Eco qui pro quo


Introduzione a Michele Cogo, Fenomenologia di Umberto Eco. Indagine sulle origini di un mito intellettuale contemporaneo, Baskerville, Bologna, 2010.


 

Che misterioso enigma è l’uomo!
(Sherlock Holmes, Il segno dei quattro)

0. Mitogonia

Siamo in un’epoca revisionista: torniamo indietro, dal post al pre, a passo di gambero. Ma così facendo incappiamo nei fatti di spalle. Grande merito di questo libro è che ci aiuta a voltarci e a guardare di fronte il suo oggetto: la mitogonia di Umberto Eco.
Ci riporta all’esordio e ai primordi dell’intellettuale italiano vivente più conosciuto del pianeta1, o se si preferisce all’intellettuale planetario più conosciuto in Italia. Poiché la fama semplifica, la fisiognomica della celebrità conduce alla caricatura: Eco è l’uomo che sapeva troppo, il dotto enciclopedico che ha anticipato l’avvento di Google e Wikipedia – le quali rendono inutile le enciclopedie private, ma più necessario il loro impiego creativo.
Per me, che non conoscevo Eco al periodo frugato da questa passeggiata referenziale nel suo bosco narrativo, è stata una rivelazione. Per il metodo impiegato e la temperie culturale che questa etero-biografia semioticamente ragionata indica e spiega.

1. Il metodo

La ricerca minuziosa di Michele Cogo ci trapianta infatti un nuovo sguardo. Tra i molti che sono possibili. In effetti c’è lo sguardo ad occhi chiusi, per cui tutto quel che è di Eco sarebbe reale e razionale. C’è lo sguardo laterale, che osserva di sfuggita, curioso, anedottico e forse pettegolo. C’è lo sguardo dall’alto, che è sufficiente e sarcastico – quello di Pietro Citati (cfr. I.6.3). C’è lo sguardo dal basso, degli epigoni, quello che incensa e loda. Infine, c’è lo sguardo velato, che è quello scelto in questo libro. Un occhio che ha la lente di un metodo, quello semiotico, esposto per un capitolo intero, e cerca di ricostruire il senso di ciò che è stato raccontato su Umberto Eco all’epoca dei detti e dei fatti. Uno sguardo positivo che aderisce simpateticamente al personaggio, senza cieche obbiettività, conservando la velatura necessaria per intravedere gli accadimenti.
Salta agli occhi infatti il proposito di applicare il metodo semiotico ad un celebre semiologo2. Non si tratta però di un divertissement – l’arroseur-arrosé – e neppure dello spargimento impressionista di “connotazioni, come polvere d’oro” (Barthes). Quello di Cogo è un tentativo metodico d’introdurre rapporti concettuali all’interno di un genere numeroso e stantio, quello biografico, che ne esce rinnovato. Capacità narrativa, strumenti socio-semiotici, assenza di piaggeria e molta minuzia di dati: insomma qualcosa di profondamente diverso dalle comune biografie che agitano con sommesso rumore le catene del ghost writer.
Una biografia ragionata, che non costruisce un’individualità psicologica ma rintraccia la singolarità di eventi e di segni e risulta imposta dal suo proprio oggetto. Eco infatti ha manifestato un interesse costante per gli specchi, cioè ad osservarsi a partire da uno sguardo altro. E quella di Cogo infatti è il contrario di una autobiografia: una eterobiografia mitica che introduce perciò molti elementi rizomatici tra gli alberi delle genealogie ufficiali.

2. La temperie

Sono gli anni – dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta – nei quali Eco inizia a lavorare all’interno della nascente industria culturale, prima alla Televisione di Stato e poi alla casa editrice Bompiani. Anni di formazione per il Bildungsroman del nostro eroe e per una nuova cultura italiana, il rinnovo del suo canone e della sua doxa.
È il momento fertile, in cui l’Italia del dopoguerra dà inizio all’industria culturale. Mentre Elemire Zolla scriveva L’Eclisse dell’Intellettuale, il libro di Morin L’esprit du temps viene tradotto come L’industria culturale: saggio sulla cultura di massa.
Eco non è solo: fa parte di una generazione intellettuale – che ha espresso il Gruppo 63 – molto aggressiva rispetto alla precedente. A questa generazione appartengono figure come Gregotti, Gae Aulenti, Sanguineti, Balestrini, Scalfari, ecc., che hanno ancora un ruolo culturale direttivo in quanto la generazione successiva ha perduto il proprio turno tra utopie politiche, evasioni nella droga e dispersioni globalizzate.
Nello spirito del tempo, Eco sul “Diario minimo” (Il Verri, 59) scriveva allora una Estetica dei parenti poveri, in cui elencava “tra le ricerche possibili: evoluzione del tratto grafico da Flash Gordon a Dick Tracy; esistenzialismo e Peanuts; gesto e onomatopea nel fumetto; schemi standard di situazioni narrative; influenza dell’eco magnetica nell’evoluzione della vocalità dopo i Platters; uso estetico del telefono; estetica della partita di calcio“. E via scrivendo, sui fumetti e la televisione fino ad Apocalittici e Integrati, 1964, il libro dalle iniziali profetiche (A.I), dove è già tracciata la disciplina semiotica come legante del rizoma enciclopedico
Eco è stato fin dall’inizio inventivo nei temi e nella scrittura di testi brillanti e innovativi, e molto rapidamente si è operato quello che in semiotica chiamiamo un débrayage: la crescente evidenza di una soggettività creatrice – la sua enunciazione – e sempre meno gli oggetti di cui si trovava a trattare – i suoi enunciati.
Mi pare che questa caratteristica – distacco e focalizzazione del soggetto dall’oggetto – faccia di Eco, quasi per definizione, il soggetto naturale di una biografia e ne sancisca il diritto alla notorietà. È il processo agiografico documentato da questo libro.
Questo “dominante” della personalità sui diversi contenuti smentisce la supposta poliedricità di Eco, le sfaccettature multiformi che lo renderebbero diverso a seconda dei punto di vista. È proprio il contrario: Umberto Eco è un frattale, un oggetto geometrico che non cambia aspetto a seconda dei luoghi d’osservazione. La sua personalità creatrice la si ritrova intatta in ciascuna delle varie attività che svolge, come Cogo dimostra.

3. QuiProQuo

La materia narrativa di Eco è moltiplicata e rifratta dal meccanismo socioculturale del QuiproQuo (QpQ). La sua carriera infatti, specie agli inizi, è stata feconda di fraintesi. Spieghiamoci: ogni successo è dovuto a scelte intenzionali quanto a rifiuti collettivi. Eco non aveva una formazione nei media scritti o visivi; universitario impegnato nella ricerca hard – l’estetica medievale – avrebbe pianificato una carriera accademica, ma Luigi Pareyson, un mandarino dell’estetica con cui i Eco intendeva collaborare, gli perferì Gianni Vattimo.
Il QpQ è un colpo di fortuna. Dapprima inavvertito perché Eco si è impegnato a lavorare nel mondo dell’editoria e dei media quasi di soppiatto, spesso sotto pseudonimo: Dedalus, personaggio di Joyce beninteso, ma anche il progettista di labirinti. In questo suo modo di avanzare mascherato Eco si è fatto spesso labirinto per gli altri. Ha cercato, Sherlock Holmes rovesciato, di far perdere le proprie tracce e nel farlo si è ritrovato in posizioni e ruoli che non aveva anticipato. Una virtualità che riesce ad attualizzarsi in funzione del potenziale delle situazioni.
Un esempio per tutti il successo dei Apocalittici e Integrati3: Eco per sua ammissione non credeva “di dire nulla di nuovo ma di fare il punto su un dibattito ormai maturo” e invece “prendeva di sorpresa i meno informati” e azzeccava il punto d’incontro tra “conservatori amareggiati e progressisti in tensione“. Gli è capitato sovente anche con Il nome della rosa, testo irto di citazioni locali e personali che ha finito, per la solida impalcatura della detective story, per diventare un classico planetario.

4. Talento e Semiosfera

A questo e ad altri QpQ4, Eco ha risposto con il proprio talento, riuscendo, sospinto dagli sguardi altri, a fronteggiare le esigenze impreviste d’esser preso per qualcuno che non intendeva diventare. “Talento” è, per sua etimologia, desiderio e abitudine e quello di Eco è un talento opportuno che sa cogliere con divertita laboriosità, i momenti, i luoghi e le persone giusti e orientare le sue virtualità e inclinazioni. Ha contribuito così a caratterizzare il periodo che il libro prende in esame nei suoi tratti fondamentali.
Umberto Eco non è un code breaker (scassa-norma o rompi-codice). Non ha forse realizzato delle innovazioni teoriche salienti, anche se Opera aperta resta un riferimento per l’estetica e il modello per la fuga degli interpretanti della sua semiotica. Il suo ruolo è stato invece decisivo per operare dei veri e propri movimenti tettonici all’interno della cultura italiana e internazionale. Non rotture epistemologiche quindi ma pieghe, inflessioni e spostamenti d’accento nella semiosfera, che hanno modificato le gerarchie e riscritto i criteri tradizionali di dominanza culturale. Eco ha fatto per la cultura quello che i futuristi volevano fare coi versi: mutare il periodare classico del pensiero. Senza Eco questo spostamento non sarebbe avvenuto, o molto più tardi e in maniera diversa. Il suo meritato mitismo è quello di un Personaggio Concettuale (Deleuze).

5. Il contemporaneo: presenza e opportunità

Il ruolo determinate di Eco non si esaurisce in quegli anni. Egli è stato ed è tuttora compresente: non è mai rimasto indietro rispetto alle generazioni successive e con esse si è sempre confrontato ed integrato, con uno scambio di vitalità fuori dagli opportunismi del presentismo.
La sua presenza attiva nell’attualità contemporanea ci interroga proprio sul problema della presenza e della contemporaneità. Problema la cui soluzione implica una risposta alla domanda che Eco stesso rivolgeva ai suoi allievi: “Perché non mi hanno ancora fatto fuori, così come io ho fatto fuori i miei padri?”. La spiegazione si può certamente trovare nelle illusioni in cui si è smarrita la generazione mancata, che non è riuscita, neppure con la “parola alle armi” a rendersi più contemporanea e più compresente di lui.
Nelle tattiche della compresenza Eco si è dimostrato però assai diverso dalle strategie dell’avanguardia, che sospende o revoca il presente a nome del futuro. Eco invece è attivo nel contestualizzarsi al presente. Detto semioticamente, i suoi testi sono, soprattutto, generativi di un contesto del quale ha saputo sempre spostare i frames. Così, il rigoroso semiologo, il teorico dell’avanguardia ha ridefinito col suo stile romanzesco il movimento postmoderno. Un altro QpQ?
Essere contemporaneo implica un’acuta sensibilità al momento opportuno. Non bastano gli intenti: ci vuole fortuna e tempismo, cioè la capacità di saper riconoscere l’occasione e acciuffarla al passaggio. Come prendere l’onda nel surf. Eco è un golden surfer: prima d’ogni altro sa riconoscere le onde buone o far credere che esistano. Per rimanere alle metafore marine, ricordo l’etimologia della parola opportuno che è formata da ob (verso) e portum (porto) e rinvia alla decisione di cogliere il vento giusto per spingere la nave in porto. Le vent se lève. Il faut tenter de vivre: Eco ha un senso nativo del prender vento al momento memorabile dell’approdo: l’istante più difficile della navigazione e il momento più opportuno per rimanere in auge.

6. Con ironia

Sul capitale simbolico (Bourdieu) della cultura si accendono conflitti di cui Cogo ha documentato il primo teatro delle operazioni. Della deriva tettonica della cultura in quegli anni, emerge infatti con chiarezza la tipologia degli ostacoli ed il modo con cui Eco vi si è confrontato. Queste resistenze Eco le ha in qualche misura “scherzate”, dribblate con i memorabili titoli ad ossimoro: Opere Aperte, Strutture Assenti e con altre tecniche di diversione dello sguardo, ironia e umorismo. Uno “scherzare” che non è fine a se stesso, ma una forma di moralità che sottende o esprime un giudizio. Eco è un Esopo brillante, non è l’intellettuale che pretende di dir l’ultima parola a nome della totalità, come Sartre o come ha provato a fare Foucault, in occasione della rivoluzione iraniana, quando ha sostenuto Khomeini nel suo Sessantotto clericale.
Eco non pretende infatti d’impartire agli altri tutta la verità e nient’altro che quella, perchè non è l’intellettuale del concetto ultimo ma del pensiero penultimo. Sa che altri ne verranno e per questo più che nel dissenso lui si riconosce nella condivisione, come prova la sua indefessa memoria per le citazioni erudite e per le storielle, non sempre elevate, con cui crea un ricordo in comune. Chi ha buona memoria per le storie ha la generosità di condividerle con altri ed è innegabile che Eco ci ha reso tutti interessati ai numerosi oggetti della sua vorace curiosità. La sua è una memoria esopica, in quanto ha come obiettivo la trasmissione di una moralità a volte improntata ad un insospettato buonsenso, ma veicolata da una forma umoristica e ironica.
L’Ironia è stata definita una ri-descrizione di oggetti ed eventi con un vocabolario che gli interlocutori, amici e nemici, siano indotti ad adottare e ad ampliare (Rorty). Infatti il gusto neologico di Eco – virtuosismo di cui è spesso accusato – non è una strategia fine a se stessa, ma un modo per spostare le parole vecchie senza attaccarle direttamente, nella speranza che con le parole nuove non sarà più possibile formulare domande desuete.

7. Uno stile brillante

Michele Cogo insiste sull’aggettivo brillante, come logo salvacondotto per accedere a un tratto saliente di questa etero-biografia. Complimento o critica, il brillare comporta una intensità non durativa; è la proprietà di una luce coerente ma intermittente, con variazioni d’intensità e di alternanza tra luce e di ombra presenza e di assenza.
A mio avviso la brillantezza di Eco risiede soprattutto nella sua capacità di saper dosare la sua memoria esopica a fini morali. Ci sono momenti buoni per farlo e momenti in cui ciò non è possibile. Eco sa che se si rimane sempre intensi non si produce brillantezza; ci vogliono pause nella presenza per cogliere-capire il momento giusto per esercitare tempestivamente le proprie qualità. Una capacità di far emergere e afferrare il momento e farne un memento.
È una caratteristica del suo stile che, ai tempi della ricerca di Cogo, qualcuno aveva comparato alla mitica Cinquecento: consumi controllati, tenuta di strada, resistente in pianura ed eccellente in salita? Eco non cede al vizio della metafora grammaticale – la nominalizzazione che trasforma verbi in sostantivi – cifra del parlar colto, ma sa diventare sofisticatissimo nella traduzione e nel pastiche (Queneau).
Stile scritto e orale. Eco è ancora un uomo del medium scritto a partire dal quale – come peraltro McLuhan – esplora e teorizza gli altri media. Ma, nell’esercizio delle sue numerose qualità, è anche un professore. Ora, Barthes sostiene che i professori sono soprattutto orali, talvolta verbosi, e vanno distinti dagli intellettuali, i quali sono professori che scrivono; entrambi diversi dagli scrittori, che lavorano dentro alla lingua. Umberto Eco fa ancora eccezione: è uno scrittore di successo che insegna. Capita quindi spesso che lo si ascolta non per quel che dice, ma per il riverbero del suo mitismo. Può essere una delle ragioni per cui Eco che pur ha suscitato imitatori, non è mai riuscito a fare una scuola, cioè a dare prospettiva e continuità alla ricerca anche al di là della propria affollata e applaudita presenza. È noto infatti che si applaude solo il plausibile. E lo provano i replicanti e gli errori di copiatura, cioè tutti coloro che hanno tentato di copiare e riprodurre Umberto Eco, dimostrando semplicemente il fatto che, ovviamente e banalmente, il brillare della sua singolarità non può essere clonato.

Conclusione

“La presa della parola non è stata soltanto uno slogan”
(Apocalittici e Integrati)

“Non si può cancellare il proprio passato come il dittatore di 1984 e dunque ecco qui cosa pensavo nel 1964 […]. E se oggi fossi nel 1964 ripubblicherei lo stesso libro: ogni società culturale ha le novita che si merita”
(Apocalittici e integrati)

In maniera obliqua, il libro di Michele Cogo è un contributo alla conoscenza di un periodo culturale che non ha ancora finito di dire quello che ha da dire. Certo, come notava Baudrillard, oggi è più difficile fare ironia perché sono diventate ironiche le cose e i maître à penser sono diventati pret à penser. Gli intellettuali – con l’eccezione degli scienziati? – sembrano privi del potere di sperimentazione e trasformazione: le loro opinioni, consumate al ritmo dei media, sembrano ininfluenti nelle scelte politiche e culturali (le stesse persone che trovano brillantissimo l’Eco che “scherza” Berlusconi, poi votano Berlusconi).
Cos’è successo in questi anni? La tesi di Eco, il senso del suo tempismo è che il paradigma culturale è tornato indietro a passi di gambero. Che gli rimane da fare allora? Disporre un trapasso speculativo? Riportare su di un solo piano di consistenza le singolarità che definiscono la sua filosofia? Ma la sua prisca filosofia non è implicata proprio nella costruzione dell’oggetto di etero biografia ragionate: la sua vita? Memorabile non sarà la sua rilettura di Peirce, la ricerca su come i segni servono per mentire, ma la sua scrittura brillante, piena di QpQ e di derive intellettuali. Quando inventa una guerriglia semiologica, quando scrive che la lingua dell’Europa è la traduzione e traduce creativamente tutti i linguaggi del suo tempo.
Meglio recuperare allora la forza illocutiva di contestualizzazione che non gli è venuta meno? Come la ripresa, a distanza di trent’anni, di una rivista come Alfabeta, che ha orientato la cultura di una generazione.
E infine: se nessuno come lui ha saputo cogliere il vento e guidare la nave in porto, quanto ha contato il suo carico? Quanto è importante ciò che ha trasportato? Ai contemporanei la sentenza. Ardua, mi pare, ma è il caso di farne un caso.


Note

  1. A puro titolo d’esempio si veda nella pagina seguente la mappa delle lauree honoris causa conferite ad Umberto Eco nel corso degli anni. torna al rimando a questa nota
  2. Ancora più curioso, per chi ha familiarità con questa disciplina, che si applichino gli strumenti della semiotica generativa ad uno dei principali esponenti della semiotica interpretativa. Ma questo è un divertimento da accademici, nulla di veramente divertente insomma. torna al rimando a questa nota
  3. Il fortunatissimo titolo Apocalittici e Integrati è stato imposto dall’editore Valentino Bompiani: QpQ? torna al rimando a questa nota
  4. Qualcosa in comune con Mike Bongiorno ci doveva pure essere no? Mike è stato un maestro del qui pro quo verbale, spesso appa- rentemente inconsapevole. torna al rimando a questa nota

Riferimenti bibliografici

Bondanella P. Umberto Eco and the open text, Cambridge Univ. Press, 1997.

Cotroneo R., Eco: due o tre cose che so di lui, Bompiani, Milano 2001.

Fabbri P., “Umberto da Bologna. Professore angelico”, in Montalto S. (a cura di), L’uomo che sapeva troppo, Edizioni ETS, 2007, pp. 83-87.

Fabbri P., “L’idiome esthétique”, Le Magazine Littéraire, (sur U. Eco), février 1989, Paris (in AA.VV., Semiotica: Storia, Teoria, Interpretazione. Saggi intorno a Umberto Eco, a cura di P. Violi e G. Manetti, Milano, Bompiani, 1992).

Gritti J., Umberto Eco, Editions Univesitaires, Paris, 1991.

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