Da: Tullio Pericoli, Quelques riens pour Rossini, Edizioni Teatro degli Artisti, D. Montanari ed., Ravenna, 2012.
Mostra alla Galleria Franca Mancini di Pesaro, in occasione del Rossini Opera Festival 2012.
A chi dice “Ora per me è un volto”, possiamo domandare: “A che specie di trasformazione alludi?” (Wittgenstein)
1.
Tullio Pericoli ritrae i ritratti di Rossini. Li moltiplica come se ogni suo quadro fosse l’esecuzione originale d’uno spartito visivo fatto con le immagini canoniche del cigno pesarese. Un’operazione visuale e musicale insieme, nello spirito dell’opera lirica che “reclama cose che parlino agli occhi”, come diceva Stendhal nella sua Vita di Rossini. E come ribadiva H. de Balzac: il “linguaggio musicale significa ridestare mediante suoni […] certi ricordi del nostro cuore e certe immagini della nostra intelligenza che hanno un certo colore”, nel suo Massimilla Doni (1837-39). Un romanzo che si svolge a Venezia dopo l’esecuzione del Mosé di Rossini e dove Balzac poneva alla musica i problemi di composizione ed esecuzione che avrebbero trovato in pittura un enigmatico equivalente, Un capolavoro sconosciuto.
Era anche l’indicazione di Diderot, nel Paradosso dell’attore, pubblicato postumo nel 1830: il dramma lirico rinnova l’alleanza tra parola e musica – spostando gli accenti della parola – per “eccitare l’immaginazione a produrre immagini e mette(r) l’animo nella situazione più propria a sentire tutto il fascino di queste immagini” (Stendhal).
Ut musica pictura, ma la musica ha il tempo contato, mentre i dipinti restano ed entrano a far parte della terra, battuta quanto incognita, dell’iconologia.
Il ritratto è un genere e grazie alle convenzioni gode di una certa immunità dal reale. La somiglianza al soggetto, meglio al modello, va intesa secondo un codice. I ritratti canonici di Rossini – sui quali sembra modellata anche la sua fotografia – sono diversi quanto i loro intenti e quanti erano i loro destinatari. La posa era mediata dalle convenzioni della recitazione e il viso di tre quarti dà dignità e una lieve alterigia, modulata dal pince sans rire. Quel che vediamo infatti è un significato e l’aria – ancora un termine in comune con la musica – è un’aura. Inoltre il ritratti canonici a cui Pericoli si conforma e come vedremo, trasforma, sono letteratura figurata – logomorfi?, verbiformi? – che oppone i suoi paradossi alla (vero-)somiglianza. Diderot li ha raccontati nella voce Enciclopedia che apre la grande opera omonima. È l’esperimento mentale di un innamorato – italiano o spagnolo – che vuole un ritratto d’un’amante che non può certo esibire. Ne dà una descrizione dettagliatissima, per lasciare nella mente del pittore “la veritiera immagine che lui aveva sotto gli occhi […] senza tralasciar nulla che non potesse accattivare il pennello”. Ne redige poi 100 copie per 100 pittori da cui esige una esecuzione remunerata quanto fedele. “I pittori lavorano e dopo un certo tempo il nostro innamorato riceve 100 ritratti, che somigliano tutti esattamente alla descrizione, mentre nessuno somiglia all’altro – e tanto meno all’amante”.
Pur conscio del rischio, Stendhal – che aveva dedicato un ritratto musicale alla cantante Giuditta Pasta, magnifico per “il colore e la fisionomia generale del suo talento”, descrive Rossini con “gilet nero, abito blù, una cravatta ogni mattina, ecco ad es. un costume che non gli farete togliere neanche per presentarlo alla più grande delle principesse”. Un orso per i francesi, ma Rossini si specchiava nel proprio canto. Henry Beyle, milanese di Francia, tratteggia poi una fisionomia attraverso la conversazione: “una mente tutta fuoco, che sorvola tutti i soggetti e vi coglie un’idea gradevole, vera o grottesca” e pur se talvolta “assurdo, non ha mai mancato di spirito”. Per giungere infine allo stile: “vario e vivo più che gaio, mai appassionato, sempre spiritoso, raramente noioso, più raramente sublime”.
Il ritratto narrato è uno stenogramma, una biografia sintetica.
2.
Le immagini chiave cercano nuove serrature e Tullio Pericoli a differenza degli illustratori, non disegna come “si” disegna, ma come sa disegnare lui. Sa che ritrarre non è una resa dei conti con la rassomiglianza, ma la messa in racconto di un significato che resta incompiuto. Nel tempo si diventa molto più simili o tanto più diversi da un certo ritratto. Cerca, come ha fatto con altri musicisti – ritraendo i ritratti di Bach, Beethoven, Berio, Britten, Verdi e soprattutto Stravinski – un Rossini “per me, vero, vivo, segreto”. Difficile compito perché il grande musicista vive ormai immerso in quei ritratti e quelle facce le ha definitivamente calzate. Svisarle, sfacciarle è contrariare una individuazione canonizzata, una sospensione a divinis. Disfare un volto è rifare un destino, ma è solo liberando i “tratti di faccialità” – i lineamenti, le fattezze – che possiamo poi connetterli con nuovi “tratti di pittoricità, di musicalità, liberati anch’essi dai rispettivi codici” (Deleuze, Guattari). È nel mutamento che diventiamo veramente consapevoli dell’aspetto. Esemplificando altre proprietà del volto, il quale è il nostro portavoce, questo può dirci qualcosa d’altro, parlare con un nuovo accento.
Pericoli ha il suo modo di operare, di ragionare per immagini. Sa per esperienza e molti esperimenti che ogni viso è fatto di relazioni tra caratteri; ogni fisionomia, anche le più stereotipe e culturalmente mediate è un equilibrio precario e irregolare di connotati. Un minimo spostamento di forma, spazio, colore ne trasforma il significato: un ritratto cattura sempre una caricatura.
Perciò moltiplica le variazioni, per sovrapposizioni e accostamenti creando, parole sue, dei “fotogrammi”, verticali e orizzontali di facce possibili. Non cancella i primi schizzi, come altri disegnatori; sovrapponendoli su supporti trasparenti, come su un palinsesto, individua a poco a poco i caratteri salienti fino a un definitivo fermo immagine. Dal diafano affiora un’epifania, soprattutto quando Pericoli disegna gli occhi e il viso ritratto lo riguarda. Espone quindi, gli uni accanto agli altri, gli esiti finali.
Mi piacerebbe chiamare “portratto” – come nell’inglese portrait o il francese portrait – questo procedimento di protrusione e trasfigurazione dell’immagine. In italiano, il prefisso ri-, di “ritratto ” conserva un senso di ripresa e di rappresentazione, mentre nelle variazioni di Pericoli c’è la presentazione di quella prospettiva ampia e continua che si trova nel prefisso por-.
Come in “portento”, quel meraviglioso che per E. T. Hoffmann non era solo una proprietà del soprannaturale ma anche dell’opera buffa, quando la trivialità del quotidiano viene sovvertita dall’irrisione: “l’impossibile ha il sopravvento, gli avvenimenti casuali si accumulano, il risultato è un sollievo liberatore. In balia dell’imprevisto i personaggi diventano marionette e la restrizione della loro libertà mette in risalto l’onnipotenza dei loro creatori, librettista, compositore, attori. L’ironia che denuncia la risibile finitezza della condizione umana si attribuisce le prerogative dell’infinito”.
Quel meraviglioso che troviamo, con i ritratti rossiniani, nelle scene e nei costumi del Turco in Italia di Tullio Pericoli.
Deleuze, G., Guattari, F., Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Genova, 2003 (1980)
Hoffmann, E. T. A., “L’attestato artistico di Johannes Kreisler”, in Il vaso d’oro. Pezzi di fantasia alla maniera di Callot, Einaudi, Torino, 1995
Pericoli, T., Colti nel segno. Il Novecento in 64 ritratti, Mondadori, Milano, 1995
—, I ritratti, Adelphi, Milano, 2002
—, L’anima del volto, Bompiani, Milano, 2005
Starobinski, J., Le incantatrici, EDT, Torino, 2007 (2005)
Stendhal, Vita di Rossini, EDT, Torino, 1983 (1824)