Futurismi del verso


Presentazione a Giovanni Bove, Scrivere futurista. La rivoluzione tipografica tra scrittura e immagine, Collana Semiotica, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2009.


 

La patria della creazione è il futuro. È di là che spira il vento inviato dagli dei del verbo
(Klebnikov)

1.1.

La parole in libertà non sono un nuovo metodo opposto a quello del verso libero. Sono la totale liberazione della poesia da tutti i metodi…
(Filippo Tommaso Marinetti)

Nella sua prefazione alla Tavole parolibere di Pino Masnata (1932), Filippo Tommaso Marinetti riprendeva a vent’anni di distanza il tono e talora la lettera dei suoi manifesti (in particolare il Manifesto tecnico della letteratura futurista, 1912). Il lirismo essenziale e sintetico, l’immaginazione senza fili, la rivoluzione tipografica erano, com’è noto, i congegni del dispositivo parolibero, destinato a liberare l’ispirazione poetica dai soffocanti “cifrari” della sintassi e della prosodia. Per il capofila futurista, il “nuovo senso del mondo”, inesprimibile nelle forme passatiste, imponeva al linguaggio poetico una nuova prospettiva: nuove metafore ed onomatopee ed una nuova ortografia e tipografia. Così le parole in libertà hanno formato nella pratica di almeno trecento artisti e nel corso di un ventennio, delle “tavole sinottiche di valori lirici” di cui Marinetti, teorizzava, da par suo, i concetti, dimostrava i meccanismi, forniva le istruzioni e mostrava gli esempi. Il paroliberismo di Masnata, ad es., con le sue “compenetrazioni violente di stati d’animo lontano e paesaggi lirici di parole presenti” (Filippo Tommaso Marinetti) aveva una qualità visiva “illuminatrice” ma anche una sonorità intrinseca.
Ne Il manifesto della radio (La aradia) del 1933, redatto con lo stesso Masnata, Marinetti ribadisce che la parola in libertà si è sviluppata “come collaboratrice della mimica e del gesto”, nonché del suono, musicale e verbale. E aggiunge: “il radiasta deve esprimersi in quello stile parolibero (derivato dalle nostre parole in libertá) che giá circola nei romanzi avanguardisti e nei giornali quello stile parolibero tipicamente veloce scattante sintetico simultaneo”. “Parole-atmosfera” le quali “contengono un’orchestra di rumori e di accordi rumoristi (realisti e astratti) che soli possono aiutare la parola colorata e plastica nella rappresentazione fulminea di ció che non si vede”.
Il modello parolibero, a dominante grafica, avrebbe dovuto sciogliersi successivamente in musica nell’esito annunciato dell’Aeromusica dell’alfabeto in libertà. Per poi sfociare nel Tattilismo che, “paroliberamente, mediante la Tavole parolibere, fonda finalmente pensiero, ansia musicale colore forma verbalizzazione espressiva e dinamismo tattile del corpo umano” (Filippo Tommaso Marinetti).

1.2.

Visibilità e sonorità, immagine e musica, le tavole parolibere hanno realizzato il percorso obbligato, il creodo, conseguente alla crisi fin de siècle del linguaggio poetico, al seisma disgregatore del metro e della rima e all’affermarsi del verso libero (da Kahn a Lucini). Com’è già evidente in Mallarmé – che Marinetti traduce criticamente nel 1916, per la prima volta in italiano – la dissonanza della rima e la frattura sintattica del verso fanno crescere la imprevedibilità e l’indeterminazione del senso. Si indebolisce la densità sintattica, scompaiono i segni di punteggiatura, sostituiti da una diversa densità nella visualizzazione del verso. I sintagmi lessicali irradiano paradigmaticamente. Da allora, fino al lettrismo e alla poesia concreta, scompare la consequenzialità lineare, sostituita per i futuristi da rime plastiche, “zone o complessi plastici”. La poesia, arte della parola udita, diventa arte della parola letta; i versi per l’orecchio, una volta riconosciuti per l’aspetto visivo esterno, diventano versi per l’occhio (Gasparov).
Sembra questa la singolarità del progetto di Marinetti: un radicale movimento di liberazione dal verso. Dopo il verso libero, le parole in libertà. Una libertà vigilata: criticando il verso libero per quanto gli resta di prosodia e di sintassi – come la residua compiutezza sillabica e grammaticale – Marinetti prosegue la liquidazione dell’assetto “passatista”, ma vuole soprattutto avviare la poesia in una nuova direzione creativa. Non si tratta quindi del solo gesto libertario, ma di deliberare e reperire nuove correlazione sintattiche – come farà Masnata con i suoi sostantivi a doppia reggenza grammaticale; di focalizzare alcune figure del significante (l’onomatopea) e del significato (l’analogia); di sostituire la punteggiatura con segni musicali e matematici; di cambiare il supporto stesso della grafia, la carta a stampa. come le poesie pentagrammate di Cangiulo. Saranno i pittori futuristi a riprendere e a trasformare in tavole le pagine quasi bianche di Mallarmé.
Il Lirismo simultaneo e l’ortografia libera espressiva trattano le parole come morfemi, unità di forma, deformandoli o rilassandoli, tagliandoli o allungandoli, rinforzandone il centro e le estremità, aumentando o diminuendo il numero delle vocali e delle consonanti, sminuzzando o impastando i caratteri. Lettere “umanizzate e animalizzate” dovevano calcare le tavole parolibere per rappresentare drammi ortografici e tipografici. Marinetti voleva moltiplicare i caratteri e i diversi colori d’inchiostro per aumentare la forza espressiva della parola “dipinta”. Il significante grafico poteva così esprimere nuove forme di contenuto: il grassetto tondo per onomatopee violente; il corsivo per esprimere l’infinitamente piccolo – tutta “una vita molecolare fatta di sensazioni simili o veloci”. Poemetti in prosa, in presa sulla visualità. La propaganda e la pubblicità, ne hanno rilevato le forme e le forze; dai manifesti del ’68 francese, fino alle sofisticate immagini contemporanee di D. Carson – per le Nike, i Ray- Ban e la Pepsi Cola.
Per il futurista parolibero, i modelli di poesia dovrebbero essere “i quadri di distribuzione delle centrali elettriche, contatori tastiere e commutatori” (Filippo Tommaso Marinetti)! Il sistema grafico della tavola parolibera è sentito come un’ opera aperta alla lettura di brani in libera successione, alla declamazione energumena – d’ogni lettore. La declamazione “dinamica e sinottica” deve stabilire una correlazione fisiognomica coi suoi tratti onomatopeici liberamente tipografati e disegnati e la mimica facciale e della gesticolazione. Svanisce il limite tra versi-ficazione e versi-dizione e la pagina parolibera diventa uno spartito da eseguire – passa, come direbbe N. Goodman, da autografa ad “allografa”.
Nella catastrofe poetica del verso libero è implicata quindi un’altra dimensione lucidamente intravista da Marinetti. La poesia prevalentemente plastica dei paroliberisti organizza e stabilisce i suoi silenzi e le pause cioè i suoi spazi musicali. Nel verso libero gli effetti di sonorità restavano murati della persistenza della sintassi e delle chiuse grammaticali: con il declamatore costretto ad un “monotono dondolio”. Costruire una tavola parolibera come dispositivo visuale e tipografico e come supporto della declamazione “dinamica e sinottica” corrisponde invece alla l’elaborazione di piccoli enigmi visivi – sciogli-vista e sciogli-lingua, colmi di sobbalzi e di irregolari sorprese – comparabili alla morale élémentaire di R. Queneau.

1.3.

Per un’inveterata postura storicista, gli studi delle parolibere si sono prevalentemente interrogati sui precedenti (ante litteram) e le anticipazioni (post litteram) del paroliberismo (Cammarata). Il futurismo, sprovvisto di valore proprio, conterebbe per quel che ha ripreso o prospettato nel fiume carsico dei segni. Una coesione narrativa forzata che andrebbe per anafore e catafore dalla poesia medievale a quella concreta, dalle composizioni barocche al dadaismo, dalla bottiglia di Rabelais dalla poesia visiva, dagli “ideogrammi lirici” di Apollinaire – “sono pittore anch’io” – fino alla video art! Spetta ad altri valutare l’impatto del futurismo che, almeno rispetto a Dada, è stato decisivo nel design e soprattutto nei manifesti di protesta degli anni ’60 (Bartram). Quanto ai precedenti – per Marinetti il peggio era il passato – andrebbero trattati piuttosto come “plagi per anticipazione” resi rilevanti proprio dal feed back dell’originale postura futurista. L’effetto storicista che documenta i contesti o traccia periodizzazioni – primo, secondo, ultimo futurismo e via contando – senza approfondire i suoi dispositivi di espressione e di contenuto, provoca l’indesiderabile effetto per cui in “questa prima grande avanguardia italiana è da ritenersi oggi pressoché impossibile la scoperta di fatti rilevanti dal punto di vista della trattazione teorica” (Belli). Affermazione plausibile se ci si attiene alle dichiarazioni di intenti (le “poetiche”) e si ritiene che le teorie non vadano dis-implicate dai testi manifestati e rifigurate su di un piano più astratto. Questa invece è l’opinione dei semiologi, come Giovanni Bove, i quali si propongono di procedere (ad litteram) alla esplorazione dei meccanismi di significazione delle realizzazioni parolibere, che sono multimodali, sincretiche, numerose, di grande varietà e sottigliezza e tutt’altro che riducibili alle indicazioni del fondatore. Il quale peraltro non intendeva impartire parole d’ordine, ma proporre principi regolativi e provvedere istruzioni d’uso nella realizzazione di tavole sinottiche di valori lirici, o di “analogie autoillustrate”. Per propalare l’amore della retta e del tunnel, per gli scorci e le sintesi visuali create dalla velocità, ma anche per sconsigliare “le preoccupazioni pittoriche i giochi di linee e le curiose sproporzioni tipografiche” (Filippo Tommaso Marinetti).

2.1.

Semiotica e (tipo)grammatologia.
Nonostante la salienza dei testi verbovisivi, gli studi di semio-linguistica non hanno proseguito le letture parziali e le indicazioni preziose di G. Lista sulla “strategie semiologiche” futuriste (1984). Tanto più singolare che uno dei postulati semiotica è la traducibilità tra segni di diversa sostanze espressive – e basti pensare ai mobili paroliberi di Cangiulo!
È probabile che questa riserva sia dovuta all’acre e multicitato giudizio di R. Jakobson: “Questa è una riforma nel campo del reportage, non già del campo del linguaggio poetico”. Nonostante le sue pretese ad una nuova estetica – dove il dinamismo e lo smembramento delle forme andrebbero oltre il modello cubista – il futurismo, in quanto privilegia la funzione emotiva, la nomenclatura delle impressioni e la percezione “difficile”, avrebbe solo valore di inchiesta sul mondo o sulla sensibilità (inter-)soggettiva e (inter-)oggettiva. Nella nota tipologia delle funzioni linguistiche, il grande semiologo opponeva infatti alla funzione emotiva – imperniata sull’espressione dell’emittente – una poeticità “autotelica”, caratterizzata dalla riflessività del messaggio. Per lui il poetico dice quel che dice, dicendolo e dicendosi; e si caratterizza per la funzione metalinguistica in quanto dotato di leggi autonome, costruite a vocazione estetica. Per la sua valutazione del futurismo, Jakobson – traduttore di Marinetti durante la sua tournée letteraria moscovita – si atteneva però esplicitamente alle dichiarazioni d’intenti del capofila futurista. È probabile invece che avrebbe riconosciuto nelle tavole parolibere di molti poeti italiani – Severini, Carrà, Govoni, Cangiulo, Masnata, ecc. – alcune delle qualità “poetiche” che ritrovava in Klebnikov e nello Zaum (e negava al dadaista): “fondatori della poesia della parola autonoma, valida in sé”.

2.2.

Di queste qualità testimoniano la ricerche qualitative di G. Bove, che portano inoltre sulle composizioni testuali e le strategie di significazione di autori meno canonici del movimento parolibero. Il kit del semiologo, i suoi strumenti analitici sono messi a punto dagli studi sulla figuratività planare e le sue componenti plastiche eidetiche e cromatiche (Corrain). Sarebbe interessante dimostrare che questi utensili euristici, come il semi-simbolico – cioè la rimotivazione dell’arbitrario segnico – sono la generalizzazione di proprietà esemplificate a partire dallo studio del linguaggio poetico (Fabbri).
È più interessante rilevare i risultati dell’applicazione della lente semiotica di ingrandimento su alcuni frammenti del grande caleidoscopio parolibero. La lettura lenta di G. Bove è la risposta adeguata alla velocità e alla simultaneità futurista: ne mostra i congegni comuni e gli accorgimenti ad hoc. Al di là delle osservazioni abituali – come gli effetti di profondità e delle viete associazioni – come il montaggio “cinematografico” del disegno e della tipografia, G. Bove mostra analiticamente la complessità del sincretismo verbovisivo e ne articola gli effetti sinestesici. Non tenta di dimostrare, giovandosi della striminzita cassetta degli attrezzi di Ch. S. Peirce – indice, icona e simbolo: cerca e indica invece come i registri espressivi comportino, nella loro disposizione sulla pagina, effetti di senso diversi dai significati immediatamente percepibili. A partire dalla topologia planare dell’impaginato, Bove rispecifica, con esattezza, l’architettonica testuale (lo spazio rappresentato) e discorsiva (lo spazio rappresentante) delle parolibere prese in esame, fino a ricostruirne gli effetti retorici, quali l’ironia, e la manipolazione degli stati d’animo. Questo gli permette di individuare le diverse tattiche del testo parolibero per la inclusione dello spettatore, che è caratteristica della rappresentazione futurista.
Avverto però i suoi segni di impazienza. È venuto il momento di lasciargli la parola.


Bibliografia

AA.VV., Futurismo 1909-1944, a cura di E. Crispolti, Mazzotta, Milano, 2001.

AA.VV., Le parole nell’arte. Ricerche d’avanguardia nel ‘900 dal futurismo ad oggi, a cura di G. Belli, Skira, Milano, 2007.
Sez. Futurismo: G. Belli, “La scrittura del manifesto e l’uso del manifesto”; D. Cammarata, “La rivoluzione tipografica futurista”.

AA.VV. Semiotiche della pittura, a cura di L. Corrain, Meltemi, Roma, 2004.

A. Bartram, Futurist typography and the liberated text, The British Library, London, 2005.

P. Fabbri, “Eterografie di N. Balestrini”, sta in AA.VV., Nanni Balestrini. Con gli occhi del linguaggio, Mudima Ed., Milano, 2006.

N. Gasparov, Storia del verso europeo, Mulino, Bologna, 1993.

R. Jakobson, My futurist years, Marsilio Publishers, New York, 1997.

G. G. Lemaire, Futurisme, Editions du Regard, Paris, 1995.

G. Lista, Le livre futuriste, de la libération du mot au poème tactile, Editions Panini, Modena, 1984.

“Trasduzioni lettera/immagine”, Il Verri, n. 33, gennaio 2007.

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