territorio generico da cui arrivano i turisti Outer Space.
Elenchiamo ora alcuni canali di comunicazione (blatant e non blatant).

Primo gruppo. Blatant communication da Metropolis
Radio e televisione – cinema
Stampa. Suddivisa in due categorie:
stampa ufficiale (grandi giornali e settimanali)
eventuale stampa alternativa (in Italia giornali extraparlamentari, in altri paesi eventuale stampa underground, pubblicazioni di gruppi religiosi, eccetera).
Pubblicità, sia a mezzo stampa che per affissione.
Oggetti: merci nei negozi, automobili, abiti prodotti in serie, eccetera. Gli oggetti vengono classificati tra la blatant communication per due motivi: sono di solito impaccati ed etichettati (ed è ormai assodato che si tratti di atti comunicativi ricevuti intenzionalmente come tali); esiste un codice degli oggetti, visti come simbolo di status capace di connotare classe, prestigio, agio…
Eventuali passaggi di compagnie teatrali metropolitane, concerti.
Dischi, cassette.

NB. È da osservare che esistono gradi di blatancy: un giornale è visto come comunicazione più blatant di un cartellone pubblicitario, e questo è più blatant della forma della bottiglia di Coca Cola. Può essere interessante rilevare quali sono i gradi di coscienza della blatancy di un canale comunicativo.

Secondo gruppo. Blatant communication prodotta a Smalltown
Eventuali radio e televisioni locali: nell’attuale situazione italiana le radio indipendenti vanno viste come casi di comunicazione alternativa; in altri paesi rappresentano comunicazione istituzionalizzata emessa da poteri locali.
Stampa locale: giornale locale, giornali parrocchiali.
Pubblicità locale: insegne di negozi, cartelli indicatori di ristoranti.
Segnaletica stradale: per quanto standardizzata a livello internazionale viene avvertita come comunicazione riferita a percorsi e luoghi di Smalltown, posta in loco da poteri locali (in altri termini questi segni parlano di Smalltown).
Comunicazioni verbali istituzionali: la predica in chiesa, il comizio politico…
Comunicazioni verbali socializzate: la conversazione al bar, sulla piazza…
Oggetti e merci di produzione locale (in quanto distinti da quelli di produzione standardizzata: cibi locali, artigianato).
Rappresentazioni teatrali locali.
Volantinaggio e altro materiale di propaganda politica locale.
Aspetti di blatant communication in feste religiose o festival politici: tipici in Italia i Festival dell’Unità, in cui si svolgono discorsi, si mostrano cartelli, si vendono magliette con scritte, bandiere, ecc.

Terzo gruppo. Blatant communication dovuta ai soggetti di Outer Space
Eventuali giornali portati da Outer Space.
Oggetti e prodotti vestimentari, cibi, automobili o altri veicoli di marca ignota.
Comportamenti verbali degli stranieri (lingue straniere, lingua locale parlata con accento straniero e grammatica elementare).
Eventuale musica (non conosciuta) ed esecuzioni dirette (gruppo di turisti che suona la chitarra in piazza).

Quarto gruppo. Non blatant communication di origine metropolitana
Tutti i modelli di comportamento veicolati attraverso i mass media e offerti come testi-esempio: il modo in cui si baciano due attori, il modo in cui si intende l’adulterio in un film francese, il modo di vestire di un cow boy, eccetera.
Oggetti e mezzi standard.

Quinto gruppo. Non blatant communication locale
Strutture urbane e uso degli spazi.
Feste e cerimonie (funerali, riti religiosi, sfilate politiche).
Comportamenti fisiognomici, gestuali, posture corporali, abiti dei concittadini.
Comportamenti associativi esemplari (per esempio, i giovani si riuniscono alla sera in una piazza in situazione di promiscuità, suonando o ballando).

Sesto gruppo. Non blatant communication da Outer Space
Tutti i tipi di comportamento fisiognomico, gestuale, posturale e associativo dei turisti.

È chiaro che questo elenco non è completo e tende solo a indicare come, a seconda delle situazioni, si possono individuare i vari canali di informazione ambientale. Un metodo per individuarli è interrogare i soggetti chiedendo cosa «li colpisce» di più nel panorama cittadino. Se qualcosa li colpisce vuole dire che acquista per essi significato emergente e quindi è fonte di informazione di cui occorre ritrovare codici di emittenza (se si tratta di comunicazione intenzionale) e i codici di ricezione (se si tratta di comunicazione non intenzionale, come i comportamenti corporali, il destinatario, nell’applicare il codice di ricezione, attribuisce all’emittente un codice di emissione a titolo di ipotesi).
È chiaro che all’interno di ciascun item dei sei gruppi citati si creano disparità di codice. Per esempio nel Primo Gruppo abbiamo i giornali politici che esprimono, poniamo, una determinata morale sessuale, e le riviste pornografiche, con un’altra morale sessuale. Lo stesso dicasi della televisione, del cinema, eccetera.
È chiaro che le forme di blatant e non blatant communication di Smalltown non sono «pure» rispetto a quelle di Metropolis e di Outer Space. Per esempio il comportamento dei giovani può essere ampiamente influenzato da quello dei mass media di Metropolis e da quello dei turisti di Outer Space. Si danno quindi casi di pidginizzazione e creolizzazione, di cui i destinatari magari non si rendono conto.
Un rilievo interessante consisterebbe nel controllare se i soggetti avvertono come locale qualche modello testuale che è di origine metropolitana o viceversa. Per esempio potrebbero avvertire come modello metropolitano un modo di vestire che è invece effetto di creolizzazione locale. In altri casi si potrebbe avvertire come comunicazione locale i prodotti di un artigianato che non riflette affatto le tradizioni di Smalltown ma deriva già da un adattamento calcolato o istintivo dei modelli locali alle esigenze dei turisti. Oppure viene avvertito come artigianato locale un artigianato standardizzato e importato per soddisfare il turista. Casi simili si verificano per la produzione musicale ma coinvolgono anche la gestualità, le acconciature e il trucco femminile eccetera.
È chiaro che nessun canale di informazione può essere considerato in isolamento, dato che tutti reagiscono su tutti. Anzi, uno dei risultati attivi dell’inchiesta dovrebbe consistere nel rendere i soggetti coscienti di questa interazione e cioè del fatto che essi non stanno solo vivendo un conflitto di codici, ma anche un processo di creolizzazione in senso diacronico e un processo multimediale in senso sincronico.

2. Individuazione di ricerche possibili

Alla luce di quanto si è suggerito nel primo capitolo del presente rapporto, ecco alcuni temi di ricerca da svolgere:
Individuazione dei canali di comunicazione ambientale.
Inchiesta su come gli abitanti di Smalltown percepiscono la blatancy di un dato canale di informazione; gradi di blatancy; maggiore o minore influenza dei canali non riconosciuti come blatant communication rispetto agli altri.
Casi di incomprensione per carenza di codice (inchieste tradizionali sulla comprensione di termini o immagini).
Rilievo della disparità dei codici in fenomeni di comprensione: esercizi di commento interpretativo di giornali, trasmissioni radiotelevisive, film; ricerca delle ragioni per cui certe interpretazioni dei nativi differiscono da quelle degli operatori sociali attivatori.
Censimento delle fonti più legittimate e di quelle a legittimazione minima: tentativo di tipologia e tassonomia; esercizi pratici compiuti dai soggetti su se stessi e su altri soggetti («se la televisione ti dicesse x, ci crederesti? e se lo dicesse il giornale locale? e se lo dicesse il segretario del partito?»).
Individuazione di messaggi che vengono compresi a livello di ipocodifica.
Individuazione di competenze testuali e tentativo di grammaticalizzazione (anche a proposito di riconoscimento di «generi»). Si devono individuare comportamenti quotidiani in cui, a uno stimolo dato, il soggetto è portato a rispondere (magari con un gesto) «non si fa» oppure «non è bello». A quel punto occorre chiedersi se esiste una competenza grammaticalizzata, se è possibile formularla o se i soggetti agiscono solo sulla base di accumulazione di esempi testuali.
Individuazione di comportamenti pidginizzati. Esercizi di individuazione su ciò che è «autentico» (tradizionale) e ciò che è acquisito in certi comportamenti. Comparazione dei comportamenti di Smalltown con quelli di Metropolis e quelli di Outer Space.
Individuazione di un recente evento comunicativo in cui c’è stata catastrofe di codice ovvero improvviso processo di delegittimazione di una fonte. L’evento doveva riferirsi a una situazione critica. L’analisi dovrebbe essere se possibile a caldo. Spiegazione delle cause. Ricerca dei fenomeni di accumulazione testuale che ha prodotto la catastrofe. Possibile individuazione del fatto catalizzatore della catastrofe.

3. Alcuni suggerimenti per una ricerca sulle isole del Mediterraneo

Dovendo organizzare una indagine concreta sulle isole del Mediterraneo italiano occorre tenere presente che ci si trova di fronte a località molto decentralizzate e tuttavia sottoposte a esposizione di non blatant communication da Outer Space (flussi turistici e, eventualmente, ritorni periodici di nativi emigrati).
Questa caratteristica rende meno interessanti o inesistenti alcuni canali di informazione e ne privilegia altri.
Per esempio sarà difficile che queste isole ricevano una gamma sufficiente di comunicazioni radio alternative, stampa extraparlamentare o underground, visite di compagnie teatrali. È tuttavia indispensabile acquisire informazioni a conferma di queste ipotesi. Ogni dato in contrario ribalterebbe una serie di opinioni ancora correnti sulla marginalità di queste località.
Tuttavia il fenomeno più interessante ci pare costituito dal flusso di non blatant communication che i nativi ricevono dalla popolazione turistica stagionale. A questo proposito ci pare opportuno premettere alcune ipotesi sulla funzione creolizzatrice del turismo in una società periferica ritenuta tradizionale.

3.1. Ipotesi sulla funzione creolizzatrice del turismo

Il turista esercita una funzione corruttrice sui sistemi di comunicazione locale perché impone una ideologia dell’autenticità.
Il turista viene nell’isola per cercare un luogo non ancora toccato dal turismo e pertanto «autentico». In effetti, a causa della sua presenza, il luogo è già toccato dal turismo e non è più autentico. Quando il turista se ne rende conto tende a esplorare il luogo in profondità, per trovare «retroscena» o spessori di autenticità sotto la superficie della «scena» turistica.
È ovvio che la reazione del nativo è di offrire apparenza di autenticità al turista. Per quanto l’autenticità offerta sia all’inizio vera, la richiesta intensiva del turista tende a trasformarla in comunicazione di autenticità. Mano a mano che il turista porta la sua ricerca in profondità, il nativo è sempre più portato a offrirgli spessori nuovi di autenticità comunicata (o rappresentata) e quindi non-autentica.
La dialettica è abbastanza normale e non varrebbe la pena di farla oggetto di indagine. Ma qui non ci interessa sapere che i nativi producono autenticità apparente per il turista. Ci interessa sapere cosa i nativi avvertono come veramente autentico (e cioè fatto da loro per loro, e non per il turista). È evidente che quando il nativo scopre che certe canzoni folkloriche locali, che magari egli non cantava più, piacciono al turista, è portato a costruire «rappresentazioni» del proprio folklore autentico. Probabilmente il nativo predilige per sé la musica standard registrata (che ritiene la musica di Metropolis e di Outer Space e quindi la musica del turista).
Cosa avverte però come veramente autentico? Possiede una ideologia della autenticità, come il turista, e crede autentica la musica folk che esso produce, o avverte l’inautenticità della propria rappresentazione e si considera ormai consumatore autentico di musica registrata (jazz o pop)? Si trova in una fase mediana (pidginizzata o creolizzata)? Ha coscienza della propria situazione?
Si noti che in certe situazioni-limite il falso si identifica ormai con l’autentico. Il caso tipico è Las Vegas, città fatta di sole facciate. Il falso prodotto per il turista è l’autentico di Las Vegas. In forma embrionale situazioni analoghe avvengono sulla riviera romagnola (Rimini, Cattolica) dove tutto, compreso i messaggi verbali (insegne di alberghi, menu di ristoranti), è ormai scritto in tedesco per il turista tedesco. Ma sullo sfondo vivono ancora orchestre popolari romagnole. Tuttavia esse prosperano e sono state ricostituite per rispondere alla richiesta turistica.
Là dove il costume (tradizionale) diventa maschera, si verifica una perdita di identità del nativo. Questo fenomeno coinvolge il linguaggio, i gusti estetici, l’abbigliamento, l’artigianato, le stesse posture corporali, le tecniche di corteggiamento. In certe località anche il rito religioso, che risponde a una richiesta di autenticità da parte del turista, diventa spettacolo.
D’altra parte il turista agisce con la stessa incoscienza dell’antropologo tradizionale: entrambi, credendo di essere osservatori obbiettivi di una realtà esterna, modificano questa realtà. Sia l’antropologo che il turista sono colonizzatori inconsci.
Ecco perché si è suggerita una tecnica di indagine sociale che prenda in carico esplicitamente la propria funzione modificatrice degli atteggiamenti e delle credenze.

3.2. Quattro proposte di ricerca

Proponiamo pertanto di attivare nelle isole del Mediterraneo, tra tutti i tipi di ricerca attiva possibile, le quattro seguenti, che ci paiono le più adatte alla situazione.
Tassonomia dei canali di comunicazione ambientale (blatant e non blatant). Grado di blatancy e d’intensità comunicativa avvertita dai soggetti locali.
Tipologia dei canali di non blatant communication.
Individuazione di competenza di casi di pidginizzazione. In particolare, una ricerca sulla nozione di comportamento «autentico» come viene avvertito dai nativi.
Analisi di un caso recente di delegittimazione di fonte e catastrofe ovvero salto di limite e rifiuto-sostituzione di norme.

3.3. Storie di vita e banca dei dati

Accanto a queste attività di ricerca, ed usando il materiale prodotto creativamente dai soggetti, si suggeriscono due forme di raccolta e classificazione di materiale utile per ricerche successive, sulla base di alcuni suggerimenti dati attualmente dagli studiosi di etnometodologia:
1. Raccolta di storie di vita. Si registrano magnetofonicamente storie di personaggi locali, concernenti in particolare i temi delle quattro ricerche indicate sopra. Dato che è difficile determinare con questionari preordinati i momenti di catastrofe o i gradi di realizzazione della blatancy di una comunicazione, la trascrizione di queste storie (in cui il soggetto racconta liberamente le sue esperienze di vita sui temi-stimolo proposti dal ricercatore) costituiranno materiale in cui le ricerche successive individueranno elementi pertinenti. Una o due storie non fanno un corpus. Cento storie costituiscono un materiale prezioso. Non importa che non siano state fissate in anticipo le notizie che si vogliono sapere. Su un corpus abbastanza vasto di storie una successiva analisi semiotica potrà individuare i temi ricorrenti e significativi7.
Come esempi di queste storie suggeriamo i seguenti temi:
– Cosa guardo alla televisione
– La prima volta che sono arrivati turisti nell’isola
– Cosa facevo prima che ci fossero tanti turisti
– Cosa mi irrita nel comportamento dei turisti
– La storia della mia vita
– Il mio matrimonio e quello di mio figlio.
2. Banca dei dati. Si tratta di un metodo esageratamente empirico consigliato dai più recenti orientamenti in microsociologia (etnometodologia). I ricercatori esaminano i vari canali di comunicazione rilevati nell’isola e registrano su di una scheda singola ogni singolo dato significativo.
Esempi di dati significativi: l’opinione espressa da un giornale locale sull’incendio di un bosco; il tipo di menu standard offerto dal ristorante locale; cosa mangia alla mattina un pescatore locale; il titolo dei film in programmazione durante sei mesi; il numero di turisti presenti in un dato mese; la percentuale turisti/nativi in una sala da ballo; il quotidiano più venduto; una scritta su un muro; il tema di una processione caratteristica; eccetera.
Come si vede ogni dato è buono. Ciascuno da solo non dice nulla. Solo dopo una accumulazione intensiva di migliaia e migliaia di schede si possono iniziare delle rubricature sotto argomenti chiave.
Naturalmente la singola scheda dovrà registrare, per ogni dato, il carattere della fonte: espressione verbale, titolo di giornale, opinione su manifesto, gesto compiuto da un soggetto in una data circostanza; utile anche la caratterizzazione etnica o ideologica della fonte (detto da un turista milanese; scritto su un cartellone della sede comunista).
In principio non ci si deve preoccupare dei dati importanti (pericolo di valutazione «ideologica» da parte dell’operatore). In principio ogni dato dovrebbe essere raccolto. I gruppi di ricerca attivi possono contribuire. Se il dato è registrato in forma non verbale (disegno, azione mimica, filmato) la scheda deve rimandare a un settore non verbale della banca dove la registrazione è conservata nella sua forma originaria. Il presupposto è che, dopo una certa soglia di accumulazione di questo materiale apparentemente irrilevante, si profilino dei dati generali significativi. Tuttavia la prima fase della raccolta deve essere per così dire disinteressata.
La tecnica della Banca dei Dati, definita «Zatcoding» è stata proposta da Mooers (1951, 1956) e sviluppata da Garfinkel e viene così descritta da Mehan e Wood, 1975: 231:

I ricercatori sono invitati a raccogliere pensieri, citazioni, riferimenti e così via e a riportarli ciascuno in una scheda. Quando ha messo insieme una collezione di cento o più schede, il ricercatore comincia a costruire una lista di «descrittori». Questi sono parole o frasi che il ricercatore ritiene capaci di dare un ordine significativo all’insieme di dati costituito dalle schede. Le schede vengono codificate con uno o più descrittori. Nuovi descrittori vengono creati man mano che cresce la capacità di percezione del ricercatore e dei significati racchiusi nel corpus. Nuovi items di informazione vengono aggiunti e così nuovi pensieri, citazioni, riferimenti bibliografici. La procedura è la stessa di quando si entra in una biblioteca sprovvista di catalogo: i ricercatori costruiscono un sistema di classificazione mentre, nello stesso tempo, aggiungono nuovi items agli «scaffali» della biblioteca.
Una volta che molte centinaia di items sono stati classificati, i ricercatori sono indirizzati a conversare con il loro deck di schede: si sceglie un descrittore e si esaminano tutti gli items che sono stati classificati sotto quel titolo. I ricercatori sono diretti ad ispezionare le schede per vedere che cosa hanno in comune. Il significato di ogni «ispezione» è previsto dal descrittore. Così, ogni raccolta di schede codificata con simile procedura prevede il significato del descrittore che esse condividono. Descrittori che hanno un significato simile possono essere comparati. Il corpo separato di items che essi mettono insieme può essere discusso. Similmente, i descrittori che sembrano non avere un significato simile possono essere comparati. Quanti più ricercatori conversano con i loro decks di schede, tanto più saranno in grado di interpretare e comprendere la loro creazione… Questa procedura è ardua. Molti ricercatori l’abbandonano perché sembra banale. Poco di significativo su cui riferire appare fino a che non si sia costruito un deck molto ampio. Tuttavia perseverando ancora…
Quale che sia l’analisi che vi si costruisce sopra, esperimenti come quello descritto devono essere determinati dal ricercatore, in sintonia con la comunità scientifica alla quale il ricercatore desidera parlare.


NOTE

  1. A questo punto il rapporto cita le varie ricerche stilla comprensione compiute dal servizio opinioni della RAI e da Capecchi e Livolsi (1971). torna al rimando a questa nota
  2. A questo punto segue nel rapporto originale, un’analisi delle incomprensioni provocate in Cina da Chung Kuo di Antonioni (cfr. Eco, 1977). torna al rimando a questa nota
  3. A questo punto seguono, nel rapporto originale, esempi di ricerche del Servizio Opinioni RAI (RAI, 1970). torna al rimando a questa nota
  4. A maggior ragione incorre in errore la sociologia tradizionale delle comunicazioni di massa che anche quando si pone genericamente il problema della differenza dei codici ne testa il possesso su variabili come sesso, età, livello culturale e sociale e livello di istruzione. torna al rimando a questa nota
  5. Processi del genere possono essere osservati anche a proposito di messaggi singoli che non trasformano un intero sistema semiotico ma semplicemente ristrutturano un campo ridotto di opinioni e credenze. Di questo tipo sono gli accumuli di notizie concernenti un fatto di cronaca o una issue sociale (presenza nella zona di un assassino, pericolo di nuovo impianto nucleare, coscienza ecologica, eccetera). Le prime notizie date dai giornali lasciano il pubblico indifferente; poi intervengono media incrociati (giornali, televisione, film, eccetera); quindi sopravviene per ciascun medium un accumulo di informazione con lente trasformazioni (inizialmente la notizia è data in modo neutrale, poi viene sempre più connotata in modo drammatico). A un certo punto avviene il salto: la comunità fa propria quella preoccupazione.
    Qui non si tratta di pura ridondanza della notizia: intervengono probabilmente dei fatti qualitativi (riformulazione della notizia in modo diverso, intervento massiccio di una fonte più legittimata delle altre, pressione di opinion leaders locali). Anche qui si tratta di ricostruire su casi singoli le fasi di accumulo e il momento probabile della catastrofe. torna al rimando a questa nota
  6. Naturalmente non si pensa a una presa di coscienza generalizzata dei meccanismi culturali (che per definizione sono in gran parte inconsci e non facilmente concettualizzabili se non a sofisticati livelli metalinguistici). Ci si limiterà pertanto a fare individuare l’esistenza di processi di negoziazione, settori parziali di regole, e il fatto che questi tipi di competenza culturale sono distribuiti in modo diseguale nel corpo sociale.
    Sarebbe interessante che si riuscisse a capire come anche il ricercatore (e ciascuno dei soggetti del gruppo in quanto ricercatore) negozia la sua interpretazione facendo giocare le risposte degli intervistati, le sue «strutture di senso comune» ovvero le sue competenze testuali proprie, e le proprie nozioni teoriche. torna al rimando a questa nota
  7. Le storie di vita (come pure le schede della Banca dei dati) possono essere poi verificate su materiale di archivio locale (tribunali, ospedali, ecc.) per trovare analogie e discrepanze col passato. torna al rimando a questa nota

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